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Autore: ContessaDeWinter    13/07/2013    1 recensioni
Dean si è macchiato l’anima di un peccato terribile, imperdonabile, deteriorante.
Non sarebbe bastato chiedere scusa, martirizzarsi, tornare all’ Inferno per ottenere il perdono di Dio.
Poiché Dio stesso avrebbe avuto qualcosa da obiettare.
Terza classificata al contest "Saving people, hunting things...the Family Business" indetto da adamantina sul Forum di EFP
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Autore: ContessaDeWinter (sia sul forum, sia su EFP)
Titolo: Built for Sin
Genere: Introspettivo, sentimentale
Avvertimenti: Slash
Rating:Verde
Personaggi/Pairing: Dean Winchester, Castiel (Destiel), Sam Winchester (accennato)
Introduzione: “Dean si è macchiato l’anima di un peccato terribile, imperdonabile, deteriorante. Non sarebbe bastato chiedere scusa, martirizzarsi, tornare all’Inferno per ottenere il perdono di Dio.
Poiché Dio stesso avrebbe avuto qualcosa da obiettare.”
Note: Questa fanfic è stata un parto e continua a non convincermi più di tanto. Ho preso ispirazione da una canzone a cui sono particolarmente legata (consiglio di ascoltarla durante la lettura), ovvero “Built for Sin” dei Framing Hanley. La trovo molto adatta a questa coppia.
(*): riferimento alla puntata 8x08. 
Questa storia ha partecipato, classificandosi terza, al contest "Saving people, hunting things...the Family Business" indetto da adamantina sul Forum di EFP.
Buona lettura. Baci,
_ContessaDeWinter


 
 
 

Built for sin.

 

« Say so long to innocence
From underneath the evidence
You taste like Heaven,
but God knows you’re built for sin. »
Built for Sin – Framing Hanley

 
 
Dean Winchester non era un eroe. Non era nato, cresciuto e morto (un paio di volte, a dire il vero) per esserlo.
Non sentiva dentro di sé la tempra del guerriero, benché di nemici ne avesse sconfitti nella sua vita da cacciatore, né quel coraggio incline alla sconsideratezza che li caratterizza.
Non sarebbe stato ricordato dai posteri alla stregua di Ulisse o qualche altro fottuto personaggio semi immaginario, per cui gli storici e studiosi solevano scrivere saggi da mille pagine.
No, non era proprio per lui. Non sarebbe mai divenuto uno di loro, nella maniera più assoluta.
Non era un uomo esemplare.
Era un ragazzo normale, con desideri normali e paure comprensibili dal resto del genere umano. Certo, vi era una parte della sua esistenza che non era possibile definire ordinaria ma, Dean sosteneva, in ogni famiglia (in ogni singola persona) vi erano degli aspetti totalmente assurdi. Perciò, lui era nella norma.
Più o meno.
Sii sincero, almeno con te stesso,’ sussurrò la vocina della propria coscienza, non molto dissimile da quella di Sammy. ‘Siamo e saremo sempre fuori da ogni schema di normalità. Noi non siamo come gli altri.’
 
