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Autore: Ily Briarroot    05/07/2013    1 recensioni
Non seppe cosa rispondere, le parole e la testa non andavano di pari passo. Si sentiva spaesata, lontana da tutto ciò che conosceva. Persino la sua città le sembrava diversa, in quel momento.
Lui attese, senza aprire bocca. Fu quando la sentì continuare, che sperò di aver frainteso.
“Sono incinta”.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ash, Gary, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Note dell'autrice:
Salve a tutti! Dunque, questa fanfic è più un esperimento che altro... la trama in sé mi piaceva, ma non mi è piaciuto il risultato completo (cioé, diciamocelo: non m'ispira per niente). Tratta di un tema delicato che non credo di aver descritto come si dovrebbe, però ho cercato di stare attenta a mille cose, di tagliarne altre e via dicendo proprio perché si stava allungando troppo e non sarebbe più stata una oneshot (cosa che invece volevo assolutamente). Il risultato è questo, spero non sia venuta così uno schifo xD buona lettura! 
Ah e ringrazio tanto Kogarashi per l'aiuto nel trovare il titolo! (ti voglio muy bien :*).


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ENGARDE

 

Le gocce di pioggia, lente e gelide, le picchiettavano piano sulla testa, scivolando poi sulle spalle lungo le ciocche dei capelli rossi.
Rabbrividì a causa di una folata di vento freddo e si strinse a sé, abbassando lo sguardo.
Non riusciva a pensare, a capacitarsi di ciò che le stesse succedendo. Confusa come mai prima, ogni cosa le sembrava estranea. La strada che aveva percorso tante volte, il marciapiede su cui si era lasciata andare ignorando i passanti incuriositi che camminavano a passo spedito sotto gli ombrelli e i cappotti per ripararsi.
Percepiva i battiti violenti del cuore che minacciavano quasi di sbucarle dal petto, la pelle d'oca che probabilmente non era causata soltanto dal freddo pungente.
Cercò di prendere a respirare regolarmente; l'ossigeno, per qualche strano e assurdo motivo, non raggiungeva il cervello.
Percepì dei passi dietro sé, ma non si voltò. Credeva di sapere a chi appartenessero.
“Misty”.
La voce calda e familiare le giunse alle orecchie ancora prima che il rumore delle scarpe umide terminasse.
Tuttavia, lei non si voltò. Continuò a fissare la pozzanghera che aveva davanti senza vederla realmente, immersa in ben altri pensieri.
“Misty... “.
“Cosa c'è?”.
Rispose, ma non alzò lo sguardo verso la figura che si stava sedendo accanto a lei ignorando l'asfalto bagnato.
“Da quanto sei qui?”.
Guardò Gary con la coda dell'occhio, dopodiché tornò a concentrarsi sulla pioggia che non accennava a diminuire.
Alzò le spalle senza smettere di tremare, neanche un secondo. Inspirò faticosamente, senza sapere cosa dire.
“Qualche minuto”.
La sua stessa voce le parve debole e insicura, di una persona fragile che stava per rompersi in mille pezzi. Era così che si sentiva, pur non essendolo mai stata davvero in vita sua.
Percepiva lo sguardo serio del ragazzo su di sé, sentendosi a disagio.
“Cosa ti turba in questo modo, Misty?”.
Non c'era rimprovero in quella frase, né curiosità. In quel momento, capì che la persona che stava cercando di aiutarla non era la stessa che aveva odiato in passato.
“I-Io non... “.
Non seppe cosa rispondere, le parole e la testa non andavano di pari passo. Si sentiva spaesata, lontana da tutto ciò che conosceva. Persino la sua città le sembrava diversa, in quel momento.
Lui attese, senza aprire bocca. Fu quando la sentì continuare, che sperò di aver frainteso.
“Sono incinta”.
L'aveva abbracciata, soltanto questo. Le aveva fatto appoggiare il volto nell'incavo della sua spalla, stringendola a sé nel tentativo di far calmare quel pianto disperato che implorava aiuto.


Era seduta sul letto, le gambe divaricate, mentre finiva l'ennesima vaschetta di gelato.
Sbuffò e prese in mano il telecomando, accendendo la televisione. Sperava di trovare qualcosa da fare che la distraesse dai pensieri che continuavano a tormentarla, finché non trovò qualcosa che la lasciò con il fiato sospeso per parecchi istanti.
 

