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Autore: ISI    17/01/2008    2 recensioni
"-Dio, quanto sei permaloso, Manuel!- esclamasti con aria annoiata ed infastidita, quando pensavo che avresti tentato di giustificarti, di scusarti, di farti perdonare in qualsiasi maniera -E’ stata solo una scopata, maledizione, non te la puoi prendere così solo per una dannatissima scopata!-
In quel momento sono morto.
Quelle tue parole, così inaspettate, così meschine e taglienti hanno ridotto a brandelli la mia anima. Frammenti di me erano sparsi ovunque sul pavimento del salotto della nostra, un tempo, adorata casetta."
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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As a friend

As a friend

 

 

Volevo solo amarti.

Volevo solo crogiolarmi nel calore del tuo corpo sotto il mio, volevo e l’ho fatto, ti ho venerato come un dio, ti ho amato sopra ogni cosa, finchè non ho scoperto che c’era qualcun altro dentro di te e che quel qualcun altro non ero io vestito da infermierina...

Mio Dio...che ricordi...

Quanta gente, mentre stavamo insieme, s’è insinuata nel tuo corpo più viscidamente d’una biscia? Fu questa la prima domanda che mi posi quando ti trovai a letto con Samuel. A quanti altri avevi offerto il tuo corpo, solo perché ti annoiavi o non avevi niente di più interessante da fare?

Quante persone, sottoscritto compreso, hai usato, manipolato, anche solo per fare un po’ di ginnastica passiva?

E dire che io ti ho amato davvero, con ogni cellula, con ogni fibra del mio corpo, senza mai negarti nulla di me, sempre presente, sempre pronto a tirarti fuori dai guai, di qualsiasi natura essi fossero stati. Ti ho amato nel modo più completo e pieno; il mio cuore, il mio spirito, la mia carne, il mio io, se così vogliamo definirlo, raggiungeva la perfezione quando si univa a te, ma contemporaneamente io m’annullavo, pian piano, senza neanche accorgermene, perdevo il senso di me stesso,  della mia esistenza e sentivo, in quei momenti in maniera più forte e chiara di altri, che l’unico motivo per cui io ero venuto al mondo e continuavo a vivere era perché potessi ammirarti, adorarti, venerarti, servirti. Dentro di te ero il tutto ed il nulla; mi credevo completo quando, in realtà, necessitavo ancora della cosa più importante e meno scontata: dell’amore, del tuo dannato, fottutissimo ed inesistente amore.

Non credo che al mondo possa esistere persona più illusa di me...

Credevo davvero che tu provassi qualcosa nei miei confronti, qualcosa al di fuori della pura e mera attrazione fisica e sessuale, ma a quanto pare mi sbagliavo, e di grosso anche.

Avrei saputo accontentarmi, però. Avrei potuto amare io per entrambi, dato che tu non ne eri capace né con me, né, tantomeno, come avrei scoperto solo più avanti, con tutte le altre persone che ti portavi a letto non appena io voltavo le spalle.

Peggio di un criceto, maledizione...

Ma un giorno, me lo ricordo come se fosse ieri, purtroppo per te, o forse sarebbe meglio dire purtroppo per me, ebbi la brillantissima idea di farti una sorpresa, così staccai un paio d’ore prima dal lavoro part time che mi ero trovato per mantenermi in parte gli studi, comprai una bottiglia di spumante e tornai subito a casa. Non saprei spiegarti perché, ma quel giorno mi sentivo stranamente euforico, avevo voglia di festeggiare e, anche se non avevo un motivo preciso per farlo non aveva importanza, ciò che davvero contava era che tu festeggiassi con me, volevo solo vederti sorridere, volevo solo vederti contento, volevo solo farti una sorpresa, ma alla fine, fosti tu a farne una a me...

Ad essere sincero non ricordo bene cosa accadde dopo ch’ebbi aperto la porta della nostra camera da letto, giacché ho tentato di eliminare quelle terribili immagini già troppe volte e, per giunta, senza mai riuscirci del tutto, so solo che, quando vidi Samuel che si spingeva dentro di te, dentro il tuo corpo, capì che cos’eri e che cosa sei in realtà. In quel dannatissimo, fulgido istante mi fu chiaro il tuo essere; compresi, nel modo più atrocemente completo, qual’era la tua vera fottuttissima realtà.

