Stand
by me
“Luce
in fondo al tunnel, boccata d’aria, limpida, parole, musica,
casa dolce casa”.
[Max Pezzali – Sei Fantastica]
Eh
sì, casa dolce casa, finalmente. Stiles la sua casa,
ed ora, lì, in aeroporto, quest’ultimo lo
osservava con aria interrogativa, i
suoi occhi nocciola vuoti, appannati da un velo di tristezza.
«Che
ci fai qui?» Stiles sorpreso ed arrabbiato per la
presenza di Derek.
«Non avevo nulla da fare e ho deciso di farmi un giretto in
aeroporto». Il
sarcasmo onnipresente.
«Sei strano eh!» Aggiungeva Stiles con aria di
sufficienza.
«Strano? Torni qua, all’improvviso, dopo essertene
andato alla stessa maniera e
neanche mi saluti. Davvero credi che mi sia fatto un giro qui a caso?
Forza
sali in macchina, tuo padre ti attende in ufficio!» Derek si
era ripromesso di
mantenere la calma, ma quella visione lo aveva sconvolto a tal punto
che rabbia
e dolore lo soppraffacevano.
In
macchina, Derek aveva comprato una nuova Camaro,
Stiles osservava le strade della cittadina. Gli sembravano
così sconosciute,
come se le stesse percorrendo per la prima volta nella sua vita.
Il
silenzio tombale nell’abitacolo, Derek non poteva
far a meno di osservare quel corpicino più magro di quanto
lo ricordasse, quel
visino abbronzato, ma allo stesso tempo cupo e si chiedeva
continuamente se,
quella figura esile, seduta al suo fianco, lo incolpasse
dell’accaduto.
Mesi
e mesi trascorsi, ogni giorno si faceva la stessa
domanda, ogni volta cercava una risposta. Chiamava Stiles sul
cellulare, ma
puntualmente rispondeva la segreteria. Provava a mettersi in contatto
con lui
tramite webcam, ma la finestra veniva continuamente chiusa. Chiedeva
informazioni a Lydia, ma quest’ultima gli ripeteva di
lasciarlo stare e che
sapeva poco anche lei. Rimaneva una sola persona con cui Stiles poteva
confidarsi, lì in America, ma era anche l’unica
persona dalla quale non poteva
andare, troppe colpe le addossava, anche in quell’occasione.
E poi quella serie di omicidi e l’idea infusa nel padre di
richiamarlo in
patria, come esperto di omicidi di tal calibro.
Mille
e mille pensieri affollavano le menti dei due
giovani, in un lampo si ritrovavano nel parcheggio
dell’ufficio dello sceriffo.
Sull’uscio
dell’ingresso lo sceriffo Stilinski,
immensamente grato a Derek per avergli riportato suo figlio.
«Come stai?»
«Onestamente? Mi dispiace aver abbandonato Taormina!
Un paese bellissimo, tanto quanto gli italiani. Dovresti andarci un
giorno.
Gentilissima la popolazione, difficile rimanere a stomaco vuoto,
impressionante
il calore di quella gente nei confronti di uno straniero qualsiasi.
Mozzafiato
i paesaggi siciliani, come le ragazze e i ragazzi… si
potevano ammirare
panorami estasianti e, spesso, si poteva usufruire di questi, per far
qualche
foto. Le serate passate nelle piazze ad assistere ad ogni sorta di
spettacolo e
la musica che accompagna ogni attività degli
italiani». Raccontando alcune
delle sue avventure, si dirigeva in ufficio col padre, osservando di
soppiatto
la faccia Derek, sempre più rigida e contratta.
Terminato
il lungo racconto, il giovane veniva messo al
corrente circa la situazione gravosa per il quale era stato richiamato.
Una
serie di omicidi dall’impronta lupesca danneggiava la
città ma, dal momento che
l’esperto in materia era Derek, si chiedeva il
perché della sua necessaria
presenza. Che il motivo, in realtà, risiedesse nella nuova
ed innata complicità
tra suo padre e Derek?
A
casa, sotto la doccia tentava di rilassarsi, di non
pensare al luogo in cui si trovava.
