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Autore: Nymeria90    15/07/2013    3 recensioni
Nel 2183 un nave non identificata attacca e distrugge la Normady SR1. Il comandante Shepard, eroe della Cittadella, muore nello scontro e il suo corpo si perde nello spazio. I superstiti della Normady, dopo aver sepolto una bara vuota, voltano pagina e cercano di ricostruirsi una vita, ma due anni dopo Alexander Shepard ritorna dal mondo dei morti. La sua missione: salvare la galassia, un'altra volta. Ma scoprirà ben presto che il prezzo da pagare è la sua anima, un prezzo che forse è troppo alto, persino per lui.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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Normandy SR2, 2185
 
La voragine nera s’ingrandì lentamente, pulsante e terribile, fino a inghiottire l’intero sistema Bahlak. Sulla mappa galattica non rimase che un buco nero dove un tempo c’era stato un sistema, con una sua stella, dei pianeti, una colonia, 304.942 Batarian.
Era bastato un gesto della sua mano, la leggera pressione del dito sul pulsante per distruggere tutto.
Nelle orecchie gli risuonò l’ululato delle sirene, il rombo dei propulsori, il fragore del vento, l’agghiacciante regolarità del conto alla rovescia.
Era salito sulla Normandy ed era fuggito, abbandonando un’intera colonia al suo destino. L’esatto contrario di quanto aveva fatto suo padre molti anni prima.
Provò … vergogna.
- Shepard …-
Si raddrizzò di scatto, interrompendo Garrus con un perentorio gesto della mano. Non voleva sentirsi dire che aveva fatto la cosa giusta, che non aveva altra scelta, che tanto quei Batarian sarebbero morti comunque.
Li aveva uccisi lui e quel sangue avrebbe macchiato le sue mani per il resto della sua vita. Era diventato un terrorista.
Aveva ucciso 304.942 persone.
E lo rifarei.
La sopravvivenza della galassia dipendeva da decisioni spietate e aveva appena scoperto di poterle prendere. Una scoperta che gli metteva i brividi.
- Shepard, dovresti farti vedere dalla dottoressa.-
Garrus gli si era avvicinato staccandogli di forza le mani aggrappate alla sbarra metallica della mappa galattica. Solo in quel momento Shepard si rese conto d’indossare ancora l’intera armatura, non si era nemmeno tolto il casco.
- Sto bene.- ringhiò, svincolandosi dalla presa di Garrus.
Non aveva bisogno di un baby sitter.
“Sappi una cosa prima di morire invano: il vostro tempo è scaduto, la vostra specie finirà. Preparatevi all’avvento.”
Shepard barcollò portandosi le mani alla testa: non voleva … non voleva più sentire quella voce! Aveva sacrificato un intero sistema, eppure, dentro di sé sapeva che non sarebbe servito a niente. L’araldo aveva ragione: si stava solo opponendo all’inevitabile.
- Ti porto in infermeria Shepard, tu non stai bene!- esclamò Garrus, allarmato, prendendogli il polso.
- No!- l’esplosione biotica colpì Garrus in pieno petto, mandandolo a sbattere contro la porta dell’ascensore. Kelly Chambers strillò, spaventata.
Shepard si slacciò il casco e lo buttò in terra, furibondo – Non ho bisogno di te, Garrus.- sibilò davanti alla faccia esterrefatta del Turian – Non ho bisogno di nessuno!- urlò agli stupefatti membri dell’equipaggio che avevano assistito alla scena.
Scavalcò il Turian ed entrò nell’ascensore premendo il pulsante che l’avrebbe portato nella sua cabina.
Non meritava aiuto né compassione, non sapeva che farsene di amicizia e conforto: era un dannato terrorista e come tale doveva essere trattato. Lui non era più un eroe. Forse non lo era mai stato.
Quando fu nella sua cabina si strappò la corazza di dosso, desideroso di poterla bruciare, l’uniforme sotto di essa era intrisa di sudore e sangue rappreso, non gli importava. Prese la bottiglia di vodka dal frigobar e la stappò con un gesto secco, rabbioso. Se la portò alle labbra bevendo avidamente, come se non ci fosse un domani, l’idea di prendere un bicchiere non gli sfiorò nemmeno la mente. Non c’era più il rischio di sentirsi squallido, lui era squallido.
- Comandante Shepard …-
- Taci, maledetta IA!-
IDA non disse più nulla e Shepard poté concentrarsi esclusivamente sulla sua bottiglia. Bevve finché non dimenticò il suo nome e la sua missione, bevve finché il fisico resse poi collassò semi svenuto sul letto.
