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Autore: _Fedra_    13/07/2013    3 recensioni
Cosa succederebbe se i fratelli Pevensie arrivassero a Hogwarts?
Quale ruolo avrebbero nella battaglia contro Voldemort, che ora sembra aver trovato una nuova, terribile alleata?
E chi è il ragazzino dai capelli neri che compare nei sogni di Jane, sorella gemella di Harry Potter, chiedendole disperatamente aiuto?
"Mi chiamo Susan Mallory Pevensie, Corvonero.
I miei poteri si sono sviluppati solo ora, all'alba del mio sedicesimo compleanno.
Odio essere una strega: è stata proprio la magia a portare via mio fratello, sei anni fa.
Ma, ora che nuove sparizioni stanno investendo l'Inghilterra, non mi resta altra scelta: è nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts che si trovano le risposte a ogni mia domanda."
DAL TERZO CAPITOLO:
"Improvvisamente, Jane si fermò. A pochi passi da lei, accovacciato su un muretto, stava un ragazzino dai corti capelli neri, intento a disegnare sul terreno con un dito.
Non appena avvertì la sua presenza, egli si voltò. Aveva due bellissimi occhi scuri, grandi, fieri e penetranti. Il suo sguardo la fece rabbrividire.
Poi Jane si risvegliò nel suo letto, madida di sudore."
PAIRING:
Caspian X Susan
Edmund X Jane
Voldemort X Jadis
...più un personaggio a sorpresa!
Primo capitolo di una serie! :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Edmund Pevensie, Jadis, Lucy Pevensie, Susan Pevensie
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La profezia dell'Erede'
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CAPITOLO 17

Il prigioniero

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jane serrò gli occhi d’istinto, pizzicandosi con foga l’avambraccio.
Sono di nuovo nel mio incubo, cercò di convincersi con tutte le sue forze. Ancora qualche istante e tutto questo sparirà.
Ma, quando riaprì gli occhi, il ragazzo era ancora riverso al centro del pavimento, gli occhi neri sgranati in un’espressione di puro terrore, un rivolo di sangue che gli sgorgava dal labbro inferiore spaccato, scendendogli lungo il mento e il collo.
La luce delle bacchette puntate contro il suo volto lo rendeva ancora più spettrale e cadaverico.
–Ѐ morto? – balbettò la ragazza, senza riuscire a staccare lo sguardo da lui, come ipnotizzata.
–No, ma il polso è debole e brucia di febbre – rispose Caspian, che gli si era inginocchiato accanto. – E ha un braccio rotto – osservò, indicando la strana angolatura che formava la spalla sinistra sotto il maglione.
–Ma chi è? – chiese Peter sospettoso.
–Non lo so – rispose Caspian dubbioso. – Non credo sia una delle vittime scomparse negli ultimi mesi.
–Io…credo di averlo sognato! – intervenne Jane d’istinto.
Si accorse troppo tardi di aver detto una sciocchezza.
Ora tutti gli occhi erano puntati su di lei.
–Oh, Jane! Ti sembra questo il momento di stare a pensare ai sogni? – esclamò a quel punto Susan con stizza.
Era stata l’unica a non entrare nella cella, tenendo il volto di Lucy premuto contro il suo petto per evitare che vedesse quell’orribile spettacolo.
–Gli hanno scagliato contro la Maledizione Cruciatus – disse Neville, pallido come un cencio.
–Chiunque egli sia, la Strega Suprema deve avercela particolarmente con lui – osservò Caspian. – E non credo sia un prigioniero come tutti gli altri. Guardate questa stanza, così ampia e arredata come la camera di un aristocratico.
–Non mi piace – gemette Susan alle loro spalle. – Andiamo via, per favore!
–E lasciarlo qui? –esclamò Jane, perdendo il controllo ancora una volta.
–Non abbiamo idea di chi sia, al di fuori dei tuoi incubi! – esclamò l’altra con decisione. – Che ne sappiamo di chi è? Potrebbe essere una trappola!
–I nemici di Voldemort sono nostri amici. E, se questo ragazzo è stato rinchiuso qui sotto, arrivando addirittura a subire delle torture così atroci, un motivo ci sarà, no?
–Jane ha ragione – intervenne Peter. – La cosa migliore è portarlo con noi e fare in modo che si riprenda. In fondo, chi meglio di lui può dirci perché mai si trova qui?
