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Autore: The_Silent_Wave    05/07/2013    1 recensioni
E' piena notte a NY, ma Kurt non riesce a dormire: c'è un pensiero che lo tortura.
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« Mi volto e vedo i tuoi occhi puntati sulle mie labbra. Le tue mani si spingono oltre, in parti che solo tu puoi toccare, che solo tu tra tutti hai toccato.
Fremo sotto i tuoi sapienti tocchi, perché tu conosci le parti del mio corpo che si infiammano come metallo al sole rovente. Sai dove toccarmi, sai come toccarmi.
Non posso non cedere a te, al tuo corpo. Non posso resistere ai miei bisogni.
Come potrei guardarti negli occhi e dirti un semplice “no”?
Non l’ho mai fatto, perché non c’è stato mai un momento nel quale non sei stato ciò che ho sempre desiderato.
Blaine, voglio sentirti dentro di me; voglio sentirti pulsare dentro di me.
I tuoi gemiti, mentre ci uniamo, devono rimbalzare alle mie orecchie come echi lontani in una caverna dalla calotta sferica.
Quel suono mi deve narrare bisogno, disperazione, rimpianto, ma al contempo deve gridare prepotentemente la voglia di rincominciare.
Ne ho bisogno. Ne hai bisogno. La nostra storia ne ha bisogno per rialzarti dallo scoglio su cui per ora è arenata. »
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Indicazioni alla lettura:
E’ la OS più strana/articolata che abbia mai scritto.
L’idea di coniugare un dialogo –quasi un soliloquio-, senza parti indirette(se non l’inizio e alla fine) con “Just give me a reason” è nata perché stavo leggendo “Le onde” di Virginia Woolf e mi parte la canzone sopra citata xD Allora ho pensato che potevo “mettere” le due cose insieme, anche perché essendo un canzone si prestava parecchio al dialogo a due voci(che in realtà è una, poi si capisce il perché).
Buona lettura!
 
 
 
 

Just give me a reason

 
 
 
 
New York è sempre viva, non dorme mai.
Ci può essere sempre qualcuno furtivo all’angolo della strada, o appoggiato ad un lampione, o seduto sui gradini di un BrownStone; qualcuno che non spegne i propri pensieri, i propri tormenti, neanche al calare della notte, neanche se sembra farlo.
 
 

*

 
 
 
« Blaine, dove sei? »
 
« Sono qui accanto a te Kurt, come sempre. »
 
« Non ti vedo. »
 
« Non mi vuoi vedere…»

« Perché non ti vedo, Blaine? »
 
 « Mi vuoi davvero vedere? Mi vuoi vicino a te? »
 
 « Penso di sì; non lo so con precisione. »   
 
« Kurt? »
 
« Sì. »
 
«Cosa siamo adesso? »

«Non lo so…non più una coppia. »

«Ti ho chiesto cosa siamo, non cosa non siamo. »   

«Non lo so. »
 
« Perché lo ribadisci in continuazione? Come se dovessi convincere te stesso di qualcosa a cui non credi davvero. »   
 
« Sai, a volte me lo ripeto in testa, di notte quando non riesco a dormire, solo, disteso a letto con le lenzuola vuote, come adesso. Mi giro inquieto tra quelle lenzuola increspate, come dune nel deserto, che sembrano aver il tuo profumo. Quel pensiero mi tormenta; non mi dà pace. Eppure per quante volte me lo ripeta, suona goffo, ridicolo, falso. Certe volte rido a tale assurdità, altre volte invece cerco di interrogarmi più a fondo, ma non ci riesco e reprimo, reprimo…»

« Perché reprimi? »

« Perché non voglio pensare, non voglio stare male…Pensi forse che io sia un egoista? »
 
« Non l’ho mai pensato. »

« Invece gli altri lo pensano. Quando mi guardo allo specchio, scrutando ogni minimo angolo del mio viso, dopo un po’ di tempo che mi fisso appare una presenza scura, che aleggia minacciosa su di me. Con il suo ghigno minaccioso mi dice che sono un egoista, che non voglio affrontare la situazione perché sono debole, che scappo, che ho paura della verità, che ho paura di amare. E allora io sbarro gli occhi con violenza per scacciarla via e difatti, alla loro riapertura, quella spaventosa presenza-capace di dominare i miei pensieri- non c’è più. Ma poi accanto a me vedo degli occhi, occhi meravigliosi verdi e d’oro senza intoppi di sfumature. Li riconoscerei tra milioni…»   

