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Autore: Dark Spectrum    14/07/2013    1 recensioni
Estratto dalla 3x06 di Teen Wolf, quando Isaac è al motel in preda alle allucinazioni.
Dal testo:
"Era tutto stranamente calmo, nel mondo dei sogni, a meno che un incubo non mi trasportasse sulle sue ali di tenebra, per condurmi in un luogo altrettanto buio, dalle invalicabili pareti di fumo nero.
Ma qualcosa di terreno mi scosse improvvisamente, strappandomi da quella surreale pace. E vorrei poter dire che ciò che accadde dopo fosse solo un incubo."
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Isaac Lahey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le luci erano quelle tipiche dei sogni, pallide ed offuscate, paragonabili a quelle del sole all'alba: per niente accecanti e capaci di creare l'atmosfera ovattata in cui ero immerso.
Non v'era alcun dolore, non poteva esistere nessuna paura; perché nulla, lì, sembrava essere reale. C'ero solo io, dormiente, in un mondo che mi apparteneva solo al calar del sole e nel momento in cui la luna faceva capolino in cielo, a rischiarare una notte altrimenti cupa.
Era tutto tranquillo solo quando le mie palpebre si serravano e la mia mente veniva trasportata in quel luogo che sembrava urlare “serenità”.

Era tutto stranamente calmo, nel mondo dei sogni, a meno che un incubo non mi trasportasse sulle sue ali di tenebra, per condurmi in un luogo altrettanto buio, dalle invalicabili pareti di fumo nero.
Ma qualcosa di terreno mi scosse improvvisamente, strappandomi da quella surreale pace. E vorrei poter dire che ciò che accadde dopo fosse solo un incubo.
Eppure, come uno di essi, tutto ciò che vidi e sentii era stato generato dai tormenti più profondi del mio animo.

Furono un sussurro, un respiro caldo vicino al mio collo e un rumore di passi a svegliarmi.

E aprii gli occhi.


Mi guardai attorno, ancora in un apparente stato di trance, con le palpebre che tentavano di chiudersi di nuovo.

E poi ancora passi, passi pesanti.
«Boyd?» chiesi. Magari stava rientrando, forse erano i suoi quei passi.
Ma non vi fu alcuna risposta.

Tutto tacque, e tornai a chiudere gli occhi, pronto a farmi cullare nuovamente dal sonno.
Ma il silenzio si spezzò di nuovo, e stavolta insieme al rumore di passi furono udibili delle catene che si trascinavano su un pavimento.

Qualcosa si ruppe improvvisamente, ed il colpo mi fece sobbalzare.

Sollevai la schiena, mettendomi a sedere e guardando in alto.
Le pale del ventilatore ruotavano lente, e i rumori indefiniti di poco prima si trasformarono in frastuono. Mi chiesi, per un secondo, da dove provenisse, ma voltandomi in ogni direzione, compresi da dove nascesse: da quella stessa stanza.
Eppure sembrava essere vuota; non c'era nessuno, né nulla che potesse creare tutto quel baccano.
E poi una voce chiara, forte e decisa, la cui eco fredda era già impressa a fuoco nella mia mente, ruppe quel frastuono, e tutto tacque attorno a lei: la voce di mio padre.
«Passami la chiave inglese da sette.» disse, scandendo ogni sillaba alla perfezione, con tono risoluto. Sentii il sangue fluire via dal mio volto, sbiancandolo, come se quella voce e la persona cui era associata, avessero il potere di cancellare ogni sfumatura di colore esistente in me. «Cosa diamine fai?! Questa è da nove, idiota.» mi rimproverò, con la stessa terrificante punta di superiorità. «Sai che differenza c'è tra un nove e un sette, cretino?!»
Continuai a cercare di convincermi che lui non era davvero lì, che lui non era reale. Che lui era morto, e che lo sarebbe rimasto per sempre.
“La differenza tra un sette e un nove è un bullone.” pensai. Ma non potevo parlare da solo. Non era reale. Mio padre non era lì davvero.
Poi fu come avere il suo fiato sul collo, come se aspettasse che pronunciassi quelle parole con sicurezza. E lo feci, ma queste uscirono dalle mie labbra con tono intimorito, la voce ancora tremante.
Si formò un flashback, dinanzi ai miei occhi. Le figure sembravano così vere, nonostante non fossero più reali del fumo che circondava i miei incubi.