–Concordo pienamente – disse Caspian.
–Sbrighiamoci, però – intervenne Neville. – Voi-Sapete-Chi potrebbe arrivare da un momento all’altro!
L’esortazione del ragazzo ebbe l’effetto di una scarica elettrica.
Con un gesto repentino quanto delicato, Caspian sollevò il prigioniero tra le braccia e intimò agli altri di aprire la strada verso le scale.
In un attimo, furono tutti nel corridoio, il fiato corto per la paura, terrorizzati alla sola idea di veder sbucare fuori Voldemort da un momento all’altro.
Attraversarono le stanze buie della villa come in un sogno, gettandosi in una folle corsa lungo i viali ghiaiosi del parco, fino a oltrepassare il colossale cancello in ferro battuto.
Presto, si trovarono a correre nell’erba alta al disotto dell’immensità del cielo stellato, il silenzio rotto solo dal frinire dei grilli. I cavalli alati erano ancora lì, aspettando pazientemente i loro cavalieri.
A essi si era aggiunto un terzo palomino di Beauxbatons, evidentemente usato da Caspian per raggiungerli.
–Montate su, svelti! – intimò il giovane, balzando agilmente sulla sua cavalcatura.
Gli altri lo imitarono all’istante.
Un attimo dopo, i quattro pegasi si erano lanciati al galoppo nelle campagne, spiccando il volo con pochi potenti colpi d’ala.
Jane non ricordò mai quanto durò la traversata.
Vedeva scorrere il mondo sotto di lei, una grande macchia scura piena di luci incandescenti che la stordivano.
Solo quando capì di essere finalmente fuori pericolo, la ragazza si rese conto di quando fosse stremata.
Le ossa le dolevano e avvertiva le palpebre farsi sempre più pesanti, minacciando di chiudersi da un momento all’altro.
Avrebbe rischiato di cadere da cavallo, mettendo a serio rischio le vite di Susan e Lucy, strette attorno a lei.
No, doveva resistere, a qualsiasi costo.
Di tanto in tanto, i suoi occhi verdi cadevano su Caspian, che volava in formazione a pochi metri da lei, e sul misterioso ragazzo che stringeva tra le braccia.
Per quanto si sforzasse, non riusciva ad allontanare lo sguardo da lui.
Era come se fosse vittima di un sortilegio.
Improvvisamente, le luci delle città si fecero sempre più rade, fino a lasciare posto completamente all’oscurità delle foreste e delle montagne.
Fu quando Jane intravide finalmente i pinnacoli di Hogwarts che si specchiavano sul lago che venne riportata bruscamente alla realtà. Il Torneo Tremaghi.
Il Mangiamorte tra le mura del castello.
Harry.
Un attimo dopo, i pegasi planarono sull’immenso labirinto che occupava il campo da Quiddich, sfiorando le siepi più alte con gli zoccoli.
Alla fine, apparvero le prime tribune, illuminate dalle luci rossastre delle fiaccole.
La terza prova doveva essere finita da pochi minuti: la gente era scesa dagli spalti e si era riversata sull’erba di fronte all’entrata del labirinto.
Jane capì all’istante che qualcosa non andava.
C’era troppo silenzio per essere la fine di un evento come il Torneo Tremaghi.
Un capannello di persone sempre più numeroso si stava stringendo attorno a un unico punto, dove sembrava esserci qualcosa steso a terra.
Un solo pensiero colpì la mente della ragazza.
–No!
Con un potente strattone delle redini, Jane costrinse Ulisse a gettarsi in picchiata, atterrando bruscamente sul terreno erboso.
Susan e Lucy lanciarono un grido di paura, aggrappandosi spasmodicamente a lei. La ragazza non attese neanche che il fedele pegaso si fosse completamente arrestato: con un balzo si gettò dalla sella, slanciandosi in una folle corsa verso i suoi compagni che la fissavano attoniti, quasi si trovassero di fronte a un fantasma.
Un attimo dopo, due braccia forti le cinsero le spalle, stringendola a sé in un caloroso abbraccio.
Jane levò gli occhi stanchi, trovandosi a fissare le iridi celesti e rassicuranti di suo fratello Dennis solcate dalle ciocche dei suoi capelli biondi e ribelli.
