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Autore: Laylath    07/07/2013    4 recensioni
Sedendosi ad osservare i suoi compagni, Black Hayate rifletté, per la centesima volta, su quanto potevano essere strani gli umani.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Guardare la pioggia che cadeva fuori dalla finestra lo faceva sempre sentire malinconico. I suoi ricordi non potevano far a meno di tornare a quella giornata fredda e piovosa in cui era stato separato da sua madre e dai suoi fratelli ed era finito in quel posto buio e maleodorante, dove aveva creduto di morire.
Scrollando la testa con impazienza decise di allontanare quei tristi pensieri e girò le spalle alla finestra in modo che la sua attenzione si potesse rivolgere all’ufficio del suo branco.
Sedendosi ad osservare i suoi compagni, Black Hayate rifletté, per la centesima volta, su quanto potevano essere strani gli umani. Per riconoscersi come parte dello stesso branco indossavano tutti la medesima seconda pelliccia blu (a quanto sembrava non avevano un pelo sufficiente a sopportare il clima: sembrava che l'unica pelliccia si concentrasse sulla loro testa) ed ogni giorno volgevano la propria attenzione su strane cose bianche dove muovevano una specie di bastoncino che lasciava dei segni.
Ora, era anche vero che non avevano bisogno di procacciarsi cibo tramite la caccia, ma Black Hayate proprio non capiva perché stessero ore e ore seduti invece che giocare per esercitare i muscoli ed i sensi. A volte capitava che andassero a caccia, anche se non era finalizzata al mangiare: era più che altro uno scontro con membri di qualche branco differente. Erano quelli i momenti che lui preferiva perché gli capitava di essere coinvolto nell’azione: a quanto pareva gli esseri umani non avevano i suoi sensi affinati e, con suo grande orgoglio, spesso facevano ricorso al suo fiuto per rintracciare il nemico.
In quei momenti sentiva l’adrenalina alle stelle e l’entusiasmo in ogni fibra del suo corpo… peccato che quel giorno non ci fosse alcuna missione di quel tipo, ma solo inutile lavoro da umani. E dunque a lui, dato che la pioggia gli impediva di stare fuori, non restava che fare il bravo in un angolino dell’ufficio dove non era d’intralcio a nessuno.
Rotolandosi nel pavimento verde chiaro si trovò a pancia all’aria e, con quella visione sottosopra, fissò i membri del suo branco con un misto di affetto e curiosità.
Era più di un anno che li conosceva e aveva imparato bene le loro caratteristiche, anche se certe volte i loro bizzarri modi di fare lo lasciavano confuso.
“Colonnello, ha finito di redigere il rapporto che hanno richiesto dal reparto investigativo?”
“Ah… quello? Se devo essere sincero non l’ho nemmeno iniziato. Abbiamo delle scadenze?”
“Entro oggi…”
“Che? Ma non era entro la settimana!? Dannazione!”
Girandosi verso la direzione di quelle voci, Black Hayate analizzò quello che effettivamente considerava il rapporto più strano del suo branco: c’era qualche incertezza su chi fosse l’effettivo capo. Lui non aveva nessun dubbio che il suo personalissimo capo branco fosse la femmina bionda che lo teneva con se, nella propria grande cuccia. E lei le caratteristiche del comando le aveva tutte: si era presa cura di lui e gli aveva insegnato le regole del bizzarro mondo degli umani… certo a volte tendeva a esagerare, specie con quella cosa rumorosissima che lanciava palline infuocate che, di certo, potevano fare veramente male. Non che avesse mai avuto intenzione di colpirlo, di questo ne era sicuro, ma era paralizzante lo sguardo minaccioso che quegli occhi castani, in genere gentili, gli rivolgevano quando era arrabbiata. E lo stesso tipo di disciplina era rivolta anche a tutti gli altri componenti del branco.
Però a quanto sembrava, il capo branco della squadra dalla pelliccia blu non era lei, ma quello che tutti chiamavano Colonnello o Signore. Black Hayate lo trovava simpatico, senza ombra di dubbio, ma a volte si chiedeva come un capo potesse essere così… pigro. Spesso pensava che, in fondo, Colonnello avesse qualche pizzico di filosofia animale in se, in quanto considerava inutile e noioso il lavoro su quei tavoli. Forse avrebbe preferito anche lui andare in cortile e giocare… o forse avrebbe preferito fare altro, chissà. Qualche volta quando non aveva proprio voglia di lavorare, Colonnello rivolgeva le sue attenzioni anche a lui: poteva essere affettuoso (diceva molte volte che lui amava i cani… e Black Hayate non poteva dimenticare che il suo primo approccio con quest’uomo non era stato molto incoraggiante dato che l’aveva scrollato, e lui era ancora un cucciolo, andando a dire che un cane era il servo perfetto), oppure semplicemente annoiato ed in cerca di qualche diversivo.