“... ed è così che Ash Ketchum, venti anni, proveniente dalla città di Pallet, è riuscito a sconfiggere l'ultimo sfidante della Lega Pokémon di Sinnoh, aggiudicandosi così la vittoria... “.


In primo piano sullo schermo, la foto di Ash sorridente le fece perdere un colpo. Aveva perso il conto del tempo appena trascorso, durante il quale non aveva ricevuto notizie da lui, neanche una. Spese in malo modo la televisione, lanciando il telecomando ai piedi del letto.
Il suo piano per distrarsi era stato un completo fallimento. Ignorò il leggero fastidio al petto e posò la vaschetta vuota sul comodino, dirigendosi al piano di sotto a passo spedito.

Erano passate alcune ore, ma non aveva dimenticato la sua foto in primo piano. Aveva riconosciuto i suoi occhi, sempre quelli. Uguali, non erano cambiati per nulla. Nemmeno una minuscola sfumatura, di quel castano talmente scuro da confondersi con il nero. I capelli corvini e scompigliati del ragazzino che conosceva, Pikachu sulla spalla. Tutto perfettamente identico.
Non doveva essere cambiato, questo era certo. Ma le era mancato terribilmente. Le mancava ancora, nonostante tutto. Nonostante, probabilmente, lui l'avesse dimenticata. Misty no, non era riuscita a farlo.
Si appoggiò al tavolo con una mano quando credette di vedere sfocato. Non poteva permettersi di sentirsi di nuovo debole. Non a causa sua.
“Ehi, tutto bene?”.
Gary era comparso sulla soglia della cucina e la guardava di spalle, ferma e immobile. Rimase in attesa di una sua risposta, senza distogliere lo sguardo da lei.
“Sì, non preoccuparti”.
Misty si voltò verso di lui, forzando un sorriso. Ormai era diventata un'abitudine.
“Hai visto il servizio su Ash, vero?”.
La ragazza rimase titubante, dopodiché gli si avvicinò, guardandolo stupefatta.
“E tu come fai a... “
“Semplice, ne parlano tutti. E' il nuovo campione della Lega di Sinnoh, dopotutto. E' su tutti i giornali”.
Gary ridacchiò, notando lo sguardo stupito di Misty. Non poteva negare di essere contento per il suo rivale e migliore amico. Ash glielo aveva promesso, dopotutto, che si sarebbe impegnato con tutto se stesso per riuscire a farcela. E ora ce l'aveva fatta.
“E' proprio per questo che ti ho sempre odiato!” esclamò lei, stuzzicandolo per la sua risata. Si mise le mani sui fianchi e alzò lo sguardo, fingendo il broncio.
“Andiamo, non ti sto mica prendendo in giro... “ rispose lui, senza battere ciglio. Inarcò un sopracciglio, vedendola poi allontanarsi.
“Davvero? A me sembrava di sì”.
Non lo degnò più di uno sguardo finché Gary non tornò alla carica.
“Ma certo, Pel di carota!”.
Il ragazzo scoppiò a ridere di gusto mentre Misty gli lanciava un'occhiata infuocata. Irritata, si allontanò velocemente sotto il suo sguardo divertito.
“Ma io... scherzavo” aggiunse poi, sospirando.