Subito, due alte figure li raggiunsero di corsa.
Erano Albert e Wendy, coloro che per anni aveva considerato i suoi veri genitori, seguiti a ruota da Cecilia, la sorellina più piccola.
–JANE! – gridarono circondandola con le braccia.
Wendy aveva il volto rigato dalle lacrime.
–Tesoro! Oh, grazie al cielo sei viva! – esclamò Albert, più pallido che mai.
–Mamma! Papà! – si lasciò sfuggire lei con un filo di voce.
Il solo fatto che loro fossero lì con lei in un momento del genere la faceva sentire di nuovo a casa, al sicuro tra le colline della campagna inglese, lontani dal caos di Londra dove il papà lavorava in ospedale.
–Siamo venuti appena possibile! – disse Dennis. – Pensavamo di fare il tifo per Harry e invece…
–Harry? Dov’è Harry?
–Non riusciamo a spiegarci quello che è successo – rispose Albert in tono serio. – Sembrava che stesse filando tutto liscio, quando improvvisamente Harry si è materializzato all’ingresso del labirinto, tenendo stretto il cadavere dell’altro ragazzo della vostra scuola.
–Cosa? – fu a quel punto che Jane si rese conto che la cosa attorno alla quale si affannavano tutti era proprio Cedric.
Distinse nettamente Amos Diggory dimenarsi in preda al dolore, trattenuto a stento dalla moglie e dal padre di Ron.
Cho Chang era a pochi metri da loro, il volto rigato dalle lacrime e lo sguardo fisso nel vuoto, instupidita dall’orrore che aveva appena travolto la sua vita.
–E Harry? – incalzò. – DOV’Ѐ HARRY?
–Un attimo fa era qui. Poi è andato via con uno dei vostri professori, quello con un occhio finto…
–CHE COSA?
Albert non aveva nemmeno finito la frase che Jane si era già lanciata a rotta di collo verso l’uscita del campo, urtando con violenza la madre di Susan e quello che avrebbe dovuto essere Charlie, prendendo a correre più forte che le sue gambe esili le consentivano alla volta del castello, che in quel momento le sembrava più lontano che mai.
Tante volte il sospetto l’aveva tormentata e altrettante volte il buonismo degli altri l’aveva costretta a sotterrare quell’orribile sensazione che l’assaliva ogni volta che il professore faceva ingresso in aula.
Ma ora non poteva più negarlo: per quanto assurdo potesse sembrare, era Malocchio Moody il Mangiamorte infiltrato a Hogwarts.
Forse, se avesse avuto buonsenso, la ragazza non si sarebbe avventurata da sola alla volta del castello, ma avrebbe cercato perlomeno l’appoggio di Silente o della McGranitt.
Ma, in quel momento, Jane non pensava. Una furia cieca mista a terrore si era impadronita di lei, accecandola completamente.
L’unica cosa che contava era riavere suo fratello tutto intero, a qualunque costo.
Dopo minuti che le parvero ore, la ragazza prese ad arrampicarsi sulla rampa di scale d’ingresso, poi un’altra e un’altra ancora, fino a giungere di fronte alla porta dell’ufficio di Moody.
–FERMO! – gridò piombando all’interno come una furia, la bacchetta levata.
Il professore troneggiava al centro della stanza, mentre Harry stava rannicchiato contro una parete, cercando di proteggersi con un debole gesto della mano.
Era completamente ricoperto di sangue e fango.
Aveva la manica della maglietta recisa lungo tutto l’avambraccio, mostrando una ferita orribile.
Quello che accadde negli attimi successivi fu di una rapidità estrema.
Moody scattò in avanti con inaspettata agilità, afferrando Jane per la gola e immobilizzandola contro il muro.
La ragazza provò a urlare e a divincolarsi, ma la presa era troppo forte.
Quasi svenne dalla paura quando il professore estrasse un corto pugnale d’argento, levandolo in alto sopra la sua testa.
Jane urlò di nuovo, serrando gli occhi, in attesa del colpo mortale, ma quello non venne.
Ci fu invece una tremenda esplosione.
Lo spostamento d’aria gettò la ragazza a terra.
Un attimo dopo, Silente, la McGranitt, Piton e Caspian fecero irruzione nella stanza, le bacchette levate.
