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Autore: M4RT1    15/07/2013    3 recensioni
Remake (?) della mia vecchia Song-fic.
I pensieri di un Arthur di soli sei anni riguardo la guerra che si combatte proprio sotto la sua finestra, ma dalla quale è escluso. I pensieri di un bambino che vede un altro bambino morire, e non capisce perchè.
"― Perché vuoi morire per me?― urla, sporgendosi fino a farsi affluire il sangue alla testa.
Il bambino alza lo sguardo verso l’alto: è pallido, sporco di terra e vestito con una stoffa marrone.
― Chi sei tu? ― grida a sua volta.
― Sono il principe Arthur di Camelot! ― è la prima volta che si presenta a qualcuno, ripetendo la tiritera che ha imparato all’età di tre anni."
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Principe Artù, Uther
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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A warning to the people
The good and the evil
This is war
 
Il bambino spalanca gli occhi alla vista di suo padre. È sempre così, quando lo vede passare: il re cammina con fare deciso, ed è così alto, forte, e il suo mantello fluttua così bene intorno alle sue caviglie, che il piccolo non può impedirsi di restare fermo e osservare la scena.
Come sempre, gli chiede se può provarlo. Gli sussurra: “Posso provarlo, papà?”
Ma, questa volta, il re non gli si avvicina con quella sua strana espressione arrabbiata e, nel contempo, sorridente – “burbera”, così ha detto Martin – per dargli una pacca sulla spalla e rispondergli che “Verrà il tempo in cui un bambino di nome Arthur avrà il suo mantello”.
Oggi, il re gli dice solo:
― Non ora, Arthur.
― Ma papà!
― Ho detto non ora!
Dietro di lui, due uomini dalle lunghe vesti blu scuro si muovono, veloci.
― Torna nelle tue stanze ― gli ordina il padre, e il piccolo Arthur capisce che è stato il re a parlare.
― Mio signore, l’annuncio è stato dato ― sta mormorando una delle due persone ― Siamo in guerra.
Gli occhi del principino si spalancano, le sopracciglia bionde inarcate. Vorrebbe urlare, ma “non si addice a un principe di già sei anni” e poi Morgana lo prenderebbe in giro. Ma lui sa cos’è la guerra, l’ha già vista. Ha visto i buoni combattere contro i cattivi, ha visto i cattivi infilare le spade nel petto degli amici di suo padre e ha visto tanti cavalieri simpatici tornare al castello coperti da un lenzuolo bianco. Aveva imparato che, se il lenzuolo copriva anche la testa, significava che erano morti.
Non voleva che morissero, non voleva. C’era un soldato, Gin, che aveva diciannove anni e il naso pieno di brufoli. Era simpatico, gli aveva lasciato prendere in mano la sua spada. Non poteva morire.
Il bambino corse giù per le scale, nel lato più buio del castello. Lì, tra le celle vuote della prigione, c’era una nicchia piena di ragnatele. Morgana non sarebbe mai scesa laggiù a cercarlo. Poteva piangere.
Non voleva. Non voleva che cominciasse una guerra.
 
To the soldier, the civilian
The martyr, the victim
This is war
Quando suo padre comincia a parlare, la voce rimbomba attraverso la parete della grande stanza.
Si chiama “sala del trono”, e il trono sarebbe quella grande sedia dove suo padre sta sempre seduto. Ad Arthur non è concesso di salirci, nemmeno quando suo padre è con il suo esercito. Martin è molto severo, e ha il permesso di metterlo in castigo e rinchiuderlo nelle segrete per un’ora.
― E ricordatevi che lo facciamo per il nostro paese e per il nostro popolo! ― sta gridando il re. Eppure, non è un grido di paura o di rabbia, non assomiglia a quelli che il principino sente quando accompagna il suo servo al mercato. È un urlo importante, un urlo da re. Un urlo che serve a farsi obbedire. Arthur vorrebbe imparare ad urlare in quel modo, e non come “una femminuccia spaventata”. Morgana lo prende sempre in giro per quello, e qualche volta gli ha anche dato un pugno. E il suo urlo, in effetti, non era come quello del re.
― Lo facciamo per i martiri che hanno subito la loro violenza, per le vittime della guerra passata…
― Chi sono i mantiri, Martin? ― sussurra Arthur, voltandosi verso il servo. Sono seduti entrambi in un angolino della stanza.
― I “martiri”, Arthur. I martiri sono delle persone che si sono sacrificate per qualcun altro.
Arthur annuisce, soddisfatto: Martin ha ventisette anni e sa sempre tutto.
― E per chi si sacrificano i nostri mantiri?
― Per Camelot. Per il re ― spiega ― Per te ― aggiunge alla fine.
― Me? Ma io non voglio.
È stupito, il piccolo Arthur. Lui odia la guerra, odia le grida e il fumo e il rumore delle lame contro le altre lame. Non gli piace quando suo padre lo chiude nelle sue stanze con Martir e, nei casi peggiori, anche con Morgana, obbligandoli a restare “al sicuro”. Odia pensare che qualcuno, per proteggere lui, diventi mantire in guerra.
 
