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Autore: _InvisibleTouch    15/07/2013    0 recensioni
«Che è successo al tuo pollice opponibile?»
«Devi sapere che sono l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia.»
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sapete come si chiama il coso per prendere il gelato?

 
«Ha scritto sul nostro quaderno! E gliel’abbiamo lasciato fare!»
«Beh, io non sapevo che si chiamasse così comunque, l’ho sempre ignorato il suo nome se devo essere sincera.»
«Quante cose che si imparando, sono queste esperienze che te lo fanno capir…no! Non cambiamo argomento, lui ha scritto sul nostro quaderno, avevamo deciso che sarebbe stata una cosa nostra!»
«Non ne sei dispiaciuta, lo sai.»
«Tu lo sei?»
«Ma sono la persona più allegra della terra mentre guardo la sua calligrafia cicciotta.»

-

(cinque ore e mezza prima)

 
Mattia era una delle persone più timide che io conoscessi.
‘Non lo dovevo portare’ pensai.
Io e Noemi parlavamo, parlavamo sempre, mentre lui restava davanti a noi ascoltandoci, ridendo, pensando, ma senza dire assolutamente nulla e questo mi dava una specie di fastidio.
«Dì qualcosa, per favore, qualsiasi cosa; sembra quasi che ti mettiamo in soggezione.»
Credevo che andando in una pizzeria, con un’amica a me cara si sarebbe lasciato andare, almeno un pochino, ma restava con lo sguardo fisso sulla sua pizza con tanti pomodorini rossi che affogavano nella mozzarella. Il tonno sulla mia invece le dava un’aria quasi sporca, benché fosse buonissima sentivo che nello stomaco c’era spazio solo per le patatine fritte e una pesca.

«Se tu avessi un tumore, come lo chiameresti?» chiesi ad entrambi, che risero insieme, anche se la mia era una domanda seria e chiarii questo concetto ripetendola una seconda volta più lentamente.
«Non gli darei un nome, rischierei di affezionarmi a lui, che farebbe lo stesso con me.» disse sicuro.
«Eppure io glielo darei, invece, per questo ve l’ho chiesto. Penso che lo chiamerei…»
Non feci in tempo a fornire l’informazione che una voce maschile attirò la mia attenzione e quando mi girai notai che era il cameriere, un ragazzo piuttosto alto con la pelle chiara rovinata dall’acne, solo un poco, e le braccia magre, coperte dalle maniche corte della maglietta nera che riportava il nome del locale.
«Scusate, l’avete chiesta voi un’altra coca-cola zero?»
Noemi alzò la mano, come uno studente che si fa notare dal professore perché sa la risposta e la bibita in lattina ancora da stappare venne posata con delicatezza sul tavolo.

Il posto era accogliente, non stavo né guardando né ascoltando le persone sedute al tavolo con me, stavo osservano dove mi trovavo: le pareti erano di legno chiaro, sembrava quasi un rosa antico che risaltava con il parquet scuro sotto le scarpe col tacco alto delle donne che camminavano velocemente, come se volessero far capire alle altre persone con le converse bianche, come me, che loro erano superiori e sapevano portare anche quei trampoli senza alcun problema. Erano eleganti perché sapevano essere sempre al meglio in ogni situazione, perché le persone si giravano e distoglievano l’attenzione da quello che stavano facendo solo per guardare il loro portamento perfetto.
Alzai il sopracciglio e tornai a tagliare la pizza della quale avevo mangiato solo tre fette. Ero lenta, mi piaceva gustarmi il sapore del pomodoro sotto i denti e la pasta ormai croccante e scura in qualche punto dove era leggermente più cotta.

«Glielo facciamo vedere il quaderno, a Mattia?» azzardò lei, e a questa affermazione il ragazzo aggrottò le sopracciglia non capendo a cosa la ragazza alta con i capelli rossicci si stesse riferendo.
Dopo aver annuito afferrai la borsa che le avevo prestato, una pascette nera con piccole borchie dalla quale estrassi un piccolo quaderno color rosa scuro.

-
 

L’idea ci venne quando a casa di Noemi lo notammo, lì, completamente inutilizzato e anche un po’ sporco di trucco nero.
«Io penso che dovremmo usarlo per qualcosa, Noe.»
«Tu dici? E per cosa?»
«Non lo so, scriviamoci, è un quaderno ed è anche piccolo quindi potremmo portacelo sempre con noi.»
«E potremmo scriverci cosa ci capita, come un diario.»
«Ma il diario si scrive tutte le sere, noi siamo in due e adesso è pomeriggio.»
«Allora piccoli schizzi, piccole perle di saggezza, liste di cose a caso, di tutto insomma.»
E fu davvero così.
Ogni cosa pseudo importante che pensavamo la riportavamo sul quaderno, lo iniziammo scrivendo ‘Vorrei cagare lillà. [colore]’. Ritenevamo che sarebbe stata molto più invitante; oppure inventavano una lista, del tipo ‘Cosa vorrei vedere guardando fuori dal finestrino?’ e ognuna diceva una cosa alla volta, riempiendo le pagine.
«E quando finirà?» chiesi.
«Ne attaccheremo un altro con la graffatrice, come si faceva alle elementari.»
Pieno zeppo di colori, a volte scritto con la penna altre con il pennarello.
Prendevamo la prima cosa che ci capitava in mano o, nel cercare, ci saremmo dimenticate cosa dovevamo scrivere.