 
- Più in alto Alex! Spingi più in alto!-
Sasha rideva, i capelli rossi sparsi sulle spalle, la gonna a fiori che si gonfiava lasciando scoperte le gambe affusolate proiettate verso il cielo. Giocavano come bambini nel parco giochi di una colonia remota. Forse Terranova, forse Benning … non aveva importanza. Avevano appena terminato una missione complicata e l’Alleanza aveva concesso loro una piccola licenza.
Gli altri erano andati a folleggiare in qualche bar mentre loro erano finiti chissà come in quel piccolo parco giochi a spingersi sull’altalena.
- Guarda Alex, sto volando!- Sasha sembrava una bambina, con il suo vestito a fiori e i nastri nei capelli. Si era lanciata dall’altalena con un gridolino bellicoso rotolando malamente sul prato, ridendo come una matta.
Alex l’aveva raggiunta, impedendole di alzarsi, costringendola a subire la peggiore delle torture: il solletico.
Sasha aveva riso ancora più forte, tentando di divincolarsi e colpendolo con pugni che avrebbero steso chiunque, ma non un soldato.
- Non vale usare i poteri biotici, Alex!-
- E chi lo dice?-
L’aveva attirata a sé, baciandola e scompigliandole i capelli. Se qualcuno li avesse visti sarebbero finiti nei guai, l’Alleanza non gradiva la fraternizzazione tra soldati, ma era una regola che non seguiva nessuno, di certo non loro.
- Mi manca il cinguettio degli uccelli.- aveva mormorato improvvisamente Sasha, fissando il cielo con aria malinconica – Non ci sono uccelli su questo pianeta.-
Alex si era appoggiato su un gomito, giocherellando con le ciocche rosse della sua compagna – Non ci ho mai fatto caso.- ammise.
- Sei cresciuto nello spazio. Non puoi sapere cosa vuol dire svegliarsi la mattina con gli uccelli che cantano.-
No, non lo sapeva, conosceva solo il ronzio dei motori e il debole fischio dei freni iperluce. Aveva trascorso la sua vita sulle navi spaziali, per poter essere un soldato degno dei suoi genitori.
- I soldati non hanno tempo per queste sciocchezze.- aveva decretato, imitando il tono deciso di sua madre.
Sasha aveva sorriso con la bocca, ma non con gli occhi. Gli occhi erano rimasti malinconici – E non c’è il rischio che si dimentichino di quello per cui combattono?- si era messa a sedere, abbracciandosi le ginocchia sbucciate– Non facciamo altro che saltare da un pianeta all’altro, sempre più lontano, alla ricerca di nuove sfide, di nuovi mondi … che cosa stiamo cercando, Alex?-
Lui le sorrise – Un posto tra le stelle …-
Gli occhi di Sasha brillarono – Ma la Terra è tra le stelle. Basterebbe solo alzare gli occhi al cielo … ma temo che l’umanità si renderà conto dell’importanza della Terra solo quando la perderà.-
Alex l’attirò a sé, baciandole il naso lentigginoso – Se mai dovesse accadere io la riconquisterei: per te.-
Sasha ridacchiò, ma ancora una volta i suoi grandi occhi verdi rimasero malinconici – Lo so che lo faresti, Alex. Ma mi piace illudermi che non sarà mai necessario.-
- Come fai ad amare così tanto un luogo che ti ha portato solo dolore?-
Sasha era una terrestre, nata da una puttana nei sobborghi di una città che confinava con l’inferno. La gente “normale” chiamava quelli come lei i “bambini perduti”. La maggior parte di loro non raggiungeva l’età adulta e gli altri finivano per ingrossare le file della malavita. Sasha era stata fortunata: aveva incontrato l’Alleanza lungo la strada.
- Non è stata la Terra a farmi del male, Alex. Sono stati gli uomini.- si rannicchiò contro il suo petto, alla ricerca di un po’ di quell’affetto che non le era mai stato dato – Se tu la vedessi almeno una volta, capiresti: è così perfetta.-
Alex aveva sentito il cuore accelerare i battiti: erano giorni che cercava di dirle una cosa e, finalmente, si era deciso.
“Ora o mai più”.
 – Rinunceresti a fare il soldato per tornare sulla Terra?-
Sasha si era girata, seria come non l’aveva mai vista – Sì. –
Alex aveva deglutito a vuoto, la bocca improvvisamente arida – E se ti dicessi che è quello che voglio anch’io? Mandare al diavolo l’Alleanza e farci una nuova vita, sulla Terra, a … a casa.-
Lei non sorrise ma la malinconia che velava i suoi occhi scomparve di colpo, sostituita da una luce che non aveva mai visto, una luce che era pura felicità – Cosa mi stai dicendo, Alex?-
Lui aveva allungato la mano, porgendole una piccola scatoletta di velluto, dentro c’era un semplice anello d’argento, l’unica cosa che si era potuto permettere.
