La notte era giunta troppo presto, lasciando il solito velo di velluto,
su quel sanguigno chiarore del tramonto dopo la pioggia. Per me, una speranza
affranta, di un ricordo troppo vecchio pure per piangerci sopra, che sapeva di
vana aspirazione. Presto sarei partito, senza di te, per un’altra meta,
lasciando un pezzo della mia storia su questo cemento freddo, lasciando
impronte trasparenti.
Nessuno mi conosce, ma tutti hanno un pezzo di me, e in tutto una nostalgia
riaffiora quando passo. Colui di cui sono alla ricerca, ho scoperto che
cercarlo sia vano solo per il motivo che, mai nascerà in una sola cosa. Come
quando catturo echi di memorie in una foto, che mai ha la stessa luce di
un'altra. Proprio come ora, mentre aspetto il treno e non so quale sia il
futuro che attende me. La notte della stazione, suona la sua melodia frenetica
e incerta, e la gente viene e va’, e io sconosciuto che incrocia sguardi fugaci
di sconosciuti.
Resto in attesa con noia, e il treno sembra stare al gioco, facendosi
aspettare.
Guardo l’orologio al polso, comprato da poco ad un prezzo ragionevole,
e vedo che sono appena trascorsi dieci minuti, ma che per me, parvero passate
ore.
La calura umida dell’estate, striscia ovunque.
Finalmente scorgo il treno che si avvicina, rallentando.
La tensione peggiora.
E penso che, avrei voluta raccontartela tutta, la mia storia; quella
vera, ma me ne sto andando, e tu sei da un’altra parte, non certo a pensarmi.
Tra tutti, sei stato tu l’unico che non era raggiungibile se non da una
ragguardevole distanza. Solo quei sorrisi, luce nel buio abisso freddo, ti
tradivano. Non mi guardo indietro, mentre salgo, per raggiungere un nuovo
segreto da far mio, senza il più importante.
- Aspetta. -
Quando mi volto, quasi cado dai gradini nel sapere che sei qui, di
fronte a me. Ma lo stupore dura poco, troppo poco per uno come me che di
sorprese ne faceva una questione di vita, e resto a piedi; il treno stava
andando via, e per colpa tua.
Ma non sono arrabbiato, e forse, ti sono davvero sembrato uno stupido.
Un povero sciocco, caduto senza accorgersene, mentre pensava alle stelle sotto
di lui, che lui aveva conquistato solo, per poi farne un trofeo e perdendole
con l’inchiostro d’orgoglio, versato per sbaglio.
Quando butti le braccia al mio collo per baciarmi, non posso mentire, e
non posso da solo spegnere quell’ardore, che troppo poco conoscevo.
- Portami con te, prenderemo il prossimo treno insieme. - Non posso
negare di volerti al mio fianco, ma indugio ancora.
E tremo, per tutti quei giorni, in cui ho conosciuto solo frammenti di
anime. Quello che tu mi stai dando, mi terrorizza; a me che ora, mi sembra di
essere un molto più giovane di te, ragazzo dagli occhi che incantano, profondi
di idee e promesse.
*
Erano queste le parti, che mai vorrei dimenticare, e che non cambierei
per una diversa vita, fosse anche senza tutto il male del mondo. Per te, non lo
farei; tu che mi hai rubato i miei pensieri e li ha resi reali dentro e fuori
di te. Ogni tua mossa, e tutte le volte in cui non volevi parlare del tuo
passato, e anche la tua rabbia, era il riflesso del mio vuoto, che con te
diveniva consistente ricerca delle cose che da solo, non osavo affrontare. Tu,
mi hai tirato fuori, seppure per poco, da quel limbo che mi consumava.
Quel treno, non lo abbiamo mai preso; al suo posto mi ritrovai la
mattina seguente nella stanza faceta di quel frivolo albergo, con te dal lato
destro del letto, che dormivi tra le lenzuola che lasciavano scoperti i fianchi
pallidi, su cui piaceva soffermarmi. Quella notte inaspettata, credevo fosse la
mia vera condanna, perché ho scoperto, che non sapevo amare.
Solo il desiderio mi spingeva a vivere.
Vivere e raggiungere uno scopo, il mio lavoro, la mia ossessione.
Quella sera, il mondo si era fermato. Tu l’hai fermato e io mi ero
perso con te, sperando di uccidere i miei sensi di colpa.
*
Ti ringrazio, bellissimo sconosciuto dei miei ricordi. Quel giorno,
rubasti la mia anima, a me, che volevo solo scoprire te e cosa si nascondeva
dietro a quelle sembianze, che parevano pagine di un antico libro, scritte con
fin troppa precisione, intagliate nell’aria da pensieri astratti.
Ma non mi dicesti che ci sarebbe stata una scadenza.
Che illuso, proprio io, l’uomo dalle mille esperienze e che non diceva
mai frasi fatte, e noiose fino alla morte come ti amo.
- Alla tua salute, indimenticabile sconosciuto... - Parlo a voce alta,
biasciando quasi, mentre scolo l’ennesimo bicchiere di brandy, su un vecchio divano
in pelle, nella mia bella villa da milioni di dollari, piena di comfort, di
cui, tra l’altro non so che farmene. Non accendo la luce, seppure sta
diventando buio, o forse sono i miei occhi, devo smetterla di bere.
Sono passati molti anni da quell’incontro.
Non posso dimenticare.
Mi sono sposato due volte, e due volte ho divorziato, e per fortuna,
non ho figli, altrimenti di sicuro mi avrebbero odiato, una volta cresciuti,
con un bastardo simile per padre, e neanch’io li avrei biasimati. Non so amare:
ecco la sola cosa che mi manca, per tutto il resto è una favola.
Lui, fu la sola persona che mi abbia saputo far amare, e solo ora mi
rendo conto che, era questo il segreto che cercavo di svelare tanto
insistentemente. Quello che io ho sempre cercato, dopo che lui se ne andò, era
l’amore, che io volevo, ma che non ho saputo dare.
Chiudendo gli occhi, annebbiati dal sonno; mi sembra di trovarmi in
quella lussuosa stanza d’albergo, e lui è lì con me, che si spoglia davanti a
me e quei vestiti buttati a terra, sono come un muro che si abbatte dopo un
terremoto, ed ero io, quel muro, e piansi e poi mi misi a ridere, come un
pazzo. Un pazzo, che si è lasciato strappare il cuore.
End
*
L’autrice: questa breve storia è assolutamente di mia invenzione. Se volete
commentare, fate pure e vi ringrazio per aver letto. Ah, e volevo dire, non è
niente di speciale: è che in questi ultimi tempi non ho molta ispirazione.
Magari la prossima volta…
Fatemi sapere, oppure no.