Avevo anche lo spumante, potevo benissimo brindare al mio ennesimo paio di corna, pare, infatti, che queste vadano sempre molto di moda, ma se non ricordo male, l’unica cosa che riuscì a fare fu scaraventarmi addosso a Samuel, come un kamikaze imbottito di tritolo, e a spaccargli il labbro superiore con un cazzotto ben assestato, poi i ricordi si fanno sempre meno nitidi e precisi finchè non rivedo Isabella, una ragazza mia amica, che allora frequentava la mia stessa università di medicina, che mi metteva, in assenza di una borsa del ghiaccio vera e propria, una bistecca di maiale congelata sull’occhio destro, che dalla rissa con il tuo amante segreto era uscito gonfio e tumefatto. Ancor più pietoso per me fu chiederti, come penso avrebbero fatto tutti al mi posto, delle spiegazioni.

-Dio, quanto sei permaloso, Manuel!- esclamasti con aria annoiata ed infastidita, quando pensavo che avresti tentato di giustificarti, di scusarti, di farti perdonare in qualsiasi maniera -E’ stata solo una scopata, maledizione, non te la puoi prendere così solo per una dannatissima scopata!-

In quel momento sono morto.

Quelle tue parole, così inaspettate, così meschine e taglienti hanno ridotto a brandelli la mia anima. Frammenti di me erano sparsi ovunque sul pavimento del salotto della nostra, un tempo, adorata casetta.

Rimasi senza fiato, senza parole, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta.

Dovevo essere proprio ridicolo, vero?

Però, tutto ciò, in un certo qual senso mi è stato estremamente utile, per non dire vitale, perché mi ha permesso di capire che cosa rappresentavo realmente per te, il posto che occupavo nel tuo cuore. Un posto che non esisteva e che, molto probabilmente, non esiste tuttora.

Io per te non sono stato che un oggetto, una specie di bambola gonfiabile fatta, invece che di plastica di carne, d’ossa e, purtroppo o per fortuna, anche di passioni e sentimenti; una bambola gonfiabile da usare quando più ne avevi voglia, sulla quale potevi sfogarti, senza essere costretto a dare nulla in cambio se non una gioia fittizia ed inesistente, leggesi dolore.

Con Samuel poi...Cristo santo, a tutto c’è un limite, anche all’indecenza...

Quel giorno, con le poche energie e la poca lucidità che mi erano rimaste, decisi che tu saresti dovuto uscire dalla mia vita, o almeno da ciò che ne rimaneva.

Credimi, ho sofferto come un cane, ho provato così tanto dolore che, alla fine, nulla di ciò che agli altri appariva terribile o sconvolgente, aveva su di me il benché minimo effetto. Ho sofferto così tanto che, paradossalmente, ho creduto di stare bene e di essere felice.

Tutto ciò mi ha ucciso, eliminato, per poi risuscitarmi, riportarmi alla vita, ma questa volta più forte, più determinato, insensibile al dolore come una macchina, come un oggetto, l’oggetto che tu, per tanto tempo, avevi utilizzato per i tuoi sporchi comodi.

Saresti dovuto uscire dalla mia vita, avrei dovuto eliminarti, purificarmi da te, dalla tua esistenza, ed ero quasi riuscito a dimenticarti, quasi...

Avevo lasciato che ogni ricordo di te sprofondasse nell’oscuro del mio subconscio in una stanza sperduta e dimenticata della mai mente, stanza della quale avevo buttato la chiave e sprangato la porta. La mia vita era ripartita, in un modo o nell’altro, mi ci erano voluti cinque anni per riprendermi dallo shock, mi sentivo bene, in pace con me stesso e con il resto del mondo.

Mi sono sentito così fino a ieri sera, finchè non ho trovato un tuo messaggio nella segreteria telefonica.

Ed ora eccomi qua, con il piede pigiato sull’acceleratore della mia auto, intento a consumare benzina e a macinare kilometri, solo per te.

Kilometri e benzina che assolutamente non ti meriti e che mai ti meriterai.

Con uno scatto di rabbia ed una semispecie di grugnito incazzato, metto la quinta, supero il deficiente davanti a me, che, in velocità, pare far concorrenza ad una lumaca, mentre nella mia testa risento la tua voce, le tue parole incise sul nastro della cassettina della mia segreteria.

