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Autore: Shari Deschain    15/01/2008    4 recensioni
Sanzo protegge solo ed esclusivamente se stesso. Lo ha sempre fatto e (crede) sempre lo farà, ed è esattamente questo che esprime la frase che ho scelto per il contest. In realtà per molto tempo ho pensato che suddetta frase fosse una baggianata bella e buona e che il nostro caro bonzo predicasse bene e razzolasse male. Più di una volta infatti Sanzo ha rischiato la vita per Goku, quindi per me quelle parole perdevano il loro significato originario. Ovviamente però, la cosa la si può analizzare in modi differenti, e questo è un tentativo del genere. Ambientata a Choan, prima del grande viaggio.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genjo Sanzo Hoshi, Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi/Pairing: Sanzo, Goku
Tipologia:
One-Shot
Lunghezza:
Word dice 1903 parole, quasi 4 pagine comunque.
Avvertimenti:
Nessuno in particolare
Genere: Triste direi, ma anche un pochettino Fluffy XD
Disclaimer:
Sanzo, Goku e compagni cari non mi appartengono, la Minekura dice che non mi cederà mai e poi mai i diritti, quindi sono ancora totalmente e indissolubilmente suoi. Nessuno mi ha pagato per scrivere questa storia, se così fosse comunque mi avrebbero pagato per non scriverla.
Credits:
"Avevo qualcosa che volevo proteggere e quando la persi compresi quanto fossi impotente e che ognuno di noi è troppo impegnato per a difendere sé stesso per pensare agli altri. Così mi dissi: voglio qualcosa che non devo proteggere" questa fantastica citazione appartiene al Venerabile Genjo Sanzo Hoshi ( e alla sua creatrice ovviamente) lungi da me appropriarmi di una simile perla di saggezza.
Note dell'Autore:
Questa fanfiction è stata scritta per il concorso su Saiyuki indetto da Writers Arena e giuro che mi ha mandato scema, ancora non so e non riesco a capire se sono riuscita o no a fare una storia non introspettiva come richiesto dal bando. Giuro non me ne rendo conto. Se sono riuscita a rispettare i parametri la prenderò come vittoria personale, pure se dovessi finire all’ultimo posto, se invece non li rispetta, bè… spero di non essere bannata dal forum XD




Incubi






È irritante scoprirsi svegli nel bel mezzo della notte: il cervello ci mette sempre qualche secondo ad accorgersi di essere di nuovo attivo ed intanto ci si ritrova ad occhi aperti nel buio a fissare il soffitto della propria stanza, senza capire il motivo per cui non si sta beatamente dormendo come cinque secondi fa.
È una cosa che fa saltare i nervi a chiunque, figuriamoci al Venerabile Genjo Sanzo Hoshi. Già lui è stanco morto per tutte le responsabilità che ogni giorno deve affrontare, per il mal di testa che continua a tormentarlo e per il dover dormire sempre con un occhio aperto.
Una cosa del genere per lui è più che irritante. È insopportabile.
Trattenendo a stento una sequela di parolacce palesemente non adatte al suo rango, si tira su a sedere mentre la vena sulla fronte comincia a pulsare in modo violento. Si concentra un attimo ma non ci sono aure maligne nei dintorni. Proprio niente.
Perché diavolo si è svegliato allora?
Si accende una sigaretta e si appoggia al muro, in ascolto.
Passano un paio di minuti, scanditi solo dal lievissimo crepitio della Marlboro e dal suo respiro che butta fuori il fumo, e poi lo sente: un rumore soffocato dietro la porta. Assomiglia tanto ad un singhiozzo.
Chi osa singhiozzare in quel modo fastidioso a quell’ora della notte?
Una vaga idea Sanzo ce l’ha ed è proprio per questo che, nell’avvicinarsi all’uscio, afferra l’harisen invece della Shoreijyu. Manco a dirlo, dopo aver spalancato la porta si ritrova a fissare un paio di occhi dorati. Una paio di occhi dorati e piangenti per amor di precisione, e se poi bisogna essere proprio precisi si può aggiungere anche che quegli occhi e quel singhiozzo soffocato appartengono ad una certa stupida scimmia che per chissà quale assurdo motivo se ne sta lì davanti a lui, in pigiama e con il viso bagnato di lacrime.
La mano di Sanzo esita un secondo.
Solo uno però.
L’harisen si abbatte violentemente sulla testa castana.
- Che diavolo ci fai in piedi a quest’ora, stupida scimmia!?
Goku incassa il colpo con un mugolio rassegnato. Quello strano bonzo che lo ha liberato è un tipo piuttosto violento e lui ha imparato ad accettarlo. Il bambino fissa quegli irati occhi viola con un’espressione tale da sciogliere le pietre. Peccato che la persona che gli sta di fronte sia molto più dura di un banale sasso: Sanzo non è proprio il tipo da farsi intenerire da un moccioso.
- Sanzo ho paura!
- Paura di cosa?
- Ho fatto un incubo… un incubo tremendo! Ero da solo nella mia camera e stavo mangiando un grosso nikuman, uno di quelli che abbiamo preso alle bancarelle in paese… ti ricordi Sanzo? Solo che all’improvviso si è trasformato in un enorme mostro e voleva mangiarmi! LUI! Io ti chiamavo… ti ho chiamato tantissimo! Ma tu non arrivavi! E poi non ero più qui a Choan ma di nuovo lì, e avevo ancora le catene…
Un singhiozzo, ancora. E Sanzo se ne sta zitto, a fissare quegli occhi bagnati, per la prima volta senza sapere bene cosa fare.
Il Nikuman-mostro è una cosa abbastanza sciocca, più di quanto Sanzo possa tollerare, e il fatto che la scimmia avesse paura di essere mangiata…
Il detto “occhio per occhio” non esiste per niente, no?
Fosse solo quello Sanzo non si farebbe alcuno scrupolo a prenderlo ad harisennate fino a fargli passare la voglia di fare incubi, ma è la seconda parte del sogno che lo trattiene. Non occorre che Goku specifichi dove sia lì, il bonzo sa benissimo che si sta riferendo alla grotta sul monte Gogjo.
Una parte del suo cervello gli continua a dire che basterebbero pochi minuti per liberarsi della scimmia. Dovrebbe solo spiegargli con calma che i nikuman restano tali e sono creati esclusivamente per essere mangiati e non per magiare, e che non c’è alcuna possibilità che lui ritorni in quella stupida grotta perché lui non lo permetterebbe mai e poi mai.
Ecco, poche parole e Goku si riaddormenterebbe tranquillo e lui potrebbe fare lo stesso. Semplice no? È quello che farebbe chiunque, soprattutto nel trovarsi davanti un bambino spaventato. Ma Sanzo, come si è già detto, non è chiunque. È Toa il trentunesimo Genjo Sanzo Hoshi.
E soprattutto non è il tipo di persona da agire così, non è uno che si occupa spontaneamente degli incubi altrui. Già odia occuparsi dei propri.
Un ricordo… un ricordo si affaccia nella sua mente stanca: un sorriso, una veste da Sanzo, un paio di occhi buoni ed indulgenti.