 
Seduto sul cofano dell’Impala (l’unica donna della sua vita, assieme a Mary Winchester), Dean rifletté seriamente se potesse o meno considerarsi una persona speciale.
Voltò il capo verso l’abitacolo dell’auto, dove un profondamente addormentato Sam era intento a russare sonoramente e ad impregnare il sedile posteriore in pelle nera di saliva. Dean fece una smorfia, sorridendo, poi, per quei rari sprazzi di quotidianità.
Gli erano mancati, in Purgatorio.
Non era stato facile riabituarsi a quella vita che, prima di essere condotto forzatamente in suddetto piano astrale, non aveva avuto modo di apprezzare pienamente.
Perché, in Purgatorio, a discapito di tutto, Dean aveva ritrovato se stesso. Aveva affrontato ogni essere possibile, ogni scherzo della natura (i mostri erano davvero uno scherzo della natura? O era stato Dio a crearli?), con il coltello tra i denti e la determinazione che possiede solo chi combatte per sopravvivere.
Non c’era stato il tempo materiale per piangersi addosso né quello per implorare una qualsiasi entità divina, strisciando per un po’ di pietà. Il purgatorio era cosparso di dolore e redenzione, gli alberi erano intrisi di sangue e orazioni buttate al vento. Bisognava essere forti, lì, evitare qualsiasi sentimentalismo e buonismi inutili.
L’unica azione ammessa, in quell’inferno, era puntare l’arma e sparare, colpire, sgozzare, uccidere, ledere la carne in profondità.
Pregare.
Dean non aveva mai detto a Sam di aver pregato: quello era un segreto che avrebbe sempre evitato di rivelare al fratello o a qualsiasi altro essere umano. Perché compiere quell’atto di sottomissione significava dipendere da qualcuno ed il maggiore dei Winchester aveva intrapreso la carriera di cacciatore per evitare tutto ciò.
Fu in Purgatorio (quel mondo saturo di pentimenti malcelati ed un’oscurità latente, seppur tangibile) che si rese conto di aver sempre peccato di superiorità. E capì, dopo anni, che chiudere gli occhi ed incrociare lievemente le mani tra loro non fosse un segno di debolezza.
Dean era umano e non poteva prescindere dalla propria natura.
La solitudine lo aveva reso ancora più instabile, col passare del tempo. La sua mente si era ribellata un paio di volte, inducendolo ad avvicinarsi inesorabilmente al baratro della pazzia. Fortunatamente, in quelle sporadiche occasioni, l’immagine della propria famiglia (Sam, Mary, John, Bobby, Castiel, Jo, Ellen e poche altre persone a cui lui si era veramente affezionato, nell’arco della sua tormentata esistenza) gli era comparsa davanti agli occhi, lenendo quella ferita invisibile che lo stava uccidendo lentamente.
Fu anche per quello che decise di rintracciare quel dannato angelo del Signore: lo tormentava la consapevolezza di ignorare dove fosse finito, poiché anche lui era parte integrante della propria famiglia.
Dopo un’estenuante ricerca, durata innumerevoli giorni, Dean lo vide: Castiel, accovacciato in riva al lago, intento a pulirsi il viso dalla sporcizia e da quello che sembrava essere sangue di leviatano. Quell’immagine lo sollevò molto più del previsto. Il suo volto, per quanto trascurato e distrutto, non era mai stato così bello agli occhi di Dean.
Il suo angelo era innanzi a lui, vivo, e nulla nell’universo aveva più importanza.
 