Un
rumore di finestra alzata… Scott!
E
chi altri se no.
Vestitosi,
apriva la porta della sua stanza, il sorriso
smagliante veniva meno alla vista di Derek sdraiato sul suo letto.
«Esiste la porta, non te l’hanno
insegnato?»
«E tu hai dimenticato che noi lupi amiamo complicarci la
vita?» Calmo il tono
di Derek, lentamente si alzava per avvicinarsi a Stiles a passi lenti,
lo
sguardo fisso nei suoi occhi. Una mano, calda, scivolava sul braccio
penzolante
e arrossato del giovane umano scosso da un leggero brivido. Gli occhi,
sempre
velati da quella tristezza che, ormai, sembrava far parte del suo
essere.
Risaliva verso il collo, la dolce mano olivastra… lo
accarezzava con massima
cura, nell’invano tentativo di indovinare i suoi pensieri.
Il palmo della mano, inizialmente dischiuso, man mano che si faceva
strada, toccava
con foga il viso, padrone di quel corpo troppo rigido per appartenere
al suo
amato.
Incredulità e felicità… sette mesi in
Italia e tutto ciò che amava di Stiles
era sfuggito via, come se costui avesse lasciato a Taormina la sua
essenza.
«Volevi
tentare di farmi ingelosire in ufficio?» Un
labile sussurro, la testa piegata verso sinistra, le labbra dischiuse
leggermente. «Ci sei riuscito!»
Si apprestava a baciarlo, delicatamente, velocemente, come solevano
fare
sempre.
«Torno qua e la prima cosa che pensi di fare è
baciarmi?» Repentino lo scatto
di Stiles, lo sdegno nelle sue parole, il volto voltato verso destra,
tutto pur
di evitare il bacio di quell’assassino.
«No, cercavo di solo di creare un’atmosfera
confortevole. Sei entrato in stanza
sorridendo, quel bellissimo sorriso che mi ha fatto perdere la testa,
sostituito da un’espressione cupa. Avrei voluto che quel
sorriso ricomparisse!»
«CREDEVO FOSSI SCOTT!»
Ecco
qua, tutto ciò che gli brulicava nella testa dal suo
arrivo in città, urlato a squarciagola. Tutto lì
il suo dolore, in quella
semplicissima frase che Derek sembrava non comprendere.
Mesi interminabili di dolore represso, passati alla ricerca della
felicità,
lunghe notti di interminabili telefonate con Allison, improvvisamente
rivelatisi inutili.
Lei la persona che meglio poteva comprendere il suo dolore, pur
possedendo
tanta colpa quanto quella di Derek.
Il suo dolore sbattuto violentemente in faccia a Derek. Come poteva
anche solo
pensare che tutto fosse come prima? Sette mesi in Italia e la
deprecabile
presunzione, di quest’ultimo, di annullarli.
«Sì,
lo immaginavo. Nonostante tutto, speravo di
sbagliarmi». Veniva meno la forza di Derek. Esasperazione e
sconforto lo
guidavano e in tono grave aggiungeva: «Sono passati sette
mesi, Stiles».
«Dopo tre anni tu ancora soffri per Laura, avrò
anche io il diritto di soffrire
per mio fratello, o è concesso solo ai
licantropi?» Sarcasmo pungente e lo
sapeva, ma al momento poco gli importava.
«Ho fatto il possibile». Seduto sul letto, le
lenzuola strette tra le sue mani,
la voce tremante, gli occhi lucidi. Capiva il dolore di Stiles ma, allo
stesso
tempo, non voleva che egli ne venisse sopraffatto, come lui.
«No, non è vero. Hai preteso fino allo sfinimento
che entrasse a far parte del
tuo branco, un tuo fedele servitore volevi che diventasse, empio ai
tuoi
comandi. Il tuo ego proprio non ne poteva far a meno. O dentro o fuori
allo
stato brado. È colpa tua se si è trovato in
questa situazione, è colpa tua se
Deucalione lo ha ucciso, avresti dovuto proteggerlo! LUI SAREBBE MORTO
PER TE!