«Un bullone.» sembrò quasi confermare la voce di suo padre, ma il suo tono era carico d'ira.
«Scusa, scusa. Non lo sapevo.» bisbigliai, mentre con un piede picchiettavo il pavimento, in un disperato gesto d'ansia, di terrore. «C-cosa vuoi che faccia?» balbettai ancora, con voce flebile, timorosa di sbagliare, di pronunciare le parole scorrette.
«Voglio che tu stia zitto.» gli disse con tutta l'autorità che un tempo possedeva.
«Voglio che tu stia zitto. Sta' zitto. Sta' zitto. Devo stare zitto. Cosa posso fare? Cosa..?» feci eco a quelle parole, chiedendomi se stessi parlando ad alta voce o meno. La disperazione era intuibile facilmente, nella mia voce.
La fronte era madida di un sudore che mi appiccicava i capelli alla fronte.

Ero in panico, tutto attorno a me mi sussurrava quanto irreale fosse quella situazione e, allo stesso tempo, che nulla di quell'angoscia, di quell'esasperazione, sarebbe stato mai più reale.

Quell'uomo non esisteva più.
Ma le gocce di sudore che nascevano dalle mie tempie e che scorrevano lungo il profilo del mio volto, non sarebbero esistite, se il terrore di mio padre non fosse stato ancora vivo, nonostante il signor Lahey fosse morto.

Mi passai una mano tra i capelli, come se potessi scuotermi da solo, come se potessi cancellare il passato ed eliminare quei pensieri tutt'a un tratto.
Ma così non fu.

«Non posso ripararlo, adesso. Non posso ripararlo, adesso. Non posso aggiustarlo. Non posso aggiustarlo.» Parole identiche a quelle che avevo pronunciato un tempo, fluirono rapidamente dalle mie labbra. Le pronunciai con voce spezzata, come lamenti, come se conoscessi già il finale della storia. Il destino era già stato tracciato e lo stavo solo rivivendo, nei panni di me stesso, solo circa un anno prima, quando tutto era differente.
Non ero ancora stato morso, mio padre era vivo e i giorni del passato erano impregnati d'ansia e di angoscia molto più di quanto stesse accadendo nel presente.

Ero nei panni di quel ragazzino indifeso e terrorizzato. Ero diventato di nuovo lui. Senza poteri, senza nulla.

C'ero solo io, catapultato in quella realtà che non avevo mai pensato di dover vivere ancora. Perché già ripercorrerla durante gli incubi era abbastanza straziante, e risvegliarsi con la fronte madida di sudore sapeva di salvezza come la morte dopo una bruciante e lenta agonia.

«Non posso nemmeno tenerlo chiuso! Prendi le catene. Entra.. Non mi senti, figliolo?» gli ordinò quella voce fredda e macabra, colma d'ira. Parlò tutto d'un fiato, senza lasciargli spazio per ribattere.
Il volto di suo padre divenne più nitido, e la sua stessa figura si fece più chiara alla vista.

“Entra. Prendi le catene. Entra. Entra. Prendi le catene.”
Mi guardai attorno, terrorizzato.
Il freezer, mio padre, me stesso. Faceva tutto parte di un incubo. Un incubo ad occhi aperti generato da quei malsani ricordi di puro terrore.

«Entra in quel dannato freezer. Entra!» E iniziò a gridare.

Le sue parole non si spensero mai, perché un'eco instancabile le faceva riprodurre all'infinito.
Saltai all'indietro in un balzo, come se ripararmi con il cuscino potesse servire a qualcosa. E chiusi gli occhi per un secondo.
Ma quando li riaprii, la camera del Motel era scomparsa. C'era solo un gelido contatto con le pareti di quello che mi sembrò esattamente.. il freezer.
Un grido di angoscia echeggiò in tutto il mio corpo, percorso interamente da brividi di panico.
Tutto sembrava suggerirmi di scappare: il fiato caldo di mille entità apparenti, sul collo, le pareti che sembravano restringersi progressivamente, il buio cupo, per niente rassicurante, e ben lontano da quello dei suoi sogni. Gli arti e le ossa del mio corpo cercavano di farsi spazio, di trovare il loro posto, di fuggire da quel luogo angusto che mi avrebbe soffocato, fino alla morte.
Mi rannicchiai il più possibile, con le braccia a stringermi le ginocchia e gli occhi serrati che periodicamente si spalancavano a tentare di osservare qualcosa.
E poi il buio m'ingiottì.

 

***
 

Angolo autrice
Salve a tutti!
Eccomi sbucata di nuovo, stavolta con una breve OS interamente dedicata al mio personaggio preferito di Teen Wolf: Isaac Lahey.
La scena al motel è stata tanto straziante, per me, per cui ho deciso di scriverci sopra, dal momento che mi aveva colpita molto.
Spero vi piaccia, lasciate pure le vostre recensioni con critiche e consigli, che apprezzo sempre.
E grazie se siete arrivati fin qui!


 

   
 
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