Se
aveva freddo, Sarah MacKenzie non
lo dava a vedere. Se ne stava raggomitolata su una poltrona
sgangherata, stringendosi
in una leggera coperta, in una capanna in montagna, facendo del suo
meglio per
non emettere alcun suono e rivelare così ad Harm quanto
avesse freddo e quanto
stesse effettivamente scomoda.
“Ti
avevo offerto di condividere
il calore corporeo con te” disse Harm, rompendo il silenzio
che si era creato
ormai da mezzora.
“Pensavo
che stessi dormendo”
disse Mac, stringendosi ancora di più nella coperta.
“I
tuoi denti che battono mi
tengono sveglio” rispose lui, sorreggendosi su un gomito,
“Andiamo Mac…” continuò,
“non sarebbe certo la prima volta che condividiamo un
letto.”
“Lo
so” rispose, cercando di
ricordare il vero motivo per cui aveva resistito tanto ostinatamente
alla sua
offerta quando lui gliela aveva fatta.
“Se
potessi” aggiunse “verrei io
stesso lì a prenderti…”
Allora
lei si ricordò della sua
gamba e si sentì di nuovo male al pensiero.
“Mac”
disse lentamente. “Hai
intenzione di venire qui o mi costringi ad alzarmi?” chiese,
sapendo che stava
giocando con i suoi sentimenti ma pensando che fosse per il suo bene.
“Harm,
sto bene qui, davvero” rispose
lei, tenendo gli occhi ben chiusi.
“No,
non è vero” replicò
bruscamente. “Stai congelando.”
“Harm,
sto bene” ripeté Mac, ma
bastò che Harm si mettesse a sedere e lei si alzò
dalla poltrona e si precipitò
nel letto, portandosi dietro la coperta.
Ci
vollero pochi minuti affinché
i due trovassero una posizione che fosse comoda per entrambi.
“Sei
fredda” le disse, passandole
una mano su e giù per la schiena.
“Solo
un pochino” ammise lei alla
fine.
“Va
meglio?” le chiese poco dopo.
“Molto”
rispose languidamente
Mac, che adesso era al caldo in un letto comodo e si stava assopendo.
“Non
volevo farti male” borbottò.
“Te ne avevo già fatto abbastanza.”
“Hey”
disse, inclinando la testa
verso di lei. “Pensavo che avessimo già risolto
questa storia.”
La
risposta di Mac si limitò a un
leggero russare, quindi ad Harm non restò altro che tenerla
stretta fra le sua
braccia e sperare che sarebbe stata in uno stato d’animo
migliore la mattina
dopo.
Quando
la mattina arrivò, Harm si
svegliò per primo, contento di trovare Mac ancora
comodamente sistemata nel suo
abbraccio, le dita aggrappate al suo maglione e una gamba scivolata fra
le sue.
Con movimenti lenti e delicati Harm le accarezzò la schiena:
non sapeva bene
perché, ma indubbiamente questo gesto lo faceva stare bene.
Il suono della
pioggia che tamburellava sul tetto e l’ululare del vento
intorno alla capanna
dimostravano chiaramente che non si sarebbero potuti muovere a breve,
così Harm
chiuse gli occhi e aspettò di addormentarsi di nuovo.
Distrattamente,
mentre si stava
appisolando le posò un bacio sui capelli, cosa che fece
svegliare Mac.
Trovandosi in quella posizione, si ricordò degli avvenimenti
che li avevano
portati in quel luogo.
Per
la maggior parte della
settimana Mac era stata di cattivo umore:
l’intensità poteva cambiare, ma la
sensazione era sempre negativa. Molti fattori erano alla base del suo
malumore:
troppo lavoro, troppo poco sonno, aver perso un caso che avrebbe dovuto
vincere
facilmente e… Harmon Rabb. Mentre poteva gestire tutto il
resto, il fatto di
pensare che stessero andando verso un rapporto un po’
più personale per poi
scoprire che lui era uscito con un’altra donna aveva fatto
precipitare il suo
umore da cattivo a pessimo
Grata
per il lungo fine settimana
che stava per iniziare e che significava tre giorni in un ambiente
privo di
Harm, Mac aveva pianificato di fare un’escursione nel parco
nazionale e dormire
sotto le stelle. Aveva riempito lo zaino con tutto il necessario e
aveva
informato Bud e Harriet dei suoi piani, nel caso in cui fosse successo
qualcosa. Sapendo che non sarebbe dovuta andare da sola, ma odiando
l’idea di
avere compagnia, pensò che dirlo ai suoi amici sarebbe stato
un compromesso con
il quale poteva vivere.