Mi sfiori il braccio, prendi la mia guancia, tenti di baciarmi, mi dici
di
amarmi, ma non hai pensato due volte a farlo morire, pur sapendo la sua
importanza per me. Perciò non raccontarmi frottole, evita,
perché non ti
credo».
Amare lacrime scorrevano sul volto rossiccio di Stiles, i segni
dell’abbronzatura evidente, nascosti da gocce di memoria che
si riversavano
come fiumi di parole.
«Sei stravolto e stanco, ci vediamo domani in ufficio. Ti
chiamo se succede
qualcosa stanotte». Colpito
nello
stomaco da quelle ardenti parole, Derek non sapeva cosa fare. Sapeva
benissimo
che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata oggetto di inquisizione e
giudizio. E in questi casi, meglio lasciare che la rabbia si scarichi
da sola.
“Il
mio orgoglio che può aspettare,
e
anche quando c'è più dolore,
non
trovo un rimpianto,
non
riesco ad arrendermi,
a
tutti i miei sbagli,
sei
tutti i miei sbagli.”
[Subsonica – Tutti I Miei Sbagli]
Stizzito
da quell’atteggiamento insolente, tipico di
Derek, indossava il giubbotto e con lo zaino sulla spalla giungeva a
casa di
Allison; mentre camminava una debole foschia scendeva sulle strade
della città,
rendo la notte sorprendentemente cupa. Una debole luna scrutava,
all’orizzonte,
i mortali passanti di quella vita imprevedibile e fugace. Non si
aspettava così
il suo ritorno a Beacon Hills.
Sulle
scale, sedute davanti alla porta di casa Argent,
Allison e Lydia.
Un lampo negli occhi di quest’ultima che in un secondo gli
cingeva le braccia
al collo, con una stretta molto più forte di quanto
ricordasse. Capelli biondi
scendevano lungo il viso di Lydia, l’aria leggermente
trascurata, sconvolgente
il suo cambiamento.
Niente in confronto allo sguardo afflitto e scosso dalle lacrime di
Allison.
Costei, alzatasi lentamente, si preparava ad abbracciare Stiles, con le
mani
cercava di asciugare le lacrime, senza successo. Una stretta serrata,
possente,
esprimeva i sentimenti contrastati di sette mesi, tutto ciò
che emergeva,
solitamente, dalle loro chiamate intercontinentali, veniva racchiuso
nella
potenza di un solo abbraccio.
L’idea della felicità spazzata via dalla leggera
pioggia che a catinelle
imperversava sulla città.
“Non
m'importa molto se
niente
è uguale a prima,
le
parole su di noi,
si
dissolvono così.”
[Subsonica – Tutti I Miei Sbagli]
Questa
canzone, ascoltata
durante una festa in Italia, per caso, ronzava prepotentemente nella
mente del
giovane uomo, imparata a memoria in una serata col karaoke. Perfetta
per quel
momento lugubre.
«Non mi aspettavo così il mio ritorno in
città! È peggio di quanto pensassi».
Allison lo fissava con sguardo interrogativo, Lydia con aria curiosa.
«La città è strana senza di
te» confessava Lydia.
«La città non è più la
stessa senza Scott!» Lo schiaffo morale che Stiles non
avrebbe voluto ricevere. Proprio quello il suo pensiero, ma detto ad
alta voce
suonava strano.
Silenzio opprimente calava tra di loro.
«Sarai stanco, forza, entriamo in casa, mangiamo qualcosa e
guardiamo un bel film».
Lydia, soddisfatta dall’affermazione dell’amica,
entrava in casa seguita dai
due.
Un’insignificante
serata
passata a mangiare pop corn e far finta di guardare un film dal nome
dimenticato.
I pensieri correvano veloci, indistinti, Scott, Derek, le giornate
passate
insieme, le lunghe camminate, le interminabili litigate, le
riconciliazioni, i
primi amori, i primi baci, le volte in cui si erano salvati la vita a
vicenda.
Prima di addormentarsi, lo sguardo preoccupato di Derek che, nella sua
stanza, lo
fissava.
“When
the night has come, and the land is dark
and
the moon is the only light we will see.
No,
I won't be afraid, oh, I won't be afraid,
just
as long as you stand, stand by me.
