Ho preso di nuovo l’Ipod, la playlist 3 è ancora lì, al suo buon vecchio posto … volevo eliminarla qualche giorno fa, ma non ce l’ho fatta. Che cosa assurda. Ho ancora bisogno di lei. Mi ritrovo un'altra volta seduta su questo letto con la testa tra le mani a pensare perché mi fai così male … eppure … eppure non dovrebbe essere così. Cosa ci fai qui? Vattene! Non ti voglio intorno, lo capisci? E invece no. Non te ne vuoi andare. E allora io devo difendermi. La faccio partire senza neanche guardare cosa seleziono, ma ben presto riconosco la chitarra acustica e il ritmo ben cadenzato. Ma certo, avrei dovuto aspettarmelo. È “Untouchable”. Intoccabile. “Intoccabile come un distante cielo di diamante”… come te a inizio Luglio … e io adesso non ho proprio la forza di lasciarti fuori, quindi avanti, continua pure a passarmi davanti come un vecchio film in bianco e nero … ti lascio tutto lo spazio che vuoi. Un tremolio, forse sono lacrime che scendono, non lo so, e poi il filmino comincia.
Intoccabile come te che non ti degni nemmeno di capire che esisto. Ti prego non farmi questo, non di nuovo. Non potrei sopportarlo. Non farmi così male ti scongiuro. Ma non capisci che ti sta ingannando? Per lei, la mia migliore amica, è tutto un gioco. Uno stupido, insulso gioco. Perché … perché non mi vedi? “Tu guardi solamente oltre me, ma se solo mi conoscessi potremmo essere un bellissimo miracolo, increbile, al posto di questo essere invisibile” … esattamente come stasera. Io ero seduta accanto a te, su quelle stupide scalette … chissà se hai capito quanto male mi stavi facendo … no, sicuramente no, eri troppo impegnato a farlo a te stesso per accorgerti che lo stavi buttando involontariamente addosso a me. Mio Dio … non avrei mai pensato di provare una cosa del genere. Ma che cosa hai fatto alla mia testa? Ti ho guardato mentre giocavi convulsamente con la cover del tuo Samsung Galaxy SII, perfino quella cosa era più interessante di me. Poi ho rivolto lo sguardo al mio braccio destro, sì esatto, quello col braccialetto. Dice “Speak Now”, parlare ora … come l’ultimo album di Taylor … quanto bisogno avevo di Lei in quel momento! Ma non avrei potuto fare niente finché fossi stata circondata da persone … così ho atteso pazientemente che “la luce dei tuoi occhi” avesse fatto il suo comodo e che arrivasse l’ora di ritornare a casa. Poi tutto mi ha sommerso di colpo. Dannato vuoto allo stomaco! Cosa ci fai lì? Vattene! No! No! Non piangere! Non farlo! Troppo tardi … ero già scoppiata. Dio che male. Ipod. Mi serviva l’Ipod. Lo tirai fuori dalla tasca e andai sulla playlist 3. Mi inondò una valanga di Taylor Swift. Tra essere investita dalle Sue parole e capirne il senso fu un tutt’uno: “Drew guarda verso di me, io fingo un sorriso così lui non vedrà che voglio, che ho bisogno, di tutto quello che dovremmo essere io e lui”. Ed ecco un altro pratico esempio della Sua puntualità … com’era vero! Quanto cavolo era vero! Tutto … tutto è partito così. Una sera di Aprile mi sono ritrovata a fare un finto sorriso e quando sono tornata a casa mi è scoppiata in faccia la consapevolezza di aver messo in moto qualcosa che non conoscevo affatto. E poi ho cominciato ad aver bisogno di te. Sempre. La paura … non dimenticherò mai la paura così viva di poter perdere tutto … tu eri innamorato di lei … la mia migliore amica. E come avrei potuto, io, mettermi in mezzo? Non potevo! Non avrei mai potuto! Ma lei ti usa … perché non lo capisci? Io sono qui. Aspetto solo che tu mi veda. “È lui la ragione delle mie lacrime sulla chitarra, l'unico che abbia avuto abbastanza per me da spezzarmi il cuore. Lui è la canzone che continuo a cantare in macchina, e non so perché. Lui è il tempo impiegato, ma non ce n'è mai abbastanza, e lui è tutto quello in cui ho bisogno di sprofondare …” Non voglio più sentire quel dolore … mi … mi distrugge ogni volta … se solo tu lo sapessi … ma ora basta. Non voglio più fare parte di questo triangolo stupido. Mi stacco. Giuro che mi stacco.
