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Autore: germangirl    16/07/2013    5 recensioni
Un’escursione in montagna rivela che il motivo del pessimo umore di Mac è frutto di un terribile equivoco: a volte è davvero facile fare tanto rumore per nulla.
Traduzione di "Mountains and molehills" di NettieC
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Se aveva freddo, Sarah MacKenzie non lo dava a vedere. Se ne stava raggomitolata su una poltrona sgangherata, stringendosi in una leggera coperta, in una capanna in montagna, facendo del suo meglio per non emettere alcun suono e rivelare così ad Harm quanto avesse freddo e quanto stesse effettivamente scomoda.

“Ti avevo offerto di condividere il calore corporeo con te” disse Harm, rompendo il silenzio che si era creato ormai da mezzora.

“Pensavo che stessi dormendo” disse Mac, stringendosi ancora di più nella coperta.

“I tuoi denti che battono mi tengono sveglio” rispose lui, sorreggendosi su un gomito, “Andiamo Mac…” continuò, “non sarebbe certo la prima volta che condividiamo un letto.”

“Lo so” rispose, cercando di ricordare il vero motivo per cui aveva resistito tanto ostinatamente alla sua offerta quando lui gliela aveva fatta.

“Se potessi” aggiunse “verrei io stesso lì a prenderti…”

Allora lei si ricordò della sua gamba e si sentì di nuovo male al pensiero.

“Mac” disse lentamente. “Hai intenzione di venire qui o mi costringi ad alzarmi?” chiese, sapendo che stava giocando con i suoi sentimenti ma pensando che fosse per il suo bene.

“Harm, sto bene qui, davvero” rispose lei, tenendo gli occhi ben chiusi.

“No, non è vero” replicò bruscamente. “Stai congelando.”

“Harm, sto bene” ripeté Mac, ma bastò che Harm si mettesse a sedere e lei si alzò dalla poltrona e si precipitò nel letto, portandosi dietro la coperta.

Ci vollero pochi minuti affinché i due trovassero una posizione che fosse comoda per entrambi.

“Sei fredda” le disse, passandole una mano su e giù per la schiena.

“Solo un pochino” ammise lei alla fine.

“Va meglio?” le chiese poco dopo.

“Molto” rispose languidamente Mac, che adesso era al caldo in un letto comodo e si stava assopendo.

“Perché avevi insistito a rimanere laggiù?” sussurrò, sapendo che stava scivolando nel sonno.

“Non volevo farti male” borbottò. “Te ne avevo già fatto abbastanza.”

“Hey” disse, inclinando la testa verso di lei. “Pensavo che avessimo già risolto questa storia.”

La risposta di Mac si limitò a un leggero russare, quindi ad Harm non restò altro che tenerla stretta fra le sua braccia e sperare che sarebbe stata in uno stato d’animo migliore la mattina dopo.

Quando la mattina arrivò, Harm si svegliò per primo, contento di trovare Mac ancora comodamente sistemata nel suo abbraccio, le dita aggrappate al suo maglione e una gamba scivolata fra le sue. Con movimenti lenti e delicati Harm le accarezzò la schiena: non sapeva bene perché, ma indubbiamente questo gesto lo faceva stare bene. Il suono della pioggia che tamburellava sul tetto e l’ululare del vento intorno alla capanna dimostravano chiaramente che non si sarebbero potuti muovere a breve, così Harm chiuse gli occhi e aspettò di addormentarsi di nuovo.

Distrattamente, mentre si stava appisolando le posò un bacio sui capelli, cosa che fece svegliare Mac. Trovandosi in quella posizione, si ricordò degli avvenimenti che li avevano portati in quel luogo.

Per la maggior parte della settimana Mac era stata di cattivo umore: l’intensità poteva cambiare, ma la sensazione era sempre negativa. Molti fattori erano alla base del suo malumore: troppo lavoro, troppo poco sonno, aver perso un caso che avrebbe dovuto vincere facilmente e… Harmon Rabb. Mentre poteva gestire tutto il resto, il fatto di pensare che stessero andando verso un rapporto un po’ più personale per poi scoprire che lui era uscito con un’altra donna aveva fatto precipitare il suo umore da cattivo a pessimo

Grata per il lungo fine settimana che stava per iniziare e che significava tre giorni in un ambiente privo di Harm, Mac aveva pianificato di fare un’escursione nel parco nazionale e dormire sotto le stelle. Aveva riempito lo zaino con tutto il necessario e aveva informato Bud e Harriet dei suoi piani, nel caso in cui fosse successo qualcosa. Sapendo che non sarebbe dovuta andare da sola, ma odiando l’idea di avere compagnia, pensò che dirlo ai suoi amici sarebbe stato un compromesso con il quale poteva vivere.