- Vuoi sposarmi, Sasha?-
Improvvisamente il terreno intorno a loro si fece arido, gli alberi e l’altalena lasciarono il posto ad un paesaggio brullo, aspro, l’erba avvizzì trasformandosi in sabbia. Sasha era stesa in terra, la testa appoggiata sulle sue gambe, i capelli rossi fradici di sudore, il volto mortalmente pallido, gli occhi resi enormi dalla paura e dal dolore.
- … oddio le gambe … non sento più le gambe! - la sua mano si strinse convulsamente sulla sua, come a pregarlo di non lasciarla andare, sull’anulare spiccava un piccolo anello d’argento.
- Sasha, no! Devi resistere piccola …-
Non aveva più i nastri nei capelli né il vestito a fiori, le sue gambe affusolate non si sarebbero più proiettate verso il cielo: non erano altro che una poltiglia di carne ed ossa.
- Andrà tutto bene, piccola. Andrà tutto bene …-
- Tu menti.- era Sasha a parlare, ma la voce non era più la sua, apparteneva a qualcosa che non avrebbe dovuto esistere – Ne ho abbastanza di te, Shepard. Ti opponi all’inevitabile. È inutile lottare contro le correnti cosmiche.- gli occhi di Sasha avevano riflessi metallici, inumani, il suo volto si trasformò in una maschera orrenda.
Shepard arretrò, spaventato, mentre il volto di Sasha si trasformava in quello, duro e ossuto, del suo più acerrimo nemico: Saren Arterius. Le mandibole del Turian fremettero mentre si alzava in piedi, imponente e terribile, parlando con la voce della sua antica padrona – La vita organica è un errore, una mutazione genetica, si misura in anni e decenni, voi avvizzite e morite. Noi siamo eterni.- Saren avanzò, implacabile e Shepard non poté fare altro che arretrare, strisciando, le mani che affondavano nella sabbia, sabbia che si trasformava in fango, viscido come sangue – Dinanzi a noi siete nulla, la vostra estinzione è inevitabile. Noi siamo la fine di ogni cosa.-
Il deserto si trasformò in una foresta, fitta, impenetrabile, nei viticci degli alberi erano imprigionati degli uomini, simili ai mutanti, ma riconoscibili nei tratti dei volti. Allungavano le mani verso di lui, implorandolo.
- La radice quadrata di 910 è 30,1, la radice quadrata di 920 è 30,3 … SILENZIO PER FAVORE, FATELO SMETTERE!-
- Io sono forte quanto lei, lascia che mi unisca a te!-
- Non osare giudicarmi, non tu …-
- Hai rovinato tutto! Non sento più le voci!-
- Dovete, dovete fermarmi!- la matriarca Benezia si scagliò in avanti, bella e terribile come la ricordava – Non riesco, lo sento sussurrare nella mia mente, sento le sue dita intorno al collo …- sotto i suoi occhi stupefatti i lineamenti dell’Asari si tesero, il viso assunse le sembianze di un teschio, le mani si trasformarono in artigli protesi verso di lui – Non vedo alcuna luce bianca. Dicevano che ci sarebbe stata …-
Shepard indietreggiò – Mi dispiace, Benezia, mi dispiace …-
Nei suoi occhi morti non c’era perdono, solo odio e accusa.
- Noi non possiamo cantare in questi spazi angusti, la vostra musica è monotona …- le voci avevano cominciato a parlare tutte insieme, sovrapponendosi le une alle altre. Shepard crollò in ginocchio, premendo le mani sulle orecchie: non voleva più ascoltare.
- Volevano trasformare i nostri figli in macchine da guerra, in artigli incapaci di cantare.-
- Silenzio per favore, fatelo smettere!-
- I figli vengono divorati dalla paura se nessuno canta per loro.-
Le creature imprigionate strinsero le mani contro i viticci, guardandolo con occhi pieni di accusa. Da qualche parte attorno a lui sentiva il raspare di zampe che si avvicinavano, il ringhio di belve pronte a sbranarlo.
Una mano bluastra, morta, si strinse sulla sua spalla.
Shepard sobbalzò, buttandosi di lato. C.J. lo guadava da dietro i viticci col suo sorriso da spaccone sul volto putrescente – Cosa canterete?- domandò – Ci lascerete andare? O la nostra musica dovrà svanire un’altra volta?-
Benezia lo fissò – Avete il potere di liberarci o di restituirci al silenzio della memoria.-
La sua mano artigliata indicò un pulsante che lampeggiava accanto alla sua mano. Dall’oscurità i ringhi e i ruggiti si facevano sempre più vicini.
Le voci cominciarono a implorarlo, strazianti e terribili. Gli chiedevano di liberarli.
La mano scattò da sola, schiacciò il pulsante con un colpo secco, deciso.
