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Autore: Annabel_Lee    13/07/2013    4 recensioni
Il Tardis si materializza per la prima volta un anno, due mesi, tredici giorni dopo quella sera. Ha tenuto il conto con una precisione che fa paura.
Lui e Rose sono diventati estranei agli angoli opposti dei binari di un treno. Qualche volta, nei corridoi del Torchwood sente sussurri su di lei, intravede un guizzo di capelli biondi, sente la sua risata. Qualche volta incrocia i suoi occhi marroni, ma lei è veloce ad abbassare lo sguardo. I colleghi li guardano con un misto di pietà e malinconia. Non serve sapere la loro storia per filo e per segno per capire quanto si siano distrutti a vicenda.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 10 (human), Rose Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suono del Tardis si perde per l’ultima volta nell’eco del vento e nel rumore del mare. Il Dottore che non è il Dottore fissa per un’ultima volta l’azzurro spettrale del cielo e poi guarda Rose, e stringe appena la mano nella sua.
Pensa che è stato Dio e Tempesta, ladro, guaritore, salvatore, assassino, e uomo. Pensa che ha visto universi congelare, l’intero vuoto dello spazio prendere fuoco per uno schiocco di dita. Pensa che di tutto quello che ha visto in realtà non c’è niente di reale. Non in quell’universo. Non in quei suoi occhi appena nati che già pretendono di conoscere secoli.
Ha la mente confusa, piena di parole, di emozioni vissute (ma non davvero) e di ricordi che sa di non aver mai realmente assaporato. E’ lo stesso uomo, e allo stesso tempo è tutto nuovo.
Guarda Rose. La guarda e cerca un’ ancora, e pensa che forse, nonostante quell’unico cuore che batte veloce ci sono ancora le stelle nel suo futuro.
Lei ricambia il suo sguardo.
Però lascia la sua mano.
 
 
Da quel giorno alla Baia del Lupo Cattivo passano due mesi. Il Dottore che adesso chiamano John Smith vive insieme alla famiglia Tyler in una casa troppo grande, e guarda la donna che ama fissare la finestra per ore, persa in ricordi che ha anche lui, ma non è lo stesso.
La guarda volare via e sente quell’unico debole e fragile cuore umano che si ritrova spezzarsi, perché lei non ha ancora capito che lui è lo stesso uomo che ha riso e pianto con lei.  Ci sono giorni in cui prova a sfiorarla appena, e lei lo guarda negli occhi e poi fugge via.
Jackie si accosta a lui, gli sfiora un braccio. Dalle tempo, dice. Le passerà, dice, e poi gli sorride, anche se sa che sta mentendo.
E John Smith non sarà il Dottore e il Dottore non sarà John Smith, ma in fondo al suo cuore quell’uomo non è uno stupido.
Rose Sta scivolando via dalle sue dita come cenere al Vento. La perderà pian piano, giorno dopo giorno, perché lei ancora non ha dimenticato e forse, quasi sicuramente, non lo farà mai.
E una sera di Marzo, fredda anche per Londra, decide che non vuole vederla svanire. L’ha già persa una volta e una volta è abbastanza.
Ha deciso chi vuole essere: è il Dottore, e il Dottore ha bisogno di Rose Tyler.
Decide che vuole viaggiare e che riuscirà a farlo. Comincia a pianificare, a calcolare quanto tempo impiegherebbe un nuovo Tardis a crescere. Traccia grafici di improbabilità infinita, borbotta numeri di matematiche ideali. Crea un mondo di numeri dove le sue teorie sono giuste, e fa tutto questo perché ha deciso che porterà ancora Rose a vedere le stelle.
Ed è in una sera di Marzo che con l’unico cuore che galoppa nel petto e le mani affondate nel cappotto tende la mano a lei e le dice che possono ancora correre insieme.
“Ti avevo promesso le Stelle. Possiamo scoprire questo universo insieme. Se ti va.” le dice alla fine, e lei trema nell’indecisione, perché in fondo al cuore, anche se col tempo inizia a voler bene a quell’uomo strano sa che lui non è il Dottore.
Lui non è il suo Dottore.
Per questo piange, e trema. E dice soltanto “No.”
Il Dottore si rende conto di quanto faccia male avere un cuore solo.
 