Caspian fu il più veloce, balzando addosso a Moody e disarmandolo con un calcio, poi gli sferrò un pugno in pieno viso, mandandolo lungo disteso sul pavimento di pietra.
Aiutato da Piton, il giovane sollevò il Mangiamorte di peso, legandolo a una sedia con delle corde apparse nel nulla.
–Il Veritaserum, Severus – ordinò Silente con calma.
I suoi occhi di ghiaccio emanavano lampi da dietro gli occhiali a mezzaluna.
Jane strisciò accanto a suo fratello, stringendosi a lui.
Harry l’attrasse a sé, facendole appoggiare debolmente il capo nell’incavo della sua spalla.
Caspian era balzato di fronte ai due gemelli, facendo loro da scudo.
Nel frattempo, Silente aveva afferrato Moody per il bavero.
–Sei Alastor Moody? – chiese scuotendolo con malgarbo. – Lo sei?
 –N-no! – sputacchiò lui.
–Ѐ in questa stanza?
–Sì – rispose Moody alludendo con la brutta testa al baule nascosto in fondo alla stanza.
Piton levò la bacchetta e sbloccò le numerose serrature.
L’interno non presentava un comune fondale di legno, ma un pozzo profondissimo, dentro il quale, privo della gamba e dell’occhio magico e con parecchie ciocche di capelli in meno, stava il vero Alastor Moody, profondamente addormentato.
In quel preciso istante, un rantolo attirò la loro attenzione.
Il finto Moody aveva preso a contorcersi in modo orribile sulla sedia, mentre il suo volto deforme veniva attraversato da delle disgustose contrazioni che ne deformavano i tratti, come se si stesse trasformando in un enorme budino gelatinoso.
–Ma questi sono gli effetti della Pozione Polisucco! – esclamò Harry esterrefatto.
Un attimo dopo, al posto del finto Moody c’era un giovanotto sui trent’anni, i capelli un tempo castani che gli ricadevano in ciocche rade e grigiastre.
Nonostante la permanenza ad Azkaban lo avesse irrimediabilmente segnato, era impossibile non riconoscere Barty Crouch junior.
–Tu? – chiese Silente aggrottando le sopracciglia argentee. – Com’è possibile?
Crouch lo fissò con uno sguardo folle, assumendo un’espressione che a Jane ricordò immediatamente la Strega Suprema.
–Credevate che mio padre mi lasciasse marcire in prigione? – sibilò. – Mia madre soffriva di un male incurabile già da tempo e presto sarebbe giunta la sua fine. Come ultimo desiderio, chiese di scambiare la sua vita con la mia. Mio padre acconsentì. Venni portato via travestito da mia madre, sotto l’effetto della Pozione Polisucco. Fui imprigionato nella villa di famiglia, a Cambridge, e per anni vissi sotto la Maledizione Imperius. Fino a quando il mio corpo divenne più forte e prese a respingere gli effetti della maledizione. Fu allora che iniziai a escogitare un piano per fuggire e iniziare la ricerca del mio signore, che non ho mai smesso di servire.
La Coppa del Mondo di Quiddich fu l’occasione che aspettavo. Convinto che fossi totalmente innocuo, mio padre acconsentì a lasciarmi andare. Fuggii appena potei, cercando di dileguarmi nella boscaglia attorno allo stadio, quando di colpo li vidi. Alcuni vecchi Mangiamorte che avevano rinnegato il loro passato pur di non finire ad Azkaban come me e tanti altri si stavano divertendo a incendiare le tende dei tifosi. Fui preso da una tremenda voglia di vendetta, deciso a mettere alla prova tutta la loro codardia. Sparai in aria il Marchio Nero. Come avevo previsto, non appena lo videro, quei sudici traditori si dileguarono immediatamente.
Fu a quel punto che mi accorsi di non essere più solo. A pochi passi da me c’era una strega di una rara bellezza, alta più di qualsiasi donna avessi mai visto, completamente vestita di bianco. Mi disse di chiamarsi Jadis e che aveva visto quello che avevo fatto. Ero proprio il servo fedele che il Signore Oscuro stava cercando per tornare di nuovo al potere, aggiunse. Fu così che la seguii. Trovammo il mio signore ed egli mi impartì le istruzioni necessarie. Dovevo portargli Harry Potter vivo e per farlo dovevo intrufolarmi a Hogwarts. Poco tempo prima, Bertha Jorkins, una strega del Ministero, era stata catturata da Peter Minus, un altro Mangiamorte, e interrogata. Dalle informazioni che le erano state estorte poco prima di morire, era saltato fuori che il Torneo Tremaghi si sarebbe tenuto a Hogwarts. E che, sempre lì, da quell’anno in poi sarebbe andato a insegnare nientemeno che Alastor Moody, l’ex Auror.
