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Autore: Avah    08/07/2013    0 recensioni
Los Angeles, 2000. Una tranquilla famiglia che vive nella grande metropoli americana viene improvvisamente distrutta dal dolore quando un'esplosione porta via con sé una persona fin troppo cara. Le speranze si dissolvono con il passare degli anni, le illusioni sono sempre più frequenti, i miraggi sempre più lontani. Ma sarà veramente così, o c'è sotto qualcosa di più?
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti troverò, da qualche parte

-Ti prego ascoltami!- la donna afferrò il braccio dell’uomo con tutte le sue forze, impedendogli di andarsene.
-Ascoltare le tue storie? No grazie- lui si scrollò dalla sua presa e la guardò dritto negli occhi, con uno sguardo glaciale e infuocato allo stesso tempo -Non ti voglio più vedere, non voglio più sentire parlare di te-.
-Ma…- provò a dire lei, ma l’uomo non le diede tempo per finire la frase.
-Sparisci dalla mia vita, e questa volta per sempre-.
Dette queste parole, i due rimasero a fissarsi negli occhi ancora per qualche secondo, poi, vedendo che lui non demordeva e teneva duro, la donna se ne andò a testa bassa per non far vedere le lacrime che avevano iniziato la loro folle corsa sulle sue guance. Non si allontanò nemmeno di due metri che si fermò, senza nemmeno voltarsi.
-Sai, quando ho scoperto tutto, quando ho capito che ero stata imbrogliata, avevo paura a tornare- iniziò a dire la donna -Avevo paura di quello che mi avresti detto, di come avresti reagito, ma Alex mi aveva assicurato che sarebbe andato tutto nel verso giusto. Ora capisco quanto si sbagliava-.
-Alex?- chiese lui, inarcando un sopracciglio, come se non avesse sentito il resto.
-L’uomo che mi ha salvato dieci anni fa- spiegò -L’uomo che ha fatto in modo che potessi tornare qui, ma credo che sia stato un errore. Sei cambiato, non sei più l’uomo che ho sposato, sei tornato quello duro e insensibile che ho conosciuto all’inizio-.
-Il tempo passa Lindsay, ma forse tu non riesci a capirlo-.
-Lo capisco invece. Quello che non riesco a capire come un errore possa distruggere una personalità. Ma probabilmente, questo non lo saprò mai- detto questo, la donna riprese a camminare e si allontanò.
Solo quando il rumore sordo dei passi della donna che se ne andava si spense, l’uomo decise di entrare in casa; non appena, però, mise mano alla maniglia del cancelletto che chiudeva il giardino si fermò, incapace di oltrepassare quella sottile linea che lo separava dall’edificio bianco di fronte a lui. Appoggiò la fronte al metallo freddo della cancellata e rimase lì, ad occhi chiusi, la mano serrata intorno alla maniglia.
Alla fine si decise e rialzò lo sguardo, leggermente offuscato da un velo di lacrime che si costrinse a eliminare all’istante, riprendendo la sua solita espressione dura e impenetrabile. No, non se la sentiva di andare a casa e ritrovare negli occhi dei figli lo stesso sguardo che aveva appena allontanato per sempre da sé.
Ricacciando le mani in tasca, fece dietrofront e ritornò sui suoi passi, mentre i suoi sensi stavano perdendo il contatto con la realtà, riavvicinandolo a quei momenti lontani.

-Ti prego, non fare idiozie. Linds... Lindsay!-.
L’uomo lanciò il telefono dall’altra parte dell’auto, senza curarsi se si sarebbe rotto o meno, e premette ancora di più il pedale dell’acceleratore. Lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore e vide, con sollievo, che un’altra auto con sirene e lampeggiante accesi lo stava seguendo.
-Dannazione, non fare stupidaggini- mormorò, stringendo con forza il volante.
Finalmente riuscì a liberarsi dal traffico urbano che fino a quel momento lo aveva in parte rallentato, e in qualche minuto riuscì a scorgere da lontano la collinetta fuori città che stava cercando. Non appena arrivò ai piedi della piccola altura, notò un’altra berlina grigia ferma davanti all’imbocco della stradina sterrata che portava su, in quel momento ostruita da un tronco caduto durante l’ultimo temporale della settimana prima.
L’uomo scese dall’auto in fretta e furia, senza nemmeno chiudere lo sportello, poi si precipitò su per il pendio, seguito dai colleghi che correvano dietro di lui. Erano quasi arrivati alla porta del piccolo capanno in cima alla collina quando si sentì un forte boato, contemporaneo all’esplosione dell’edificio che si sbriciolò sotto una pioggia di vetri.
-Lindsay!- urlò l’uomo, mentre lingue di fuoco s’impossessavano di tutto ciò che era rimasto del capanno.
Senza pensarci nemmeno, iniziò a correre verso quell’inferno di fuoco, e ci si sarebbe buttato in mezzo, se i due colleghi dietro di lui non l’avessero afferrato per le spalle e gettato a terra, in modo da fermarlo.
-David fermati!- gridarono all’unisono -Non c’è più niente da fare-.
I due risollevarono l’uomo che rimase a guardare quell’orrore davanti a sé, sentendosi divorare all’interno dal dolore e dalla disperazione. Si lasciò cadere in ginocchio, strappando con ferocia ciuffi di erba misti a cenere nera, gridando il proprio dolore come un lupo ulula alla luna.