« Dean,»
Una voce leggera lo riscosse dai propri pensieri, riportandolo alla realtà. Il ragazzo volse lo sguardo verso Castiel, comparso accanto alla propria auto, dal nulla.
Erano giorni che non si faceva sentire.
« Finalmente sei di nuovo tra noi,» esclamò il Winchester, assumendo la sua classica posa accusatoria: braccia incrociate al petto ed un cipiglio severo sul volto.
« Sono stato trattenuto alla casa di cura*
« Ed hai, per caso, perso la cognizione del tempo?»
« Non tengo mai conto del tempo, Dean.»
Il Winchester roteò gli occhi, in segno di resa, mentre l’affermazione dell’angelo riecheggiava ancora nell’aria attorno a loro, intrisa di un’innocenza pura.
Dean non era mai riuscito a mantenere il cruccio arrabbiato, con Castiel. L’espressione innocua e candida, di colui il quale lo aveva salvato dalla perdizione, riusciva a smontare ogni accusa del cacciatore, rivolta al moro.
« Già, beh, io ero preoccupato. Potevi almeno chiamare,» continuò, imperterrito, il biondo.
« Ho perso il cellulare, Dean, mi dispiace,» disse Castiel, facendosi più vicino al suo protetto e poggiandogli una mano sull’avambraccio, scrutandolo dritto negli occhi.
Dean abbassò lo sguardo, cercando la lucidità sufficiente per rispondere all’affermazione di Cas, soggiogato dal blu abbacinante delle sue iridi.
Lo spazio personale totalmente trascurato.
« N- non preoccuparti, ne abbiamo altri nel cofano,» replicò il Winchester,  afferrandogli delicatamente una spalla per scostarlo un po’ da sé. « Te ne regalo uno.»
« Mi dispiace, davvero, Dean,» proseguì l’essere divino, allontanandosi dal corpo dell’altro.
Dean, incoerentemente, s’infastidì alla mancanza di un contatto fisico, tra di loro, perciò tornò a circondargli le spalle con un braccio. Castiel s’irrigidì al tocco.
« Non preoccuparti, ti ho detto: poteva capitare a tutti, non mi sarei aspettato niente di meno, da te,»
« Cosa intendi dire?» domandò l’angelo, piegando leggermente il capo verso la spalla destra, lasciando scoperto il collo niveo.
Dean fece leva sulla propria morale per non cedere miseramente e baciarlo in quel punto.
« Intendo dire che, beh... tu non sei propriamente pratico delle questioni umane. Non badi a queste cose. Nessuno ti ha mai insegnato a farlo, Cas, perché non è nella tua natura,» spiegò, con semplicità, Dean.
« Potresti... insegnarmi tu, Dean,» propose l’angelo, « Sono certo che ci sarebbero molte cose d’apprendere che ancora non conosco, vero?»
Dean annuì, senza pensare realmente alle implicazioni che quel compito avrebbe portato. Ma sapeva che privarsi di quell’incarico sarebbe stato peggiore dell’assumerselo.
« Mi farebbe piacere, sì.»
Castiel sorrise dolcemente, in risposta, appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo accanto a sé, il quale continuava a tenerlo stretto al proprio corpo.
« Prima regola, Cas: seppur amici, non è bene che due uomini stiano, ehm, in questa posizione. Potrebbe essere fraintesa.»
« Perché non è bene? E da chi potrebbe essere fraintesa?»
Dopo tutti questi anni, ad osservare l’Umanità, non ha ancora capito come gira il mondo.’
Dean alzò gli occhi al cielo, le gote leggermente arrossate. « Perché, ecco, solo coloro che si amano stanno così vicini. E potrebbe essere fraintesa da, beh, tutte le altre persone.»
« Da quando t’importa del giudizio delle altre persone? Mi hai sempre detto che ognuno deve avere la possibilità di fare ciò che meglio crede. Il libero arbitrio è anche questo, sbaglio?» Castiel sembrò realmente confuso e Dean non ebbe cuore di ribattere.
« E poi anche noi ci amiamo, quindi perché non dovremmo stare così vicini?» ribatté nuovamente il moro, avvicinando il viso a quello dell’altro.
Dean sgranò gli occhi, preso in contropiede. Sentì il sangue salire alle guance, surriscaldandole più del necessario. Tacque per quelle che parvero ore.
« Dean, tu non mi ami?» chiese Castiel, ancora, con tono di voce più basso ed incerto. Dean si sentì stringere il cuore nel petto.
« Cosa intendi per ‘amare’, Cas?»
L’angelo scosse il capo. « Come fai a non sapere cosa vuol dire ‘amare’? Tu, più di tutti, dovresti conoscere questo sentimento. Sei l’uomo giusto, rammenti?»
Il cacciatore chiuse le palpebre, esausto da quella conversazione. « Non sono migliore di molte altre persone, Cas. Non ho mai avuto la possibilità di capire cosa voglia di ‘amare’. Tu sei un guerriero, un soldato, - pronunciò con aria solenne, puntando gli occhi verdi in quelli blu notte, - sai perfettamente che durante una battaglia non puoi cedere ai sentimenti.» Disse, portando una mano alla guancia leggermente ispida dell’angelo. « E la mia vita, Cas, è stata una guerra continua.»
L’essere divino abbassò lo sguardo, mentre la verità di quelle parole gli perforava la mente.
« Vorrà dire che t’insegnerò io. In fondo, la mia essenza è fatta di amore
« L’amore che scorre nel tuo corpo, Castiel, non potrà mai essere equiparabile a quello che potrei provare io per te: tu appartieni a Dio, io a te. Non so se ti amo perché non so cosa significhi, ma ciò di cui sono certo è che tu sei parte della mia famiglia. » Sospirò. « E sarai sempre parte di me.»
L’atmosfera si fece tesa, immobile, fragile come un vaso di cristallo in bilico su un filo di rame. Tutte quelle parole, sussurrate a mezza voce, si smarrirono nell’aria notturna, perdendo il loro vero significato.
Non ci fu bisogno di riflettere, di meditare ulteriormente, di razionalizzare quell’attimo di pura estasi.
Le labbra combaciarono alla perfezione, quasi fossero nate per incontrarsi a metà strada, toccandosi lievemente. Nessuno dei due si sentiva abbastanza pronto per approfondire quel contatto, perché esso stesso racchiudeva in sé una miriade di pensieri, emozioni e sentimenti che, difficilmente, potevano essere espressi verbalmente.
 
 
Fu quando Castiel si staccò da lui, tornando ad appoggiare la testa sulla spalla dell’umano, che il Winchester comprese quanto poco gli appartenesse l’appellativo eroe. Quanto poco vi fosse, in lui, di esemplare.
Dean non era (e non sarebbe stato mai) speciale. Tutto quello che aveva fatto nella sua esistenza, tutte le persone che aveva salvato ed i mostri che aveva ucciso, sarebbe servito a risarcire il suo reato più grande.
La sua colpa più grande.
Si era macchiato l’anima di un peccato terribile, imperdonabile, deteriorante. Non sarebbe bastato chiedere scusa, martirizzarsi, tornare all’Inferno per ottenere il perdono di Dio.
Poiché Dio stesso avrebbe avuto qualcosa da obiettare.
Dean aveva sporcato una creatura divina, le aveva insudiciato l’anima con la propria Umanità ponendola in condizione di dubitare, fallire e cadere. Aveva osato sfiorare Castiel, in modo così intimo da rafforzare la propria dipendenza verso colui il quale lo aveva salvato dalla perdizione.
E tutto ciò lo rendeva il peggiore tra i peccatori.
 
 
Per la seconda volta, nella sua vita, pregò.
 

‘ Perdonami, Padre, perché ho peccato.’

 
 
  
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