Fu così che io e Minus piombammo a casa di mio padre, controllandolo con la Maledizione Imperius affinché si comportasse come se niente fosse e non mi spedisse alle calcagna i suoi segugi, e poi andammo a fare una visita a Moody, i cui capelli mi erano indispensabili per la Pozione Polisucco, che mi avrebbe permesso di assumere le sue sembianze per il tempo necessario.
All’inizio, tutto andò liscio: Potter venne scelto come quarto campione di Hogwarts e io iniziavo a conquistare la fiducia del ragazzo. Poi, improvvisamente, la Maledizione Imperius iniziò a non sortire più gli effetti di un tempo su mio padre. Era come me, il sangue dei Crouch non mente. E, proprio come me, una notte riuscì a eludere la sorveglianza di Minus, fuggendo alla ricerca di aiuto. Per sua somma sfortuna, decise di recarsi proprio a Hogwarts. Per me fu uno scherzo trovarlo e ucciderlo, eliminando poi il suo corpo. L’unico intoppo furono due amici di Potter che lo avevano trovato, con cui diedi una breve battaglia. Nulla che però non potessi affrontare.
Da lì in poi, per fortuna, la strada è stata tutta in salita: Potter ha toccato per primo la Passaporta ed è finito tra le braccia aperte del Signore Oscuro. E ora, solo grazie a me, egli è tornato più forte che mai!
–Basta così! – tuonò Silente. – Severus, porta quest’uomo nel tuo ufficio e tienilo sotto stretta sorveglianza. Minerva, fai venire Caramell da me il prima possibile: dobbiamo parlare.
I due annuirono in silenzio.
Piton lanciò a Crouch un’occhiata di profondo disgusto, prima di slegarlo e costringerlo ad alzarsi, immobilizzandogli nuovamente le mani dietro la schiena e trascinandolo fuori dall’ufficio.
–Signor Von Telmar, è il caso che torni al più presto alla nave di Durmstrang. Temo che Igor sia fuggito non appena ha sentito bruciare il Marchio Nero. Ѐ suo compito ora offrire il sostegno necessario ai suoi allievi, come si addice a un vero capo. La chiamerò più tardi nel mio ufficio.
–Sì, signore – rispose Caspian accennando un rapido inchino con la testa; poi, dopo aver lanciato un’occhiata colma di preoccupazione ai due gemelli, scomparve oltre la porta con il suo consueto passo felpato.
–Bene, ragazzi – proseguì Silente una volta rimasti soli. – So che questa notte avete dato più del necessario, ma vi devo chiedere un ultimo sforzo. Per favore, venite con me.
I due annuirono debolmente, seguendo il Preside nei lunghi corridoi del castello, fino a raggiungere il suo studio, in cima a una delle torri più alte.
Non appena li vide entrare, Fanny lanciò loro un garrito di benvenuto e balzò sul grembo di Harry, nel momento in cui questi si sedette accanto alla sorella.
Calde lacrime presero a scorrere dalla sua testa cremisi lungo la ferita che il ragazzo aveva sul braccio, guarendola all’istante.
–Ora, finché la vostra memoria è fresca, vi chiedo di raccontarmi tutto quello che è avvenuto nelle ultime ore – disse Silente scrutandoli serio da dietro gli occhiali a mezzaluna. – Ѐ fondamentale affinché si possa decidere quali provvedimenti prendere, per quanto difficili possano essere.
I due ragazzi si lanciarono un’occhiata sconsolata, poi Harry iniziò a raccontare.
Disse di come lui e Cedric avessero deciso di toccare la Coppa insieme, essendo arrivati in parità, e di come, un attimo dopo, si fossero ritrovati nel cimitero di Little Hangleton.
Raccontò dell’assassinio di Cedric da parte di Codaliscia, dell’orribile preparazione della pozione, in cui era stato gravemente ferito a un braccio, di come Voldemort era emerso dal fondo del calderone.