Partita il venerdì nel tardo pomeriggio, felice delle ore di luce che ancora le rimanevano, Mac guidò fino al parcheggio del parco nazionale e, una volta arrivata, recuperò lo zaino dal bagagliaio. Pronta a mettersi in cammino, si irritò quando vide Harm parcheggiare l’auto proprio nello stallo accanto al suo. Invece di aspettarlo e dare inizio all’inevitabile discussione, Mac si voltò verso il sentiero e si mise a camminare di buona lena.

Chiamarla non servì a nulla, così Harm afferrò il proprio zaino dal bagagliaio e si incamminò dietro di lei. Non sapendo perché fosse stato il bersaglio di numerose battute taglienti o perché l’avesse  trattato con tanta freddezza, né tantomeno perché lei fosse stata di pessimo umore, Harm aveva pianificato di tenersi alla larga da Mac per il fine settimana. Tuttavia, dopo una chiacchierata con Bud nella sala ristoro quella mattina, in cui i particolari dei piani di Mac erano stati inavvertitamente rivelati, Harm aveva cambiato idea. Anche se era un marine, in nessun modo lui l’avrebbe lasciata andare in una zona selvaggia da sola, tanto più visto il suo stato d’animo e il fatto che la sua mente si sarebbe concentrata su ciò che la angustiava piuttosto che su ciò che stava effettivamente facendo.

“Andartene e non parlare con me non ti servirà a nulla, Mac” le gridò appena si trovò a una distanza tale da farsi udire da lei. “E nemmeno ignorarmi!”

Mac continuava a marciare su un terreno sempre più impervio.

“Non vado da nessuna parte” le gridò, ormai a pochi passi da lei. “Quindi appena sei pronta a parlare, io sono qui.”

Non ci fu nessuna reazione e, a prescindere da ciò che disse Harm nel corso dell’ora successiva, Mac continuò imperterrita a rifiutarsi di rispondere. Poi, quando si fermò per sistemarsi una scarpa, Harm la raggiunse e si piazzò davanti a lei, aspettando che si alzasse e stabilisse un contatto visivo con lui, almeno per ammetterne la presenza.

Quando lo fece, il cuore di Harm si sciolse. Invece dell’algido sguardo da marine che si aspettava, si trovò davanti un volto rigato dalle lacrime. Immediatamente il suo tono si intenerì.

“Per favore parla con me, Mac” disse, allungando una mano per sfiorarle un braccio.

“Non mi toccare” sibilò lei, alzando le spalle in modo violento.

“Mac, per favore” la implorò. “Lascia che … lascia che ti aiuti.”

“Tu?” lo sbeffeggiò e anche se Harm non era certo felice del suo tono, almeno gli aveva rivolto la parola.

“Sì, io” disse piano, cercando di mantenere la calma e di non ingigantire tutta la faccenda.

“Sei l’ultima persona a cui mi rivolgerei” disse, andandosene infuriata.

Non intenzionato a lasciarla andare, Harm continuò a seguirla.

“Perché sono l’ultima persona a cui ti rivolgeresti? “ le chiese. In tutta risposta, lei si fermò per un istante, senza voltarsi, e poi cambiò direzione sul sentiero.

“Mac?” la chiamò, seguendo il suo cambio di direzione. “Io sono tuo amico”

Mac si girò e gli lanciò uno sguardo truce.

“Tu non sei mio amico” gli gridò prima di girarsi di nuovo e allontanarsi.

L’umore di Harm virò da preoccupato a irritato, ma non aveva certo intenzione di lasciarla andare dopo un’uscita del genere. Dopo tutto, fino a qualche giorno prima Rabb era convinto che fossero sulla buona strada per diventare molto più che amici.

Pochi passi rapidi le permisero di raggiungerla di nuovo e di afferrarle un braccio.

“Mac, fermati subito” le ordinò bruscamente, strattonandole il braccio.

“Non mi toccare” reagì lei, cercando di fargli mollare la presa ma senza successo questa volta.

“Ti lascio andare se ti fermi e parli con me” le propose, cercando di negoziare.