« E cosa ti suggeriscono quegli occhi? »
 
« Mi guardano e basta, come la prima volta che ti sei voltato verso di me alla Dalton con quell’ espressione sognante e rassicurante; come quando successivamente mi ha detto con un filo di voce “Blaine” e là il mondo sembrò capovolgersi di netto e tutti gli studenti che si affannavano giù per quella lunga e marmorea scalinata scomparvero di botto. Le voci attorno a noi sembrarono perdere intensità e pian piano acquietarsi fino a raggiungere un silenzio religioso, un silenzio devoto a noi. Rimanemmo soli: io e te, quel certo Blaine. Che nome meraviglioso, pensai. Poi mi ha preso per mano con delicatezza e decisione, come se fosse la cosa più naturale da fare e, correndo per quel corridoio, mi hai portato con te; mi hai accolto in quel tuo mondo, quel mondo dove eravamo solo io e te. Come poteva essere reale? Come potevi essere reale?
Ero sempre stato solo, ma per la prima volta da lì in poi ebbi una speranza più concreta, la speranza  che qualcosa sarebbe cambiato, che sarebbe stato diverso.
“Quando sei differente, quando sei speciale, devi imparare a stare solo.” Me lo ripetevo come un imperativo, del quale non solo dovevo convincermi a pieno, ma che dovevo principalmente attuare. E poi…sei arrivato tu. Hai frantumato quella bolla di vetro difensiva; tutte quelle mie convinzioni, quelle parti di me con le quali, nonostante non mi donassero, nonostante mi facessero stare male, avevo imparato a conviverci. Tu le hai aggiustate per me e me le hai restituite come un qualcosa di prezioso che doveva essere protetto, avvolto in tanti strati di carta fine e delicata come una velina, ovattato e tenuto a piene mani per paura che cadesse o che altri potessero rubare e rompere semplicemente per il barbaro gusto di farlo. E ora questo qualcosa dove è?
L’abbiamo stretto troppo e poi tu hai gettato l’involucro, di ciò che rimasto, chissà dove. »
 
«O si è semplicemente ammaccato per la troppa pressione? Dovremo provare a cercarlo insieme, a riaggiustarlo insieme e forse splenderà più di prima. »

«Dammi solo una ragione, anche una minima sarebbe abbastanza; qualcosa che possa convincere quella parte di me ferita irrimediabilmente. »   
 
« Ne hai davvero bisogno? Ne hai avuto bisogno quando ti sei gettato a capofitto nel nostro mondo? Non avevi protezioni, paracaduti, eppure eri sempre lì accanto a me; esattamente come quando mi hai aspettato. Hai aspettato che aprissi gli occhi, che vedessi quanto fosse splendente ciò che avevamo pian piano costruito insieme finché il sole non tramontava, diventando di un’intensità incandescente; sentendoci al telefono finché la luna non brillava alta in cielo, per ore, intendendo ogni pausa, ogni attacco, ogni silenzio, ogni parola. Ed io infatti ho avuto quel momento…il momento in cui il velo si è tolto, in cui la crisalide si è dischiusa e la farfalla con le sue ali madide di rugiada ha preso in volo, mostrandosi nella sua sfavillante verità. Tutto mi è parso chiaro e lucente, come la tua voce, come il suo viso. Là ho capito di amarti, intuendo –dopo- che era da tempo che lo facevo senza accorgermene. Che sono stupido che sono stato…
Esiste davvero una ragione per innamorarsi? Non è un momento incontrollabile in cui tutto al cuore sembra una lampante realtà, mentre al cervello un miraggio paradisiaco a cui si stenta a credere? Non è un momento in cui l’aria sembra rarefarsi e intridersi di un significato estatico, un significato talmente pressante da rompere quella patina aerea per sgorgare implacabile, alleviando magicamente tutti dubbi del mondo?
Che causa profonda ha, perché accade, quali sono i meccanismi che lo regolano? Nessuno -infondo- lo saprà mai. »
 
« Ricordi lontani, fulgide memorie, che stridono col presente, col buio del presente. Il passato è ormai evaporato dal fondo, dove si era depositato in piccole gocce, cadute a strapiombo incessantemente.
Ora altre gocce si stanno formando in un ciclo perpetuo; conteranno di nuovo il nostro amore? Ma soprattutto questo amore sarà abbastanza? Sarà abbastanza concentrato così che, una volta depositatosi nel fondo, rimarrà ancorato e cristallizzato sfidando le continue gocce corrosive? O si corroderà e avremo in questo modo solo ruggine e polvere? Come quella che ora teniamo tra le mani…»
 
