PROLOGO
In quella notte di pioggia, si udivano solo i tuoni e i lampi che squarciavano il cielo. Nell’umile dimora, le finestre erano chiuse e le tende coprivano le imposte. In quella piccola stanza, c’erano solo un antico armadio, un mobile e un grande letto a baldacchino a due piazze, dove la donna stava stesa a gambe larghe, era sudata in volto e urlava dal dolore.
  -State per farcela, mia signora!- cercava di tranquillizzarla la donna che la stava aiutando a partorire.
Le urla per poco non rompevano lo specchio sul mobile. –Spinga ancora un po’!- continuava la balia.
Un ultimo grido.
Silenzio.
Il pianto di un neonato.
Non c’era altro da fare. La donna non ce l’aveva fatta. Il neonato continuava a piangere. La balia lo lavò e lo avvolse in un lenzuolo.
Corse allo stretto ingresso della casa dietro al compagno della donna. –Dove state andando?
  -Mi dispiace, Maria, non posso.
  -Ma padrone! E’ una femminuccia, non potete abbandonarla. Stella è morta, la bambina rimarrà sola.
L’altro non disse nulla. Prese la giubba, infilò la chiave nel chiavistello e uscì sbattendo la porta.
Maria rimase lì davanti, con la porta sbattuta in faccia e una bambina di cui non poteva prendersi cura.
 
Mentre la piccola dormiva, Maria scavò una buca e seppellì Stella. Dopo corse, sempre sotto la pioggia, a casa degli altri suoi padroni. Lasciò la bambina in una cesta sull’uscio di casa, bussò ed entrò dalla finestra. Una donna aprì insicura la porta, con due bambini sotto le braccia.
Controllò che non ci fosse nessuno per strada e prese la cesta.