Mac non aveva alcuna intenzione di essere forzata a fare qualcosa che non voleva, pertanto sfruttò il fatto di trovarsi su un punto più alto del terreno e spinse Harm lontano da lei. Spingendolo con tutta la sua forza, Harm barcollò all’indietro finché il piede destro gli rimase imbrigliato nelle sterpaglie della vegetazione bassa, perse l’equilibrio e scivolò  lungo il terrapieno del sentiero per qualche metro.

“Porca puttana!” si lamentò appena il suo corpo malconcio approdò contro un albero. Facendo una smorfia, si mise a sedere e controllò la gamba sinistra; i jeans strappati dimostravano quanto fosse stato intenso l’impatto delle sterpaglie sul suo arto inferiore.

Cercando di liberare lo zaino in modo da recuperare il suo kit di pronto soccorso, Harm scoprì che questo era bloccato da un ramo che gli rendeva l’operazione molto difficile. Con una sfilza di improperi pronunciati uno dopo l’altro, Harm finalmente raggiunse il kit e usò le pinzette per estrarre alcune schegge che erano ancora incastrate nella ferita.

“Accidenti” disse quando scoprì che la profonda escoriazione sulla mano gli impediva di usare le pinzette in modo efficace.

Osservandolo dal sentiero, Mac si rese conto che sarebbe dovuta andare ad aiutarlo e lentamente scese giù per il terrapieno.

“Lascia fare a me” ordinò, tendendogli la mano affinché le consegnasse lo strumento.

“No, grazie” rispose, senza sollevare lo sguardo. “Penso che tu sia stata abbastanza chiara prima. Continua la tua passeggiata.”

“Non ho intenzione di lasciarti qui” replicò, togliendogli le pinzette di mano.

“Francamente, Mac” disse, trasalendo per il dolore appena lei si mise al lavoro. “Ho…”

I suoi pensieri si interruppero mentre si concentrava per respirare attraverso il dolore.

“Penso di averle rimosse tutte” annunciò Mac prima di usare un po’ d’acqua per pulire la zona. “Come va?”

“Fa maledettamente male” ammise lui, muovendo la gamba per vedere se riusciva a mitigare il dolore alla caviglia.

“Ti sei fatto male alla caviglia?” chiese, osservandogli il volto.

“Io non ho fatto nulla” scattò lui, “sei stata tu.”

Harm prese una benda dal suo kit, la mise intorno alla ferita sulla gamba e la fissò con un cerotto.

“Mi dispiace” disse piano. “Ma ti avevo detto di non toccarmi.”

“Sì, vero” le replicò freddamente. “E non commetterò lo stesso errore un’altra volta.”

Tirandosi su, Harm si rese conto che la caviglia era messa probabilmente peggio della gamba e si appoggiò all’albero, poiché gli girava la testa e il dolore gli rimbombava in tutto il corpo. Abbassandosi fece diversi tentativi per sollevare lo zaino prima di guardarsi intorno per capire come sarebbe riuscito a risalire la collina e riprendere il sentiero.

“Ti aiuto io” si offrì Mac, sapendo che lui non glielo avrebbe mai chiesto.

“No, grazie” replicò. “Mi hai fatto capire chiaramente che non sono il benvenuto. Ce la faccio da solo.”

Harm raggiunse l’albero successivo prima di aggrapparvisi mentre il dolore gli trapanava la gamba. Rendendosi conto che il viaggio per raggiungere la sua auto sarebbe stato molto lento e doloroso, Harm si mise a riflettere sulla sua prossima mossa.

“Lascia che ti aiuti” ripeté Mac dietro di lui, mentre nubi minacciose si accumulavano sopra la loro testa e l’oscurità cresceva velocemente.

“Cosa?” reagì lui voltandosi in parte verso di lei. “Davvero mi toccheresti?” le chiese sarcastico.

Di solito, a questo punto, Mac avrebbe reagito mandandolo a quel paese, ma vederlo soffrire la faceva stare male e sapere di essere la causa del suo dolore non rendeva certo le cose più semplici.

Girandogli intorno, Mac si posizionò davanti a lui.

“Mi stai dicendo che sei in grado di tornare alla tua macchina da solo senza procurarti ulteriori danni?” lo sfidò e Harm reagì scrollando le spalle.

“Forse no” replicò. “Ma potrebbe essere comunque meno pericoloso.”

