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Autore: SereILU    03/07/2013    2 recensioni
[Sebastian/Chandler | One-shot | Storia liberamente ispirata a "Paradise by the dashboard light"]
Questa storia è un regalo per Alanna, che si è laureata e io volevo fare qualcosa per lei.
Auguri, tesoro!
*
Quando la doppia porta di vetro si era aperta, Sebastian aveva saputo che quella sarebbe stata la sua fine. Perché insieme a Hummel – ma come diavolo aveva fatto ad entrare in quei pantaloni? Se li era dipinti addosso? – c’era l’ultima persona che avrebbe mai immaginato di trovare in un locale come quello. A New York. Anni dopo il loro ultimo incontro.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Chandler Kiehl, Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Come eravamo.
Personaggi: Sebastian Smythe/Chandler Kiehl, Klaine.
Genere: Romantico, Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: What if?, Missing Moment
Nda: Alla fine.

 

NB: Questa shot è ispirata a “Paradise by the dashboard light” di Alanna, che non ha idea di cosa io abbia scritto. Temporalmente, possiamo inserirla 4 anni dopo i fatti di P. Quindi, leggete Paradise, così capirete perché lei mi avrà uccisa.


Auguri, tesoro. This is for you.



 

Come eravamo.

 
 

“Ditemi che è uno scherzo.”

Sebastian si passò una mano tra i capelli, sconsolato. Perché era ovvio che non avrebbe mai dovuto fidarsi di Kurt Hummel. Era talmente ovvio che per un istante si chiese perché aveva accettato di partecipare a quella specie di appuntamento al buio.

Era rimasto seduto su quello scomodo sgabello per i precedenti venti minuti, cercando di ignorare le voci dissonanti di chi si cimentava nel karaoke e quella di Blaine, tranquilla ed eccitata mentre gli raccontava dello splendido regalo che il suo fidanzato gli aveva fatto per il loro anniversario.

Quando la doppia porta di vetro si era aperta, Sebastian aveva saputo che quella sarebbe stata la sua fine. Perché insieme a Hummel – ma come diavolo aveva fatto ad entrare in quei pantaloni? Se li era dipinti addosso? – c’era l’ultima persona che avrebbe mai immaginato di trovare in un locale come quello. A New York. Anni dopo il loro ultimo incontro.

“Sebastian?” Blaine, accanto a lui, gli aveva messo una mano sulla spalla. “Stai bene?”

Sebastian non lo sapeva. Improvvisamente, le immagini di una primavera passata in una noiosissima cittadina di provincia gli apparvero davanti agli occhi e, con loro, frammenti di una storia che pensava di aver dimenticato.

Eppure, quando lui apparve, sembrava che il tempo non fosse mai trascorso. Per qualche motivo, la sua mente lo riportò a quel giovedì, cinque giorni prima della sua partenza per Parigi, al Lima Bean, con un caffè bollente in mano e la voglia di lanciarlo a qualcuno.

Avrebbe dovuto chiedere. Avrebbe dovuto farsi dire almeno il nome. Ma non l’aveva fatto, perché lui era Sebastian, e ogni ragazzo con un po’ di senso estetico e igiene personale sarebbe andato bene per una notte.

“Ciao, Sebastian…”

La sua voce è cambiata. Anche il suo aspetto era diverso da come Sebastian lo ricordava, o erano i vestiti che Kurt aveva evidentemente scelto per lui? Certo, gli occhi azzurri e i capelli biondo sporco erano gli stessi, così come il cappello color senape che nascondeva la maggior parte delle ciocche spettinate, eppure non riuscì a non pensare che quella che aveva davanti non sembrava la stessa persona che aveva visto l’ultima volta prima di partire e decidere di non tornare più a Lima.

“Seb?” La voce di Blaine lo riportò alla realtà e lui sbatté le palpebre e cercò di riguadagnare un po’ di contegno.

In qualche modo riuscì a piazzarsi in faccia il suo solito ghigno. “Persino quelli dell’Università dell’Ohio non sono riusciti a sopportarti, Chandler?”