Disse che aveva evocato i Mangiamorte: tra loro c’era anche il padre di Draco Malfoy. Poi lo aveva liberato, lo aveva torturato davanti a tutti e lo aveva sfidato a duello.
Nel momento in cui i loro incantesimi erano stati scagliati, però, era avvenuta una cosa strana: le loro bacchette si erano unite in una barriera incandescente e da quella di Voldemort erano emerse le ombre di tutti coloro che aveva ucciso, tra cui anche i suoi genitori.
Jane distolse lo sguardo, rossa d’imbarazzo.
A differenza del fratello, lei non era mai riuscita a concepire il fatto di essere orfana.
I suoi genitori c’erano eccome: erano Albert e Wendy, coloro che per tredici anni l’avevano accudita come se fosse davvero la loro figlia.
Le dava un’orribile sensazione di vertigini ascoltare suo fratello raccontare di come aveva parlato con sua madre, la loro madre.
Era come se stesse osservando da lontano la vita di un altro.
Poi Harry concluse dicendo che l’ombra di Cedric lo aveva pregato di riportare indietro il suo corpo e lui, approfittandone della distrazione di Voldemort, che sembrava non capire cosa stesse succedendo, era riuscito a fuggire appena in tempo.
–Prior Incantatio – commentò Silente. – Un altro legame tra te e Voldemort, questa volta attraverso le vostre bacchette, il cui nucleo proviene per entrambe da una piuma di Fanny.
–Cosa significa? – chiese Harry.
–Due bacchette gemelle si riconoscono come tali e per questo rifiutano di colpirsi a vicenda.
–Significa che non potrò mai colpire Voldemort direttamente, signore?
–Temo di no. Ma troverai lo stesso il modo per sconfiggerlo, stanne certo. Quando arriverà il momento, lo saprai. Ora però temo sia il turno di Jane.
E Jane raccontò tutto, ogni singolo avvenimento degli ultimi due giorni.
Si soffermò su Alhena, su Jadis e sul prigioniero, confidando anche i suoi sogni su di lui.
Alla fine del racconto, Silente annuì piano.
La ragazza non l’aveva mai visto così serio prima d’ora.
–Bene, ragazzi. Mi scuso ancora per come vi ho trattenuti questa sera. Adesso è il caso che scendiate giù in infermeria. Sono d’accordo con Madama Chips che, non appena vi coricherete, vi verrà somministrata una pozione che vi procurerà un sonno senza sogni. Avete davvero fatto molto più di quanto un ragazzo di quattordici anni potrebbe sopportare. Adesso è il caso che vi riposiate, per poter affrontare in forze ciò che sarà. Ma al momento non deve rientrare nelle vostre preoccupazioni. Andate, ragazzi. Sono davvero molto fiero di voi.
I gemelli si congedarono rapidamente, poi scivolarono nell’oscurità delle scale.
Avrebbero tanto voluto dirsi tante cose, abbracciarsi, anche piangere, dando sfogo a tutte le emozioni che si erano ammassate in quelle ultime ore come nubi tempestose, ma erano così stremati che l’unica cosa che riuscirono a fare fu camminare in silenzio, mano nella mano, fino a quando non giunsero in infermeria.
Madama Chips li accolse con il suo solito fare burbero, facendoli distendere su due letti diversi.
A fianco a loro, la famiglia Pevensie al completo stava attorno a Susan e Lucy, parlando sommessamente.
Non appena li videro entrare, lanciarono loro un’occhiata di saluto.
Pochi letti più in là, nascosto da un alto paravento, era disteso il prigioniero, ancora in stato di incoscienza.
Il vero Moody, invece, riposava in un angolo appartato dell’infermeria.
Madama Chips pulì e disinfettò i vari graffi e ferite che entrambi i gemelli avevano un po’ dappertutto e somministrò loro la pozione di cui aveva accennato Silente.
Non appena il liquido caldo, dal vago sapore di cioccolato, cominciò a scenderle nella gola, Jane si sentì invadere da un improvviso senso di calma.
Niente sarà più come prima, sussurrò una vocina lontana nella sua testa, poi tutto divenne più dolce e la ragazza sprofondò in un mondo dove non c’erano né mostri assetati di sangue né orride prigioni sotterranee da cui era impossibile fuggire.
   
 
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