Era di nuovo sul letto, tirandosi la maglia già larga con la quale cercava di coprire la pancia di quasi dodici settimane che cresceva velocemente.
Si era appena guardata allo specchio, perdendo completamente ciò che rimaneva di Misty.
Non si riconosceva, questo era sicuro. In quel riflesso, non c'era più niente del maschiaccio che la contraddistingueva.
Sentì bussare alla porta e sorrise, posando la scatola di biscotti sul letto.
“Avanti”.
La porta si spalancò lentamente, cigolando. Gary fece capolino nella stanza e le restituì il sorriso.
“Scusa per prima, stavo scherzando”.
Lei rimase in silenzio, divertendosi nel notare la sua mano sulla nuca e la tensione che doveva provare anche soltanto nel chiederle scusa.
“Cioé, non volevo che te la prendessi. Mi... ecco... “.
Misty lo interruppe, sollevando una mano nella sua direzione.
“Non me la sono presa, anzi. Mi sono divertita anch'io” disse, scoppiando a ridere. Si era resa conto di quanto lui fosse cambiato; dal ragazzino immaturo e arrogante, era diventato maturo, posato. Altruista. Soltanto qualche anno prima non lo avrebbe mai immaginato.
E aveva capito che, se la provocava con le solite battute, lo faceva soltanto per farla ridere.
Ne era certa, in quei mesi aveva imparato a conoscerlo davvero.
“Quindi direi che siamo pari”.
Si sedette sul letto accanto a lei, immergendo la mano nella scatola che li divideva, e si portò un biscotto al cioccolato alla bocca.
“Gary... “ iniziò Misty, fissandolo negli occhi chiari “Non sei tenuto a rimanere qui. Ti ringrazio, ma... anche tu avrai da fare in laboratorio. Perché perdi tutto questo tempo con me?”.
Lui finì di masticare, deglutendo. Poi la guardò per qualche secondo, prima di rispondere.
“Beh, voglio esserci per un'amica in difficoltà”.
Le fece l'occhiolino, afferrando la scatola con entrambe le mani.
“Direi di smettere di mangiare tutto ciò che ti capita a tiro se non vuoi diventare una balena”.
Misty sbuffò, poggiando il mento sul palmo della mano.
“Lo sto già diventando”.
Vide il suo sguardo divertito e i suoi occhi che le infondevano solo tanta fiducia. Averlo lì con lei significava avere una sicurezza che prima non aveva. Significava rimettere insieme quel puzzle fatto di speranze e decisioni che non sarebbe riuscita a costruire da sola. Lui le stava vicino senza che neanche glielo avesse chiesto.
“Misty”.
La chiamò piano, quasi sussurrando, soltanto in attesa di avere la sua più completa attenzione.
“Hai più chiamato Rudy?”.
Quel nome le provocò un brivido freddo lungo la schiena. Non voleva pensarci, non ancora. Aveva soltanto voglia di dimenticare tutto.
Gary si alzò in piedi, intuendo la sua reazione. Incrociò le braccia, sospirando.
“So che è difficile, ma è suo figlio. Ha il diritto di sapere... e il dovere di aiutarti. Anche se non lo ami” si affrettò ad aggiungere, fissandola.
“Lo farò. Prima o poi lo farò, ma... non adesso”.
Il ragazzo annuì e si avvicinò alla porta, la scatola stretta tra le mani.
“Questi li prendo io”.
Accennò un sorriso e uscì dalla stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri.

Si svegliò presto a causa di un leggero fastidio all'altezza del ventre. Si rigirò nel letto, cercando una posizione abbastanza comoda da permetterle di dormire anche solo qualche ora in più.
Si sedette e si accarezzò quella zona, sentendosi così irrimediabilmente cambiata. Lasciò che il lato dolce di sé venisse a galla una volta per tutte, mentre percepiva qualcosa che potesse somigliare vagamente a un sentimento materno. Proprio lei, che non aveva mai avuto modo di conoscerlo, neanche da piccola. Proprio lei che non aveva mai avuto una madre alla quale raccontare tutto e alla quale chiedere consiglio, soprattutto in quel momento in cui non aveva la minima idea di cosa le sarebbe capitato.
“Ehi, sei tu? Ma cosa fai?” chiese, ridacchiando. Stava parlando con un bambino, il suo bambino, che non era ancora venuto al mondo. Sapeva di sentirsi stupida, ma anche di provare la sensazione più bella del mondo.
“Cosa c'è? Sei agitato?”.
Sorrise dolcemente, massaggiandosi delicatamente l'addome.