Partita
il venerdì nel tardo pomeriggio,
felice delle ore di luce che ancora le rimanevano, Mac guidò
fino al parcheggio
del parco nazionale e, una volta arrivata, recuperò lo zaino
dal bagagliaio.
Pronta a mettersi in cammino, si irritò quando vide Harm
parcheggiare l’auto proprio
nello stallo accanto al suo. Invece di aspettarlo e dare inizio
all’inevitabile
discussione, Mac si voltò verso il sentiero e si mise a
camminare di buona
lena.
Chiamarla
non servì a nulla, così
Harm afferrò il proprio zaino dal bagagliaio e si
incamminò dietro di lei. Non
sapendo perché fosse stato il bersaglio di numerose battute
taglienti o perché
l’avesse trattato
con tanta freddezza,
né tantomeno perché lei fosse stata di pessimo
umore, Harm aveva pianificato di
tenersi alla larga da Mac per il fine settimana. Tuttavia, dopo una
chiacchierata
con Bud nella sala ristoro quella mattina, in cui i particolari dei
piani di
Mac erano stati inavvertitamente rivelati, Harm aveva cambiato idea.
Anche se
era un marine, in nessun modo lui l’avrebbe lasciata andare
in una zona
selvaggia da sola, tanto più visto il suo stato
d’animo e il fatto che la sua
mente si sarebbe concentrata su ciò che la angustiava
piuttosto che su ciò che
stava effettivamente facendo.
“Andartene
e non parlare con me
non ti servirà a nulla, Mac” le gridò
appena si trovò a una distanza tale da
farsi udire da lei. “E nemmeno ignorarmi!”
Mac
continuava a marciare su un
terreno sempre più impervio.
“Non
vado da nessuna parte” le
gridò, ormai a pochi passi da lei. “Quindi appena
sei pronta a parlare, io sono
qui.”
Non
ci fu nessuna reazione e, a
prescindere da ciò che disse Harm nel corso
dell’ora successiva, Mac continuò imperterrita
a rifiutarsi di rispondere. Poi, quando si fermò per
sistemarsi una scarpa,
Harm la raggiunse e si piazzò davanti a lei, aspettando che
si alzasse e
stabilisse un contatto visivo con lui, almeno per ammetterne la
presenza.
Quando
lo fece, il cuore di Harm
si sciolse. Invece dell’algido sguardo da marine che si
aspettava, si trovò
davanti un volto rigato dalle lacrime. Immediatamente il suo tono si
intenerì.
“Per
favore parla con me, Mac”
disse, allungando una mano per sfiorarle un braccio.
“Non
mi toccare” sibilò lei, alzando
le spalle in modo violento.
“Mac,
per favore” la implorò.
“Lascia che … lascia che ti aiuti.”
“Tu?”
lo sbeffeggiò e anche se
Harm non era certo felice del suo tono, almeno gli aveva rivolto la
parola.
“Sì,
io” disse piano, cercando di
mantenere la calma e di non ingigantire tutta la faccenda.
“Sei
l’ultima persona a cui mi
rivolgerei” disse, andandosene infuriata.
Non
intenzionato a lasciarla
andare, Harm continuò a seguirla.
“Perché
sono l’ultima persona a
cui ti rivolgeresti? “ le chiese. In tutta risposta, lei si
fermò per un
istante, senza voltarsi, e poi cambiò direzione sul sentiero.
“Mac?”
la chiamò, seguendo il suo
cambio di direzione. “Io sono tuo amico”
Mac
si girò e gli lanciò uno
sguardo truce.
“Tu
non sei mio amico” gli gridò
prima di girarsi di nuovo e allontanarsi.
L’umore
di Harm virò da
preoccupato a irritato, ma non aveva certo intenzione di lasciarla
andare dopo
un’uscita del genere. Dopo tutto, fino a qualche giorno prima
Rabb era convinto
che fossero sulla buona strada per diventare molto più che
amici.
Pochi
passi rapidi le permisero
di raggiungerla di nuovo e di afferrarle un braccio.
“Mac,
fermati subito” le ordinò
bruscamente, strattonandole il braccio.
“Non
mi toccare” reagì lei,
cercando di fargli mollare la presa ma senza successo questa volta.
