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Autore: Frammenti di Specchio    16/07/2013    2 recensioni
‘Chi salva una vita, salva il mondo intero.’
16 e 17 luglio 1942.
Nel ricordo di quei bambini scomparsi nel vento e mai più tornati a casa.
Genere: Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ziva David
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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KAKHOR. AL TICHKAH.
Ricorda. Non dimenticare mai.

 
 

‘Chi salva una vita, salva il mondo intero.’

 

Capitolo Uno
25 Novembre 2008

 
 
Mancavano pochi giorni al quarto giovedì di novembre e Gibbs aveva già organizzato il pranzo del Ringraziamento a casa sua spargendo gli inviti sottoforma d’imposizioni.
Nonostante le sue espressioni burbere e imbronciate, Ziva sapeva perfettamente che lui amava trascorrere il tempo con loro, soprattutto nei giorni di festa quando ogni istante, ogni gesto, ogni sfaccettatura della giornata gli ricordava ciò che aveva perso negli anni addietro. Come Gibbs, anche lei non amava le feste: aveva iniziato a festeggiare e amare un Natale pagano soltanto perché Jetro invitava tutti per cenone fra amici, altrimenti si sarebbe trovata da sola nel suo appartamento come per ogni Shabbat che, ormai, non festeggiava più. Le feste in solitudine le ricordavano la madre e i due fratelli, per questo aveva iniziato ad accettare gli inviti di Gibbs: gli amici riuscivano a rendere la sua solitudine più sopportabile.
Il 28 novembre sarebbe arrivato presto e sulla grande tavolata sarebbe comparso il tacchino ripieno. Ducky avrebbe portato il suo champagne e il suo vino preferito, Palmer gli analcolici e le sue battute senza senso, Abby avrebbe svolazzato per il salone fra pizzi e merletti neri allestendo un qualche gioco di gruppo, Mcgee e Tony avrebbero portato allegria come due fenomeni da circo che rendevano la festa più colorata e lei avrebbe preparato il dolce e, magari, avrebbe potuto aiutare Gibbs a preparare il tacchino, proprio come farebbe una figlia con il padre...
Voltò il capo per vedere bene i visi delle persone cui teneva di più al mondo: Gibbs stava osservando Mcgee e Tony che si scambiavano battutine sulle donne. Un quadretto tipico delle uscite serali fra loro.

Avevano deciso di andare a bere qualcosa dopo la chiusura di un pesante caso di rapimento ed erano approdati, come di consueto, nel Rocket Bar di Alex Buck, sulla settima strada.
Non appena avevano messo piede nel locale e si erano seduti al solito tavolo nell'angolo a destra, Tony aveva iniziato a elogiare le sue capacità di ammaliatore sulle donne, un argomento che andava molto di moda nel suo mondo da donnaiolo, ma che non riusciva a trovare confronto col povero pivello e con Gibbs, ma che riusciva a fare scattare il nervosismo a Ziva tramutando gli elogi di Tony in battibecchi fra marito e moglie. Mcgee, come ogni volta, assisteva alla scena inerte e con un sorrisino stampato in faccia, senza alcuna voglia di spendere parole per interrompere quelle scaramucce.
Ziva e Tony interruppero la loro discussione solamente qualche minuto dopo, quando Alex arrivò con un sorriso stampato in faccia e un vassoio con tre boccali di birra, una cioccolata calda e una scodella in vetro con le patatine fritte. Tony, immediatamente, prese a sfregarsi velocemente le mani mentre Alex gli poggiava davanti il sottobicchiere e, poi, la caraffa di limpida birra bionda. - É questo che ci vuole dopo una lunga ed intensa giornata di lavoro!
- Una birra?
Tony andò avanti a ridacchiare scuotendo il capo verso Ziva mentre cercava di farle gli occhi dolci - No, no, no, mia piccola Mossad. QUESTA - e indicò il calice con entrambe le mani come se fosse un mago davanti alla sfera di cristallo - è LA birra di Alex! Un toccasana per il corpo, un elisir di bontà e un...
- Insomma, non hai trovato una vera bionda per questa sera e ti consoli della birra. Puoi dirlo Tony, non c'è nulla di cui vergognarsi!
Fragorose furono le risate di Mcgee e Gibbs ed inevitabile il broncio di Tony. - Cominci a dare fastidio, David. Come le mosche!
- Oh, ti sei offeso? - gli cantilenò lei tirandogli l'orecchio e facendolo sorridere, poi scosse il capo con un sorriso ed avvicinò a sé la sua tazza di cioccolata calda fumante con frammenti di scorze di arancia in superficie; soffriva molto il freddo americano, un freddo che in Israele non aveva mai incontrato. Là, gli inverni sono più dolci, miti e non rigidi come a Washington. Prese fra le mani la tazza bianca ed osservò la nuvola di vapore salire verso il suo viso, percepì quell'aroma amarognolo di cioccolato fondente e ricordò il volto di sua madre ai fornelli che la preparava per far fare merenda a lei e la sorella. Sorrise senza saperlo, un sorriso triste, un ricordo lontano: lei che mangiava la cioccolata e, ogni volta, si sporcava tutta la faccia e sua madre che si chinava accanto per pulirle il viso con un panno tiepido. Poi, la baciava e le diceva 'Profumi di cioccolato, adesso!'