Il Tardis si materializza per la prima volta un anno, due mesi, tredici giorni dopo quella sera. Ha tenuto il conto con una precisione che fa paura.
 Lui e Rose sono diventati estranei agli angoli opposti dei binari di un treno. Qualche volta, nei corridoi del Torchwood sente sussurri su di lei, intravede un guizzo di capelli biondi, sente la sua risata. Qualche volta incrocia i suoi occhi marroni, ma lei è veloce ad abbassare lo sguardo. I colleghi li guardano con un misto di pietà e malinconia. Non serve sapere la loro storia per filo e per segno per capire quanto si siano distrutti a vicenda.
Il Dottore, mentre per la prima volta guarda la sua creatura, pensa che con Rose sarebbe stato molto più bello.
Il Tardis si presenta per la prima volta come un grosso cilindro metallico. Gli scienziati di tutto il Torchwood fanno a gara per dare un’occhiata ai calcoli che hanno permesso a quella meravigliosa macchina di prendere vita e di diventare reale e concreta, gli altri addetti ai lavori la guardano con un occhio di riverenza e con un uno di diffidenza. Ci sono tutti, quel giorno, tranne lei.
Il Dottore si volta verso la folla che pian piano gli si assiepa intorno.. Fa il migliore dei suoi sorrisi.
“Beh che dire!” dice “E’ stato bello. Ma adesso c’è un intero universo che mi aspetta. Allons-y!”
Lo dice ridendo, certo.
Ma manca lei, e il suo cuore piange.
 
 
Rose lo viene a sapere solo il giorno dopo, quando si aspetta di intravedere la sua figura sottile china sulla scrivania, con la mente persa in chissà quale strana legge della fisica che nessuno sulla terra mai si azzarderà a calcolare, e al suo posto trova una vecchia signora intenta a mettere le sue cose in  uno scatolone.
“Come mai libera questa scrivani? Ci lavora un uomo qui!” dice, un po’ turbata un po’ incuriosita.
La signora prima le fa un sorriso gentile, poi la riconosce e i suoi occhi si fanno triati.
“Oh bambina… Nessuno te lo ha detto?”
Rosa inarca le sopracciglia e si ficca le unghie nei palmi.
“Detto cosa?”
“Il tuo amico…”
Rose la interrompe quasi subito “Non è mio amico.” La corregge subito.
La donna la guarda per un istante con l’aria di chi la sa lunga. “… E’ riuscito a costruire quella sua nave. E’ scomparso sotto questi miei occhi, insieme a quella sua diavoleria. Non è tornato, e tutti danno per certo che non tornerà”
Le posa una mano sulla spalla, con fare materno. Rose rimane immobile, pietrificata.
“Non mi ha neanche detto Addio.”
 
Passano i giorni, le settimane,  i mesi. Rose si sente in colpa e sente la mancanza di quell’uomo che ha scacciato prima ancora di conoscere. Dei suoi sguardi furtivi quando credeva che lei non la vedesse, della sua presenza anche a metri e metri di distanza.
I mesi pian piano perdono i propri giorni. L’estate si veste d’inverno sulla terra, quando il Dottore scopre che in quell’universo esiste un pianeta dove ogni ora un sole tramonta e un altro sorge. Il cielo è viola e le nuvole di un grigio appena più chiaro di quelle albe infinite. Pensa ancora a Rose.
Sono anni. Uno. Due. Tre. Pian piano nella storia ricomincia ad apparire ricorrente un uomo un po’ pazzo con una cabina blu. Rose studia tutte le tracce che lascia. Fra gli antichi miti vichinghi trova un vecchio Dio Solitario chiamato “Soffio del vento”, che cavalca i cieli sul suo vascello blu. Appare, nel bel mezzo del British Museum una statua col suo volto, e in ogni paese cominciano a essere raccontate le storie che parlano dell’uomo che viaggia per i mondi. Storie che parlano del suo coraggio, delle sue vittorie, di quell’amore che si porta nel cuore. Una notte d’estate Pete la fa correre all’osservatorio più vicino. In cielo è apparsa una galassia dove c’è scritto il suo nome.
 