[Avevo qualcosa che volevo proteggere…]


Per quanto sia impossibile da immaginare a chi lo conosce adesso, anche Sanzo è stato un bambino. Un moccioso arrogante e allo stesso tempo insicuro, un moccioso che faceva incubi e ne aveva paura.
Un bambino uguale a tutti gli altri bambini sotto questo punto di vista.
Ma nonostante la paura tremenda che quei sogni scatenavano in lui, non era mai andato a piangere dal suo maestro. Mai.
Vuoi per orgoglio, vuoi per vergogna, ma l’idea di correre dal suo maestro non gli aveva mai sfiorato il cervello. Preferiva mille volte restarsene lì nel suo futon con volti sconosciuti che gli urlavano orribili insulti piuttosto che mostrare la propria debolezza all’uomo che più stimava in assoluto.
Questo è quello che pensava, quello che si auto imponeva di credere.
Che poi il maestro si trovasse sempre a passare di là in quelle buie notti, Koryu la considerava una mera coincidenza. O forse sesto senso, chi lo sa.
Il Sanzo di oggi, in effetti, saprebbe spiegare benissimo quelle coincidenze perché sa cosa vuol dire sentire una voce, sa cosa vuol dire chiamare senza usare parole. Lo sa fin troppo bene.
Ma allora era solo un bambino spaventato, nient’altro.
Komyo, con il suo sorriso, era capace di dissipare qualsiasi brutto pensiero, il solo guardare in viso quell’uomo insignito della più alta carica concessa dalla loro religione, aveva il potere di calmare l’anima.
Koryu lo sapeva bene.
Quando, svegliandosi da quelle orribili proiezioni della sua mente, si trovava davanti il volto del maestro, sereno e gentile, sentiva il cuore rallentare, i battiti farsi regolari. All’inizio cercava di mascherare la sua paura, ma poi si era reso conto che non serviva. L’uomo che gli stava davanti non aveva mai accennato a quella sua debolezza tanto umana.
- Sai Koryu, un buon sakè accompagnato da una sigaretta è capace di rigenerare un uomo – erano le solite parole che gli rivolgeva in quelle notti.
- Maestro, sono minorenne.
In realtà erano altri i motivi per cui non accettava mai ciò che gli veniva così gentilmente offerto. L’odore del sakè e quello del tabacco erano per lui l’essenza stessa del suo maestro. Che diritto aveva lui di impossessarsi di quell’odore?
Lui, Koryu della corrente del fiume, non lo meritava.
Non allora.
Poi, quando si era trovato le mani sporche del sangue del suo maestro, e gli occhi ancora più sporchi di quelle oscene immagini di morte, aveva capito.
Non è ciò che sta intorno ad un uomo a concepirne l’essenza.