So
darlin', darlin' stand by me.
Oh
stand by me.
Oh
stand, stand by me, stand by me”.
[Ben E. King – Stand By Me]
Il
cellulare di Stiles squillava… Derek.
Un
giorno, nella stanza di Derek, sdraiati sul letto, ascoltavano quella
canzone,
e preso da una smania irrefrenabile, Stiles aveva pregato Derek di
ballarla.
Parecchio impacciati i loro corpi, ma non importava, ora sapevano con
certezza
che come ballerini non avevano speranze.
«Pronto?»
«Ciao. Abbiamo un nuovo omicidio, ti aspettiamo vicino alla
mia vecchia casa,
c’è anche tuo padre. Datti una mossa!»
Il solito strafottente!!!
Guardandosi
intorno notava Lydia sdraiata sul letto, riscaldata dalle calde coperte
di
lana; Allison, seduta vicino alla finestra, fissava, apparentemente, il
vuoto.
Tra le mani una tazza di caffè fumante, avvolta da una
morbida coperta. Lui,
disteso accanto a Lydia, osservava attentamente ogni cosa e domande
esistenziali solcavano la sua mente.
Il pensiero di Derek lo ricondusse alla realtà.
Alzatosi
lentamente, si dirigeva quatto quatto verso la porta, dopo aver dato un
bacio
sulla guancia di una Lydia immersa nel mondo dei sogni ed aver
accarezzato la
fronte pensierosa di Allison.
Prese le chiavi della macchina che, gentilmente, Allison gli aveva
concesso, e si
dirigeva a gran velocità nel bosco.
La
jeep conservata accuratamente nel garage di casa, coperta da un enorme
lenzuolo
impolverato. Non l’aveva più guidata da quando
Scott era morto. Troppi ricordi.
E a quel punto si domandava come mai Derek avesse comprato una nuova
Camaro,
dove fosse finita la Volvo della quale tanto si vantava. Per un attimo
pensò
che l’avesse fatto per lui… pensieri assurdi,
scacciati via con un movimento di
mano.
«Papà?
Derek?» Nessuna risposta.
Lentamente una figura magrolina spuntava da dietro la casa, giubbotto
di pelle,
scarpe da ginnastica comode, una maglietta presa a caso
dall’armadio.
Il sole brillava all’orizzonte e Stiles faceva fatica a
tenere gli occhi
aperti, non amava gli occhiali da sole, considerati inutili. La
giornata fresca
aiutava a mantener salde le membra.
Derek fermo davanti ad una piantina, con sguardi alterni osservava lui
ed essa,
facendogli cenno di avvicinarsi.
Dietro di lui seguivano Isaac, Melissa e il dottor Deaton. Tutti e tre
fermi
davanti a quella piantina.
Avvicinatosi, si rese conto che quella piantina era strozzalupo.
Gelide lacrime scendevano sul volto di Stiles, sapeva esattamente cosa
giaceva
sotto quell’ammasso di terra avvolto da strozzalupo, ma
risultava difficile
ammetterlo a se stesso.
Iroso,
aggiungeva: «È questo l’omicidio per il
quale mi hai svegliato? E mio padre?»
«Lui si trova in ufficio. Non sei mai venuto qui, da
quando…» la voce pacata e
rotta di Melissa. Che bella voce aveva, per lui rappresentava una
seconda
madre.
«Perché oggi?» Quella domanda bruciava
nel suo stomaco. Conosceva benissimo la
risposta, solo, non l’accettava.
Di nuovo il silenzio e non potendo resistere oltremodo
all’impeto ruggente
dentro di sé, a gran passi si avviava verso la macchina, per
ripartire a tutta
velocità, lasciando dietro di sé sguardi sorpresi
ed inquieti.
“Cause
heaven ain't close in a place like this,
I
said heaven ain't close in a place like this.
Bring
it back down, bring it back down tonight.
Never
thought I'd let a rumour ruin my
moonlight”.
[The
Killers – Somebody Told Me]
Le
ruote dell’auto rombante sulla strada lo guidavano il
più lontano possibile da
quel luogo, voleva andare via, lontano, lontano… ma non
poteva, perché ormai
era tornato.