E poi, Lunedì piscina. Ci sei anche tu, mi sono offerta di portarti. E c’è anche lei insieme a tutte le atre. “Bene ragazza, adesso devi metterti alla prova” mi sono detta. Ti sei voltato e mi hai sorriso. E tutta la mia convinzione è sparita chissà dove … mi si sono allargate le labbra automaticamente. “Ciao” ti ho detto, e ti ho fatto montare in macchina. E tu ti sei messo accanto a lei. “Tutto normale, stai tranquilla … tutto normale” continuavo a ripetermi … e rimase normale per un po’.
E poi, dentro l’acqua. Era gelata cavolo! Ma tu non hai
avuto pietà, ovviamente. Mi hai caricata di peso per farmi bagnare tutta,
mentre io mi dimenavo. E ci riuscisti proprio bene devo ammettere. “Ti odio!”
ti dissi ridendo … non avrei potuto sostenere niente di più falso. Tu allora hai
fatto il finto offeso e mi hai risposto “Non è vero, lo sai benissimo che mi
ami”. Le gambe hanno cominciato a cedere, ma fortunatamente ero in piscina. Ti
ho confutato con uno scroscio d’acqua in piena faccia. E abbiamo iniziato a
giocare. Inutile dire che hai preso il sopravvento in fretta … ma era tutto
così bello e magico … tutto è magico con
te. E intanto Taylor canticchiava nella mia testa … “Perché non posso farci niente se assomigli a un angelo, non posso
farci proprio niente se vorrei baciarti sotto la pioggia, allora vieni a
sentire questa magia che io sto sentendo da quando ti ho incontrato, non posso
farci niente se qui non c’è nessun altro … non posso fare a meno di essere me
stessa”. Stavo quasi per
chiamarti Stephen, come il
protagonista della canzone. Ecco … dovrebbe essere sempre così. Poi è arrivata
lei e si è aggrappata alla tua schiena. E io sono tornata dagli altri che
stavano a bordo piscina. Mi dissi di ignorarvi, e ci riuscii … per un po’. Poi
siamo andati tutti ai lettini, e lei si è accovacciata su di te. Vi siete
aggrovigliati come due perfetti sposini, incuranti del resto del mondo. Stavo
per urlare, così presi l’Ipod e dissi “Io mi abbronzo! E sono in fase Swift,
quindi nessuno mi disturbi”. Tutti ridacchiarono, e io mi misi con la schiena
al sole. È così frustrante … non posso parlare. Non posso. Non posso! Tay … che
devo fare? Misi la prima canzone della sua cartella. “Sembra che l’unica persona a non vedere la tua bellezza sia quella che
nello specchio ti guarda di riflesso” … era “Tied together with a smile”, legata insieme con un sorriso. Già … un sorriso. Ecco cosa ci voleva. Un
semplice sorriso. Ma non il suo. Il mio. Allora ho cercato dentro di me la cosa
più vicina alla felicità che potessi trovare … ma la mia vita, con te di mezzo,
era diventata una cosa strana … tu non mi fai bene. Affatto bene. Dovevo andare
più indietro. Trovare altro. Ma tu avevi monopolizzato tutto. Stavo per
piangere, ancora. No! Non qui! Cavolo non qui! E poi ho sentito delle urla.