“Ascolta” riprese Mac, tendendogli una mano. “Mi dispiace di averti spinto, non avrei dovuto farlo. Mi dispiace che tu ti sia fatto male.”

“Scuse accettate” disse. “Io per primo non avrei dovuto toccarti. Stavo solo cercando di attirare la tua attenzione.”

“Beh, ci sei riuscito” disse, passandosi il suo braccio sulle spalle e mettendo il proprio intorno alla sua vita. “Prendiamola con calma.”

Con calma era un eufemismo fin troppo ottimista, così ritennero più semplice continuare lungo il terrapieno, poiché la pioggia che aveva iniziato a cadere rendeva l’ascesa difficile e scivolosa. Avendo intravisto una vecchia capanna, Mac guidò Harm in quella direzione. Nell’istante in cui entrarono, i cieli si aprirono e rovesciarono sulla terra una valanga di pioggia.

“Ce l’abbiamo fatta giusto in tempo” annunciò Mac mentre aiutava Harm a sedersi su una vecchia poltrona traballante e a sollevare la gamba ferita, appoggiandola su una cassa di legno.

Borbottando fra un sospiro e l’altro, Harm chiuse gli occhi mentre il dolore alla caviglia gli esplose nuovamente nel cervello, facendogli pensare di essersela fratturata nella caduta.

“Stai bene?” gli chiese, accarezzandogli la schiena.

“Mmmmm” riuscì a mormorare dopo un respiro profondo.

“Aspetta che ti tolgo la scarpa e vediamo…” dichiarò prima di slacciargli la scarpa e togliergli quella e il calzino.

Entrambi si trovarono davanti una massa gonfia e di uno strano colore.

“Oh, Harm, ha un brutto aspetto” disse Mac, il senso di colpa salito velocemente alle stelle.

“Sto benissimo” replicò, digrignando i denti.

Formando un impacco freddo, Mac arrotolò un pezzo di stoffa intorno alla sua caviglia, mordendosi il labbro inferiore ogni volta che lui sussultava per il dolore. “Scusa, scusa, scusa” mormorò lei, davvero non volendo infliggergli ulteriore dolore.

“Va tutto bene, va tutto bene” borbottò lui, afferrandole il braccio quando lei strinse un po’ troppo il bendaggio di supporto.

“Mi dispiace, mi dispiace” sussurrò lei in risposta.

Una volta che Mac ebbe finito di prendersi cura delle ferite di Harm, rovistò nel suo zaino e trovò gli antidolorifici che si portava sempre dietro, poi raccolse la bottiglia d’acqua di Harm prima di passare tutto a lui e guardarlo buttare giù le pillole.

“Adesso dovresti mangiare qualcosa” disse lei, tirando fuori altra roba dalla sua borsa.

“Non ho fame” replicò lui, il cibo era proprio l’ultimo dei suoi pensieri.

“Andiamo” lo incoraggiò. “Almeno prenditi una barretta di cereali, così hai qualcosa in circolo.”

Risentito, Harm prese la barretta e la scartò. “Grazie” disse, mordendone un pezzo. “Lo apprezzo molto”

Ci fu un lungo silenzio, sintomo del loro disagio e del fatto che nessuno di loro volesse essere il primo a romperlo. Alla fine, Harm decise di parlare.

“Hai intenzione di farmi sapere perché sei così arrabbiata con me?” chiese, guardandola direttamente negli occhi.

“Mi stupisce che tu abbia bisogno di chiedermelo” rispose lei, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.

“Beh, mi dispiace sorprenderti, ma non ne ho idea” ammise sinceramente.

“Ti do un indizio: 1,70 m, capelli scuri, cena al Sapphire Garden…” elencò Mac, cercando di tenere la gelosia lontana dal suo tono e fallendo miseramente.

“Emily?” le chiese, dopo tutto era l’unica mora con cui aveva cenato al Sapphire Garden di recente.

“Se è così che si chiama, allora sì” disse lei, incrociando le braccia.

“Tutto questo malumore e tutta questa violenza fisica perché ho cenato con Emily?” chiese con un grugnito.

“Cena e pranzo l’altro giorno” aggiunse Mac, peggiorando il lato divertente che Harm vedeva in tutto questo.

“Sei gelosa!” esclamò e mentre Mac lo negava, entrambi sapevano che lo era, e anche al massimo livello.

Dopo essersi infilati in questo vicolo cieco, Harm decise di fornire a Mac maggiori informazioni.

