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Autore: AlfiaH    11/07/2013    6 recensioni
Piccola One shot sulla guerra del Vietnam. Non è presente nessuna pairing, molto introspettivo.
I giovani studenti si sono riuniti ancora una volta nel largo cortile della scuola per far sentire le loro voci, per non essere ignorati ancora, per protestare contro la guerra.
Per ribellarsi alla società.
// Questa fic partecipa al contest "E fece... Il gran rifiuto" indetto da darllenwr sul forum di EFP.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vietnam
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Only One Star



«A man does what he must – in spite of personal consequences, in spite of obstacles and dangers and pressures – and that is the basis of all human morality.»

Tre mesi.
Per tre mesi donne, uomini, anziani, soldati, bambini erano stati massacrati, bruciati vivi nei campi, perché le bombe non fanno differenze, non decidono, non sono umane.
Per tre mesi soldati armati avevano sparato su persone innocenti, a sangue freddo, senza esitare, senza paura del giudizio, convinti di essere nel giusto. Nemmeno questo era umano.
Dopotutto la morte, il dolore, la disperazione, la paura, la vita umana, che fosse la sua, quella di un alleato o di un nemico, non avevano più  importanza né erano questioni rilevanti.
 Stava semplicemente compiendo il suo dovere.
Come  eroe, come soldato e cittadino americano, come rappresentante degli Stati Uniti la sua priorità era abbattere il male, in qualunque modo, con qualunque mezzo.
E lui, decisamente, aveva tutta l’intenzione di cancellare la parola “Comunismo” dalla faccia della Terra.
Avrebbe salvato gli infettati, avrebbe concesso loro la possibilità di redimersi.
Avrebbe fatto del mondo un paese democratico e il mondo, d’altra parte, non si sarebbe sicuramente opposto.
Nessuno l’avrebbe mai fatto.
Alfred puntò l’arma contro il nemico, invitandolo silenziosamente ad abbassare la sua.
L’operazione Starlite era appena cominciata.

 


« Quando il dissenso diventa violenza, si trasforma in tragedia »

Alfred varca la soglia della grande cancellata, seguito da più di mille dei suoi uomini.
E’ già il quarto giorno di protesta alla Kent State University, nonostante i raduni siano stati severamente vietati.
I giovani studenti si sono riuniti ancora una volta nel largo cortile della scuola per far sentire le loro voci, per non essere ignorati ancora, per protestare contro la guerra.
Per ribellarsi alla società.
Che sia anarchia, democrazia, comunismo, a loro non importa, perché niente è importante quanto la vita umana e una guerra non può far altro che offenderla e deturparla.
America urla contro di loro, urla contro la sua coscienza, urla contro ciò che non riconosce e non sa, non ricorda, ignora che dentro ognuno di quegli adolescenti c’è una parte della sua anima, l’ombra degli ideali in cui aveva fiducia.
Lacrimogeni vengono lanciati, i soldati sono chiusi in palestra, si gira, spara.
Sgrana gli occhi, pentito, corre a soccorrere i feriti, ma è troppo tardi.
Un adolescente muore, tra le sue braccia, dopo aver combattuto per la causa in cui credeva, per aver combattuto al posto suo.
-          Non è giusto… -
Sussurra, prima di chiudere gli occhi.
Allora Alfred ricorda.
 
 


«  No event in American history is more misunderstood than the Vietnam War. It was misreported then, and it is misremembered now. Rarely have so many people been so wrong about so much. Never have the consequences of their misunderstanding been so tragic. »
 
Vietnam sosteneva il suo sguardo.
Gli occhi corvini socchiusi, le labbra serrate, alcune ciocche scure ad incorniciarle il viso, lo sguardo carico di disprezzo, di voglia di lottare.
Non si sarebbe mai piegata a lui.
Vietnam sosteneva la sua forza.
 A costo di combattere per mille anni, a costo di rinunciare a tutto ciò che aveva di prezioso, alla sua terra, alla sua gente, alla sua vita.
Non si sarebbe mai arresa.
-          Non voglio farti del male… Devi solo permettermi di salvarti! –
-          Salvarmi?! –
America le afferrò un polso, strattonandola.
Che lei volesse o no, l’avrebbe trascinata via perché questo era il suo volere, quello che aveva deciso.
Non era abituato a perdere e non avrebbe perso.
Non contro una potenza di quart’ordine.
-          NON TOCCARMI! –
Ringhiò la vietnamita, colpendolo con forza, ma in cambio venne sbattuta contro il tronco di un albero, con violenza. Sentì le schegge penetrarle nella carne e lasciò che un gemito di dolore le abbandonasse le labbra, spaccate come quelle del nemico.
-          Perché non vuoi?! Sono venuto qui per salvarti! –
-          TU FAI MALE ALLE PERSONE CHE VUOI SALVARE! SEI VENUTO QUI AD AMMAZZARE LA MIA GENTE, BASTARDO! –

America sbarrò gli occhi, boccheggiò, il suo cuore si strinse, cessò di battere, venne colpito ancora.
Con più rabbia, con più forza e finalmente riuscì a vederlo.
L’odio che c’era nei suoi occhi, odio che gli cadde addosso come la cruda realtà.
 
Esitò.
Le sue iridi azzurre si velarono di lacrime, vide Vietnam recuperare la sua arma.
-          I-Io… Non è giusto… -
-          Ridi adesso, America. –
Grazie a quello stesso odio, lei sparò.

 


« Peace need not be impracticable, and war need not be inevitable. By defining our goal more clearly, by making it seem more manageable and less remote, we can help all peoples to see it, to draw hope from it, and to move irresistibly toward it. »
 
America sospira, guarda fuori; nevica.
Vietnam evita di guardare nella sua stessa direzione, rimane in silenzio mentre i loro capi firmano il trattato che sancisce la pace.
E’ finita.
E’ finita e l’americano non può fare altro che tentare di riavvicinarsi, di tenderle la mano prima di andare via. Vorrebbe dirle che gli dispiace, che gli dispiace terribilmente ma l’ha già fatto troppe volte. Vorrebbe dirle che ha imparato la lezione, che alla fine è stata lei a salvarlo, ma ha paura. Di peggiorare la situazione, di sembrare patetico. Solo il tempo aggiusterà le cose, probabilmente.
E’ finita e la vietnamita non può fare altro che continuare a disprezzare quella nazione che le ha fatto così male, unicamente per capriccio. Non gli stringe la mano, non vuole farlo. Lo guarda negli occhi e forse un po’ le fa pena, forse col tempo lo perdonerà.
 E’ finita e le nazioni, il mondo, non può fare altro che ammirare quella bandiera rossa e gialla che si innalza dalla sede vietnamita. Quella bandiera da un’unica stella che ora è simbolo di vittoria.
Quell’unica stella testarda e determinata che da sola era appena riuscita a vincerne cinquanta.
 
 
 
 
  
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