- Riwka? - la voce tremante, instabile e sottile di un uomo la riportò alla realtà, facendole sobbalzare mentre incontrava lo sguardo perplesso di Tony.
Di scatto, come se qualcuno le avesse puntato una pistola alla schiena ed un brivido l'avesse colpita dritta al cranio, si voltò con mezzo busto alla sua sinistra: accanto a lei, era in piedi un uomo anziano, molto magro; non aveva la schiena curva come molti della sua età ma Ziva poteva cogliere il peso degli anni sulle sue spalle. Il volto era pallido e segnato da una lontana tristezza, i capelli erano brizzolati ed aveva delle calvizie vicino alle orecchie. - Riwka! - ripeté lui guardandola negli occhi come se avesse appena visto un fantasma davanti a sé. I suoi occhi erano grandi, azzurri e luminosi, forse per le lacrime o lo stupore - Riwka , sei proprio tu? La mia Riwka?
D'impulso, Tony scattò in piedi portandosi un po' più vicino a Ziva come se volesse proteggerla da chissà quale pericolo.
Lei corrugò la fronte e, senza motivo, il suo cuore iniziò a battere più velocemente nel petto, il respiro le si bloccò in gola ed iniziò a sentire un gran caldo; provava una spiacevole sensazione di disagio. - Il mio nome non è Riwka...

L'uomo, inghiottita la risposta, iniziò a guardarsi attorno con solo gli occhi, agitato e spaesato, quasi si fosse svegliato da un sogno nel quale si era improvvisamente assopito. - Scu... non... mi scusi, non dovevo venire qua... ma lei... somiglia ad una... persona che persi a Parigi... - fece una piccola pausa per riprendere fiato, poi aggiunse - tanti, tanti anni fa... - si passò la mano fra i capelli brizzolati, sospirando. In quell'istante, fu raggiunto da un altro uomo, questa volta più giovane, sui cinquant'anni, che gli si affiancò poggiandogli le mani attorno alle braccia - Papà, cosa stai facendo? Non disturbare i signori... - mormorò facendo un cenno agli adenti del NCIS, scusandosi. Tony ebbe l'impressione che quel cinquantenne avesse già assistito ad una scena simile da parte dell'anziano padre.

Il vecchio signore si rivolse al figlio con tono quieto, imbarazzato e Ziva si stupì ulteriormente quando lo sentì parlare in ebraico - Questa volta... ci credevo...  Credevo di aver ritrovato la mia Riwka...pensavo fosse davvero lei... che fosse scappata... ma...
- Papà, smettila! È solamente un disegno, un'immagine della tua mente... Devi smettere di farti del male. Andiamo a casa dalle ragazze, dai... - gli disse con dolcezza l'uomo afferrandolo per mano ed incoraggiandolo a tornare verso il loro tavolo.

Tony, Mcgee si fissano senza riuscire a comprendere il motivo di così tanta malinconia, probabilmente quell'uomo aveva visto in Ziva qualcosa che gli ricordava la moglie o la figlia; Tony, sicuro che fosse tutto a posto, tornò a sedersi accanto a lei.
Gibbs, però, continuava a sfiorare Ziva con lo sguardo. Aveva un'espressione pensierosa, come se stesse ricordando un passato che non voleva ricordare, come se stesse cercando un tassello del puzzle che gli avrebbe fatto capire chi poteva essere quell'uomo.
L'anziano signore, probabilmente dopo aver ritrovato la giusta lucidità ed un po' più di pace dentro di sé, si voltò nuovamente verso gli agenti seduti al tavolo e fece un piccolo cenno col capo - Perdonate l'intrusione di un povero vecchio che ha ancora negli occhi la tragedia del Vel' d'hiv... - e si passò un'altra volta la mano sulla testa. - Buona continuazione.