Però Black Hayate riconosceva che quando si trattava di andare a caccia, sembrava che tutti i suoi sensi si risvegliassero e allora dimostrava le doti di un vero leader. Anche se non era molto attivo rispetto ad altri membri del branco, si capiva benissimo che era lui a dirigere il resto della squadra.
Erano Colonnello e la sua padrona, Tenente o Signora, a comandare il resto degli umani in blu.
Per quanto avesse un rapporto privilegiato con la femmina, Black Hayate sapeva che come ruolo lui era più vicino al resto dei maschi del gruppo.
Pure loro erano assai strani…
Con uno aveva notevoli difficoltà d’interazione, da sempre. Eppure non gli aveva fatto nulla di male. Era l’uomo grasso con il pelo in testa fulvo: si vedeva che aveva un debole per il cibo, ma spesso e volentieri era quella tipologia di alimenti che Black Hayate trovava rivoltante in quanto troppo dolce. Come faceva? Era risaputo che i cibi dolci fanno male allo stomaco… eppure lui ne mangiava enormi quantità senza problemi. Però non mancavano le volte in cui aveva cibo buono: delizioso odore di sottili strisce di carne in mezzo a quello che gli uomini chiamavano pane. Ah, già, si diceva panino. Più di una volta Black Hayate aveva cercato di avvicinarsi a Sottotenente, o Breda, per chiedergli un po’ di quel prelibato pasto: lui avrebbe diviso il cibo della sua ciotola senza nessun problema. Ma ogni volta questi si era spaventato tantissimo e si era allontanato da lui, gridando di stargli lontano. Sulle prime c’era rimasto molto male… proprio non capiva cosa potesse aver fatto a quell’uomo che, con il resto del branco, andava molto d’accordo. Poi si era accorto che non era proprio odio quello che provava nei suoi confronti, ma paura. Eppure era decisamente più grande di lui: che motivo aveva di temerlo? In ogni caso, dopo qualche tempo di falliti tentativi di amicizia (come quando gli aveva portato un osso vicino alla sua scrivania… dato che gli piaceva così tanto il cibo. Però non era sembrato che lui avesse gradito molto), si era arrivati a una sorta d’equilibrio: bastava tenere una determinata distanza, almeno due metri, e tutto filava liscio. Probabilmente era il miglior risultato che si poteva raggiungere: a dimostrazione c’era il fatto che ogni tanto Sottotenente gli dava qualche pezzo di panino, ovviamente lanciandoglielo da lontano.
“Ehi Havoc! – disse proprio il soggetto della sua analisi – Non ci hai ancora detto come è andato l’appuntamento di ieri”
“Finiscila, lo sai benissimo come è andata!” rispose irato il biondo
Quello che chiamavano Havoc o Sottotenente, (stesso nome di quello fulvo... ma non si confondevano?) era di certo il membro più chiassoso del branco. Per quanto in genere fossero i cuccioli quelli più esagitati, lui invece, pur essendo adulto, non riusciva a comportarsi come tale… non sempre almeno. Faceva scherzi, rumore e si metteva in bocca una strana cosa che emanava un odore intenso e dolciastro che a stargli vicino dava davvero fastidio.  Inoltre, era molto probabile che quell’umano fosse anche un cannibale perché a volte tirava fuori la storia di volerlo cucinare in padella. Se ben ricordava, quando era appena arrivato tra di loro, aveva rischiato di finire assieme a lui, invece che col tenente. Ora, forse si trattava di uno dei suoi tanti scherzi, del resto li faceva a tutti, ma minacciare di mangiare un membro del proprio branco non è certo bello… Un’altra sua caratteristica era la perenne ricerca di femmine, ma sembrava che non fosse molto fortunato in merito. Black Hayate, dopo averci riflettuto, era arrivato alla conclusione che era l’atteggiamento a fregare quell’umano. Si sa che le femmine, per riprodursi, vogliono non solo che il maschio sia forte, ma che sia anche maturo per occuparsi dei cuccioli… e lui di maturità non è che ne dimostrava molta.