Gary entrò in palestra con le buste della spesa in mano, raggiungendo l'ingresso pochi attimi dopo.
“Misty, sono tornato”.
Non vi fu nessuna risposta a parte il silenzio proveniente da ogni angolo dell'edificio. Ebbe una brutta sensazione quando raggiunse la piscina e non vide nessuno.
“Misty?”.
Si avviò velocemente verso la cucina, poggiò in fretta i sacchetti di plastica sul tavolo e solo allora la vide.
Riversa sul pavimento, le mani premute contro il ventre.
“Misty!”.
Le si inginocchiò accanto, mettendole una mano sulla spalla. Solo allora vide la chiazza di sangue che le macchiava leggermente i pantaloncini.
Fu in quel momento che realizzò il tutto e il panico si fece strada in lui.
“No... Misty NO, rispondi!”.
La scosse leggermente senza toglierle gli occhi di dosso nel disperato tentativo di farla reagire.
Lei socchiuse gli occhi, faticando ad aprire la bocca.
“Mi fa... mi fa male... “.
Strinse appena il braccio contro la pancia, respirando a fatica.
Col cuore in gola, il ragazzo si guardò intorno istintivamente, le mani tremavano.
“Tranquilla, ci sono io! Stai tranquilla... “.
Si alzò dal pavimento e corse verso il videotelefono, digitando alla svelta alcuni tasti bianchi.
“C'è bisogno d'aiuto qui! Fate più in fretta che potete!”.
Tornò in ginocchio accanto a lei per assicurarsi che rimasse ferma a terra.
"Non preoccuparti, va tutto bene... Misty, resta sveglia! ".
Le scostò la frangia dagli occhi semichiusi e le accarezzò appena la fronte sudata con le mani tremanti, finché non sentì la sirena dell'ambulanza echeggiare a due passi da loro.


Quando entrò in quella stanza tremendamente bianca, la vide tra le coperte, lo sguardo vuoto, la fronte imperlata di sudore.
Si avvicinò lentamente e le si sedette accanto, in colpa per qualcosa che non avrebbe potuto prevedere.
“Come stai?”.
Si diede dello stupido per la domanda, soprattutto quando la vide voltare lo sguardo pallido verso di lui.
“Potrei stare meglio”.
Notò bene, di nuovo, la sua fragilità. Si specchiò nei suoi occhi cerulei e deglutì a fatica.
“Gary... l'ho perso, vero?”.
Lui abbassò lo sguardo, senza riuscire a sopportare la tensione in quello di lei. E annuì, tornando a guardarla subito dopo.
“Mi dispiace, Misty. Il medico ha detto che può capitare, ma che ci saranno altre occasioni per... “.
S'interruppe quando la vide scuotere la testa e forzare un sorriso.
“Sai, mi ero affezionata a lui. “.
Fece attenzione al suo cercare di trattenere le lacrime a ogni costo e le prese la mano, impotente di fronte a qualcosa che non era stato in grado di controllare.

“... qualche giorno fa la più giovane delle capopalestra di Cerulean City, nella regione di Kanto, è stata trasportata con urgenza all'ospedale della città per essere sottoposta ad alcuni accertamenti per la sua condizione di salute... al momento, i dettagli della situazione non possono essere resi noti... la prognosi è riservata... “.

Misty spense la televisione con un gesto secco, stringendo le braccia al petto.
Non poteva dimenticare, non riusciva a farlo. E il mondo non sembrava volesse darle una mano.
Era una ferita che faceva male, anche se non riusciva a spiegarsi come fosse possibile. Lei, che quel bambino non lo voleva per nulla al mondo. Ora che le era stato portato via da qualcosa che non avrebbe potuto affrontare, si era resa conto di quanto, in realtà, aveva imparato a volergli bene. Ormai faceva parte di lei.
Stavolta le lacrime le scivolarono sulle guance e non fece niente per trattenerle. Appoggiò la testa sulla spalliera del letto dietro di sé, sperando di dimenticare in fretta.
Sentì bussare alla porta, ma non fece in tempo a rispondere perché Gary era già entrato, un vassoio in mano.
Si asciugò il viso in fretta e lo guardò incuriosita.
“Ti ho portato qualcosa da mangiare. E' da ieri che non tocchi cibo”.
Lei annuì, facendogli segno di sedersi sul letto.
“Grazie”.
Gary rimase a scrutarla per alcuni interminabili istanti, finché non si accorse degli occhi umidi e gonfi.
“Misty, so che non è facile ma non devi lasciarti abbattere. E' una cosa con cui purtroppo a volte bisogna fare i conti”.
La ragazza lo guardò negli occhi, prendendo la ciambella dal vassoio.
“Lo so, ho capito. Ma non puoi chiedermi di fare come se nulla fosse successo, sai che non ce la farò mai”.
Addentò il dolce, cercando di ritrovare l'appetito che non aveva più.
“E non devi farlo. Non devi dimenticare. Devi solo andare avanti”.
Le fece l'occhiolino e si alzò dal letto, sollevato dal primo sorriso sincero che lei gli aveva rivolto dopo giorni di totale silenzio.