Cosa diamine è? Ci misi un po’ a capire che era l’Ipod … “Io non credo che dovresti aspettare”, diceva Taylor,“credo che
dovresti parlare ora”. Speak Now World Tour 2011, live a Milano. E io
c’ero. Mio Dio, com’eri bella Tay … avrei tanto voluto abbracciarti. Ma non
potevo perché ero troppo lontana, così mi sono riempita gli occhi e il cuore di
te. Ho rubato avidamente ogni tua esibizione. Ogni tua parola in italiano. Ogni
tuo cambio d’abito. E l’ho sigillato nella mia mente. Non potrei scordarmelo
per nulla al mondo. È inziata “Sparks
fly” e tu hai illuminato tutto il Mediolanum Forum. Avesti potuto fare l’intero
il concerto a luci spente da quanto brillavi. Eri nel tuo vestitino dorato con le
paillettes per la prima esibizione, e il rossetto rosso sulle labbra. Sei così
gigantesca dal vivo. Fino a quel momento ti avevo sempre vista da un PC … ma
niente, niente, potrà mai togliermi la gioia nel cuore che avevo quando ti ho
visto in tutto il tuo metro e ottanta, statuaria e bellissima, sembrava quasi
di vivere in un sogno. E niente potrà portarmelo via. Niente. Nemmeno lui.
Sorrisi. Sorrisi davvero. Grazie a te Taylor. Ancora una volta.
E poi tutto
traballa di nuovo e il flashback va vorticosamente più indietro. Giugno, tu sei
in Francia. E io sono qui, con quello stupido telefono che continua a
squillare. L’ho spento, mi faceva impazzire. Le vostre conversazioni vanno
avanti a raffica in quel gruppo di whatsapp. Non ce la faccio più così … nessuno
sa, nessuno si immagina quello che sta realmente accadendo. Solo io so, e
questa cosa mi uccide. E tu nemmeno ti immagini quello che sto passando, quello
che provo, quello che vorrei dirti, quello che vorrei che fossimo io e te … non
ce la faccio più a vederti così. Guardami, guardami un po’. Che cosa vedi? Una
ragazza, forse. Una ragazza amica di una ragazza che ti piace. Sempre ammesso
che tu riesca a riconoscermi come “RAGAZZA”. E dimmi un po’, che cosa vedi
quando guardi lei? Certo, che te lo chiedo a fare. Tu vedi una dea. Lei, il
centro del tuo mondo. Ovvio. Tanto sono io a soffrirci di più … ma come è
possibile che tu non lo capisca? È così … evidente. Cambia idea come e quando
vuole. Prima è sì, poi dopo è no. Poi è di nuovo sì. E poi è di nuovo no. E tu,
stupido, resti lì inerme ad aspettare il suo ennesimo cambiamento. E non ti
accorgi di me. Invisibile. Esattamente come nella canzone di Taylor Swift. Come
quella che metto ogni volta che piango per te per sentirmi capita in qualche
modo da qualcuno. E tu … tu cosa?! Non riesco neanche a parlarti nella mia
testa. Ma perché mi è presa così per te? Credevo … credevo di stare per uscirci
… invece no. Mi sono trovata ancora più ingrovigliata in questa tortura assurda.
Nemmeno non avessi saputo che sarebbe finita così … dovrei scriverci qualcosa.
Ma dove sei adesso? Perché non sei qui? Quanto vorrei che fossi qui … mi
farebbe stare meglio anche solo stare accanto a te e fingere di non provare
nulla … almeno non dovrei sopportare la consapevolezza di aver perso la testa
per te. Non volevo che andasse così … doveva essere semplicemente una cotta …
una stupida banale cotta … non questo. Non doveva essere questo enorme casino.
E poi torna ad
essere di nuovo Luglio. E ci sono io che piango … piango … e piango, con Taylor
Swift alle orecchie e il telefono che trilla. Odio quello stupido programmino.
E odio il modo in cui lei ti sta usando. Ma soprattutto odio il tuo ottuso non
vedermi. Vorrei soltanto che tu fossi qui con me. Mi manchi. E mi sento una
stupida perché io non sono questa! Non sono una cretina che piange per dei
messaggi di whatsapp. Ma dove sono finita?
E ha cantato solo la prima strofa e il ritornello. “È solo una canzone ragazza, solo una canzone”,
invece no, non è solo questo. È la mia vita. Siamo noi questa canzone. Un noi
che non esiste. Un noi che non
c’è. Un noi che non c’era e mai ci sarà. Eppure mi stai facendo male ancora. La
tua stupida immaginetta continua a fluttuarmi nella testa mentre Lei canta.