[e quando la persi, compresi quanto fossi impotente…]


Da quel giorno gli incubi erano diventati molto più reali. Molto più spaventosi.
E questa volta era da solo, nessuno poteva aiutarlo.
Poteva anche bere il sakè, incatramarsi i polmoni fino a svenire, pensare a discorsi più o meno filosofici… poteva fare tutto questo ma le cose non sarebbero cambiate in alcun modo. Era solo, solo con i suoi incubi, solo con i suoi mostri.
Si era trovato a portare avanti un’esistenza indegna, non voluta.
Se fosse stato forte, probabilmente sarebbe riuscito a sollevarsi da solo dalla merda in cui era precipitato.
Avrebbe imparato a lasciar fuori dalla sua mente quelle immagini, quegli orrori, quella consapevolezza di essere un vigliacco.
Però non era riuscito a sconfiggere i suoi nemici. Era capace di ammazzare demoni, uomini e perché no? Anche gli dei in persona se avessero tentato di ostacolare il suo cammino. Ma quei nemici d’ombra non era mai riuscito ad affrontarli. Era… impotente.
E constatarlo faceva dannatamente male.


[…e che ognuno di noi è troppo impegnato a difendere sé stesso per pensare agli altri…]


Spesso sta nell’orgoglio la forza di un uomo. E nella testardaggine anche.
Ci sono persone che non meritano di vivere ma che, nonostante tutto, si aggrappano alla vita in un modo disperato.
Sanzo è fra quelli.
Non è possibile venire privati di tutto, ci resta sempre qualcosa: il nostro corpo, la nostra mente, anche la nostra anima a volte. E se non troviamo nient’altro possiamo vivere per quello. Per noi stessi.
Sanzo, per quanto privato dell’anima e del cuore, continua a vivere in modo sfacciato, difendendo il poco che è rimasto di lui, innalzando se stesso a nucleo fondamentale del suo mondo. Prima di incontrare Goku, infatti, gli altri nemmeno esistevano. Erano solo macchie in movimento, figure indistinte nel caos che gli si muoveva dentro.
Pian piano però ha acquistato forza, forse anche (in piccola parte) grazie a quella voce insistente, ma l’ha fatto principalmente da solo. Trovando nello specchio la ragione ultima di difendere qualcosa, è riuscito a scacciare gli incubi, ad eliminare i mostri.
Non che adesso non ci siano più ovvio. Capita più raramente di allora, certo; ma sono ancora lì quei nemici neri e inevitabili.
Però ora c’è qualcosa di diverso, qualcosa di piccolo in realtà. Fatto sta che quelle notti, le notti di pioggia perlopiù, svegliandosi sudato nel letto non cerca più con lo sguardo gli occhi del suo maestro; cerca invece le sigarette, le sue sigarette, e la Shoreijyu anche.
Cerca se stesso, la sua vita inutile.
E la difende, la difende costantemente.


[Così mi dissi…]


Goku lo tira per la veste, distogliendolo dai suoi pensieri.
È ancora spaventato ma adesso gli occhi sono asciutti. Gli basta essere lì vicino a Sanzo per non aver paura, il solo guardare quel volto severo e sicuro basta a rassicurarlo completamente.
Chissà, forse Komyo Sanzo Hoshi riderebbe di cuore nel vedere i ruoli così totalmente capovolti.


[…Voglio qualcosa che non devo proteggere…]


- Vai a dormire scimmia. E non osare mai più seccarmi per idiozie del genere.
Lo dice con tono duro, cattivo. Fissandolo direttamente in quegli occhi dorati che al suo rimprovero tornano a riempirsi di lacrime.
- Non sono tuo padre, non sono il tuo babysitter. Sei abbastanza grande e abbastanza forte da poterlo uccidere da solo quel mostro.
- Ma non ne sono capace!
Sanzo si morde le labbra. Quella frase…
- Impara allora. Provaci.
E non sa se lo sta dicendo a Goku o a se stesso.
Non hai bisogno della protezione di nessuno.
Perché dopotutto Sanzo di bambini piagnucoloni ne ha avuto abbastanza. Goku non è come lui, non dovrà mai esserlo. “Impara a camminare sulle tue gambe” si usa dire, ed è una frase tanto vera da spaccarti il cuore.
Se anche a lui l’avessero insegnato prima forse…
Goku lo fissa con uno sguardo serio, meditando sulle sue parole.
- Però se non ce la facessi… - mormora esitante.
- Ti coprirò le spalle.
Non “ti proteggerò” perché Sanzo non protegge nessuno che non sia se stesso, né da mostri immaginari né da demoni reali.
Non “ti aiuterò a sconfiggerlo” perché Sanzo sa anche che gli incubi vanno affrontati da soli, senza la possibilità di poter contare su qualcuno.
Ma “ti coprirò le spalle” perché anche lui, da bambino, ha avuto chi lo ha fatto.




   
 
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