*

Rivedere Sebastian era stato strano. Gli era sembrato che quel dolore sordo che di solito avvertiva da qualche parte tra il cuore e lo sterno quando ripensava a quei due mesi a Lima fosse tornato. Ed era più acuto di prima, più forte.

Quando Kurt gli aveva chiesto – lo aveva pregato – di prestarsi alla sua idea, Chandler aveva quasi declinato. Aveva sorriso, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e cercando di ignorare il battito scellerato del suo cuore. Avrebbe dovuto dirgli che non gli interessava, che la sua vita a New York era abbastanza complicata anche senza il ritorno del suo passato.

Ma non l’aveva fatto.

Seduto sul letto nel suo sgangherato monolocale a Brooklyn, aveva calcolato i pro e i contro della sua scelta. Si era sdraiato sulla coperta azzurra e aveva stretto le ginocchia al petto, perché per un istante la scatola si era aperta ed era tutto tornato a galla, quasi soffocandolo.

Tuttavia, il pensiero di rivederlo era bastato a convincerlo. Perché Chandler non poteva dimenticare Sebastian. Come una ragazzina non scorderebbe mai il primo amore, il primo bacio, le prime carezze, così lui non l’avrebbe mai perso.

Perciò aveva accettato e, in quel momento, nel chiasso del bar, con le lenti a contatto che Kurt gli aveva procurato che ancora gli irritavano gli occhi e quei vestiti che non sentiva suoi, non riusciva a rimpiangere la sua decisione. Perché a pochi passi da lui c’era Sebastian.

E non pareva cambiato. Gli sembrava di scorgere di nuovo la vecchia maschera di sarcasmo e compostezza che ricordava, ma forse era più sottile e leggera, quasi che Sebastian si fosse finalmente arreso alla realtà e avesse deciso di mostrare il suo vero io, quello che Chandler aveva colto quando l’altro sorrideva e alzava gli occhi al cielo alle sue battute.

La risposta che Sebastian aveva dato al suo saluto non lo aveva infastidito, si era aspettato di vedere le sue difese salire e nasconderlo agli altri, quindi rimase tranquillo.

“Sono… uhm… entrato alla NYU,” disse, stringendosi nelle spalle e sentendo la camicia tendersi appena sulla schiena – Kurt avrebbe dovuto dargliene una con una taglia in più.

Sebastian sollevò un sopracciglio, probabilmente sorpreso dalle sue parole. “E ti mantieni facendo la badante filippina in qualche grattacielo?”

Chandler vide Kurt lanciare un’occhiataccia a Sebastian, e Blaine trascinarlo via prima che potesse prenderlo a pugni. Si tormentò le mani per un secondo, poi sorrise.

“Papà mi aiuta con l’affitto.”

*

Sebastian sapeva che non avrebbe dovuto farsi coinvolgere, eppure, seduto su quel tavolino sbilenco con una bottiglia di birra in mano e Chandler a pochi centimetri, non era stato capace di allontanarsi e dichiarare la serata una delusione.
In più, non era neanche riuscito a stare zitto, ed aveva ascoltato, attento e solo leggermente distaccato, Chandler che gli raccontava di come suo padre era riuscito a rinascere e a trovare un lavoro, nonostante sua madre e Charlie tentassero continuamente di buttarlo giù.

Quella famiglia rimaneva sempre incasinata, nonostante gli anni.

“Mi sei… mancato, sai?”

La voce di Chandler era bassa e incerta, ma non aveva abbassato lo sguardo, e Sebastian si chiese se fosse rimasto qualcosa del ragazzo che aveva conosciuto. Prima di rispondere si piazzò in faccia un altro sorriso.

“Immagino quanto debba essere stato triste andare avanti senza di me.”

Chandler fece una piccola smorfia. “All’inizio avevo pensato che sarebbe stato facile chiudere tutto nella scatola e far finta che non fosse successo niente.”

“Perché?” Sebastian bevve un sorso di birra. “Cos’è successo? In due mesi non hai neanche avuto il coraggio di toglierti la camicia.”