 

“Ciao Manuel...sono io, Alessandro. Scusa se ti disturbo, ma non ho potuto fare a meno di chiamarti...è che...ecco...ho preso l’Aids. Me lo hanno diagnosticato un paio di settimane fa, quasi per sbaglio, ma a quanto pare, per come è ridotto il mio sistema immunitario devo averlo preso circa tre anni fa o forse prima...pare che il virus sia rimasto in incubazione...quindi dovresti fare un paio di analisi, giusto per sicurezza, anche perché...insomma...noi non l’abbiamo più fatto da quella volta...ora devo andare...ti saluto e scusa ancora il disturbo...ciao.”

 

In quel momento sono stato preso dal panico, ho fatto inversione a U e mi sono precipitato nell’ospedale in cui lavoro, lo stesso dal quale ero appena uscito per tornare a casa a riposarmi, pregando che Isabella, facendo il turno di notte, fosse ancora in servizio.

Non credo che tutti abbiano un’amica disposta, alle nove di sera, a farti un esame del sangue per vedere se hai l’Aids o meno. Quando mi ha detto che ero pulito, più sano di un pesce, l’ho abbracciata, ma lei è andata subito al sodo e mi ha chiesto, con la sua solita finezza:

-Si può sapere con chi cazzo hai scopato?- a quel punto io gli ho raccontato tutto e lei mi ha giustamente fatto notare che se tu mi avessi trasmesso l’Aids o una qualsiasi altra malattia venerea, l’avrei scoperto circa un anno e mezzo fa, giacché per poter lavorare in ospedale bisogna, prima di tutto, essere sani e non avere malattie particolari. In effetti con tutti i test e gli esami che ci fecero fare prima di darci il permesso di fare il tirocinio non avrei dovuto avere alcun dubbio, ma in quel momento ero caduto nel panico più totale e non ci avevo davvero pensato, non mi era passato neanche per l’anticamera del cervello, giuro.

Poi ho pensato a te e ho sentito qualcosa muoversi dentro di me, qualcosa che credevo spento, morto e sepolto da molto, troppo tempo.

Dato che ero lì in ospedale ne ho discusso con Isabella, e lei mi ha detto che dovevo fare solo ed unicamente ciò che mi suggeriva il mio istinto, giacché alla fine è quasi sempre la cosa migliore.

Ho passato un paio d’ore a rimuginare su tutto quello che era accaduto, ho riaperto ferite rimarginate, ho girato il dito in piaghe ancora infette e sanguinanti e mi sono detto che, forse, se non ti avessi abbandonato, se ti fossi rimasto accanto, tutto ciò non sarebbe accaduto, forse avrei potuto impedirti di rovinarti la vita in questa maniera così assurda, squallida e dannatissimamente sporca.

Ero stato davvero così egoista da lasciarti solo?

La sofferenza ed il dolore che mi avevi procurato erano forse giustificazioni valide per il tuo abbandono? Le persone dovrebbero occuparsi da sole, o almeno dovrebbero provarci, della loro vita, ma tu non ne eri capace, ma non perché fossi stupido, anzi, è che avevi la grandiosa peculiarità di cacciarti sempre in un qualche guaio diverso e sempre più grande e ti piaceva fare la parte dell’infedele incompreso solo perche si è fatto una scopata.

Nonostante io fossi a conoscenza di tutto ciò, nonostante sapessi che non eri in grado di badare realmente a te stesso, ho preso e me ne sono andato, abbandonandoti, lasciandoti al tuo destino, troppo preso a piangermi addosso. Questi sono i pensieri che mi hanno afflitto fino ad ora e che, credo, continueremmo ad assillarmi per il resto della vita.

 

Parcheggio e spengo il motore, orami sono arrivato.

Chiudo un attimo gli occhi, ho guidato ininterrottamente per tutta la notte e adesso mi bruciano da morire, ma fa niente, ho sopportato di peggio, molto di peggio. Scendo dall’auto, sbatto la portiera e m’incammino verso quella che un tempo era stata la nostra casa, sperando che tu viva ancora lì.

Dlin dlon!” Non credo che esista suono più odioso di quello del campanello. Passano dieci minuti d’orologio e nessuno viene ad aprire, quindi mi accanisco sul pulsantino che produce il diabolico suono finchè non sento il rumore della chiave che gira nella toppa e non vedo la porta aprirsi piano.