-Ho sentito dire che David non ha voluto l’autopsia sul corpo di Lindsay- disse il tecnico di laboratorio rivolto alla donna che si era presentata da lui qualche minuto prima -E’ vero?-.
-Già- sospirò lei -Non vuole capire che è importante per sapere chi e cosa l’abbiano uccisa davvero-.
L’uomo la guardò di traverso -Madison, sei davvero tu a parlare così?- le disse.
Lei ricambiò con uno sguardo interrogativo -Che intendi dire?-.
-Stai veramente dicendo che sono più importanti le indagini rispetto alla morte della tua migliore amica?-.
-Mark, io voglio solo la verità- rispose lei -E l’unico modo per saperlo è portare avanti le indagini, non c’è nessun altro sistema-.
-Io non ti riconosco- disse l’uomo, scuotendo la testa -Credevo che per te fosse importante…- non riuscì a finire la frase perché la donna lo interruppe.
-Senti Mark, anche io sono sconvolta per quello che è successo, chiaro?- disse lei, alzando il tono di voce -Sì, ho appena perso la mia migliore amica, e non sai quanto ne sono addolorata. Ma ora voglio soltanto le risposte che mi servono per renderle giustizia, come vorrebbe lei. Ti è chiaro il concetto?-.
L’uomo non rispose; abbassò lo sguardo e rimase lì senza dire niente.
-Allora, hai trovato qualcosa di utile?- riprese lei, tornando a usare un tono di voce normale.
-Ehm, no- lui si riscosse e spostò gli occhi sulle buste dei reperti allineate sul tavolo di fronte a lui -Tutto quello che poteva tornarci utile è andato distrutto nell’esplosione-.
-E dalle impronte dentali dei due corpi?-.
-Erano troppo danneggiati per avere un riscontro perfetto- l’uomo le mostrò quello che aveva scoperto -In effetti, abbiamo almeno una mezza dozzina di possibili identità-.


-Madison? Madison stai ascoltando?-.
La donna alzò lo sguardo verso i due colleghi che la stavano fissando -Hai detto qualcosa?- disse, un po’ confusa e ancora sovrappensiero.
-Sei sicura di stare bene?- le chiese il collega, scrutandola attentamente.
-Sì sì, certo- si affrettò a rispondere -Stavo solo pensando ad alcune cose… Voi che stavate dicendo?-.
I due si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi alzarono le spalle -Stavamo solo parlando di quei spacciatori-.
-Ah già- la donna tornò al presente, lasciando in disparte per un momento quei pensieri -C’è qualche novità?-.
-Al momento sembrerebbe di no, niente di nuovo-.
La donna annuì, come se quella notizia non la sfiorasse nemmeno; i due colleghi le lanciarono un’occhiata confusa, poi decisero di lasciar perdere e tornarono entrambi alle loro occupazioni. Di lì a poco la porta di vetro si aprì.
-David, che ci fai qui?- esclamò la donna, vedendo l’uomo entrare.
-Pensavamo fossi andato a casa- intervenne uno dei colleghi -E’ successo qualcosa?- aggiunse poi, notando la sua espressione sconvolta.
-Madison posso parlarti un momento?- l’uomo si rivolse direttamente alla donna, senza dare ascolto alle domande dei colleghi -E’ molto importante-.
-Ok- rispose lei, sconcertata dal suo tono serio, seguendo poi il collega lungo il corridoio deserto -Allora, che è successo?-.
-Lindsay… è tornata-.

  
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