« Abbiamo collezionato parole taciute, indifferenze non rivelate, tradimenti confessati, pianti, pianti e ancora pianti che come le onde cadono, si ritirano, potendosi con sé i residui e cadono ancora con quei residui fangosi e scorticanti senza avvertire. Ci faremo ancora travolgere dalla marea del rancore e della rabbia? O impareremo a riscoprire il nostro amore che non si è mai spento? »   

« Dammi una ragione per farlo. »   

« Sistemerò tutto per noi, te lo prometto. »   
 
« Come? »   

« Ti devi fidare di me. Ti fidi di nuovo di me? »

« Lo vorrei con tutto me stesso. »   
 
« Nulla è perso come sembra. Il ciliegio può rifiorire la primavera successiva, nonostante d’inverno sia spoglio, nudo, inerme. Il riccio si sveglierà dal letargo, sebbene dorma per lunghi mesi un sonno quasi eterno. E noi ci possiamo svegliare dal letargo dei nostri attuali sentimenti, possiamo rifiorire come il ciliegio più rigoglioso nel marzo più mite e successivamente, a cavallo con l’estate soleggiata, far fruttare i pomi del nostro amore: saranno dolci e rotondi.
Ti prometto che troverò ciò che abbiamo perso. Setaccerò ogni angolo per recuperare quel qualcosa di prezioso che avevamo costruito. Riesumerò l’involucro con delicatezza; lo aprirò con accortezza e metterò tutti quei pezzi fuori posto in ordine, togliendo ogni ammaccatura dalla superficie. Sarà bellissimo, anche più di prima. Stavolta però non ho commetterò gli stessi errori. Il passato non ritornerà sui propri passi; il suo vapore non si contenderà formando delle gocce con lo stesso soluto dell’amara solitudine, che mi uccise e mi fece impazzire, facendomi compiere un atto scellerato. Ma tu mi dovrai aiutare: non posso fare tutto da solo, non avrebbe senso d’altronde. Dovrai sostenermi a concimare quell’albero per stimolarlo nella germogliazione e nella fioritura; dovrai aiutarmi a svegliare il torpore a cui per ora siamo soggiogati. Dovrai accettare per una seconda volta quel dono riparato con tanta operosità; dovrai accettare di nuovo il mio amore senza alcuna remora e titubanza. Lo custodirai con attenzione e cura affinché la carta con cui è accolta non si stropicci o si laceri, lasciandolo così in balia della crudeltà delle gente. Le tue mani lo scalderanno per riparlo dal freddo glaciale dell’inverno più profondo e dovrai schermarlo dal caldo torrido dell’estate più inoltrata. Lo terrai come la cosa più preziosa che possiedi. »

« Perché sarà la cosa più preziosa che avrò…Ora le lacrime scorrono a flotte sul mio volto, ma serro le mani, stringendo le lenzuola tra le dita, proprio come farò quando mi darai quel prezioso dono, per non permettere alla carta di bagnarsi come il dorso delle mie mani adesso.
Mi pare quasi di percepirti accanto a me, disteso nel letto: a pancia giù, composto nel proprio angolo, con il respiro che gratta la federa del cuscino. Non però come l’ultima che sei stato qui. Quella volta eri duro e contratto con i muscoli tesi che non si adagiavano al materasso, ma anzi che si contraevano opponendogli resistenza; con il respiro affannoso e pesante nel angolo, in cui ti è relegato quasi in esilio.
Sento il fruscio delle lenzuola; una mano serpeggia tra le pieghe squadrate, smussandole e facendosi strada tra esse.
Sei qua. Sento il tuo respiro che si fa largo tra il mio, che si insinua, seducendomi, sulla pelle del mio collo.
Non voglio aprire gli occhi: non voglio accorgermi che in realtà sei solo una mia fantasia, che non sei accanto a me.
Non voglio far crollare i castelli che ho costruito, castelli dove vaghiamo come i regnanti più equi e amati.
Respiro contro respiro, gamba contro gamba, i miei bisogni contro i tuoi; la mia epidermide ora si sta accendendo perché a contatto con la tua.
Le nostre mani si stanno incontrando: si stanno intrecciando in una trama inestricabile, che nessuno, niente riuscirebbe a sciogliere. »