“È metà luna piena
e io non sarò qui ad aspettare tutto il giorno, so che stai dicendo che sarai
qui in ogni caso” … e invece no, non ci sei stato … perché quando tutto ha
cominciato a tremare ti sei dileguato. “Ma tu sei intoccabile, bruci più lucente del sole, e ora che sei così vicino
mi sento come se mi sciogliessi”. Intoccabile. Intoccabile. Sempre più
intoccabile. Non riesco neanche ad alzare una mano e asciugarmi le lacrime che
colano sul viso. Eppure … eppure stavo bene. Andava tutto bene. Perché? Perché
l’hai fatto? E poi tutto ha ricominciato a vorticare.
È metà Luglio adesso
e l’uragano sta per scatenarsi. Non so cosa fare. Mi sta piano piano arrivando
tutto addosso. Sento che questa volta non ti fermerai … non so quello che il
tuo amico ti ha detto oggi, ma da quello che vedo ti ha mandato il sangue al
cervello. Cosa vuoi fare? Quel “ti devo parlare” che le hai rifilato mi fa paura sul serio … te ne
vuoi andare, non è così? Sì, è così. Te ne vai anche tu. Dovrò prepararmi a
dirti addio … è stato bello finché è durato, ma adesso non hai più quello che
ti tiene legato qui, quindi te ne vai. Giusto. Bravo, vai via. Hai ragione,
questa cosa è frustrante, soffocante, asfissiante. Non ce la faccio più nemmeno
io … se solo avessi un posto dove andare
… lei si comporta come se non le avessi detto nulla. È venuta di nuovo a
raccontarmi che tra voi due il rapporto non va, che tu sei criptico con lei,
che sembra di parlare con un pezzo di ghiaccio quando messaggia con te e che tu
le vuoi parlare urgentemente. Più voglio evitare di essere in mezzo e più mi ci
trovo. Non ne voglio sapere niente. Ho il diritto anch’io di evitarmi un po’ di
male, no? No. Evidentemente proprio no. Forse anch’io sono compulsivamente
masochista, come te. O forse semplicemente ho la smania di aiutare sempre tutti
evitando di pensare a me. Sono così stanca … così dannatamente stanca. Ho paura
di non farcela. Ho paura … non so nemmeno io di cosa, avrei semplicemente
bisogno che tu fossi qui accanto a me e di un pizzico di coraggio per levarmi
di dosso questa stupidissima maschera di ferro. Dovrebbe essere tutto semplice
… vorrei che fosse tutto semplice, come “Hey
Stephen” di Taylor Swift e la volta che eravamo in piscina. Vorrei che
fosse sempre così magico … ma lo è sempre meno. È sempre di più qualcosa che fa
male. Un male cane. E tu, tutte le volte che lei ti butta giù, finisci per
parlare con me, come una specie di amichetta del cuore, in perfetto stile“You belong with me” … “tu hai un sorriso che potrebbe illuminare
tutta quanta questa città, ma non l’ho visto più qui da quando lei ti ha
buttato giù”.
E poi diventa
Agosto. E la parte da “Today was a
fairytale” è finita veramente. Litigi, pianti, urli, promesse mancate,
altre spezzate, amicizie che si distruggono, pezzi di anni passati insieme che vanno
in frantumi ... tutto ruota vorticosamente nella mia testa, adesso come allora.
E poi mi vola
davanti il giorno che lei ha fatto il primo sgarro e la volta che tu mi hai
fatto più male del solito. Poi la volta che ti ho guardato e non ho più trovato
quello che credevo di amare. Poi la volta che lei ha sbagliato di nuovo. La
volta che l’ho perdonata di nuovo. La volta che ero di nuovo sul letto ad
ascoltare Taylor Swift. La volta che Taylor Swift mi ha rimesso in piedi e lei mi ha buttato di nuovo giù. La volta
che mi sono aggrappata all’Ipod tutto il giorno ma tu non te ne volevi andare.
