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Autore: Belarus    06/07/2013    4 recensioni
#cap02.
«Uno per la Regina!»
« …»
«E uno per me!»
«Igirisu-san voi siete ubriaco!»
«Not! What’s it to you? Nothing! You don’t give a rat’s ass about me stupid frog!»
«… credo sia meglio chiamare Furansu-san… »

[Prima classificata al contest “Il Consiglio spudoratamente ignorato” indetto da HopeGiugy sul forum di EFP]
{Ovviamente FrUk, perché il fandom ne ha bisogno, il mondo ne ha bisogno}.
Belarus.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paralipomeni - During the meetings'
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Titolo: Most nights I hate you - #01. Jealousy - Gelosia
Genere: Romantico; Comico{accenni d’obbligo}; Slice of life{parce que je sais che le Nazioni in realtà non hanno un cetriolo da fare durante le loro giornate}.
Rating: Arancione.
Personaggi: Arthur Kirkland[England]; Francis Bonnefoy[France]; Kiku Honda[Giappone – comparsa]; Un pò tutti.
Note: Tralasciando la mia personale opinione riguardo al fatto che Arthùr ubriaco sia una delle meraviglie del mondo… ci terrei a specificare che mi sono tragicamente resa conto di quanto questo fandom sia scarno di FrUk e sappiate {oui, lo sto dicendo in tono minaccioso, non troppo, ma sono del tutto intenzionata a non demordere neanche dovesse scoppiare un’altra guerra dei Cent’anni} che ho intenzione di riempirlo di shot di qualsiasi lunghezza, genere e rating riguardo questa coppia. Ripopolerò il fandom con ranocchie e bruchi, perché è sacrosanto, giusto e sono del tutto convinta di questa mia propensione franco-britannica, fatevene una ragione e che la Francia Britannica sia con voi.
Parlando di cose altrettanto serie, la storia si comporrà di due capitoli ed è Prima classificata al contest de "Il Consiglio spudoratamente ignorato" indetto da HopeGiugy sul sito di EFP.


Most nights I hate you


Sospirò esasperato raccogliendo i documenti che erano stati sparpagliati per il tavolo e che Feliciano Vargas aveva badato a rendere inutilizzabili con simpatici gattini e piatti di spaghetti fumanti, mentre loro tentavano amabilmente di beccarsi a morte come a ogni riunione. Era sempre la stessa storia, sempre la stessa grande battaglia, senza armi o dichiarazioni di guerra, ma nulla di quello che facevano poteva definirsi cooperazione e su questo, suo malgrado, doveva concordare con il tedesco. Quegli incontri erano sempre una perdita di tempo prezioso, finivano costantemente con qualche rissa dalle urla cacofoniche causata dalla dannata rana e nessun accordo stipulato. Si sedevano da anni sempre negli stessi posti per sua sfortuna: Alfred parlava di piani impossibili per salvare il mondo con un qualche eroe che alla fine si rivelava continuamente essere lui; Ivan sorrideva ignorando felice qualsiasi accordo lo riguardasse; Yao tirava fuori qualsiasi cosa copiata a qualsiasi altra Nazione tralasciando ogni sorta di copyright; Feliciano cominciava a borbottare sillabe sconnesse di cui l’unica comprensibile pareva riguardare la pasta; Kiku cercava di mettere pace, ma com’era ovvio, nessuno gli dava retta; Ludwig scattava in piedi battendo il pugno sul tavolo, tutti si fermavano per ascoltare la ramanzina, che puntualmente arrivava e dopo appena cinque secondi – a volte anche meno – era dimenticata e ricominciava la rissa tra Arthur e Francis che nel frattempo, si era premurato di insultarlo ripetutamente ed esporre chissà quale perversione riguardo altre tipologie d’incontri. Quel giorno però nonostante le percosse, avevano terminato con quattro ore di anticipo, non c’era stata alcuna uscita di scena teatrale e Alfred brandiva sghignazzante una sfera di vetro piena di biglietti da far invidia a David Copperfield. La fissò con curiosità mentre l’americano l’abbracciava entusiasta schiacciandoci la faccia sopra, sarebbe stata perfetta per i suoi riti magici se non fosse stata cava e piena di briciole, specie per quelli che richiedevano una visione del futuro o qualche evocazione. Peccato però che non servisse a quello e Arthur già si ritrovava lo stomaco ingarbugliato.