Is the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die
The moment to fight, the moment to fight, to fight,
To fight, to fight
 
Quella sera, Martin resta a dormire al castello. Lui ha la sua casa, di solito, ma quando il re pensa che Arthur possa avere bisogno di aiuto, allora dorme in una stanza vicina a quella del principe.
― Bisogno di qualcosa, Arthur? ― gli chiede, mentre piega i vestiti del bambino.
Lui fa segno di no e salta sul letto, come tutte le sere. Dalla finestra si vede una luce arancione, in fondo, quasi tra i boschi. Martin osserva il bambino, il suo sguardo, e tira le tende. Sono rosse, fatte di una stoffa pesante, e la luce sparisce completamente. Riapparirà quando le candele saranno spente, ma Arthur non vuole fare la figura del fifone.
― Allora vado. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi ― si congeda il servo, e il bambino fa “ciao” con la manina.
Non appena la porta si chiude, Arthur sguscia giù dal letto e prende una delle pesanti sedie di legno. Ce ne sono tre, nella stanza, ma lui preferisce stare per terra. La sedia è troppo pesante per essere sollevata, così il bambino la trascina, i piedini che incespicano nel tappeto e il rumore della sedia che gratta contro il pavimento. Quando raggiunge la finestra, si arrampica sulla sedia e spalanca tende e vetri, sporgendosi il più possibile.
C’è un bambino, nel cortile. Arthur lo ha osservato per tutto il pomeriggio, da quando il primo scoppio ha cacciato via il silenzio. Da quando le campane hanno suonato senza che iniziasse la messa. Ora, finalmente, può chiedergli perché.
― Perché vuoi morire per me?― urla, sporgendosi fino a farsi affluire il sangue alla testa.
Il bambino alza lo sguardo verso l’alto: è pallido, sporco di terra e vestito con una stoffa marrone.
― Chi sei tu? ― grida a sua volta.
― Sono il principe Arthur di Camelot! ― è la prima volta che si presenta a qualcuno, ripetendo la tiritera che ha imparato all’età di tre anni.
― Tornatene a letto, principino!
Non è la prima volta che qualcuno glielo dice, ma è diverso: quel bambino è sporco, pallido e non sembra per niente gentile.
― Lo dirò a mio padre! Ti ho fatto una domanda e devi rispondermi!
Il bambino alza ancora lo sguardo, fino a incontrare gli occhi dell’altro. Non sembra spaventato, e comunque Arthur non lo direbbe a suo padre. Ha visto anche questo: ha visto dei bambini come lui venire impiccati accanto a dei malviventi. Non vuole che sia colpa sua.
― Vuoi sentire il perché? D’accordo, te lo dico! ― si arrende l’altro, e Arthur ha un impeto di gioia. Forse sta davvero imparando a urlare come suo padre. ― Qui nessuno vuole morire per te!
― E allora perché lo fate?
― Chiedilo a tuo padre! È lui che ha mandato il mio in guerra!
 
To the right, to the left
We will fight to the death
To the Edge of the Earth
It’s a brave new world
It’s a brave new world
 
Quando Arthur si risveglia, il mattino seguente, è raggomitolato nel letto e ha il viso incrostato di lacrime e moccio.
― Che è successo, Arthur? ― gli chiede Martin, avvicinandosi. Lo tira a sedere e gli pulisce le guance con un fazzoletto di stoffa.
― Ieri notte c’era un bambino in cortile ― mormora il piccolo, stropicciandosi gli occhi ― Lui era sporco, e arrabbiato, e abbiamo litigato.
Non si cura del fatto che la porta si è riaperta e che, probabilmente, è Morgana quella che cammina verso di lui.
― E poi?
― Poi sono arrivati due soldati e gli hanno urlato contro, e io sono scappato e poi… ― si interrompe, scosso da nuovi singhiozzi ― E poi quando sono tornato lui era per terra, ed era bianco e sono sicuro che era freddo e ora…
Martin lo ferma con un cenno della mano. Gli lascia il fazzoletto in grembo e apre le tende, permettendo al sole di inondare la stanza: il cortile è deserto, ma in un angolo ci sono tre fagotti bianchi. Si tratta dei soldati deceduti quella notte, eppure il primo sembra troppo piccolo per essere un cavaliere.
― Sono sicuro che sta bene ― mormora, mentre una bambina li raggiunge. È poco più grande del principe e ha lunghi capelli neri, mossi. Indossa un vestitino rosso.
― Che fai? Piangi? ― chiede, la vocetta altezzosa e antipatica. Martin la detesta, ma ovviamente non può dirlo, né tantomeno darlo a vedere. Quindi si trattiene dal ricordarle quanto lei abbia pianto, durante i primi giorni al castello. Sarebbe crudele, certo.
― Io non piango ― mormora il bambino, digrignando i denti.
― Oooh! Il piccolo Arthur vuole il suo papino ― lo rimbecca la bambina, una smorfia sul volto.
― Non è vero!
― Oh, sì che è vero!
― No! Non è…
Le campane suonano di nuovo. Martin fa alzare Arthur e, in un baleno, lo prepara per la cerimonia ufficiale che si terrà prima della sepoltura delle prime vittime.
Quando arrivano in cortile, due delle tre salme sono state coperte con un telo rosso e sono poste al centro di un ampio cerchio di persone. Il re è davanti a tutti e sta parlando.
― Erano due cavalieri coraggiosi e valorosi, forti nel corpo e nello spirito. Hanno combattuto fino allo stremo, morendo per la salvezza di tutti. Rendiamo onore a Sir Cardogan e a Sir Ginnel.
Il labbro inferiore del bambino trema visibilmente, mentre la manina sale fino a prendere quella del servo e tirarla giù, in una muta chiamata.
― Sir Ginnel era… cioè, è…
― Andiamo via, Arthur. Sono sicuro che il re non si arrabbierà.
  
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