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Autore: gattapelosa    03/07/2013    4 recensioni
— Chi sei tu?— le chiese, duro.
— Clove Reen.— rispose quella, senza abbassare il capo, senza inclinare il tono.
— Sei richiesta subito in presidenza. Muoviti, vieni con noi.
Clove non oppose un minimo di resistenza, sicura di sé. E la sicurezza, qui da noi, era solo che fonte di guai.
Portammo Clove in un angolo buio della scuola, senza porte o finestre immediatamente raggiungibili. La vedemmo voltare il capo in tutte le direzioni, e sospirare seccata.
— Capisco. Ho sentito dire che qui pestano i nuovi arrivati.
— Paura, bambolina?— chiesi io, avvicinandomi. Lei scrollò le spalle.
— Ma certo che no, Cato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                              WINNERS

 



Era spettato pure a me, niente sensi di colpa: le prime lezioni da dare ai novellini erano Rispetto, Paura, Sottomissione. Se uno più grande voleva il tuo posto in mensa, in mesa tu glielo avresti dovuto lasciare. Ma se sei un novellino questo tu non lo sai e devi essere educato bene.
Poi c’erano i novellini con un pizzico di talento in più, che dovevano essere educati con ancor più fervore a non lasciarsi trasportare troppo. C’erano i Gamma, i ripescati, quelli che non avevano mai davvero superato gli esami e che mancavano di tutto. C’erano i Beta, la massa comune, che ogni tanto opponeva anche resistenza. E c’erano gli Alfa, come me: quelli che all’Accademia erano entrati con uno o due anni d’anticipo sugli altri, impressionando i professori agli esami anticipatori. Ma Gamma, Beta e Alfa andavano trattati allo stesso modo: come nullità. E per far credere loro di essere nullità andavano, semplicemente, iniziati al mondo degli Hunger Games: braccati, picchiati e lasciati privi di forza.
Era spettato pure a me, niente sensi di colpa. Ero entrato all’accademia quando avevo solo otto anni, due anni d’anticipo, il meglio, ed ero stato tirato in disparte da due del secondo anno, uno del terzo e tre del quarto. Picchiato a sangue, abbandonato in corridoio fino a che non fui ritrovato da un infermiere.
E così, due anni dopo potevo tranquillamente essere io a picchiare i novellini, anche quelli che magari avevano la mia stessa età. E lo facevo tranquillamente, senza sensi di colpa.
Quel giorno avevamo già traumatizzato due novellini Beta e quattro Gamma, ma Bleach era stato chiaro: almeno un Alfa in infermeria. Ci appostammo dietro l’uscita dalla palestra, dove i novellini sostenevano la loro prima lezione di addestramento. Non ci soffermammo troppo su tutti loro, fu Vince a decidere chi prendere di mira.
— Voglio la piccoletta castana, quella con le lentiggini.— disse.— Sembra molto peperina.
Rimanemmo nascosti dietro l’angolo del corridoio, lasciando passar via quelli che ancora non ci interessavano. Un paio di loro anche li riconobbi: erano già stati iniziati da altri veterani.
La piccoletta castana con le lentiggini camminava al fianco di un gruppetto d’amiche, ma poco importava. Vince le si avvicinò, bloccando la comitiva.
— Chi sei tu?— le chiese, duro.
— Clove Reen.— rispose quella, senza abbassare il capo, senza inclinare il tono.
— Sei richiesta subito in presidenza. Muoviti, vieni con noi.
Clove non oppose un minimo di resistenza, sicura di sé. E la sicurezza, qui da noi, era solo che fonte di guai.
Portammo Clove in un angolo buio della scuola, senza porte o finestre immediatamente raggiungibili. La vedemmo voltare il capo in tutte le direzioni, e sospirare seccata.
— Capisco. Ho sentito dire che qui pestano i nuovi arrivati.
— Paura, bambolina?— chiesi io, avvicinandomi. Lei scrollò le spalle.
— Ma certo che no, Cato.— e non mi chiesi come facesse a conoscere il mio nome, avevo fama di grande guerriero in tutto il Distretto, mio padre parlava spesso di me e anche qui all’Accademia sapevo di essere piuttosto conosciuto. Vince, invece, non la prese proprio bene.