<< Ed ecco la sfera per il nostro gioco di gruppo “Il giro dell’America in ottocento cene!” >> rise Alfred alzandola sopra la propria testa.
<< Non era “Il giro del mondo in ottanta cene”aru? >> domandò Yao confuso.
<< America-san è gentile da parte vostra, ma mi sento in dovere di ospitarvi anch’io. >> affermò serio Kiku dalla sedia in fondo al tavolo.
<< Veeee anch’io! Ludwig facciamo la pasta dentro il Colosseo! >> si agitò Feliciano.
<< Il vostro eroe, cioè me, ha provveduto a risolvere il problema! >> sghignazzò poggiando la sfera.
Calò improvvisamente il silenzio mentre Alfred accendeva il proiettore e svariate immagini di supereroi in stile Hollywood, riempivano lo schermo con effetti speciali unici. Rimasero accomodati sulle poltrone per una buona mezz’ora prima che il filmato terminasse, quando le luci si riaccesero, si voltarono tutti a guardare l’americano ancora in piedi ad annuire convintissimo del proprio lavoro.
<< Tutto questo per spiegarci che faremo a estrazione? >> domandò disgustato Arthur.
<< Estraiamo! >> urlò Alfred entusiasta.
Lo fissarono mentre affondava il braccio, l’avambraccio e parte della spalla dentro la sfera come se dovesse pescare chissà cosa in fondo al vetro, quando lo estrasse nei volti di tutti si era già dipinta l’impazienza. Portare le altre Nazioni nei propri paesi era un evento eccezionale che richiedeva preparazione, talento e un’enorme dose di fortuna, ma comportava dei privilegi che ripagavano di ogni singolo sforzo. Si poteva mettere in mostra il talento del proprio popolo, le proprie tradizioni, il meglio dell’arte e della cultura, tutto ciò che in una Nazione possa esserci di grandioso, era esibito per fare colpo sulle altre. Era di certo un’occasione che nessuno di loro voleva perdersi per niente al mondo, certo alla fine sarebbe toccato a ognuno di loro esibire la propria patria, ma essere i primi era un grande privilegio. Si diventava l’esempio da superare.
Quando il biondo tirò fuori la mano e aprì il biglietto, il sorriso che quotidianamente aveva stampato in volto si afflosciò in una risatina stentata. Ripiegò in fretta il bigliettino e lo lanciò alle proprie spalle gettando occhiate eloquenti agli altri seduti al tavolo, Arthur fissò la piccola pallina di carta rotolare sino al cestino della spazzatura nell’angolo.
<< Io non è che abbia così tanta fame oggi e neanche nei prossimi giorni! >> rise afferrando il giaccone di pelle poggiato alle sue spalle.
Arthur sorrise comprensivo, ad Alfred non erano mai piaciute le sconfitte neanche da bambino, si alzò per recuperare il bigliettino con scritto il nome della Nazione che avrebbe dovuto organizzare la serata.
<< Su non fare il bambino, organizzerai la prossima volta! So… >>
Alfred emise una risatina nervosa, abbassò le spalle come se un enorme peso si fosse abbattuto su di lui. Quando Arthur riuscì a dispiegare nuovamente il foglietto stropicciato, sgranò gli occhi compiaciuto, un ghigno d’immensa soddisfazione si dipinse sulle sue labbra. La dea bendata lo aveva ascoltato, le sue preghiere erano state esaudite. Posò con ardore il minuscolo biglietto sul tavolo di legno, chiuse gli occhi godendosi quel momento di profondo appagamento, Feliciano molto più in fondo si sporse per osservare. Era quasi meglio dell’ospitare le Olimpiadi e avere il primo posto nel medagliere d’oro.
<< England! >> lesse soddisfatto con le labbra piegate in un ghigno.
<< Oh Dieu! >> Francis si nascose il viso tra le mani piangendo.
<< Excuse me?! >> ringhiò gettandogli un’occhiataccia.
La vena sulla tempia di Arthur si gonfiò pericolosamente, mentre quella stupid frog piagnucolava come una donnetta e gli altri sudavano freddo sulle loro poltroncine. Non capiva perché si stessero agitando tanto per una cena a Londra, doveva essere colpa dell’affronto inflittogli dal fato.