Una
Camaro nuova di zecca lo seguiva, si fermava nei pressi di casa sua, e
mentre
Stiles si dirigeva velocemente verso la doccia -una doccia fredda- il
conducente dell’auto rimaneva nell’abitacolo ad
osservare ed attendere.
I
giorni si susseguivano a rilento, tutti uguali, sempre più
difficile trovare la
causa della scia di sangue che infestava la città. Omicidi
privi di schema
fisso, gente qualunque, modi differenti, non avevano nulla in comune,
eccetto
il fatto stesso di essere omicidi.
Furibonde
le litigate con Derek, certi giorni non riusciva nemmeno a guardarlo in
faccia,
gli faceva solo schifo.
Infiniti i tentativi di lui per farsi perdonare, per ristabilire la
loro
normalità in un mondo tutt’altro che normale.
La
vicinanza con Allison gli giovava, anche se, ad un certo punto, si era
insidiato in Stiles il sospetto che fosse lei l’artefice
degli omicidi, il suo
modo per scaricare la rabbia per la morte di Scott.
Ma conosceva Allison da anni, ormai, e il sospetto si rivelava
infondato.
La
morte di Scott aveva avuto strani effetti su tutti, lui in primis, non
poteva
negarlo, ma da lì all’uccidere gente a caso ce ne
voleva.
Di
fango ed acqua sotto i ponti ne era passata in quei quattro mesi a
Beacon
Hills, e la rabbia nei confronti di Derek iniziava a scemare; in cuor
suo,
sapeva sin dal primo giorno che lui aveva fatto il possibile per
salvare Scott,
ma non ce la faceva a far finta di niente, a cancellare
l’accaduto.
I
tentativi di riconciliazione servivano, e questo iniziava a capirlo
solo ora,
anche ad accettare la morte di Scott, ad arrivare da solo alla
verità, ad
affrontare e cercare di superare la drammatica tragedia.
Una
sera Stiles passeggiava per le strade notturne della città.
Derek, in un
distributore di benzina, parlava con un tizio. Stiles, in preda alla
gelosia e
al desiderio, gli si avventava contro, mentre il tizio andava via.
«Sono furibondo con te, lo sai, vero?»
«Sì!» Derek in un sussurro.
«E sono anche terribilmente geloso, lo sai, vero?»
«Sì!» Il cuore in gola batteva
violentemente, mentre la mano del ragazzo
toccava il suo petto.
«Liberati di tutti gli stronzetti, perché, da
questo momento in poi, sei
proprietà privata!» E con forza e coraggio mai
dimostrati in quel modo,
spingeva Derek sulla Camaro e lo baciava con foga.
Un bacio intenso, bellissimo, come da mesi desideravano, quel bacio dal
retrogusto amaro li conduceva a casa del giovane lupo, per dare inizio
alla
loro nuova vita insieme, incoronata in quella notte d’amore
puro e genuino,
violento e necessario. I loro corpi in preda agli spasmi, il battito
veloce e
rumoroso dei loro cuori, lacrime di gioia irrigavano il viso di Stiles
che, con
estrema delicatezza, si appoggiava al petto caldo e sudato di Derek,
per poi
addormentarsi.
Il
mattino seguente il sole abbagliava ogni cosa, leggera nebbia si
dissolveva.
Una lettera stretta nella mano destra, bagnata da lacrime e sudore. Un
mazzo di
gigli stretto nella mano sinistra. La terra bagnata dalla pioggia della
sera
prima.
Il tumulo sotto al quale giaceva Scott intatto.
Dopo averlo salutato con la grinta con cui solevano salutarsi,
quietamente
appoggiava la lettera e il mazzo di fiori sul tumulo. Sedutosi
lì accanto,
Stiles iniziava a raccontargli delle sue avventure in Italia e della
notte
trascorsa con Derek.
Un nuovo inizio.
“If I
just breathe,
let
it fill the space between,
I'll
know everything is alright.
Breathe,
every
little piece of me,
you'll see,
everything
is alright,
if
I just breathe”.
[Michelle
Branch – Breathe]