— Vi conoscete?— domandò, e io stavo già per rispondere un bel “no”, che quella mi anticipò.
— Giocavano insieme al parco, molto tempo fa.— disse. Gli altri mi guardarono.
Non sapevo cosa dire, sinceramente. Ricordavo che, molti anni addietro, ero solito essere accompagnato dai miei in un parchetto dove, con altri bambini, simulavamo gli Hunger Games, ma non ricordavo d’aver mai visto Clove. Il suo sguardo particolare, tra l’annoiato e l’incattivito, i capelli lunghi, un po’ crespi, e quelle strane lentiggini non dicevano proprio niente. Dovette anche accorgersene, perché strizzò gli occhi e tirò su il mento con fare indispettito.
— In ogni caso— riprese Vince.— Tu oggi stai per farti male. Molto male. Ultime parole?
— Toglimi le mani di dosso.— e lo disse pestando duramente il piede a Vince, che urlando di dolore tirò su la gamba saltellando e perdendo quasi l’equilibrio. Noi altri ridemmo tanto da farlo incazzare di brutto.
Quando si riprese afferrò Clove per la camicia e la sbatté contro la porta.
— Visto che hai tanto da ridere, Joel, perché non glielo tiri tu il primo pugno?— e Joel ancora non smetteva di prenderlo in giro: s’asciugò una lacrimuccia, sollevando le spalle e avvicinandosi alla bimba. Quando le fu di fronte sganciò il primo pugno, che andò ad affondare direttamente sull’addome. Clove si piegò su se stessa, facendo forza per prendere aria.
— Male, bambolina?— chiese, sempre ridendo. Si risollevò, ma prima che potesse girarsi vidi qualcosa di luminoso sbrilluccicare tra le mani di Clove. E quel qualcosa, con precisione millimetrale andò a conficcarsi nell’occhio di Joel. Un piccolo coltellino.
Clove si liberò in una squillante risatina, mentre il nostro amico gridava preda di un dolore tanto atroce da impressionare perfino me. Vince gli si avvicinò, gridandogli di non toccarsi l’occhio, di seguirlo dall’infermiera, e in tutto quel baccano un paio dei nostri si ritirarono silenziosamente. Vince portò via Joel, ordinando a noialtri di occuparci di Clove, che intanto aveva fatto pressione per risollevarsi da terra, reggendosi lo stomaco.
Eravamo rimasti in quattro, Lara, Chris, Kali e io. Kali fu la prima a reagire, prendendo Clove per il collo e schiacciandola contro la parete, soffocandola. Chris ispezionò le tasche, non trovando altre armi disse a Kali di lasciarla andare. Clove annaspò in cerca d’aria, con le mani al collo, mentre guardava alternativamente ora lei, ora me. Non seguì il manrovescio di Chris, che con un solo pungo le fece sbattere prepotentemente il volto contro la parete. E fu da ammirare il tentativo di Clove di non sputare tutti i denti che le erano saltati.
— Voi non favorite?— chiese Chris, e Lara, prendendo la bimba per un piede la sollevò a mo’ di mazza, prima di sbatterla prepotentemente a terra.
Quando fu il mio turno la rimisi faticosamente in piedi, desiderando solo strapparle un occhio a mani nude. Ma Clove mi guardò in un mix di fierezza e cattiveria che spinsero la mia mano a sganciarle solo un altro pugno, e poi una spinta, un ceffone, un calcio e ormai non si rialzava più. Svenuta.
— Direi che qui abbiamo finito.— disse Kali.— andiamo a vedere come sta Joel.
Lei, Chris e Lara si mossero, ma io rimasi lì. Non diedi loro spiegazioni e nessuno chiese niente a me: non contavo nemmeno, tanto più giovane ero. Facevo un po’ da mascotte, l’inutile bimbetto spacca-ossa, ma si sarebbero ricreduti quando, un giorno, avrei vinto gli Hunger Games.
Clove non si muoveva, presto qualcuno l’avrebbe trovata, portata in infermeria, ed entro un paio di giorni tutto come prima. A guardarla meglio aveva un che di famigliare: forse il naso, ora grondante di sangue, o la bocca, gonfia e rossa.
 