Fu allora, quando l'uomo alzò la mano per passarla sulla testa, che Ziva notò quelle sei lettere incise a fuoco suo polso destro. Sapeva perfettamente il loro significato e, nonostante fosse cresciuta assieme a persone che portavano inciso quel marchio, non riusciva mai a smettere di sentire un groppo alla gola quando ne vedeva uno. E fu allora che, come una doccia gelata in pieno inverno, quel tassello che le mancava le cadde nel cuore e, così, non poté far altro che alzarsi di scatto in piedi e, sotto gli occhi increduli degli amici, chiamare quell'uomo – Aspetti, Monsieur!

L'anziano ed il figlio si voltarono di scatto avvolti dalla musica del Rocket Bar.

Ziva vide l'uomo corrugare la fronte - Ha detto Vel' D'Hiv? Luglio 1942?

Sgranò gli occhi come se una vecchia ferita, mai rimarginata ed ancora aperta, avesse ripreso a sanguinare copiosamente. Si voltò e tornò lentamente verso l'agente David accompagnato dal figlio. - Lei conosceLa rafle du Vel' D'Hiv? - l'uomo, tremando, si portò una mano alla bocca, incredulo che una così giovane donna americana conoscesse quella parte di storia europea oscurata per anni.
- Mia madre aveva quattro anni. Si chiamava Riwka. Viveva a Parigi.

Alle parole di Ziva, ci fu un lungo silenzio, rotto solamente dalla felicità ed allegria che echeggiava per tutto il bar. Lei l’uomo si guardarono negli occhi, uno scambio intenso, pieno di angoscia e incredulità. La tensione si spezzò solamente quando l'anziano barcollò e si dovette tenere al figlio ed al braccio di Gibbs per reggersi in piedi. Tony si spostò velocemente passando dietro a Ziva e raggiunse l'uomo per aiutarlo a mettersi seduto sulla sedia che la donna gli aveva lasciato.

Infine, dopo essere certo che l'anziano stesse meglio, alzò lo sguardo su Ziva e vide che anche lei lo stava fissando e nei suoi occhi lesse il bisogno di trovare un appiglio nel presente per non ricordare il fardello del passato della sua famiglia. Le si avvicinò afferrandole il polso e stringendoglielo, come se quella stretta fosse un silenzioso: 'Ehi, io sono qui'.
Lei l'osservò con gli occhi che bruciavano, deglutì e tornò a fissare l'anziano signore seduto davanti a lei - Chi è lei? - chiese senza quasi più voce mentre sentiva il calore di Tony attorno al suo polso.
L'uomo alzò lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime - Suo fratello.
 
Ziva rimase a fissarlo senza riuscire a muoversi, senza riuscire a parlare, con gli occhi arrossati, brucianti, il cuore in subbuglio e la mente che ripercorreva scene a caso della sua infanzia, della sua giovinezza senza riuscire ad aggrapparsi a qualcosa di concreto. Sua madre non le aveva mai parlato di un fratello, come non le aveva mai parlato dei suoi veri genitori, come non le aveva mai parlato del Vélodrome d'Hiver. L'aveva saputo dal padre, un luglio di tanti anni addietro quando la madre aveva portato lei e sua sorella in Francia, a Parigi. Ricordava perfettamente quel giorno afoso di luglio, ricordava che la madre indossava un abito con le spalline larghe blu e la gonna che scendeva svasata fino a metà polpaccio. Ricordava che quel giorno non aveva parlato. Aveva solo pianto.

La conversazione si spense come una camelia che cade dal ramo ancora in fiore. Nessuno aveva il coraggio di fare domande o chiedere spiegazioni. Tutti si guardavano con la mente completamente in subbuglio, con sguardi perplessi ed esterrefatti, quasi increduli di quel ritrovamento dopo così tanti anni.