 

-
 

«Dai, leggilo tu Mat, per me e Noe è troppo imbarazzante.»
Lui cominciò a scrutare le pagine e trovava qualche difficoltà nel decifrare le lettere scritte velocemente che formavano frasi grammaticalmente scorrette, delle volte.
«Penna, ci serve una penna! Sicuramente diremo qualcosa di intelligente.»
Alzò la voce per farsi sentire.
«Cameriere! Cameriere! Ci serve una penna!»
Non arrivò nessuno per qualche secondo, poi sentii dei passi alle mie spalle e una mano bianca posò una penna blu sul tavolo, mi girai e vidi il ragazzo con i segni dell’acne che ci guardava con una finta aria minacciosa che mi fece comparire un sorriso sul volto.
«E’ la mia penna preferita, attenti.»
Appena se ne andò guardai Noemi e aggrottai leggermente le sopracciglia, presi un grissino e prima di strapparne un pezzo con i denti e sgranocchiarlo chiesi curiosa.
«Ma quello lì, lo conosci? E come si chiama?»
«Non lo conosco bene, so che si chiama Francesco.»

Mentre Mattia e Noemi leggevano il libro io avevo posato le braccia sul tavolo e, distratta, guardavo il cielo pieno di nuvole che ormai era scuro e prometteva pioggia. Forse mi stavo annoiando, ma sobbalzai quando sentii un rumore: quello di una sedia che veniva presa e trascinata per esser spostata. Francesco aveva una sigaretta in mano e si era avvicinato al nostro tavolo.
Dove l’aveva presa tutta quella naturalezza?
Non ero stupita per il fatto che avrebbe passato la sua pausa-sigaretta con noi (e invece sì, un po’ lo ero), ma perché l’aveva fatto senza chiedere, irrompendo nella nostra piccola bolla nella consapevolezza che non avrebbe mai disturbato.
Prese l’accendino e la penna che era appoggiata sulla tovaglia bianca, provò a far uscire la punta premendo col polpastrello all’estremità del tubetto che conteneva l’inchiostro, ma sembrava non funzionare, solo dopo quattro tentativi capì che era rotta.
«Ti avevo detto che era la mia penna preferita.» disse rivolgendosi a Noemi, ma anche io volevo parlare con lui, volevo anche io la sua attenzione.
«Colta tua, che le hai dato fiducia.» dissi.
«Hai ragione. E adesso non ce l’ha più! Piacere, Francesco.»
Mi porse la mano e io, sorridendo, intrecciai le mie dita con le sue e quando sciolsi quel fiocco formato dalla mia mano abbronzata e dalla sua color latte notai un grosso anello sul suo anulare destro.
Ci parlò del locale: era dei suoi genitori e lui e suo fratello lavorano come camerieri, lui tutte le sere.
Probabilmente era molto conosciuto, o meglio: il suo viso. Quando la gente lo vedeva camminare con il telefono in mano pensava ‘Il ragazzo del ristorante!’ e non ‘Ecco Francesco’. Chissà se a volte sentiva i pensieri delle persone che lo osservavano, che si chiedevano se la sera non avrebbe preferito restare per conto suo, invece che continuare a portare pietanze senza poterne assaggiare nessuna.
«Certo che potevi venir qui prima!» disse Noemi, dopo aver concluso l’argomento In una pizzeria non ha senso prendere la pizza margherita.
«Io stavo facendo qualcosa, qui, ma non era molto importante, tranquille.»
«E cosa c’è di meglio che star qui con noi?» chiesi sorridendo.
«Beh, devi sapere che mi pagano.»
Ridemmo tutti insieme mentre Mattia era caduto in quel silenzio che mi dava sempre tanto fastidio, ma ormai non ci facevo più caso, i miei occhi e la mia attenzione erano fissi su quel nuovo arrivo.
Ci spiegò d’avere una compagna e che a casa sarebbe andato da lei che aveva un figlio non da lui, ma gli andava benissimo. L’amava, un amore sicuramente molto forte, un amore che ti fa vedere una creatura della donna con cui passerai il resto della vita e un altro, intruso, e che ti fa pensare ‘Non fa nulla, la mano, e amo anche lui.’

«Lo sapete come si chiama il coso per prendere il gelato?» disse tranquillamente, con un filo d’ironia poiché sapeva che non ne avevamo idea.
«Mh, cucchiaio da gelato?» chiese Noemi ridendo.
Non pensavo nemmeno che qualcuno gli avesse dato un nome.
«Si chiama…»
«Aspetta! Scrivilo sul quaderno!» dicemmo insieme.
Lui non capì molto bene, solo quando gli mettemmo sotto gli occhi il piccolo libriccino gli spiegammo che raccoglievamo tutto quello sembrava importante, così prese una penna che aveva recuperato prima e cominciò a scrivere impugnandola in modo strano, come se non avesse il pollice opponibile.
«Che è successo al tuo pollice opponibile?» dissi.
«Devi sapere che sono l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia.»
Rise e chiuse il quaderno poggiandolo al centro del tavolo per poi alzarsi e andare verso la cassa, dopo averci salutati contento.
Presi quell’insieme di fogli e, mentre Mattia continuava a star zitto, aprii la pagina dove lui aveva scritto, sorridendo.

IL COSO PER PRENDERE IL GELATO SI CHIAMA….
“PORZIONATORE”.
-FRANCESCO

  
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