Era seduta sul bordo della piscina quando vide un'altra figura che conosceva avvicinarsi velocemente.
Percepì il cuore accelerare all'improvviso e si alzò in piedi di scatto, retrocedendo di qualche passo.
“Misty!”.
Rudy le si fermò davanti, piegandosi sulle ginocchia nel tentativo di riprendere a respirare.
Lo guardò con gli occhi sgranati, conscia del fatto che dovesse essere partito da Trovita appena saputa la notizia per trovarsi lì in quel momento.
“Cosa... cosa ti è successo?”.
Gli occhi castani la osservavano, seri. Fu in quel momento che si sentì come una bambina piccola e indifesa, incapace di provvedere a se stessa.
Lei iniziò a rivolgere la propria attenzione verso qualsiasi altra cosa che non fosse il ragazzo che le stava davanti, ma questi cercava di coprirle la visuale a ogni movimento.
“Misty! Eri incinta?”.
Ogni sua frase era una spina nel petto. Strinse le braccia a sé, senza riuscire a formulare niente di sensato. Era confusa, ancora sin troppo confusa per rendersi conto di tutto. Aprì la bocca un istante, ma non ne uscì alcun suono.
“Perché non mi hai detto niente? Mi hai chiesto di andarmene senza neanche una spiegazione e tu aspettavi un bambino da me!”.
Le prese la mano, inginocchiandosi davanti a lei.
“Rudy... te lo avrei detto, ma... “
“Sarei stato con te. Sarei rimasto qui con te, al tuo fianco. Sempre”.
“Rudy, no... “.
Si allontanò di un passo, scuotendo la testa e lasciandolo stupito.
“Io non... io non ti amavo. Sono stata con te soltanto per dimenticare Ash. Era lui che... che... “.
Si morse il labbro, senza riuscire ad andare avanti. Lo stava ferendo, lo vedeva.
“Non può essere. Misty... stavolta hai scelto me. Lui non c'è”.
Lei cominciò a tremare senza neanche accorgersene. Rudy non voleva capire. Non voleva ammetterlo, ma sapeva già tutto.
“Ho di nuovo scelto Ash. Io ho sempre scelto Ash... mi dispiace”.
La lasciò andare automaticamente e Misty fu certa di aver concluso la conversazione, la stessa che avrebbe dovuto avere molto tempo prima. Lo vide soffrire, lo avrebbe fatto tornare a casa con il cuore spezzato, ma non poteva farci niente. Si sentì in colpa per non essere stata chiara da subito, con lui. Solo questo.
“Mi dispiace”.
Retrocedette di nuovo, lasciandolo con lo sguardo perso e ferito. Quando si riscosse, le afferrò il polso bruscamente.
“Eh no, se pensi che la cosa sia risolta così ti sbagli! Tu mi devi ancora delle spiegazioni”.
Lei si stupì di quella reazione. Rudy non sembrava più la stessa persona.
“Che spiegazione dovrei darti? Aspettavo un bambino e l'ho perso, non c'è nient'altro da-”
“-Ed è qui che ti sbagli! Era anche mio figlio, ricordatelo. Non me lo hai neanche detto! Perché?”.
La sua stretta era forte, non sarebbe mai riuscita a strattonarlo. Si chiese cosa gli passasse per la testa in quel momento.
“Rudy, lasciami! Mi stai facendo male!”.
“Ho il diritto di sapere perché, Misty. Io ti amo e voglio ancora stare con te”.
Probabilmente, neanche si rendeva conto della presa sul polso di lei. Si sentiva preso in giro dalla persona della quale si era innamorato e che lo aveva ricambiato, illudendolo. Per poco tempo, ma lo aveva amato.
“Adesso basta!”.
Gary si precipitò da loro, afferrando la mano di Rudy.
“Ti ha detto di lasciarla o sbaglio?”.
Il capopalestra allentò la presa e Misty si allontanò ancora, massaggiandosi il polso. Gary fece qualche passo in avanti, guardandola con la coda nell'occhio.
“Ha bisogno di stare tranquilla, non di sentirsi sotto accusa! Ti ha già spiegato tutto, mi sembra” disse poi, guardando l'altro seriamente.
“Sono venuto per sapere come sta, io sono ancora innamorato di lei! E quel bambino era anche mio”.
Misty deglutì a fatica il peso che si era bloccato in gola. Era soltanto colpa sua, dopotutto.
“Adesso no. Ti ha già detto tutto quello che poteva dirti, chiaro? Torna a casa”.
Rudy lanciò un'ultima occhiata sofferente alla ragazza poco più in là, che lo guardava con gli occhi umidi. Dopodiché si voltò, guardando Gary in cagnesco.
“Spero tu sia bene, Misty. Addio”.
Soltanto quando videro la sua figura scomparire oltre l'ingresso della palestra, Misty strinse l'amico con tutta la forza che aveva, libera finalmente di sciogliersi in lacrime.
“Grazie, Gary”.
Lui sorrise dolcemente, nonostante non potesse vederlo. Le poggiò una mano sulla nuca, sospirando.
“Figurati”.