<< Igirisu-san io gradirei venire, se non le reca disturbo… >>


Si sedette stanco sul divanetto di pelle rossa del pub di Londra in cui si erano rifugiati, gli doleva già la testa, le tempie pulsavano a ogni secondo sempre più insistenti. La serata non era andata propriamente come sperava, la cena era stata anche peggio considerando che Alfred aveva sputato amareggiato l’intero piatto di fish and chips, ricorrendo alla sua scorta d’emergenza di snack e Francis si era gentilmente rifiutato di toccare qualsiasi cosa fosse servita sul suo piatto, ribadendo quanto la cucina non fosse un pregio inglese. Shit! La cucina inglese era perfetta, certo non era rinomata come quella della stupida rana e dell’italiano, ma era rivolta a un pubblico di privilegiati che sicuramente non aveva a che vedere con quella massa d’ingrati. L’unica cosa che avevano apprezzato tutti era stato il piccolo locale lungo Charity Road in cui Arthur li aveva portati come ultima soluzione per risollevargli il morale. Era certo di fare colpo con il Grey Hound, in fondo era sempre stato il suo pub preferito dal lontano giorno in cui il proprietario lo aveva aperto speranzoso di far successo. Probabilmente non era il più in vista di Londra, sicuramente non era il più rinomato, ma dentro si respirava quell’aria satura di calore, alcool e fumo capace di rilassare chiunque dopo una dura giornata. I divanetti erano comodi come lo sarebbe stata una vecchia poltrona cui si è tanto affezionati, la tv aveva lo schermo lercio ma nessuno se ne curava troppo, i camerieri e il proprietario erano inglesi sino al midollo e Arthur gli era enormemente affezionato. Alzò lo sguardo sul quadro sopra al bancone, tra le svariate bottiglie di alcolici e ciotole di noccioline che nessuno avrebbe mai mangiato, c’era persino una photo della Regina al matrimonio del nipote William.
<< Igirisu-san vi ringrazio per averci ospitato! >> si volse a guardare Kiku.
Accomodato sul divanetto fra lui e l’italiano, teneva il capo chino in segno di ringraziamento, le mani strette al petto reggevano un bicchierino appena svuotato. Se non fosse stato per lui probabilmente quella sera, si sarebbe ritrovato a leggere un libro sulla sua poltrona nell’appartamento in centro, ma una volta avanzata la sua richiesta di visita gli altri non avevano potuto esimersi dal seguirlo. Era stato il solo a non essersi preoccupato quando si erano fermati a prendere la cena nel minuscolo ristorante specializzato in fish and chips, anche se ad Arthur non era sfuggita l’espressione che aveva assunto il volto del giapponese quando aveva assaggiato il primo e ultimo boccone. Per lo meno non glielo aveva sputato addosso o gettato con nonchalance nel primo cestino reperibile.
<< Siete i benvenuti, mi spiace solo che la cena non sia stata di vostro gusto. >> confessò rammaricato.
<< Quella, Angleterre, non era una cena! Non l’avrei data neanche al gatto… >> cinguettò una voce lì accanto.
La mano si mosse istintivamente, per un riflesso incondizionato afferrò il bavero della camicia che quel pomposo francese aveva indossato per la loro passeggiata a Londra e che sventolava accanto alla sua spalla. Tirò con forza verso l’alto, mentre Francis gli arpionava la giacca, se c’era una cosa di cui andava fiero in quella serata, era avergli rovinato la cena, anzi era persino angustiato che non gli fosse venuto un qualche mal di stomaco fulminante capace di rimandarlo nella sua stucchevole Parigi il prima possibile.
<< Furansu-san, Igirisu-san per favore non in pubblico! >> supplicò Kiku accanto a loro.
Non lo udirono neanche intenti a scambiarsi occhiatacce a pochi centimetri l’uno dall’altro. Arthur fu sul punto di insultarlo con tutti gli epiteti imparati in secoli di storia, la rana aprì bocca dando fiato alla lingua come accadeva fin troppo spesso, ma entrambi si ritrovarono in silenzio quando Emily, la cameriera del locale, gli si accostò sorridente reggendo un vassoio.
