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Autore: Marguerite Tyreen    15/07/2013    2 recensioni
[Emerson, Lake & Palmer]
Una nube oscurò il sole. Attraverso le palpebre abbassate, Greg non vedeva più i lampi di luce scomporsi in cerchi concentrici e fiori astratti, tanto che aprì gli occhi per scoprire dove fossero fuggiti. Attese, semplicemente. Attese perchè era ciò che gli riusciva meglio. Attese finchè il biancore non si dissolse in sfilacci lievi di cotone inghiottiti dall'azzurro.
Staccò un filo d'erba e se lo portò alle labbra. Un giorno anche lui avrebbe avuto tutto questo, anche se forse non sarebbe servito a lenire le pene. Il suo spirito tornò lontano, a ricoprirsi di una splendente armatura.

***
Un omaggio a Greg Lake e alla sua meravigliosa "Lucky man".
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mai mettersi ad ascoltare gli Emerson Lake & Palmer in un pomeriggio di caldo assurdo, altrimenti il risultato è un delirio come questo! Ho cercato di rendere omaggio a quel genio meraviglioso che è Greg Lake e a quella splendida ballata che è Lucky man: non sono soddisfatta del tutto, ma tant'è ^^” In ogni caso, grazie a chi è passato e a chi vorrà arrivare in fondo.
Un bacio,
Marguerite.

P.S. Per chi non ne fosse a conoscenza, Lake ha davvero composto
Lucky man a dodici anni. E se adesso state valutando assieme a me di appendere al chiodo la penna e/o la chitarra, beh, facciamoci buona compagnia. Io, onestamente, ho la tentazione di appendere entrambe =P



A E, la mia menestrella,
la creatura più bella che potessi incontrare.
Al suo amore per la musica, all'innocenza dei suoi sogni.

 

 

 

White horses and feathers


 

 


Poole, 1959.

L'estate era sempre un tormento. Non che l'inverno non lo fosse, insofferentemente imbrigliato come un cavallo indomito nei banchi, nelle righe troppo ordinate dei quaderni, nelle mille nozioni che, forse, non gli sarebbero mai davvero servite. Almeno non per quello che gli sembrava importante: vivere e suonare la chitarra, ma chissà dove fosse il confine tra le due cose.
Eppure, che le priorità e i progetti di un ragazzino di dodici anni agli adulti non interessassero, Greg l'aveva già capito. Era successo all'improvviso, in quel pomeriggio di metà luglio, mentre spiava il sole tra le ciglia bionde. Disteso sull'erba, aveva capito che persino il cielo era troppo immenso, troppo lontano per sentire la sua solitudine; talmente troppo blu che, per un attimo, aveva temuto che le iridi dei suoi occhi avessero quel colore soltanto di riflesso.
Nell'aria immobile, l'unica compagnia era il fruscio degli insetti tra le foglie, il battito insistente delle ali di un corvo sul ramo, il passo sinuoso di una biscia nascosta nel fieno. Ma quei rumori erano così fiacchi da non riuscire mai a coprire il suo sospiro. Sarebbe stato strano, dopotutto, che quelle creature irrazionali potessero confortarlo, quando nemmeno i coetanei avrebbero capito. E chissà perchè loro certamente stavano giocando al pallone, ignorando che da qualche parte, sul prato, lui stava cercando scaglie di mare e sognando frammenti di altre vite. O, chissà perchè, lui stesso, con tutto che avrebbe potuto non essere solo, preferiva girare e rigirare parole, piegare le frasi al suo volere, creare mondi e cancellarli con un solo battito delle palpebre, quando cominciavano a somigliare troppo ai suoi giorni.
Forse era stata una sua scelta: nella vastità aperta e incomprensibile dell'acqua e nella barriera, fintamente rassicurante, di stanze colme di affetto e ambizioni che non gli appartenevano, non era stato così difficile imparare a fuggire. La mamma sosteneva che fosse un dono. Glielo dicevano gli insegnanti, mentre disegnavano con lei il suo futuro su un foglio spaventosamente vuoto, che lui avrebbe voluto riempire di note.
Ma Greg cominciava a pensare che fosse piuttosto una condanna. Eppure doveva esserci stato un tempo in cui i menestrelli potevano essere felici: un liuto sulla spalla, la musica nella mente e nient'altro da portare con loro se non i racconti che avevano raccolto sul loro cammino. Doveva esserci stato un tempo in cui i cavalieri venivano ammirati per il coraggio delle loro nobili imprese solitarie e non derisi come sterili sognatori.

