Erano
passati tre giorni, e io non l’avevo abbandonata.
Avevano spostato Tess in un altro reparto, e dato che le sue condizioni
erano
migliorate potevamo farle visita. Ma io non l’avevo ancora
vista sveglia.
Arrivai ormai con sicurezza al corridoio del suo reparto, ma mi bloccai
con la
mano sulla maniglia della sua stanza. Faceva sempre male vederla
così. Lei, la
mia forza, il mio punto di riferimento, ridotto a un mucchietto
d’ossa tenuto
in vita fino a poco tempo prima da dei macchinari.
Presi un respiro profondo ed entrai.
L’odore di disinfettante che già aleggiava per il
corridoio si fece più
intenso, pizzicandomi le narici. Mossi cautamente qualche passo per non
disturbarla, nel caso dormisse.
«Chi è?» mi sorprese.
La sua voce non era stanca o malata. Era più che altro addormentata.
«Sono io» risposi contenta di sentirla
così.
Mugolò, accettando la mia presenza. Mi avvicinai al letto e
mi andai a sedere
dal lato della finestra, proiettando un’ombra grigia sulla
sua coperta bianca.
Era avvolta da quel colore, lo aveva tutto intorno a sé,
fluttuando in una
nuvola di candore che si estendeva alle braccia esili, lasciate
scoperte dalla
camicia che indossava, e al viso, che stava perdendo il pallore del
disagio e
della malattia. I capelli biondi sembravano sottili raggi di sole,
così disposti
ordinatamente sul cuscino, e le ciglia chiuse a solleticare le guance
mandavano
lievi bagliori dorati quando incontravano la luce che veniva dalle mie
spalle. Sembrava
così dolce e vulnerabile mentre riposava, quando
in realtà sapevo che da sveglia poteva essere dolce e
vulnerabile quanto poteva
esserlo un caterpillar.
Se gli angeli riposavano di tanto in tanto, secondo me non dovevano
essere
tanto diversi da Tess in quel momento. Sempre che fossero senza ali. E
magari
un po’ sottotono.
Lei, ignara dei miei ragionamenti, continuava a tenere gli occhi
chiusi, ma il
suo respiro non era abbastanza lento e regolare per essere quello di
qualcuno
che dorme.
«Come ti senti?» le chiesi piano, per paura di
disturbarla.
«Per favore almeno tu risparmiami questo teatrino»
biascicò continuando a
tenere gli occhi chiusi.
«Immagino che questo stia per
“bene”» dedussi.
«Immagini bene» confermò lei.
«Però per favore non chiedermi altro che ho la
bocca tutta impastata, non riesco a parlare decentemente»
disse in effetti in
modo strano. Se avesse potuto avrebbe sbuffato, lo so. Un angelo un
po’
impaziente, il mio.
Sorrisi. «Va bene, allora ti racconto io qualcosa»
dissi aiutandola a
sollevarsi un po’.
«Nessuno in tua assenza è venuto a minacciarci,
picchiarci o ucciderci; non
sono andata a scuola; Kevin e Danielle hanno posticipato la festa di
fidanzamento di una settimana in modo che tu possa venire; e ho
imparato che
pranzare con i tramezzini del bar qui sotto è
un’idea pessima, perché sono
terribili» dissi elencando le varie novità sulla
punta delle dita.
«Davvero?» mi chiese sorpresa.
«Sì, fanno una maionese troppo pesante»
dissi disgustata.
«Intendevo la festa di fidanzamento. Davvero
l’hanno posticipata per me?»
mi domandò strascicando un po’
le parole.
«Oh, sì. Ci tenevano che fossimo tutti
presenti» le risposi sorridendo.
«Sarà bello, vedrai» continuai
accarezzandole un braccio con delicatezza.
Lei accennò ad annuire, senza scuotere eccessivamente la
testa.
«Sono delle persone fantastiche, ti accoglieranno come hanno
fatto con me» le
dissi non tanto per rassicurarla, ma perché ero certa che
sarebbe stato così.
In quel momento bussarono alla porta.
«Si può?» chiese Joe.
Tess si risvegliò improvvisamente e scosse la testa.
«Non voglio che mi veda così»
mi bisbigliò, affrettandosi ad
allisciare i capelli sulla testa.
«Guarda che ti ha visto in condizioni peggiori. Non ti ha
lasciata un momento
da quando ti ha trovata» le dissi con un sorriso, lasciandola
interdetta.