Sentì battere di nuovo sulla porta della camera e sfoggiò un enorme sorriso, voltandosi.
“Entra pure, Gary”.
A comparire sulla soglia, però, questa volta non fu Gary.
“Ciao, Misty”.
Si era sporta sulle ginocchia che cedettero al suono di quella voce e si ritrovò di nuovo seduta sul letto, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
“Ne è passato di tempo, eh?”.
Di colpo, non esisteva nient'altro. La figura che aveva davanti era la stessa di un ragazzo che aveva sognato tante volte, che aveva immaginato quando sperava con tutta se stessa di rivederlo e che, da un po' di tempo, aveva cercato di dimenticare.
“Ash... “.
Lo disse con un filo di voce mentre il Pikachu che aveva sulla spalla le saltava sulla spalla, accovacciandosi poi in grembo.
“Ehilà... come stai?”.
Misty abbassò lo sguardo, cercando di nascondere tutta la sua fragilità sotto la frangia scomposta. Lui non avrebbe dovuto saperlo, non avrebbe dovuto vederla ridotta in quello stato.
“Ho saputo la notizia da Sinnoh... e Gary, beh... mi ha raccontato il resto”.
Le si sedette accanto, mentre lei appoggiava la schiena contro la spalliera del letto. Vi furono interminabili minuti di silenzio prima che uno dei due prendesse la parola.
“Perché sei tornato, Ash?”.
Sollevò il viso di scatto, ora guardandolo con tutta la sicurezza del mondo. Si perse ancora una volta negli occhi scuri e profondi, concentrata però su ciò che aveva da dire.
“Che domande fai? Perché sei la mia migliore amica e mi sono preoccupato per te”.
“La tua migliore amica? Ash, io ho smesso di esserlo quattro anni fa, quando non ho più saputo neanche se fossi vivo!”.
Quasi urlò, ma non le importava. Non più.
“Mi dispiace, non avrei voluto. Soltanto che-”
“-Sai chi mi ha fatto da migliore amico? Gary! Gary è stato l'unico ad essermi stato vicino in questi mesi! E tu?! Tu dov'eri?!”.
Ash abbassò lo sguardo, nascondendolo sotto la visiera del berretto. Non erano cambiati neanche i suoi atteggiamenti che lo facevano sembrare ancora il bambino ingenuo che viaggiava insieme a lei.
“Ho avuto molto da fare, le volte in cui sono riuscito a scriverti l'ho fatto. Mi dispiace”.
Rimase a fissarlo a lungo, senza sapere bene cosa dire. Stava pian piano sfogando il dolore che aveva dentro e riusciva a farlo soltanto davanti a lui.
Non gli rispose, non ci riuscì. Incrociò le gambe e respirò a fondo nel tentativo di calmarsi. Solo in quel momento si rese conto del giovane uomo che era diventato; il fisico più asciutto, lo sguardo maturo. Il suo punto debole era Ash, di nuovo. Non era riuscita a fare niente per tornare a essere forte, per sforzarsi di non sentire la sua mancanza.
“Misty, tu... ecco... “.
Non trovava le parole per chiederle cosa fosse successo. Nello stesso momento in cui ci provò, una fitta acuta gli mozzò il respiro.
“Aspettavo un bambino, ora non più. Era di Rudy”.
Il suo tono di voce fu più distaccato del previsto. Era più forte di lei, la sua unica arma per difendersi da chi amava ma che le aveva anche fatto del male.
“Pensavo mi aspettassi. Non pensavo ti interessasse Rudy”.
Stupita, Misty si alzò in piedi, incrociando le braccia. Non aveva idea del motivo di quelle parole e non lo interruppe.