Hai i capelli biondi, ricci e leggermente scompigliati, proprio come un tempo, ma la bella pelle lattea che tanto ho amato in passato è ora, specialmente sotto gli occhi, leggermente arrossata ed irritata. Fisicamente non sei cambiato molto da quando ci siamo lasciati, o meglio, da quando ti ho abbandonato, forse sei cresciuto di qualche centimetro, ma sei sempre più basso di me.

Nanetto da giardino...così ti chiamavo, quando facevamo finta di litigare. Se non sbaglio io ero la giraffa geneticamente modificata...

I tuoi occhi cerulei si dilatano non appena mi vedi: che c’è? Sei sorpreso? Non ti aspettavi di trovarmi qui, non è vero?

Apri la bocca, sbalordito, fai per dire qualcosa, ma non ci riesci.

-Mi fai accomodare...- ti dico indicandoti l’interno della casa che scorgo dalla porta semiaperta -oppure devo rimanere qui? Sai com’è, siamo a dicembre ed il clima qua fuori non è piacevolissimo...- a queste parole sembri risvegliarti e senza guardarmi in faccia mi fai entrare.

Mi guardo intorno, curioso, constatando che non è cambiato nulla da cinque anni fa, tutto è rimasto dolorosamente uguale a quando stavamo insieme, a quando ti portavi a letto altri uomini.

-A cosa devo l’onore di questa visita?- mi domandi finalmente, trovando il coraggio di rivolgermi la parola.

-Non lo intuisci?- ti dico sarcastico e ti vedo annuire leggerissimamente.

-Sei venuto a farmi la predica?- mi chiedi sedendoti sul divano, dandomi la schiena.

-Ti piacerebbe vero? In fondo, sarebbe la cosa meno dolorosa per entrambi, no?- rimani immobile, mentre io continuo a frugare per la stanza, e non solo con lo sguardo. Tempo addietro mi avresti giudicato invadente, ma adesso mi lascia fare. Hai conosciuto persone ben più invadenti di me, che senza chiederti il permesso sono entrate i luoghi ben più privati e ben più importanti. Sono scivolate dentro di te, dentro il tuo corpo, dentro la tua anima, hanno fatto i loro sporchi comodi e poi se ne sono andati abbandonandoti, perché è così che si fa con i giocattoli rotti: si buttano.

Hai usato e a tua volta sei stato usato e non te ne sei neanche accorto, o forse lo sapevi, ma sei rimasto zitto, perché quando si scopa non si pensa, ma si agisce e basta.

Molte volte ho pensato che la vita sarebbe più semplice se non fossimo in grado di pensare, di provare emozioni...sai che noia, però...

La mia attenzione, improvvisamente, cade su di una bottiglia d’acqua appoggiata sul tavolino da caffè davanti al divano sul quale ti sei seduto poco prima e solo ora mi accorgo di quanto abbia la gola secca. Afferro la bottiglia dell’acqua, la porto alle labbra e attaccandomi ad essa ne bevo un lungo sorso. Ora va un po’ meglio...

-Manuel, non...- esclami, ma non continui, perché sai bene che non ti ascolterei.

-L’aids non si trasmette mediante la saliva, dovresti saperlo.- ti dico rimettendo al suo posto la bottiglia -e poi tu non mi hai offerto niente da bere...non c’è che dire, eri un pessimo padrone di casa e lo sei rimasto...- a grandi falcate poi, mi dirigo in cucina e mi metto a frugare anche lì, tentando di fare mente locale e cercando di ricordare in quale mobiletto tenevi sempre le aspirine e le medicine in generale.

Bingo.

Ritorno in salotto e mi siedo accanto a te, che sbruffi infastidito, non appena vedi quello che ho in mano. La bustina di plastica bianca sulla quale campeggia una grossa croce verde si svuota del suo contenuto sotto l’ordine delle mie dita. Uno ad uno osservo i medicinali che ti sono stati prescritti per rinforzare il tuo sistema immunitario, già troppo compromesso a giudicare dalla composizione dei vari farmaci, tutti piuttosto pesanti. Ma in fondo è normale, un qualsiasi agente patogeno che rimanga in incubazione per più di due anni non può non diventare più forte del normale...

Più di due anni d’incubazione...pazzesco...

-Allora...- dico infine troncando l’insopportabile silenzio che s’è venuto a creare tra di noi -come cazzo hai fatto? O meglio, chi è stato?- la domanda tanto temuta alla fine è stata fatta. Lo sai bene anche tu, non possiamo scappare in eterno dai problemi.

Di nuovo silenzio.