«Dai!» la incitai sistemandole un ricciolo biondo
dietro l’orecchio. Per tutta
risposta ridusse le labbra a una fessura, e cominciò a
giocherellare con le
dita, come faceva sempre quando era nervosa.
«Okay» si arrese infine.
Joe entrò richiudendosi la porta alle spalle, facendola
cigolare sui cardini.
Aveva una giacca rosso scuro, che posò sulla spalliera della
sedia dove, fino a
pochi istanti prima, ero seduta io.
«Va meglio?» le chiese con dolcezza.
Tess annuì lievemente, come prima, e lo ringraziò
cercando di far assumere alla
sua voce un tono normale.
Improvvisamente mi sentii di troppo, lì ai piedi del letto
mentre loro si
interrogavano sulle rispettive saluti e si sorridevano.
Rimasi ancora qualche secondo a godermi quella ritrovata luce negli
occhi della
mia migliore amica, con il cuore che mi esplodeva di gioia, prima di
esordire
con un: «si è fatto tardi, sarà meglio
che vada».
Aveva parlato qualcuno? Sembrava di no.
Mi schiarii la voce e riprovai. «È tardi,
dovrei…» indicai la porta, ma mi
interruppi, accorgendomi di parlare di nuovo con il vuoto.
No, dai. Forse i fiori sulla cassettiera mi stavano seguendo.
«Okay» sussurrai sorridendo, avviandomi verso
l’uscita.
Mi fermai sullo stipite della porta, riservando loro un’altra
occhiata.
Joe le aveva preso una mano e gliela stava accarezzando dolcemente con
il
pollice, evitando accuratamente di sfiorare il punto in cui
l’ago della flebo
era inserito nella pelle. Mi voltai e uscii, chiudendomi la porta alle
spalle,
lasciandoli soli.
***
TELLER’S POV
Il
Blue Horizons si
trovava nella periferia della città, vicino a un vecchio
deposito di auto
usate. Era quella la veduta della maggior parte delle camere
dell’istituto.
Il palazzo non era dei più nuovi, ed era stato ristrutturato
da poco impiegando
una manodopera piuttosto scadente, così il giallo che ne
rivestiva la facciata
stava già cominciando a creparsi. Tutte le finestre erano
ornate da tendine a
manovella di un bianco ormai sporco, con qualche evidente macchia di
ruggine
sui bordi superiori. Le inferriate erano scure, tutte uguali dal primo
all’ultimo piano, e sembravano non avere serratura, come
fossero sbarre. L’insegna
blu a lettere corsive
troneggiava sull’ingresso, segnalato da una tenda
più grande e dalle porte di
vetro che si aprivano a spinta.
Una signora era appollaiata dietro il bancone della hall, aspettando
inutilmente qualcuno che venisse a fare visita ai pazienti. “Perché qualcuno dovrebbe
voler avere ancora
a che fare con questa marmaglia?” pensava rigirando
le perline verdi della
catenella degli occhiali tra le dita nodose. Passava così le
sue giornate,
nell’eterna attesa di qualcosa che non sarebbe accaduto.
Ma quel giorno il fato, chiamiamolo pure così, decise di
dare una scossa alla
sua routine.
Il campanello attaccato poco sopra la porta d’ingresso
tintinnò poco dopo
mezzogiorno, avvisando l’anziana donna dell’arrivo
di qualcuno.
Un uomo sulla quarantina, con i capelli biondi e un improponibile golf
a rombi
verdi, entrò nella hall e si diresse al bancone.
«Salve, come posso esserle utile?» gli chiese la
signora, sorpresa dall’arrivo
di qualcuno.
«Salve, sono venuto per un vostro paziente» rispose
cortesemente l’uomo.
La signora scosse il mouse e lo schermo nero del computer riprese vita.
«Mi dica» disse accomodante.
«Cerco David Switcherson, è stato un vostro
paziente, e per
quanto mi risulta dovrebbe essere ancora
in cura da voi… » disse l’uomo cercando
di sbirciare sul monitor.
La donna si voltò e lo guardò da sopra gli
occhiali.
«Mi scusi, non mi è permesso rilasciare
informazioni private riguardo…»
«Oh, giusto. Sono suo cognato. Non mi meraviglio se non vi ha
mai parlato di
me, penso abbia voluto non scavare troppo a fondo sulla parte
riguardante sua
moglie» la interruppe l’uomo mostrandole un
documento.