<< Cosa posso portarvi signori? Oh good evening Mr. England! >> salutò cordiale piegando appena il capo.
<< Hi Emily… >>
Arthur mollò la presa alla giacca di Francis, non era il caso di dare una cattiva impressione al suo popolo, nonostante fosse tutto ovviamente giustificato. Si ricompose come poteva, mentre il mangiarane si scostava mellifluo una ciocca bionda dal viso con falsa distrazione.
<< Fate hamburger americani? >> domandò squillante Alfred.
La ragazza gli lanciò un’occhiata dubbiosa e l’inglese comprese perfettamente cosa le stava passando per la mente. Quando si parlava con Alfred per la prima volta, si andava incontro a una serie di barriere culturali invalicabili e del tutto ridicole, cui Arthur aveva fatto l’abitudine da decenni o almeno gli piaceva crederlo.
<< Abbiamo gli hamburger signore… >> rispose tentennante.
<< Fanne trenta, voi cosa prendete? >> domandò continuando a succhiare dall’enorme bicchiere di cola.
<< Pastaaaa! >> strillò entusiasta Feliciano.
Ludwig strinse la mano attorno al minuscolo bicchierino, il vetro si ruppe in mille schegge umidicce, Emily fece un paio di passi indietro terrorizzata, la penna con cui aveva preso l’ordinazione dell’americano gli sfuggì di mano cadendo sul pavimento di legno.
<< Non c’è la pasta in Inghilterra, Feliciano! >> lo sgridò mentre il giovane si accasciava sulla spalla di Kiku.
<< Su Italia-san prendi qualcos’altro… >> lo incoraggiò il giapponese.
<< Ludwig io volevo la pasta… >> borbottò con le lacrime agli occhi.
Arthur cominciò a indispettirsi, certo non avevano cenato – per loro scelta -, ma quello era un pub non un ristorante multietnico di nuova generazione. Il cuoco che stava nel retro del locale era un cuoco a tutti gli effetti, ma le uniche cose che aveva mai preparato erano hamburger e qualche stuzzichino per evitare di riempire i divanetti di gente sbronza. Fatto che, nonostante queste piccole accortezze, avveniva spesso.
<< Da bere per tutti chérie e per me un bicchiere di Châteaux-Margaux e un bacio, merci! >>
<< Whisky e… vino? >> chiese piano con le mani in grembo.
<< Rouge, oui et un bisou… >> frusciò sensuale.
Si girò di colpo come se qualcuno lo avesse appena bastonato, Francis seduto lì accanto teneva la penna che pochi istanti prima era caduta sul pavimento tra indice e medio, le labbra piegate in un sorriso lascivo, il volto poggiato al palmo della mano sinistra. La ragazza parve per qualche istante non capire, lo squadrò come intontita afferrando con mano incerta la penna che gli era stata porta, appuntò confusa l’ordine allontanandosi verso il bancone, la rana che la seguiva con lo sguardo.
Nel momento in cui quelle stupide parole gli erano uscite dalla bocca, Arthur gli avrebbe volentieri mollato un calcio negli stinchi, ma non poté fare a meno di sorridere divertito dopo appena pochi secondi, realizzando come quello fosse un pub inglese e non uno dei suoi frivoli locali francesi. Lì non abboccava nessuno a quel genere di avance ridicole.
<< Lascia stare, qui non funziona… >> ghignò mentre portava il bicchiere alle labbra.
Il biondo accanto a lui gli gettò un’occhiata, si lasciò scivolare sullo schienale del divanetto di pelle rossa, l’ennesima ciocca di capelli gli ricadde perfettamente accanto agli occhi blu. Alzò un sopracciglio con curiosità, il polpastrello che accarezza il bordo del bicchiere vuoto che aveva poggiato al tavolo.
<< Cosa non funziona Angleterre? >> domandò ingenuamente.
No, non avrebbe di certo funzionato. Se avesse avuto qualcosa, qualsiasi cosa con cui scommettere se la sarebbe giocata insieme al suo onore di Nazione. L’Inghilterra era la sua essenza, conosceva il suo popolo meglio di qualsiasi altra cosa, le carinerie di Francis non avrebbero fatto colpo lì esattamente come non lo facevano su di lui durante le riunioni.
<< Sei nella mia Nazione, le cose vanno in modo diverso! >> affermò divertito.