L’altro arrossì, e per un attimo Sebastian si sentì in colpa. Per qualche ragione non riusciva a rilassarsi del tutto; c’era qualcosa di strano, in quella situazione, che gli faceva venire la pelle d’oca sulla nuca.

“S-sono cambiato.”

E Sebastian capì. Era proprio quello, il problema. Chandler era cambiato, era cresciuto e lui non era più capace di riconoscerlo. Gli occhi azzurri non sembravano gli stessi senza le lenti spesse, e quei vestiti non gli si addicevano affatto: la camicia era troppo stretta, i jeans troppo scuri e aderenti.

Quello non era il Chandler che lui aveva conosciuto.

“Perché sei cambiato?” chiese, prima di riuscire a trattenersi, e si morse la lingua, perché non poteva essere davvero interessato, giusto?

Chandler aggrottò la fronte e sollevò una mano in un gesto che faceva spesso quando era nervoso – come faceva Sebastian a ricordarlo con così tanta precisione? – e se la portò sugli occhi, dove di solito avrebbe spostato gli occhiali per guadagnare tempo e decidere quale sarebbe stata la risposta giusta da dare.

Alla fine sospirò. “Il mondo non è come lo immaginavo io.”

E sebbene Sebastian gliel’avesse detto in più occasioni di quante riuscisse a ricordare, sentire quelle parole provenire dalle labbra di Chandler gli faceva male, perché… beh, perché il Chandler che ricordava sarebbe riuscito ad andare avanti anche con il peso del mondo sulle spalle, mentre quello che aveva davanti...

“La tua nuova vita fa schifo,” sentenziò subito dopo.

“Come?” Chandler sembrava essere stato preso in contropiede.

“La tua nuova vita fa schifo,” ripeté Sebastian, poi si alzò in piedi e afferrò la mano di Chandler, trascinandolo giù dallo sgabello e tirandoselo dietro verso il bagno.

Si era mosso ancora prima che il pensiero sfiorasse la sua mente e, mentre la porta cigolante si chiudeva dietro di loro, Sebastian prese Chandler per le spalle e lo costrinse a posizionarsi davanti allo specchio.

“Che cosa vedi?” chiese a bassa voce, scorgendo subito la pelle d’oca sulle braccia nude di Chandler e provando un moto d’orgoglio per esserne stato la causa.

“Sebastian, che cosa sta-”

“Rispondi!”

Chandler prese un respiro profondo e finalmente spostò il proprio sguardo davanti a sé. Sebastian lo vide studiare la propria figura in ogni minimo dettaglio: poteva quasi sentire gli ingranaggi che si muovevano sotto quell’orribile cappello.

“Vedo me.”

“Non dire cazzate. Riprova.”

“Sebastian, io non ca-”

“Va bene, te lo dico io che cosa vedo.” Sebastian lo superò e si frappose tra lui e lo specchio, osservandolo da capo a piedi prima di parlare. “Vedo un ragazzino che ha deciso di uniformarsi al mondo perché essere diverso era troppo difficile.”

“Cos-?”

“Andiamo, Chandler! Togliti quelle stupide lenti a contatto e rimettiti gli occhiali.”

“Ma-”

“Niente ma.”

Sebastian dovette aspettare solo qualche secondo prima che Chandler cominciasse a frugare nella borsa e ad estrarre la soluzione e il contenitore per le lenti. Poi si mise di nuovo davanti alla propria immagine riflessa e, dopo aver deglutito, cominciò con i tentativi per obbedire all’ordine.

Gli ci vollero dodici minuti, qualche parolaccia – cosa che lasciò Sebastian stupefatto – e un mare di lacrime, ma alla fine riuscì nell’impresa e indossò di nuovo gli occhiali. Erano diversi da quelli di qualche anno prima, ma erano assolutamente da Chandler.

“Ora togliti la camicia.”

Sebastian osservò con estremo piacere le sue guance colorarsi di un bel rosso acceso.

“Che co-”

“Ho detto che devi toglierti la camicia. Quella che indossi sembra essere uscita direttamente dall’armadio di Faccia da Checca – in effetti non mi stupirebbe che fosse così – e ti sta troppo stretta.”