Fu, però, il figlio dell'anziano a decidere di fare quel passo che avrebbe finalmente allentato ogni tensione - Credo sia venuto il momento di presentarsi: - disse con un sorriso quasi imbarazzato mentre si slacciava i polsini della camicia azzurra, forse la tensione gli aveva metto caldo - mi chiamo Richard Levy e questo è mio padre, Josef.

Il gruppo di uomini si strinse la mano come in ogni incontro e si scambiarono i consueti convenevoli presentandosi gli uni agli altri, solo Ziva restò immobile senza riuscire a parlare, né a muovere un muscolo. Ritornò alla realtà soltanto quando Tony le poggiò una mano sulla schiena e portò una sedia in più per lei e per Richard; nel frattempo, Gibbs aveva chiesto ad Alex, il barista, un bicchiere d'acqua per Josef che non tardò certo ad arrivare.

Dopo che ebbe bevuto, Josef riprese fiato lentamente, liberando la tensione che portava dentro e cercando di trattenere le lacrime che portava dentro.
Tony vide che gli occhi di Ziva, arrossati e gonfi, erano posati su quell'uomo; a quel punto, senza pensarci troppo, fece l'unica cosa che il suo cuore gli suggeriva di fare: da sotto il tavolo, poggiò una mano sul ginocchio della donna. Lei, sussultando impercettibilmente, percepì immediatamente il tiepido calore di Tony e, indistintamente, anche la sua forza.
La domanda di McGee arrivò quasi subito ed apparve chiara e decisa ma Tony percepì in essa un lieve accento frastornato. - Cos'è il Bel Div?

- Vel' d'Hiv. - lo corresse Ziva con un filo di voce girando il capo verso l'amico.

- Vel' d'Hiv. - ripeté fra sé e sé - Non ne ho mai sentito parlare... - scosse il capo.

Ziva rimase senza espressione, i suoi occhi erano tornati freddi. Era ben consapevole che quella parte di storia non fosse studiata nelle scuole europee, né in quelle americane, era accennata o liquidata con poche righe dei libri di storia oppure, semplicemente, era evitata. - La notte del 16 e 17 luglio del 1942, iniziò quella che prendeva il nome di 'Operazione vento di primavera'. Furono arrestati più di tredicimila ebrei, per la maggioranza donne e bambini. Molti furono mandati nel campo di smistamento di Drancy, a nord della Francia per poi essere smistati in Germania e Polonia. - fece una piccola pausa ed abbassò lo sguardo sulla cioccolata che, oramai, non fumava più e si era intiepidita - Gli altri, la maggioranza, furono collocati nel Vel' d'Hiv, il Velodromo, in condizioni disumane. Persone ammassate per giorni, senza letti, né bagni e quasi senz'acqua. Molta gente si tolse la vita gettandosi dagli spalti, altri morirono di disidratazione, malattie... - fece un'altra pausa per nascondere la voce roca, poi riprese - I sopravvissuti furono inviati nei campi di Drancy, Beaune-la-Rolande e Pithiviers. In seguito, i bambini più piccoli furono separati dai genitori e trattenuti nei campi per giorni in attesa che Eichmann ordinasse la loro partenza. - Ziva sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma lottò con tutta se stessa per non piangere e proseguire la storia - Infine, sporchi, soli e malati, furono fatti salire su un treno con destinazione Auschwitz. Al loro arrivo, non ci fu nessuna selezione: furono mandati direttamente nelle camere a gas. - si mordicchiò il labbro, poi guardò Mcgee negli occhi - Nessuno dei bambini saliti su quel treno tornò a casa.

- Avrebbero dovuto finire i tedeschi, là dentro. - intervenne Tony, sprezzante.
Ziva voltò lo sguardo, ma fu Josef a rispondere per primo - Agente DiNozzo... non sono stati i tedeschi, ma la gendarmerie. Fu la Francia a tradire i suoi cittadini... nessuno in Germania aveva richiesto un rastrellamento simile...