C'era una volta un uomo. Un uomo fortunato. O almeno questo si diceva di lui, quando passava per via, stando attenti a non farsi sentire. Arrivava sul suo cavallo bianco, l'invidia di tutti i paesani abituati agli animali da tiro, bestie da lavoro umili e prive di ogni eleganza.
Quando tornava al castello, le dame lo attendevano sulla soglia, vestite della seta dei loro abiti migliori, incantate dal suo sguardo e dall'oro dei suoi capelli. Un uomo fortunato. Lo pensavano anche loro stesse, mentre lo distendevano tra i pizzi candidi dei cuscini e le piume del letto, su materassi morbidi, così adatti al sonno e all'amore.
Un uomo fortunato, dicevano, inconsapevoli della tempesta che gli si agitava nel cuore.


Una nube oscurò il sole. Attraverso le palpebre abbassate, Greg non vedeva più i lampi di luce scomporsi in cerchi concentrici e fiori astratti, tanto che aprì gli occhi per scoprire dove fossero fuggiti. Attese, semplicemente. Attese perchè era ciò che gli riusciva meglio. Attese finchè il biancore non si dissolse in sfilacci lievi di cotone inghiottiti dall'azzurro.
Staccò un filo d'erba e se lo portò alle labbra. Un giorno anche lui avrebbe avuto tutto questo, anche se forse non sarebbe servito a lenire le pene.
Il suo spirito tornò lontano, a ricoprirsi di una splendente armatura.


La guerra aveva incendiato di nuovo il paese, strappando vite come una falce che mieteva i fiori insieme agli sterpi, incurante se l'ora fosse stata quella giusta. Era partito. Per il Re e per l'Inghilterra, aveva giurato, baciando la spada sull'elsa. Nessuno avrebbe dovuto sapere che partiva per sé, per cercare le risposte che nella pace e nel lusso non riusciva a trovare. Per cercare la quiete nella distruzione della battaglia.

-Greg! Gregory, è ora di rientrare!
Il vento caldo della sera portava la voce di sua madre. E la voce di sua madre portava con sé l'eco del vero. Non c'era più posto per il sole, per i cavalieri, per i nobili ideali nella luce artificiale, nelle notizie del giornale di suo padre, nelle esigenze feriali della cena.
Fu così che lo uccise.

Fu così che lo uccisero. In un grido, una ferita e un fiotto di sangue che arrossò il bianco della seta. Né l'amore né il denaro né il suo spirito incessantemente teso verso l'alto poterono salvarlo. E l'uomo fortunato si sdraiò, come si era sdraiato ogni mortale della terra, e chiuse gli occhi sul mondo, senza domande, senza più sogni.

Mentre ritornava verso casa, si perse a seguire con un dito la compagnia della sua ombra proiettata sul muro. Ancora non era abbastanza alto da raggiungere i cocci che vi si erano accumulati sopra. Ma sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbe tagliato con ognuno di essi eppoi con la stessa forza li avrebbe scacciati uno per uno dal suo cammino.
Sarebbe arrivato il giorno in cui quell'uomo fortunato sarebbe riemerso dalla guerra della vita con le sue risposte e nuove canzoni da cantare.
Perchè Lei era al suo fianco. Ne era certo, talmente certo che per un attimo credette di vedere una seconda ombra, di poco più grande, appena più indietro, appena più sicura nell'incedere.
Oh, what a lucky man I'll be.



 

   
 
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