La volta che ho reagito. La volta che lei ha fatto il terzo sbaglio e tu invece
hai fatto il milionesimo. La volta che ho capito la mia illusione. La volta che
ho cominciato a riprendermi. La volta che tu mi hai guardato come se fossi tu a
stare male. La volta che lei ha fatto il quarto, il quinto, il sesto, il
settimo, l’ottavo, il decimo, il centesimo, il millesimo errore nello stesso
identico giorno. E io ho chiuso la porta. Tutto quanto adesso ha preso a ballarmi
davanti, confuso e senza senso. Ma poi, invece di sparire, ogni cosa mi si
delinea davanti chiara e precisa.
Ora posso contare le volte che mi
sono ritrovata a chiedermi che cosa avessi fatto di male per meritarmi un
trattamento simile … perché qualcosa doveva pur esserci. Non è possibile che si
potesse essere così insensibili per natura. E anche quelle in cui, mentre mi
chiedevo quale fosse il mio sbaglio, lei continuava a usarti e tu continuavi a
crederle.
E poi posso chiaramente
vedere la volta che hai iniziato a darmi contro. Ad accusarmi di tutto. A dire
che sono un’amica pessima, una sfruttatrice ingrata, una che non le ha mai
voluto bene veramente. E dopo ancora la volta che hai cominciato a giocare con
la mia testa consapevolmente e, come un perfetto John, ti sei avvicinato con i tuoi fiammiferi per darmi fuoco,
definitivamente fuoco, senza però tenere conto di una cosa: io vivo di Taylor
Swift. Di canzoni di Taylor Swift. Di citazioni di Taylor Swift. Dello “Speak Now Prologue” di Taylor Swift. Del
“Fearless Prologue” di Taylor Swift.
E adesso, chiara
come la luce del sole, mi si spiana davanti la volta che a fine Agosto ho dato
un senso a tutto. E ovviamente c’era Taylor di mezzo. Avevo l’Ipod alle
orecchie e Taylor Swift che cantava, il booklet del “Fearless Prologue” aperto sulle mie gambe pronto ad essere letto e
elaborato. E poi ho trovato la parte perfetta per me, ancora una volta nelle Sue
parole in inglese, ma per me più chiare di qualsiasi altra cosa al mondo: “Quando qualcuno ti chiede scusa troppe
volte per cose che non smetterà mai di fare, io credo che sia ‘senza paura’ smettere di credergli. È ‘senza paura’
dire “NON ti dispiace”, e andare via. Io credo che permettere a te stessa di
piangere sul pavimento del bagno sia ‘senza paura’. Lasciarsi andare è ‘senza
paura’. Poi, andare avanti e stare bene … anche questo è ‘senza paura’”… ed è così che ho smesso di credere ai suoi
balbettii insulsi. E poi la riproduzione casuale ha portato Taylor con la frase
perfetta: “Io vivevo nella tua partita a
scacchi, ma tu cambiavi le regole ogni giorno”. La canzone è “Dear John” (sì bravo, è lo
stesso dei fiammiferi) e per la prima volta era veramente per me. So per certo di aver pensato “Tutta questa storia è una partita a scacchi.
Tu regoli la mia vita. Io vivo le tue regole. Tu sei il mio John.” E così ho smesso di essere la
tua pedina, la vostra pedina. Ho capito veramente di essere diventata l’ombra
di me stessa. Io non ero più me. Non volevo perdere te, e non volevo neanche
perdere lei … ma ho realizzato di essere più importante. Non volevo più stare nell’occhio del ciclone. E in quel momento ne
stavo uscendo. Dovevo smetterla di difendere parole che mai hai detto e mai
dirai. Dovevo ammettere che non sei quello che voglio. Dovevo mettere a frutto
ciò che Lei mi aveva insegnato tanto tempo fa: “‘senza paura’ è lasciare andare chi ti ferisce soltanto, anche se non
puoi respirare senza di lui” (Fearless Prologue). E così ti ho lasciato
andare.
E tu adesso sei tornato. Ma sono
passati quattro mesi da allora, quattro lunghi mesi. E tu non c’eri