Gibbs, Mcgee e Tony spostarono l'attenzione sul vecchio Josef. Anche il figlio guardò il padre, aveva già sentito quella storia, tanti anni addietro ma, in quell'istante, vedeva tutto con una luce diversa, una piccola candela fatta di speranza, la speranza che il padre potesse finalmente riposare in pace. - Era la notte del 16 luglio, le 3:20, per la precisione. Eravamo nel letto con nostra madre. - alzò lo sguardo per fissare gli occhi di Ziva, grandi e luminosi. - Riwka era in mezzo, era piccola, aveva appena compiuto quattro anni e voleva sempre sentire la vicinanza della mamma. Nostro padre non era in casa, ma assieme ad altri uomini nascosti nelle cantine. - si passò una mano fra i capelli, probabilmente era un vecchio vizio. - Girava voce che arrestassero sono uomini e non donne e bambini, ma poi accadde qualcosa. Quella notte, alle 3:20 la polizia bussò alla nostra porta. – Richard, in piedi accanto al padre, gli strinse la mano notando che stava iniziando a farsi prendere dall’ansia. – Ricordo ancora oggi che nostra madre indossò la vestaglia bianca ed andò ad aprire senza mettere le ciabatte. Ricordo era pallida ed invecchiata di colpo, nonostante i suoi trent'anni. Aveva profonde occhiaie ed occhi rossi per le notti insonni. Quando tornò, mi disse di svegliare e vestire mia sorella, preparare alcuni vestiti, acqua e di prendere il poco cibo che avevamo in casa.

Ziva distolse lo sguardo e lo posò sul bicchiere di birra di Tony: era ancora mezzo pieno, non aveva bevuto molto ed, osservando il suo volto, notò che era immerso nel racconto di Josef e la sua mano posava ancora sulla sua gamba.

Josef proseguì schiarendosi la voce dopo aver bevuto un goccio d'acqua perché sentiva la bocca impastata - La gendarmeria ci disse di muoverci, dovevamo prendere poche cose, dovevamo fare in fretta a raggiungere gli altri. Arrivati in giardino, scoprimmo che papà ed altri uomini erano già giù, ci aspettavano con sguardo preoccupati assieme ad altre famiglie. - si passò una mano sotto il naso e respirò a pieni polmoni, il ricordo del padre gli riempiva il cuore di amarezza - Mio padre ci venne incontro, i capelli neri, la barba incolta; ricordo baciò mia madre e me sulla fronte, poi prese in braccio Riwka le baciò le guancie rosse. Lo faceva sempre. - fece spallucce cercando di allontanare la triste nostalgia di quella perla di dolcezza, una perla che mai più avrebbe potuto riassaporare - Ci fecero salire su un normale autobus, uno di quelli che prendevo sempre con mia madre. Sedevamo in sette accalcati in due sedili. Mio padre mi teneva seduto sulle gambe, invece mia madre stringeva a sé mia sorella, quasi avesse paura gliela rubassero. - tossicchiò stringendo la mano del figlio - Mezzora più tardi, ci fecero scendere davanti al Velodromo. La gente spingeva, la calca era tanta e il caldo era soffocante. Stupidamente, finimmo l'acqua entro mezzogiorno, quando mia madre la usò per bagnare la testa bollente di mia sorella. Era sudata, ma continuava a restare attaccata a lei. - sorrise nel ricordare la cocciutaggine e il legame di Riwka con la madre.
 
Gibbs spostò lo sguardo da Josef a Ziva, non riusciva ad immaginare che cosa potesse provare in quel momento. Di certo, smarrimento, confusione, cosa che provava anche lui e, a guardare Tony e Mcgee, anche loro si sentivano spaesati di fronte a quella assurda coincidenza. Tornò a fissare Josef quando riprese a parlare dopo essersi inumidito con un goccio d’acqua le labbra impastate.

Poggiò il bicchiere senza staccare la mano dal vetro e sorrise amaramente fissandolo - Tutti noi eravamo preda di una tacita sicurezza: non saremo mai più tornati a casa, sostavamo nell'anticamera della morte prima di guardarla davvero in faccia e sbatterci contro. Fu allora, quando vidi una delle infermiere vestite di bianco e il velo blu portarci la poca acqua che la polizia ci concedeva, che feci ciò che avrei rifatto altre centomila volte...

 


Un grande grazie a tutti coloro che hanno letto questo capitolo ed hanno ricordato questo pezzo di storia che nelle scuole non viene trattata. Domani mattina posterò il capitolo conclusivo. Spero vi sia piaciuto.
Un abbraccio a tutti i lettori e recensori, se ce ne saranno. Ziva Prentiss  
   
 
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