“Mi dispiace per quello che ti è successo. Avresti potuto dirmelo, potevi scrivermi o farmi una telefonata. Sarei corso da te per starti vicino”.
Ash non aveva sollevato lo sguardo. Lo teneva fisso sul pavimento, senza il coraggio di guardarla negli occhi.
“Come pensi che avrei potuto cercarti? Come? Dopo aver fatto il più grande errore della mia vita stando con Rudy? E sai perché l'ho fatto?! Per dimenticarti!”.
Furono queste parole a fargli mozzare il respiro nei polmoni. La scrutò negli occhi cerulei tentando di decifrare la sua espressione e capire a cosa si riferisse.
“Che stai dicendo?”.
“Ash, ma non ci sei ancora arrivato?! Com'è possibile che in tutto questo tempo non ti sia reso conto che sono innamorata di te da sempre? Ho sperato di dimenticare ciò che provo per te accettando l'amore di un altro che ho anche ferito!”.
Lui si alzò in piedi, stringendo un pugno tanto da farsi male.
“Tu... non lo amavi?! Tu sei stata con una persona per cui non provavi niente?! Aspettavi un bambino da qualcuno soltanto perché eri troppo orgogliosa per chiamarmi?!”.
“E così io avrei dovuto chiamarti?! Io l'ho sempre fatto, Ash! Da quando sono tornata a Cerulean l'ho sempre fatto! Sei tu che hai smesso e non ne capisco neanche il motivo!”.
Le lacrime avevano ricominciato a rigarle il viso, scendendo copiose lungo le guance.
Ash si trattenne, strinse un pugno cercando di calmarsi. Discutere non sarebbe servito a niente, non più.
“Avresti potuto dirmelo invece di stare con Rudy”.
Misty cercò di asciugare le tracce umide sul suo volto, voltandosi di spalle.
“Tu non sai cos'ho passato. Non hai idea di come mi sia sentita... e di come continuo a sentirmi. Ma tanto io non esisto nella vita perfetta che ti sei creato. Io non ci sono più”.
“Misty” la prese per mano e la guidò fino al letto, avvicinandola in modo da potersi specchiare nei suoi occhi “Non è vero. Non c'è stato un giorno in cui non ti abbia pensata. Ti avevo detto che un giorno sarei tornato. E sono qui, l'ho fatto”.
La fece sedere sul materasso, senza riuscire a distogliere gli occhi da quelli di lei. Non aveva idea di quanto gli fossero mancati.

“E adesso non intendo ripartire. Voglio starti vicino finché non torni a stare bene. Si vede lontano un miglio che sei distrutta e non lo faccio per farti un favore. Lo faccio perché voglio stare con te”. 
Arrossì, lasciando trasparire i propri sentimenti come non aveva mai fatto in vita sua. Non le lasciò la mano, la tenne stretta mentre il cuore batteva all'impazzata nel petto di entrambi.
“E' una ferita che non si rimarginerà mai...”.
La voce di lei fu un mormorio. Ash non distolse lo sguardo dalla ragazza neanche per un attimo. Le sorrise dolcemente quando notò la sua fragilità, la stessa che la faceva apparire una bambina impaurita.
“Ci sono io con te”.
Misty lo abbracciò d'impulso, lasciandosi cullare dal suo petto caldo. Cercava di trattenere i singhiozzi che le scuotevano il corpo e che Ash soltanto adesso poteva sentire.
“Andrà tutto bene”.
Le diede un bacio sulla testa e la tenne stretta a sé finché non smise di piangere, e lo fece anche subito dopo, quando si addormentò tranquilla tra le sue braccia.  

  
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