Forse dei quattro il più maturo era quello grande con il pelo bicolore, bianco e nero come il suo. Però non era imparentato con lui, di questo ne era certo. A quell’umano piaceva molto la cosa bianca che spesso annoiava gli altri: passava giornate intere chino su di essa. Sembrava che riuscisse a capire molte cose guardandola, proprio come lui avrebbe capito molte cose guardando un albero dove un altro cane ha grattato o un posto dove qualcuno è stato lasciando, inevitabilmente, delle tracce. Spesso gli altri gli chiedevano delle cose e lui rispondeva sempre… era una sorta di saggio del branco, colui che detiene la memoria del gruppo. E in effetti a quel ruolo si adattava bene il suo carattere silenzioso e riservato. Ma anche se era quieto non mancava di essere gentile con tutti, anche con lui. L’unica volta che era entrato in contrasto con quell’umano era stato quando aveva voluto capire cosa ci fosse di così interessante in quelle cose bianche: approfittando della sua temporanea assenza era balzato sopra la sua scrivania e aveva annusato, leccato e morso quella strana cosa… ma niente di niente: la saggezza non era arrivata. Però Falman, o Maresciallo, non era stato molto felice di questo suo esperimento. Si vede che erano cose segrete, riservate solo ai veri iniziati… oh beh, del resto lui preferiva l’azione: che i segreti della carta li tenesse Maresciallo.
“Sei pensieroso, amico? – disse una voce riportandolo alla realtà – Sei da diverso tempo a pancia all’aria a fissare l’ufficio. Giornata noiosa quando non si può uscire a giocare, vero?”
Chiudendo gli occhi con soddisfazione, mentre quelle mani gentili gli accarezzavano il pelo bianco della pancia, Black Hayate non poté fare a meno di tornare di nuovo a quel lontano giorno freddo e piovoso e a quell’umano così buono che l’aveva raccolto dalla strada. L’aveva messo dentro il proprio secondo pelo blu, fornendogli calore e l’aveva portato via da quel brutto posto. La sua voce era sempre gentile ed era il suo compagno di giochi preferito. A volte, specie agli inizi, Black Hayate si era chiesto come mai non era lui il suo padrone, ma forse dipendeva dal fatto che Fury, o Sergente Maggiore, non era ancora del tutto adulto: era molto piccolo rispetto agli altri umani. Che fosse ancora in parte cucciolo lo si capiva anche dai suoi giochi: spesso gli altri gli concedevano di gingillarsi con degli strani fili colorati legati a delle scatole scure con tante cose attaccate. Si vedeva che ci si divertiva un mondo, ma non giocava nel modo in cui l’avrebbe fatto Black Hayate… lui avrebbe gettato a terra tutto e tirato quei bei fili colorati con i denti. Ma sembrava che quel gioco fosse solo per le zampe anteriori e per le orecchie (ci si doveva mettere una strana cosa in testa), forse serviva a sviluppare determinati sensi.
“Accidenti come stai diventando pesante, Hayate! – esclamò Fury prendendolo in braccio – Non mi pare vero che quando ti ho incontrato ti potevo infilare dentro la mia giacca!”
Black Hayate gli leccò il viso con gioia (era l’unico umano che non si lamentasse mai di quella dimostrazione d’affetto, anche se, stranamente, non la ricambiava) e si fermò a mordicchiare quella strana cosa nera che portava sul muso… si chiamavano occhiali ed era il solo a portarli. Forse erano come il suo collare, servivano a identificarlo come membro del gruppo… magari quando sarebbe cresciuto li avrebbe levati, ad indicare il suo passaggio all’età adulta.
“Sergente, hai finito di lavorare?” chiese il tenente
“Sissignora, - rispose Fury docilmente, mentre si sedeva a terra tenendo Black Hayate tra le braccia – ho fatto tutto il lavoro richiesto. Posso restare dieci minuti a giocare con lui? Per favore!”
“Dieci minuti, concesso”
“Posso andare pure io?”
“Colonnello, lei pensi a quel rapporto!”
Crogiolandosi sotto le carezze del suo amico umano, Black Hayate non poté far a meno di pensare per la milionesima volta che il suo branco era davvero strano. Ma era anche vero che l’avevano accolto e protetto quando era solo e abbandonato. Si sentiva pienamente parte del gruppo e sapeva di svolgere un ruolo fondamentale, come tutti del resto.
E poi c’era una cosa che lo colpiva moltissimo: erano estremamente fedeli l’uno con l’altro. Era una caratteristica che raramente gli umani avevano così sviluppata, ma evidentemente loro erano un’eccezione. Forse era per questo che ogni tanto sentiva la frase “cane dell’esercito”… non capiva bene cosa volesse dire, ma la parola cane, ossia uno della sua razza, era rivolta ai militari. Doveva essere di certo un titolo di cui andare molto fieri, probabilmente si riferiva proprio a questo grande senso di fedeltà.
Non c’erano dubbi: era davvero fortunato ad essere anche lui un cane dell’esercito.
  
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