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Autore: savethebiscuits    07/07/2013    2 recensioni
Il suo ricordo era già profondamente inciso nel suo cuore e anche qualora fosse sparito, come le rune che sbiadivano col tempo lasciando dietro di loro nient'altro che piccole cicatrici bianche, avrebbe lasciato un segno indelebile nella vita di tutti i giorni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izzy Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Isabelle era seduta nel vano della finestra, la pelle chiara era illuminata dalla luna e una leggera brezza le soffiava fra i capelli; lo sguardo spento, volto a guardare un punto lontano oltre l'orizzonte.
Il sorriso che di solito illuminava il suo viso era stato sostituito da una maschera di tristezza e sulle guance si potevano ancora scorgere i segni lasciati dalle lacrime.
Qualche ora prima, quando si era rifugiata nella sua stanza, le era sembrata un'ottima idea ma poco dopo il silenzio che la circondava non aveva fatto altro che aumentare il senso di nausea ed orrore che la opprimeva.
Si era ritrovata a pensare alla sua vita da cacciatrice, un vita fatta di sforzi e sofferenze; le avevano insegnato a combattere e a dominare i sentimenti così come dominava le armi.
Ripensò alla gioia che provò quando ricevette la sua prima runa e alla feroce paura che si impossesò di lei quando, per la prima volta, affrontò un demone.
Ricordò i momenti felici trascorsi con la sua famiglia, l'arrivo di Jace e la nascita del piccolo Max; mai come allora fu sicura di volere quella vita.
Ripensò alle giornate felici trascorse a leggere insieme i manga che lui tanto amava e a parlare del loro futuro da cacciatori come se fosse un gioco; ricordò tutte le volte che, stringendolo fra le braccia, l'aveva fatto addormentare con una dolce ninna nanna per poi passare ore e ore a guardare il suo viso addormentato.
Proprio come allora, quel pomeriggio, quando lo aveva trovato steso a terra inerme, aveva stretto a sé il suo esile corpo privo di vita incapace di fare altro.
Più volte lo aveva invitato a svegliarsi accarezzandogli delicatamente i capelli, voleva vedere ancora una volta i suoi occhi, così luminosi da ricordarle il sole in piena estate; voleva risentire almeno un ultima volta le sue risate cristalline che le infondevano coraggio anche nei momenti più bui.
Ne era certa, non lo avrebbe mai dimenticato.
Il suo ricordo era già profondamente inciso nel suo cuore e anche qualora fosse sparito, come le rune che sbiadivano col tempo lasciando dietro di loro nient'altro che piccole cicatrici bianche, avrebbe lasciato un segno indelebile nella vita di tutti i giorni.

 

Questi erano i pensieri che le affollavano la testa quando una voce familiare la richiamò:
"Isabelle! Isabelle, fammi entrare."
Era Simon, probabilmente lì per consolarla.
Si avvicinò silenziosa alla porta e lo fece entrare, un po' di distrazione non le avrebbe certo fatto male.

 

 

 

Isabelle si sedette sul letto osservandolo, era uno sguardo spento e carico di rabbia e nonostante ciò, Simon non potè fare a meno di notare quanto apparisse indifesa; i capelli neri le ricadevano scompigliati sulle spalle e gli occhi, una volta carichi di mistero, celavano ora un velo di tristezza.
La sua pelle candida era solcata da piccole cicatrici bianche che nella penombra della stanza emanavano dei tenui bagliori, proprio come l'oggetto che rigirava tra le dita.
Simon pensava che i vampiri fossero dannati, incapaci di provare qualsiasi cosa che assomigliasse lontanamente ad un sentimento, invece mai prima d'ora aveva provato un così forte bisogno di abbracciarla e starle vicino ma tutto quello che riuscì a fare fu rivolgerle delle parole di conforto:
"Isabelle, quello che è successo a Max non è stata colpa tua."
A quel punto Isabelle parlò; la sua voce, solitamente squillante, era lontana persa in chissà quali ricordi:
"Questo che ho in mano era l'unico giocattolo che Jace aveva con sé quando arrivò all'istituto; lo portava sempre con sé, ero convinta che se lo fosse fatto lui, ma non voleva mai parlarne.
Poi un giorno vidi Max che lo teneva in mano; Jace, che allora doveva avere circa tredici anni, era diventato troppo grande per giocarci e glielo aveva regalato.
Comunque, stasera quando ho trovato Max, lo teneva in mano come se ci si fosse aggrappato; io avrei dovuto essere là a proteggerlo in modo che si potesse aggrappare a me e non ad uno stupido giocattolo di legno."
Simon le si avvicinò, non azzardò alcun gesto che potesse tranquillizzarla ma parlò di nuovo:
"Isabelle, senti. Eri svenuta, hai rischiato di morire. Non c'era nulla che tu potessi fare"
Per la prima volta, da quando avevano iniziato a parlare, Isabelle alzò il mento e lo guardò dritto in faccia facendogli cenno di avvicinarsi.
Non appena Simon le fu abbastanza vicino lo prese per la camicia e, tirandolo verso di sé, lo fece cadere sul letto tra un mucchio di vestiti; poi mettendogli una mano sul petto e scandendo bene le parole gli disse:
"Sai di cosa ho bisogno ora? Di distrazione."
"Aspetta Isabelle" protestò debolmente Simon. "Pensi davvero che questo possa farti sentire meglio?"
"Fidati" ribattè lei "Mi sento già meglio."

 

  
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