 
— Cato, Cato, vieni a prendermi!— gridava Steve, dall’alto dell’albero. Io non ero mai stato bravo con l’arrampicata, e Steve era tanto di più piccolo di me da riuscire a salire facilmente.
— Non ci riesci! Sei troppo grasso!— ma prima che potesse mettersi a ridere, un sasso lo colpì alla nuca, facendoli perdere l’equilibrio. Io lo raggiunsi, trafiggendolo con la mia spada di legno.
— Ho vinto!
— Ma non è giusto, ti sei fatto aiutare da Clove!

 
Era lei, quindi? La bambina che tirava i sassi?
Non ci assomigliava per niente: quella bimba aveva un volto allegro, i capelli corti e la pelle più scura della lancia-coltelli. Ma qualcosa che la richiamasse c’era.
 
 
— Che problema c’è se l’ho aiuto io?— chiese Clove, avvicinandosi.— Non lo sai che durante gli Hunger Games i favoriti si alleano e si aiutano a vicenda?
— Ma non ci sarai tu quando Cato entrerà nell’Arena.— ribatté Steve. Clove gli lanciò contro un altro sasso.

— Certo che ci sarà!— dissi io.— Io e Clove entreremo insieme nell’Arena, non lo sapevi?
 
 
Clove aprì gli occhi, mi guardò. Un po’ sorrise.
— Sei proprio forte, tu.
 
 
Una settimana dopo mi stavo allenando con tutti quelli del secondo anno nella sala d’addestramento. Era l’ora delle attività libere, dove ognuno avrebbe potuto approfondire la tecnica che più preferiva.
In quel momento, il professor Cohen irruppe in palestra e, con un cenno del capo, mi ordinò di raggiungerlo vicino agli spogliatoi.
Il Professor Cohen era un uomo burbero, scontroso, con un enorme paio di baffi e degli stranissimi capelli a spazzola. Ma mi piaceva, perché sapeva sempre il fatto suo.
— Ce l’hai un compagno di addestramento per le ore libere?— mi chiese.
Durante le ore libere molti si allenavano a coppie, e spesso queste coppie finivano per accordarsi prima della mietitura e si offrivano spontaneamente. Nessuno prendeva sottogamba la faccenda delle coppie, e nessuno aveva mai voluto allenarsi con me, che ero così giovane.
— No signore— dissi.
— Bene, perché c’è qualcuno che mi ha chiesto espressamente di essere spostato per le ore libere nella tua sezione, giusto giusto per potersi allenare bene con te. Viste le sue abilità, non ho avuto niente da ridire. — Si voltò verso la porta. — Clove, vieni.
E lei entrò, con ancora una garza medica attorno al capo, e mi guardò seria.
— Sono certo che due prodigi come voi, riusciranno a dimostrare il loro valore.— aggiunse poi con sguardo fiero, prima di lasciarci.
Io e Clove rimanemmo così un paio di secondi, fissandoci negli occhi. Poi lei sorrise, tirando fuori un coltello.
— Ricordati sempre che avrai bisogno di me, nell’Arena.— disse. E io non l’avrei mai ammesso, ma andava bene così.
 
 
— Abbiamo vinto gli Hunger Games!— gridai ai bambini del parco.— Siamo grandi!
Ma una bambina mi si avvicinò, reggendosi il braccio dolorante. — Chi è che ha vinto gli Hunger Games? Tu o Clove?
— Tutti e due, ovvio.— risposi.

— Ma non è possibile, non sta nelle regole.— disse lei.— Solo uno dei due può vincere.
Io e Clove ci guardammo, poi fissammo le nostre armi. Fu lei la prima a reagire, sorridendo.
— Sta tranquillo, Cato!— disse.— per noi faranno un’eccezione. Noi due vinceremo gli Hunger Games.
E io ci credetti davvero, ecco la verità. Ci ho creduto fino alla fine.

 
 
 

Bacheca dell'autrice


Non so quanta fortuna avrà questa piccola one-shot. È la prima che scrivo su Cato e Clove, spero vi piaccia!
 
  
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