“Vuoi che ti racconti di Emily?” le chiese, più che felice di sapere che il suo stato d’animo era dovuto alla gelosia e non a un motivo più serio.

“C’è qualcosa da raccontare?” gli domandò a sua volta, simulando una nonchalance che era ben lontana dall’avere.

“Oh, molto” rispose in tono esagerato. Se Mac voleva fare tanto rumore per nulla, chi era lui per scoraggiarla?

“Allora non sono interessata” proclamò, togliendosi gli stivali con un calcio e accoccolandosi su una sedia. Se c’era tanto da dire allora lei aveva già la sua risposta.

“Lascia che ti racconti di lei” disse, ben sapendo di prenderla in giro. “Emily è meravigliosa e…”

“Harm, basta” lo interruppe, gelandolo con lo sguardo. “Non voglio conoscere i dettagli delle tue conquiste. Preferirei starmene qui in silenzio.”

“Conquiste?” la sfidò Harm. “Sei sicura di non essere gelosa?”

“Vado a vedere che tempo fa” annunciò, alzandosi e dirigendosi verso la porta.

Il tempo non era certo più sereno dello stato d’animo di Mac e non c’erano miglioramenti all’orizzonte – per nessuno dei due.

“Allora?” chiese Harm quando lei ricomparve.

“Sta diluviando e sembra che continuerà a farlo per tutta la notte” annunciò con aria rassegnata.

“Se vuoi andare…” iniziò Harm, ma Mac scosse la testa.

“Cosa? E lasciarti qui?” gli chiese. “Sicuro” continuò, “e mentre sono per strada divento persino vegetariana” aggiunse, cercando di dimostrargli quanto fosse ridicolo il suo suggerimento.

“Mac” disse lentamente. “E’ una situazione già abbastanza difficile, siamo bloccati qui, possiamo dichiarare una tregua delle ostilità per un po’?”

Mac annuì prima di pensare a una risposta diversa. “Non devi avvertire Emily? Farle sapere che non riesci a vederla stasera?”

“Non ho nessun appuntamento con Emily stasera” disse e osservò attentamente il suo volto. “Però avevamo pensato di incontrarci per un brunch domenica.”

Non sapendo bene cosa dire, Mac si espresse solo con un grugnito.

“Mac, stai ingigantendo questa storia”, le disse piano. “Si tratta di un paio di pasti con qualcuno che conosco da sempre e a cui voglio bene. Non avrebbe dovuto causare lo scoppio della terza guerra mondiale.”

“Allora fai sul serio con Emily?” gli chiese appena, le braccia ancora saldamente conserte.

“Sul serio?” replicò, cercando di non sorridere.

“Sì, sul serio” confermò. “Le vuoi bene?”

“Sì” rispose onestamente. “Molto”

“Oh, okay” disse con un cenno del capo e non ci fu altro da dire in merito a quella piccola rivelazione.

Vedendo la sua delusione, Harm si rese conto che era il momento di smettere di giocare. “Mac, Emily è mia cugina” disse piano. “E’ in città questa settimana e ne abbiamo approfittato per incontrarci. Non ci vedevamo da dieci anni e le voglio davvero bene. Abbiamo trascorso un sacco di tempo insieme da ragazzini. Quando avevo 10 anni, mamma ha cominciato a spedirmi dalla sua famiglia ogni estate perché ero diventato una peste. Pensava che lo zio Bill, il papà di Emily, mi avrebbe raddrizzato.”

“E’ tua cugina?” chiese Mac incredula.

“E’ mia cugina” confermò Harm.

“Allora perché mi hai fatto credere che fosse qualcosa di più?” lo mise alla prova.

“Volevo almeno che ammettessi di essere un po’ gelosa” le spiegò. “Dopo tutto, pensavo che ci stessimo avvicinando prima di tutta questa storia.”

“Pensavo la stessa cosa ma poi… non so… mi sono immaginata che io non ti stessi più a cuore” rivelò, cercando di nascondere quanto ci avesse sofferto.

“Tu non mi stessi a cuore?” le chiese. “Come fai a dirlo?”

“Perché ci stavamo avvicinando sempre di più, o almeno lo pensavo” ammise. “E poi improvvisamente mi sono sentita una persona non gradita.”

“Mi dispiace” si scusò. “Credo che stessi cercando di spronarti affinché tu mi rispondessi e…”

“Ha prodotto l’effetto contrario” offrì lei e Harm annuì.