Che c’è? Ti vergogni di quello che hai fatto? Solo ora hai imbarazzo ed orrore del modo in cui (scusa ma non trovo verbo più adatto) hai prostituito il tuo corpo al primo uomo che rientrava nei tuoi canoni di bellezza? Solo adesso ti rendi conto di tutto il male che da solo ti sei fatto? Tuttavia, se la cosa può consolarti, la colpa è, in parte, anche mia, giacché ti ho abbandonato, proprio come hanno fatto tutti gli altri.

-E’ stato...-

-Guardami in facci quando parli.- t’interrompo brusco e vedo i tuoi muscoli irrigidirsi. In questo momento devi proprio odiarmi, vero? Ti conosco troppo bene, sei come un libro aperto per me, non puoi più fingere, la tua maschera, un tempo ai miei occhi così dura ed impenetrabile mi appare ora trasparente come il vetro di una finestra che permette di vedere il mondo esterno. Conoscerti fino in fondo è stato doloroso, ma alla fine è servito, perché adesso posso vederti, posso vedere e capire te e non la maschera, il che non è poco.

Ti volti verso di me con la faccia contratta dalla rabbia. Odiami pure, non ne soffrirò, perché ormai non son più in grado di farlo e chi mi ha reso immune al dolore sei stato proprio tu.

-E’ stato Samuel...un paio di anni fa, ad una festa si è ubriacato ed è andato a letto con un uomo sconosciuto...senza preservativo...- parlando i tuoi lineamenti si rilassano rassegnati, mentre i miei si tirano e s’induriscono a loro volta.

-Quel...quel dannatissimo figlio di puttana...- le parole mi escono da sole dalla bocca, mentre i pugni si contraggono e sento l’irrefrenabile voglia di ammazzarlo a mani nude.

-E’ morto due mesi fa...- aggiungi, come se niente fosse, mentre io realizzo di essere stato preceduto da qualcuno che, di porre termine alla vita umana ha ben più diritto di me...e poi io sono un dottore, ho fatto un giuramento, neanche dovrei pensarle cose del genere...

-Lo amavi?- una domanda del genere è veramente da stronzi, ma devo sapere.

-Io...io non saprei...- però, per dare una risposta del genere bisogna essere ancora più stronzi, poi, con non poca codardia distogli nuovamente lo sguardo e aggiungi: -Comunque te l’ho già detto, se sei venuto qui per farmi la predica arrivi tardi, ho già imparato la lezione...-

-Non voglio farti la predica, maledizione!- sbotto alla fine, urlando -voglio solo che tu capisca!- ti volti di scatto, ma questa volta sul tuo viso non ci sono né rabbia né odio, solo disperazione.

-Capire cosa!? Cosa!?- adesso stai urlando anche tu e hai gli occhi lucidi, troppo lucidi.

-Quello che hai fatto! Anzi, quello che ti sei fatto!- con questa parole i tuoi occhi i svuotano di quelle lacrime che tanto gelosamente e tanto segretamente avevano nascosto, fai per alzarti, per andartene, ma prima che tu possa farlo ti afferro per un polso e ti accosto nuovamente a me. Strepitando tenti di liberarti, ma il abbraccio è decisamente più forte.

Non farò lo stesso errore che ho già fatto, non ti lascerò andare, non me ne andrò, non ti abbandonerò, non questa volta, non di nuovo...

-E’ colpa mia...è colpa mia...- ti ripeto, mentre, tra le mie braccia, con il volto schiacciato contro il mio petto, ti sciogli in pianto. Tra i singhiozzi che scuotono il tuo corpo troppo magro mi supplichi, mi scongiuri di fare qualcosa, qualsiasi cosa per riportare la situazione alla normalità, di tirarti fuori dai guai, come facevo sempre.

Mi dispiace Alessandro, ma questa volta non posso davvero fare niente, non è in mio potere.

Non posso portare indietro il tempo, non posso cancellare i nostri sbagli, non posso riportare tutto alla normalità, perdonami, ma davvero non ne sono in grado.

Come non sono più in grado di amarti come ho fatto un tempo...

-D’oggi in poi ti starò sempre accanto, te lo giuro, non ti abbandonerò più ti starò sempre accanto...come un amico.-

 

 

Fine.

 

Spero che non sia venuta fuori troppo banale...lasciate un commentino please! Ciao e buona notte dalla vostra Isi!

  
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