Il liquido all’interno del piccolo bicchierino che il proprietario aveva offerto loro come benvenuto gli finì in gola, la sentì avvampare per qualche secondo, il petto gli si riempì di calore e le cose parvero improvvisamente rallentare. Sentì i muscoli farsi leggeri, rilassarsi come se avesse appena fatto un bagno caldo. Il solo poter assistere al primo “no” detto a Francis Bonnefoy lo riempiva d’immensa soddisfazione.
<< Le donne sono donne in tutto il mondo Angleterre! >> cinguettò.
Emily fu presto di ritorno ed esattamente come Arthur si aspettava, non si piegò a baciare il mangiarane, neanche quando un po’ più certa di prima gli poggiò innanzi un bicchiere di vino rosso sorridendo con le gote appena arrossate. Tornò al bancone senza dire una parola, il vassoio d’argento rovinato stretto al minuscolo petto agghindato dalla divisa da cameriera. L’inglese scoppiò in una risata quando Francis assaggiò il vino dopo un’annoiata occhiata alla gonna corta della ragazza, le labbra gli si macchiarono di un rosso intenso come se avesse appena baciato una donna che quella sera, di certo, non ci sarebbe mai stata.
<< Mi sa che le donne inglesi sono diverse! >> lo beccò appagato.
Francis rigirò il calice tra le dita, il vino rosso di pessima qualità ondeggiò in minuscole spume lungo le pareti in vetro senza mai fuoriuscirne, accavallò le gambe fissando il proprio riflesso porpora.
<< Credi che lei mi abbia detto no… >> biascicò mellifluo.
Arthur smise di ridere, gli gettò un’occhiata irritata.
<< Hai bisogno che te lo dicano in faccia? >> domandò acido, versandosi il terzo bicchiere di whisky.
Passarono alcuni istanti, le bottiglie di whisky cominciarono velocemente a svuotarsi all’interno dei minuscoli bicchierini in vetro. Alfred in fondo al tavolo lanciò sghignazzando una sfida a Ivan che si era docilmente appropriato di una bottiglia intera, riempiendo il bicchiere di cola con una buona dose di whisky secco. Yao accanto a loro aveva il volto arrossato almeno quanto quello dell’italiano poggiato malamente sul braccio del tedesco, sotto gli occhi apprensivi di Kiku.
<< Anche se mi avesse detto “no”, non sarebbe cambiato nulla! >> lo vide fare spallucce altezzoso.
Arthur emise un verso gutturale simile a un ringhio, oh certo non sarebbe cambiato proprio nulla se Emily gli avesse detto “no” d’altronde glielo aveva perfettamente fatto intendere, ma quello stupido idiota era troppo abituato agli assensi per accorgersi di una donna che gli dava il due di picche.
<< Continua a sperarci stupid frog! >> lo insultò, gettando giù in un sorso il whisky.
Afferrò malamente la bottiglia ancora intatta innanzi a lui, la stappò con poca grazia versandosi un altro bicchiere, la poggiò accanto al proprio braccio portando il liquore alle labbra. Il whisky dorato gli bagnò la lingua, scivolando lento e inesorabile lungo le pareti della sua gola, riconobbe ogni singola goccia riscaldare il suo corpo. Percepì il profumo di Francis prima ancora d’accorgersi di quanto quello si fosse fatto pericolosamente vicino, rimase immobile mentre il francese accarezza con mano ferma la sua gamba e poggiava il petto alla sua spalla. Il suo respiro gli solleticò fastidioso l’orecchio destro, sgranò preoccupato gli occhi quando la voce di Francis lo chiamò.
<< Angleterre… >> sussurrò.
Arthur si girò meccanicamente, il corpo rigido come se non avesse mai imparato a muoversi. La vicinanza di Francis lo agitò almeno quanto il sorriso sornione che si era dipinto sulle labbra, profumava di vino rosso e chissà quale altra schifezza delle sue parti capace di stordire chiunque. La mano risalì la gamba sino all’interno coscia, l’inglese si agitò ma servì a ben poca cosa. Quel dannato era così incapace di capire!
<< Non bere troppo mentre sono via… >> qualcosa nel suo stomaco si dimenò.