“Ha prodotto l’effetto contrario” concordò. “E mi dispiace” ripeté.

“Facciamo davvero schifo sul piano della comunicazione” disse. “Mi dispiace di averti spinto… fisicamente.”

“Beh, non avrei dovuto toccarti” disse. “Dovrei essere in grado di discutere con te senza forzarti fisicamente a stare con me e ad ascoltarmi.”

Alla fine entrambi ammisero di aver fatto la cosa sbagliata, entrambi cercarono il perdono e entrambi lo ottennero. E mentre erano tornati ad essere amici, l’atmosfera rimase tesa e le tenebre li trovarono addormentati in posti separati.

Con Harm che russava, Mac colse l’opportunità per scivolare dalla sua presa e cercare un bagno. Naturalmente non ce ne era uno nel rifugio. Dovette usare un cespuglio grande per avere un minimo di privacy e alcuni fazzolettini di carta. Quando ebbe finito, usò un po’ della loro acqua per lavarsi le mani e dette un’occhiata veloce alla zona intorno alla capanna.

Andando verso est, fu felice di scorgere una pista battuta, molto probabilmente usata dai veicoli della forestale. Questo significava che lei avrebbe potuto guidare il SUV di Harm fino alla capanna e lui non avrebbe dovuto camminare molto. Sapendo che non ci sarebbe stato molto spazio per fare manovra, studiò la zona per capire se le sarebbe convenuto arrivare in retromarcia e ripartire o fare il contrario. Probabilmente sarebbe anche riuscita a fare manovra in quello spazio ristretto ma pensò che non sarebbe stato semplice su quel tipo di terreno.

“Mac?” la chiamò Harm e lei rientrò velocemente. “Stai bene?” le chiese appena comparve sulla porta.

“Sì” rispose, avvicinandosi al letto. “Stavo solo controllando il modo migliore per tirarti fuori da qui”.

”Posso camminare” disse, ma poi si guardò il piede e fece una smorfia. Ora era coperto da macchie rosso porpora.

“Ci vuoi ripensare?” domandò, sicura che la sua caviglia fosse rotta.

“Hai trovato una soluzione?” le chiese con un sospiro rassegnato.

“Sì, penso di poter portare il tuo SUV giù lungo la pista, credo sia usata dai veicoli della forestale” disse. “L’unica cosa è che non penso di riuscire a rigirarlo, quindi dovremo tornare indietro in retromarcia.”

“O potremo proseguire in avanti, per vedere cosa c’è laggiù” suggerì e Mac annuì.

Raccogliendo le poche cose che aveva, Mac trovò un paio di barrette proteiche e ne passò una ad Harm. “Mi dovrò arrampicare lungo il sentiero fino al parcheggio e la mangerò per la strada” lo informò, afferrando la sua bottiglia d’acqua. “Devi mangiare la tua e prendere un paio di antidolorifici” ordinò, passandogli la bottiglia. “Magari ti fa bene se provi a muoverlo un pochino.”

Harm annuì. “Fa’ attenzione là fuori” la implorò, consegnandole le chiavi. “Sarà molto scivoloso con tutta la pioggia di ieri notte.”

“Andrà tutto bene” lo rassicurò, lasciando cadere il suo zaino accanto a quello di Harm. “Hai bisogno di nulla prima che vada?”

“No, sto bene” rispose, scuotendo la testa. La verità era che si sentiva malissimo e aveva bisogno di andare in bagno, e in entrambi i casi Mac non lo avrebbe potuto aiutare.

“OK, torno presto” disse, dirigendosi verso la porta. “Non ti azzardare a muoverti finché non torno.”

“Sissignora” rispose facendole il saluto militare.

Per Mac la mezzora successiva fu abbastanza piacevole. La vegetazione bassa non era così bagnata come pensava e, camminando a una velocità più sostenuta di quanto avrebbe fatto normalmente, vista l’urgenza della situazione, quando raggiunse il parcheggio si sentì piena di energia e di vigore. Non la sorprese scoprire che le loro auto erano gli unici veicoli lì, date le condizioni meteo e l’ora.

Guidando attraverso il parcheggio, Mac raggiunse un cancello che stimò potesse portare alla capanna. Scese dal SUV e aprì il cancello prima di entrarvi. Mantenendo un’andatura piuttosto lenta a causa delle condizioni del terreno, Mac seguì la pista facendo una smorfia ogni volta che un ramo o un cespuglio sfioravano la macchina. Non voleva immaginare la reazione di Harm se avesse graffiato il suo veicolo, bastava già il fatto di avergli probabilmente causato la frattura della caviglia.