«Scusi, sa era solo la prassi» si
giustificò la donna, dando una rapida
occhiata al documento, che l’uomo si affrettò a
far sparire nella tasca interna
della giacca.
«Si figuri» rispose lui con un’alzata di
spalle.
La donna picchiettò sulla tastiera, mentre il ronzio basso
del computer riempiva
l’aria della hall.
«David Switcherson è uscito una settimana fa,
aveva finito la cura» disse
lasciando perdere l’apparecchio e rivolgendosi nuovamente
all’uomo.
Questi sbiancò appena.
«COSA?» disse a voce un
po’ troppo alta.
«Voglio dire… non ha nessun altro a parte me, mi
dispiace che sia uscito da
solo» continuò riprendendosi.
«Oh, non si preoccupi, in molti lo fanno. Dopo tutti questi
anni pensano che
nessuno si ricordi più di loro, così se ne
vanno» disse placidamente la donna.
«E non ha lasciato detto dove sarebbe andato?»
chiese l’uomo preoccupato.
La signora scosse la testa. «Non ha indicato nessuno nella
categoria riservata
ai parenti, così non abbiamo preso ulteriori informazioni.
Però in molti si
sistemano in un piccolo ostello in fondo alla strada. Quelli che hanno
ancora
qualche soldo da parte» disse con un’alzata di
spalle.
«La ringrazio, è stata molto gentile»
disse l’uomo con un sorriso cortese prima
di uscire.
Non appena ebbe portato il suo maglione a quadri fuori
dall’edificio, pescò il
cellulare dalla tasca interna della giacca. Compose un numero e si
limitò ad
aspettare qualche squillo prima che rispondessero dall’altro
capo.
«Sono io» dichiarò.
«Switcherson è uscito, e non si sa dove sia
andato» disse amaramente.
«Mi hanno indicato un posto, sto andando a
controllare» continuò dopo che il
suo interlocutore ebbe detto qualcosa.
«Le assicuro che a breve non sarà più
un problema» disse piegando un angolo
della bocca, con un certo luccichio malvagio negli occhi.
«E poi le porterò la ragazza» promise in
risposta ad alcune parole dette
dall’altro capo del filo.
Concluse la telefonata con un “d’accordo”
e ripose nuovamente il cellulare
nella giacca. Si avviò con passo cadenzato verso una
macchina parcheggiata
nello spiazzo davanti all’istituto, e sì
buttò sul sedile del passeggero. Fece
segno all’uomo che stava alla guida di partire, e
tirò fuori il documento dalla
tasca della giacca.
«Andiamo» disse facendo scattare il cappuccio del
suo accendino siglato. Girò
la rotellina e una piccola fiammella prese vita
nell’abitacolo. La portò
alla’altezza del viso, piegando le braccia in maniera
innaturale. «È giunta
l’ora di mettere la parola “fine” a
questa storia» disse poi in modo sinistro,
avvicinando l’accendino al documento. Non appena questo prese
fuoco lo lasciò
cadere dal finestrino.
A quel punto si allontanò in macchina, lasciando la carta a
contorcersi
straziata sul ciglio del marciapiede, tra erbacce e tombini in rilievo,
condannata a quel piccolo rogo che la consumò fino
all’ultima fibra.
ANGOLO AUTRICE:
Salve, è qualcosa come più di una settimana che è pronto il capitolo, ma litigavo con l'editor e alla fine ho dovuto scaricare NVU. Se ho fatto casotti mi dispiace, ma ci devo prendere la mano u.u
Allora AVETE SENTITO LA NOTIZIAA?!? *-* UN PICCOLO (O UNA PICCOLA) JONAS E' IN ARRIVO! ** akbciqoqenoeunheqo appena leggo qualcosa a riguardo continuo a commuovermi, ormai giro per casa con una scatola di Kleenex attaccata al collo per ogni evenienza, modello San Bernardo c':
E la nuove canzoni!
Non vogliono farci uscire vive da questa settimana, credo sia ufficiale.
Gioite, ho pronti i prossimi tre capitoli! Incredibile ma vero, lo so, ultimamente non sono stata quella che si dice un'autrice modello lasciandovi appese per così tanto tempo e mi dispiace non immaginate quanto.
Cercherò di farmi perdonare con i prossimi capitoli (entro la fine dell'anno, sì) e chissà, MAGARI con qualche colpo di scena.
A VOI che avete aspettato e siete ancora con me, GRAZIE.
Un bacione <3
Miki