Chandler si guardò intorno, probabilmente in cerca di un modo per uscirne, ma Sebastian non avrebbe ceduto. Aveva bisogno di togliersi da davanti agli occhi quell’immagine così sbagliata.

“Ma cosa dovrei indossare?” chiese Chandler con il fiato corto e il rossore che ormai aveva raggiunto sia le orecchie che il collo.

Sebastian ghignò. “La mia camicia.”

Gli occhi di Chandler diventarono grandi come due piattini. “Cosa? No, Sebastian. Io non posso… non posso spogliarmi qui e-”

“Entra in un cubicolo e spogliati, te la passo da sopra la porta,” commentò Sebastian prima di cominciare a slacciare lentamente i bottoni, senza allontanare per un attimo lo sguardo dal viso dell’altro.

Inutile dire che Chandler era letteralmente corso nel gabinetto, apparentemente dimentico della puzza e della mancanza di igiene. Sebastian non riusciva a smettere di sorridere mentre poggiava l’indumento sulla porticina di legno e attendeva.

Pochi secondi dopo, Chandler uscì dal cubicolo con la camicia di Sebastian allacciata fino all’ultima asola e le maniche lunghe leggermente arrotolate intorno ai polsi. Era una visione, quella, giusta e sbagliata allo stesso tempo, ma Sebastian la accettò, perché ora che la stoffa non si tendeva più sulle sue spalle, Chandler sembrava più tranquillo e più… se stesso.

“Sebastian…?”

“Mmmh?”

“Sebastian!”

“Cosa?”

“Sei… sei in… uhm… canottiera.” Chandler era più rosso di prima. “Non avrai freddo?”

Solo in quel momento Sebastian si accorse che Chandler aveva ragione. Scosse leggermente la testa e prese la camicia che l’altro teneva ancora stretta in mano e la infilò: gli andava un po’ stretta sulle braccia, ma sarebbe andata bene.

“E ora andiamo.”

*

Chandler non riusciva a credere a ciò che era appena successo. Un attimo prima stava raccontando la sua vita a Sebastian, e quello successivo si erano chiusi in bagno, lui si era tolto le lenti a contatto e Sebastian gli aveva dato la sua camicia.

Il profumo sulla stoffa era forte e inebriante e, mentre tornavano al loro tavolino, Chandler si perse per un attimo nei ricordi del passato.

“Ora che sei tornato in te stesso…” Sebastian aveva preso un’altra birra e aveva iniziato a sorseggiarla con tranquillità, evidentemente più rilassato – e Chandler non perse la cognizione del tempo guardando il suo pomo d’Adamo fare su e giù, ovvio. “Che ne dici se ce ne andiamo a casa mia e riprendiamo da dove avevamo lasciato?”

Chandler si sentì arrossire per l’ennesima volta. “Che cosa… uhm… vuoi dire?”

Sebastian gli sorrise e, per la prima volta quella sera, sembrava un sorriso vero.

“Se non ricordo male, prima di partire per Parigi avevo trasformato i tuoi baci a schiocco da ragazzina delle elementari in qualcosa di più adatto ad un adolescente sessualmente non-attivo. Sono passati quasi quattro anni, voglio controllare che tu non abbia dimenticato ciò che ti ho insegnato.”

Chandler balzò in piedi velocemente e cercò subito la mano di Sebastian, dimentico di Kurt, del locale e del passato.

Forse essere se stessi non era poi tanto male.
 
 
 
***
 

* Il titolo, ovviamente, è presto in prestito da “Come eravamo”, film del ’73. In perfetto stile Chandler.
* Un grazie enorme va a Rossella RCarson, che mi ha aiutata con il titolo – lei è più brava di me, con Chandler – e con l’IC dei personaggi, perché se c’è qualcuna che conosce i Seblander di Alanna è lei.

 E finalmente…

NOTE FINALI.

Auguri!!! Dopo aver faticato per mesi su quella tesi, aver affrontato la terribile strada da qui alla facoltà in autobus nonostante clima e professori avversi ce l’hai fatta. E questa storia è per te.


SereILU.

   
 
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