« Apri gli occhi. »
 
« Serro le palpebre con durezza prima di aprirli piano pian. È tutto appannato attorno a me: la stanza sembra un caleidoscopio opaco e buio e gli oggetti sono indistinguibili sennonché per le parti più spigolose, dove la luce riesce a riflettervi.
Mi volto e vedo i tuoi occhi puntati sulle mie labbra. Le tue mani si spingono oltre, in parti che solo tu puoi toccare, che solo tu tra tutti hai toccato.
Fremo sotto i tuoi sapienti tocchi, perché tu conosci le parti del mio corpo che si infiammano come metallo al sole rovente. Sai dove toccarmi, sai come toccarmi.
Non posso non cedere a te, al tuo corpo. Non posso resistere ai miei bisogni.
Come potrei guardarti negli occhi e dirti un semplice “no”?
Non l’ho mai fatto, perché non c’è stato mai un momento nel quale non sei stato ciò che ho sempre desiderato.
Blaine, voglio sentirti dentro di me; voglio sentirti pulsare dentro di me.
I tuoi gemiti, mentre ci uniamo, devono rimbalzare alle mie orecchie come echi lontani in una caverna dalla calotta sferica.
Quel suono mi deve narrare bisogno, disperazione, rimpianto, ma al contempo deve gridare prepotentemente la voglia di rincominciare.
Ne ho bisogno. Ne hai bisogno. La nostra storia ne ha bisogno per rialzarti dallo scoglio su cui per ora è arenata.
Voglio le tue braccia stringermi i fianchi fino a lasciarmi dei segni rossi sulla mia pelle diafana e candida. La tua forza deve essere tale da alzare in un solo colpo tutto ciò che stato sotterrato e dimenticato, quel relitto trascurato, che sta per essere inghiottito dalle alghe, se non viene salvato in tempo. 
E io mi lascerò sollevare, mi lascerò spostare di buon grado, perché non avrei la forza o l’intenzione di respingerti.
Sarà una prima volta, in certo senso. Non saremmo ragazzini che perdono ogni parvenza di innocenza o fidanzati bramosi del corpo dell’altro o ancora ex che non riescano a stare lontani, escogitando stratagemmi per stare il più vicino possibile, il “vicino", che sa di una coesione profonda, ma saremo portatori di una nuova consapevolezza. 
Sarà la sudata consapevolezza di aver sofferto(ognuno in modo diverso) di aver sbagliato( entrambi, in parti disuguali), ma anche di voler continuare a scrivere con volontà, comprendendone i rischi, questo romanzo a due mani.
Avanti, Blaine, prendimi e avvalora questi miei pensieri, che stanno fluttuando nella mia mente, fecondando i successivi, che si stanno già formando. »

«…»   
 
«Blaine?
Perché non sento più? Perché non ti vedo più?
Blaine? Blaine? »   
 
 
 
 
 
Fantasie confuse e martellanti; oggetti sfocati ed evanescenti; parole e urla che si rincorrevano nella sua testa; persone dalla fattezza di fantasmi.
Fu questo ciò che Kurt vide al suo risveglio, mentre con una mano stringeva un lembo del lenzuolo, facendo sbiancare le nocche.
A pancia giù, sudato –nonostante fuori facesse freddo-, accaldato, con la bocca asciutta, seminudo, inerme. 
Dove era Blaine? A km da lui, a Lima, però evidentemente non aveva ancora lasciato la sua testa.
 
Kurt Hummel aveva bisogno di una ragione.
Ebbene –forse- l’aveva trovata.
Bisognava capire se quella ragione sarebbe potuta essere abbastanza.
 
 
 
N/A
Io vi avevo avvertito xD
Il finale semi-lime non era previsto: sarebbe dovuto finire con il risveglio di Kurt, resosi conto che Blaine era un sogno/dormiveglia. Però mentre scrivevo è venuto fuori così, so l'ho voluto lasciare. 
Sì, il dialogo era fittizio, perché una proiezione onirica di Kurt.
Sono pienamente convinto che non riscontra il gusto di molti/e, che è può risultare lambiccata, ma mi andava di scriverla e l’ho fatto.
Un ringraziamento alla mia sweetie beta(chialong su efp), che stavolta si è davvero superata.
Non scherzo quando dico che sei la migliore <3
Gaybye!
 
   
 
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