 
Il Dottore torna sulla terra dopo cinque anni. Potrebbe essere passato solo un giorno per lui, ma non vuole imbrogliare, non con lei.
Cinque anni in cui ha visto le sfaccettature così simili e così fantastiche di un universo completamente diverso da quello a cui era abituato. Cinque anni in cui ha scorrazzato in lungo e in largo, in cui ha creato stelle e imparato nuove lingue, e continuato ad amarla.
Cinque anni che sembrano cento, e con stupore ha guardato il suo volto invecchiare, per la prima volta. Le rughe agli angli degli occhi farsi più intricate,  i capelli castani cominciare pian piano a sfoggiara qua e là sottili fili bianchi. Ogni giorno si è chiesto cosa stesse facendo lei, e ogni giorno si è rifiutato una risposta. Ha fatto le cose i grande, perché lo aveva promesso a sé stesso.
E sotto sotto anche a lei.
Si presenta alla sua porta come quella sera di Marzo che ormai sembra un ricordo. Bussa con calma ed è Jackie ad Aprire, con il piccolo Tony attaccato ad una gamba.
La tazza che tiene in mano si frantuma a terra, e il bambino squadra quell’uomo che non può ricordare. Gli sembra buffo, con quel naso un po’ storto e quegli occhi così vecchi.
La donna si porta una mano alla bocca, soffoca un singhiozzo.
“Ti davamo  per morto” dice, e sorride.
“Vorrei parlare con lei Jackie. Se ancora vive qui.”
La donna si riscuote, ed è tutto un “Si certo” e “vai a chiamare Rose, Tony!” e “Diavolo, Dottore, quanto tempo ci hai messo?”
Lo invita ad entrare, ma lui rifiuta. Non vuole che sia lei a farlo.
Mentre aspetta si liscia la cravatta, e si stringe il cappotto addosso. L’inverno Inglese è sempre lo stesso, in quell’universo che per certi versi è l’esatto contrario di quello che l’altro sé ha conosciuto.
E quando la porta socchiusa si riapre e lei lo guarda, il suo cuore per qualche istante si ferma.
Rose Tyler è sempre la stessa. Ha quasi trent’anni ormai, ma i suoi occhi sono vivi e luccicanti, le sue labbra rosee, il suo viso di una splendente e abbagliante bellezza. I capelli Biondi sono molto più lunghi di quanto lui ricordi.
“Rose” sussurra soltanto.
“Dottore” e ancora lui è stupito. È la prima volta che lo chiama così e il suo cuore si stringe.
“E’ passato un bel po’ dall’ultima volta” aggiunge lei, poco dopo.
Lui annuisce. Si sente solo il ringhiare della auto, e il resto è tutto ovattato dalla neve densa di ricordi.
“Già. Ho viaggiato per un bel po’ ” e lo dice con una punta di amarezza.
“Ti ho seguito, in un certo senso. Non ti sei dato tanto da fare per nasconderti” risponde lei, posandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lui la guarda con quel suo sopracciglio alzato. Scoppiano entrambi a ridere dopo pochi secondi.
“Diavolo una statua nel British Museum! Il maledetto British Museum?!” continua a ridere Rose.
“Non è l’unica cosa che ho fatto per farmi notare” aggiunge quando orami le risate si sono esaurite, e lei pensa a quelle stelle che lui ha messo li per lei.
“Perché sei tornato?” gli chiede, ed ha le lacrime agli occhi.
Lui si stringe nelle spalle. “Beh… Ho pensato che tanto valeva riprovare. Ti ho promesso le stelle  Rose. E voglio mostrartele tutte in questa vita”.
Le tende la mano. E questa volta lei la prende.
 
 
Non importa se hanno perso tempo. Se si sono odiati e distrutti e se ogni notte hanno pensato di lasciarsi scomparire. Adesso le loro mani sono unite, e corrono ancora. Il tempo per amarsi e scoprirsi lo recupereranno. Hanno tutta una vita, una meravigliosa, bellissima vita umana davanti e l’intero universo da guardare.
Il Dottore e Rose Tyler.
Come dovrebbe essere.
 

 
 
  
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