Un urlo straziante riempì l’aria, Shepard crollò in ginocchio, le mani premute sulle orecchie. Tutto si fece buio e attorno a lui lampeggiò un’unica scritta: 304.942.
- No! Io volevo salvarli, volevo salvarli!-
Dalle tenebre emerse suo padre, il volto dilaniato dal fuoco, gli occhi, miracolosamente intatti, puntati contro di lui, carichi di rimprovero  – Questa può sembrarti una vittoria: il sacrificio di un sistema. Ciononostante le vostre grandiose civiltà sono destinate a crollare, i vostri leader saranno estirpati.-
Shepard incespicò all’indietro, terrorizzato: - Padre ti prego! Non avevo altra scelta …-
Suo padre allungò una mano verso di lui, il dito teso a indicarlo, come un’accusa. Shepard si buttò all’indietro, scivolò, cadde … gli sembrò di precipitare per un tempo infinito, infine si ritrovò su un letto di ospedale, nudo, coperto solo da un leggero telo bianco. Si guardò intorno, stordito: l’intera stanza era bianca, i muri, il soffitto, il pavimento. Non c’erano porte né finestre, solo lui in mezzo a quel baluginio accecante.
- Voi esistete perché lo permettiamo e vi estinguerete perché lo esigiamo.- Kaidan uscì dalla parete, la corazza a brandelli, la carne dilaniata dall’esplosione – Noi siamo legione. Il tempo del nostro ritorno sta giungendo. I nostri numeri oscureranno i cieli di ogni mondo.- Kaidan lo fissò, gli occhi morti e inespressivi – Non sfuggirete al vostro destino.-
Shepard piangeva senza ritegno, come un bambino – Chi sei? Cosa vuoi?-
Kaidan gli rivolse un sorriso abominevole – Noi semplicemente siamo.-
- BASTA!- urlò Shepard scattando in piedi, non più spaventato: furioso.
- Ti ho già uccisa una volta, maledetta, se necessario lo farò di nuovo.-
La Sovereign rise attraverso la bocca di Kaidan – E come? Tu sei morto.-
Sparì così com’era arrivato.
Shepard sentì una fitta all’addome, un dolore tremendo, atroce, che gli paralizzò le membra. Guardò in basso e vide un terribile squarcio slabbrato devastargli il ventre. Il sangue gocciolava nero e denso sul pavimento. Terrorizzato, Shepard infilò le mani nella ferita, e le sue dita incontrarono … cose che non avrebbero dovuto esserci. Pervaso da un’irrefrenabile follia cominciò a scavare, lacerando e strappando, insensibile al dolore. Afferrò le cose che gli crescevano dentro, cose a cui non sapeva dare un nome, tirò e strappò finché non cominciarono ad uscire. Il tubo di plastica gli scorse tra le dita, viscido di sangue, si ammonticchiò sul pavimento ai suoi piedi, più tirava più ne veniva fuori, come se nel suo corpo non ci fosse altro che quello, come se il suo corpo fosse stato fatto solo da quello; e il suo stesso sangue cominciò a mutare, non più rosso e denso, ma nero e oleoso, nauseabondo.
Lui non era un uomo: era una macchina.
 
Si svegliò urlando, in un bagno di sudore.
I vestiti gli aderivano al corpo come una seconda pelle. Aveva ancora la bottiglia in mano, la frantumò in terra e prese un coccio di vetro.
Pervaso dalla stessa follia del sogno si strappò i vestiti e cominciò ad aprirsi la pancia con la scheggia di vetro. Il sangue gli inondò le mani, schizzandogli il viso, il dolore avrebbe dovuto essere insopportabile, ma non sentiva niente: il terrore anestetizzava ogni cosa.
Doveva sapere! Che cos’era lui? Uomo o macchina? Doveva sapere!
Non si accorse della porta che si apriva di scatto e di Garrus, Jack e Miranda che irrompevano nella sua cabina, terrorizzati, giusto in tempo per impedirgli di tirarsi fuori le viscere dal petto.
Urlò come un invasato quando gli trattennero le mani, lanciò una scarica biotica contro Miranda e l’avrebbe uccisa se la perdita di sangue non l’avesse indebolito così tanto. Jack e Garrus riuscirono ad immobilizzarlo mentre Miranda tentava in tutti i modi d’iniettargli un sedativo.
Alla fine i suoi compagni ebbero la meglio, si lasciò andare, sfinito, contro Garrus, il corpo in preda alle convulsioni. Sentì gli occhi rovesciarsi e il mondo farsi più sfocato … mentre scivolava in quel delizioso oblio gli ritornò in mente il sapore della morte e sperò di morire davvero: non avrebbe sopportato di risvegliarsi ancora.

  
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