Cercò di schiarirsi la voce, aveva ancora il petto che avvampava per il whisky appena bevuto, ignorando volutamente quella maledetta mano che continuava ad accarezzarlo lasciva come se fosse fatta solo per quello. Fissò il viso di Francis dispiegarsi in un sorriso apprensivo, innocente, di quei sorrisi che non erano mai presenti sul suo volto e che in quelle rare occasioni, decideva di tirare fuori solo per il gusto di spiazzare Arthur.
<< Via? >> domandò con difficoltà.
Il francese si allontanò appena, la mano sfiorò lieve il viso dell’inglese. Percepì le gote arrossarsi e ne ebbe la conferma quando Francis soffiò divertito staccandosi da lui, scivolò lento sul divanetto, il bicchiere di vino rosso ormai vuoto. Indossò giacca e cravatta tolta quando si erano accomodati, l’annodò con perizia mentre Feliciano bofonchiava suppliche perché restasse con loro ancora un po’.
<< Il fratellone Francia ha un appuntamento, pardon! Au revoir! >> salutò sorridente.
Arthur lo osservò in silenzio dirigersi verso il bancone del pub con quella sua stupida camminata, Emily sbucò dal retro sorridente con indosso un cappotto di tweed e solo allora l’inglese capì. Ebbe la tentazione di alzarsi e andare a prenderlo a pugni, urlargli quanto fosse una dannata, stupidissima rana francese, ma non lo fece. Rimase seduto a stringere il bicchiere vuoto di whisky, mentre quei due uscivano ciarlando dalla porta del pub come se fosse normale parlarsi tra sconosciuti e sparivano fra le strade della sua città, tra il vociare delle Nazioni sedute al tavolo con lui. La porta di legno e vetro del Grey Hound si richiuse con un cigolio, aria gelida riempì l’interno spazzando via parte del fumo di sigarette.
Tornò a poggiare lo sguardo sul bicchierino vuoto. Sentì il bisogno pressante di scolarsi quella bottiglia accanto al suo braccio, di scolarsene un’altra e un’altra ancora, di svuotare l’intero pub di tutti gli alcolici tenuti sulle mensole. Kiku lì accanto lo fissò, un’espressione di rammarico si dipinse sui suoi lineamenti leggeri quando Arthur si tirò su di colpo dal divanetto e marciò a passo di carica verso il bancone. La voce sorpresa di Alfred lo richiamò indietro, ma fu come se non l’avesse mai sentita, come se non gli fosse mai importato. L’unica cosa cui riusciva a pensare in quell’istante era l’ennesima beffa che Francis gli aveva rifilato in secoli di conoscenza, il tono apprensivo con cui gli aveva raccomandato di non bere, il sorrisino sornione e falsamente sorpreso che aveva rivolto alla ragazza aprendo galante la porta. Si lanciò sul primo sgabello vuoto al bancone, il proprietario dalla parte opposta lo salutò con garbo servendogli da bere.
Gettò giù l’intero brandy con ghiaccio senza batter ciglio, la gola prese fuoco, il petto gli s’infiammò un'altra volta mentre poggiava malamente il bicchiere, un rivolo gli colò giù dalle labbra.
<< A date?! Fuck off stupid frog… >> ringhiò a denti stretti.




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Note dell’autrice:
Per quanto riguarda i luoghi, ho provveduto a ripescarli dalle mie svariate visite londinesi e confermo l’esistenza di ogni curva, alberello o panchina su cui battere la testa – non ve lo consiglio in ogni caso -. Tralasciando questi piccoli appunti, passo alle traduzioni senza dubbio più utili alla comprensione della trama, qualora vogliate comprenderla o abbiate avuto il coraggio di perdurare sino a qui sotto:
- “Rouge oui et un bisou!”: Rosso sì e un bacio !
- “A date?! Fuck off stupid frog!”: Un appuntamento?! Vaffanculo stupida rana!
Fatte queste piccole considerazioni, vi ringrazio per avermi dedicato dieci minuti del vostro tempo, per averli dedicati ad una FrUk che ha tanto bisogno di essere amata. Qualsiasi commento, sputo, bottiglia vuota lanciata addosso vogliate lasciarmi, la Francia Britannica vi ringrazia *-*.
Al prossimo capitolo, se vorrete...
Belarus.

  
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