Mentre Mac era impegnata a raggiungere il veicolo e a ritornare alla capanna, Harm era impegnato a organizzarsi. Nell’istante in cui cercò di poggiare il piede per terra si rese conto che era una pessima idea e borbottò una serie infinita di improperi risollevandolo. Sapendo che se la sarebbe fatta sotto se non fosse riuscito a trovare un bagno, Harm analizzò con lo sguardo tutta la stanza per vedere se c’era qualcosa che lo avrebbe potuto aiutare, ma non trovò nulla. Alla fine si appoggiò al muro per saltellare fino alla porta e poi usò la cornice della porta per sostenersi e saltellare fuori. Zompettando fino al limite dell’edificio si rese conto che non sarebbe riuscito ad andare oltre e si liberò lì. Sentendosi subito meglio, Harm si girò per tornare dentro ma dopo un salto capì che la fatica per rientrare non valeva lo sforzo. Lentamente si mosse fino alla porta e si lasciò scivolare a terra, aspettando Mac. Anche se non era un fan del dolore che stava provando, né del fatto di dipendere così tanto da Mac, giunse alla conclusione che almeno questa storia li aveva fatti parlare e forse, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe riuscito a convincere Mac a prendersi cura di lui per i prossimi giorni e vedere dove questa situazione li avrebbe portati.

“Cosa stai facendo lì fuori?” furono le prime parole di Mac appena scese dal SUV. “Pensavo di averti detto di rimanere dentro.”

“Avevo bisogno di andare in bagno” le rispose, “e non potevo aspettare.”

Mac gli sorrise comprensiva. “OK, mi sembra una buona ragione” disse. “Come va la caviglia?”

“Sono abbastanza convinto che sia fratturata” annunciò con una smorfia, appoggiandosi allo stipite della porta per rimettersi in piedi.

“Lascia che ti aiuti” si offrì, avvicinandosi a lui e passandogli un braccio intorno alla vita.

Ci vollero alcuni minuti per raggiungere la macchina e poi altri minuti per riuscire a far salire Harm. Mac tirò indietro il più possibile il sedile del passeggero e lo reclinò, in modo da alleviargli la sensazione di vertigine, poi sollevò la gamba di Harm con attenzione e gli fece poggiare delicatamente il piede sul tappetino. Ancora scalzo, vide chiaramente perché sentiva ancora così tanto dolore.

“Sicuro di stare bene?” gli chiese quando si voltò verso di lui e lo trovò con la testa reclinata e gli occhi saldamente chiusi.

“Niente che un paio di dosi di morfina non possano curare” replicò, aprendo gli occhi e sorridendole debolmente.

Dopo pochi minuti Mac aveva messo i loro zaini nel bagagliaio e stava guidando lentamente lungo la pista come aveva suggerito Harm. Due volte, per i primi venti metri, aveva provato a suggerirle di fare attenzione, ma ogni volta lei aveva reagito con un’occhiataccia. Dopo tutto, non c’era modo di evitare gli ostacoli lungo il cammino. Alla fine giunsero a una radura e Mac sorrise sollevata quando riuscì a far manovra e fu in grado di risalire la pista per tornare indietro.

Una volta raggiunto il parcheggio, si fermò per uscire e richiudere il cancello.

“Dove vai?” le chiese guardandola scendere dal veicolo.

“Non ho nessuna intenzione di lasciare qui la mia macchina” replicò, facendo finta di essere seria.

“Ma…” iniziò a protestare prima di vedere il sorriso che le illuminò il volto.

“Voglio solo chiudere il cancello che avevo aperto per accedere alla pista” dichiarò, andando dietro la macchina per completare la sua missione.

 

Nota della traduttrice:

Visto che la prima traduzione è stata apprezzata, ho deciso di continuare. Anche in questo caso si tratta di un racconto di NettieC, che è stata tanto gentile da autorizzarmi a pubblicare il testo in italiano. Questo è il link alla storia originale:

http://www.fanfiction.net/s/9428663/1/Mountains-and-Molehills

Grazie a Monica per aver letto la traduzione e avermi mandato i suoi suggerimenti, sempre precisi e accurati.

E grazie a chi di voi mi ha dedicato un po’ del proprio tempo ed è arrivato fino qui.

Baci,

Germangirl

  
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