“Ti
lascio andare se ti fermi e
parli con me” le propose, cercando di negoziare.
Mac
non aveva alcuna intenzione
di essere forzata a fare qualcosa che non voleva, pertanto
sfruttò il fatto di trovarsi
su un punto più alto del terreno e spinse Harm lontano da
lei. Spingendolo con
tutta la sua forza, Harm barcollò all’indietro
finché il piede destro gli
rimase imbrigliato nelle sterpaglie della vegetazione bassa, perse
l’equilibrio
e scivolò lungo
il terrapieno del
sentiero per qualche metro.
“Porca
puttana!” si lamentò
appena il suo corpo malconcio approdò contro un albero.
Facendo una smorfia, si
mise a sedere e controllò la gamba sinistra; i jeans
strappati dimostravano quanto
fosse stato intenso l’impatto delle sterpaglie sul suo arto
inferiore.
Cercando
di liberare lo zaino in
modo da recuperare il suo kit di pronto soccorso, Harm
scoprì che questo era
bloccato da un ramo che gli rendeva l’operazione molto
difficile. Con una
sfilza di improperi pronunciati uno dopo l’altro, Harm
finalmente raggiunse il
kit e usò le pinzette per estrarre alcune schegge che erano
ancora incastrate
nella ferita.
“Accidenti”
disse quando scoprì
che la profonda escoriazione sulla mano gli impediva di usare le
pinzette in
modo efficace.
Osservandolo
dal sentiero, Mac si
rese conto che sarebbe dovuta andare ad aiutarlo e lentamente scese
giù per il
terrapieno.
“Lascia
fare a me” ordinò,
tendendogli la mano affinché le consegnasse lo strumento.
“No,
grazie” rispose, senza
sollevare lo sguardo. “Penso che tu sia stata abbastanza
chiara prima. Continua
la tua passeggiata.”
“Non
ho intenzione di lasciarti
qui” replicò, togliendogli le pinzette di mano.
“Francamente,
Mac” disse,
trasalendo per il dolore appena lei si mise al lavoro.
“Ho…”
I
suoi pensieri si interruppero
mentre si concentrava per respirare attraverso il dolore.
“Penso
di averle rimosse tutte” annunciò
Mac prima di usare un po’ d’acqua per pulire la
zona. “Come va?”
“Fa
maledettamente male” ammise
lui, muovendo la gamba per vedere se riusciva a mitigare il dolore alla
caviglia.
“Ti
sei fatto male alla
caviglia?” chiese, osservandogli il volto.
“Io
non ho fatto nulla” scattò
lui, “sei stata tu.”
Harm
prese una benda dal suo kit,
la mise intorno alla ferita sulla gamba e la fissò con un
cerotto.
“Mi
dispiace” disse piano. “Ma ti
avevo detto di non toccarmi.”
“Sì,
vero” le replicò
freddamente. “E non commetterò lo stesso errore
un’altra volta.”
Tirandosi
su, Harm si rese conto
che la caviglia era messa probabilmente peggio della gamba e si
appoggiò all’albero,
poiché gli girava la testa e il dolore gli rimbombava in
tutto il corpo.
Abbassandosi fece diversi tentativi per sollevare lo zaino prima di
guardarsi
intorno per capire come sarebbe riuscito a risalire la collina e
riprendere il
sentiero.
“Ti
aiuto io” si offrì Mac,
sapendo che lui non glielo avrebbe mai chiesto.
“No,
grazie” replicò. “Mi hai
fatto capire chiaramente che non sono il benvenuto. Ce la faccio da
solo.”
Harm
raggiunse l’albero successivo
prima di aggrapparvisi mentre il dolore gli trapanava la gamba.
Rendendosi
conto che il viaggio per raggiungere la sua auto sarebbe stato molto
lento e
doloroso, Harm si mise a riflettere sulla sua prossima mossa.
“Lascia
che ti aiuti” ripeté Mac
dietro di lui, mentre nubi minacciose si accumulavano sopra la loro
testa e
l’oscurità cresceva velocemente.
“Cosa?”
reagì lui voltandosi in
parte verso di lei. “Davvero mi toccheresti?” le
chiese sarcastico.
Di
solito, a questo punto, Mac
avrebbe reagito mandandolo a quel paese, ma vederlo soffrire la faceva
stare
male e sapere di essere la causa del suo dolore non rendeva certo le
cose più
semplici.
Girandogli
intorno, Mac si
posizionò davanti a lui.
“Mi
stai dicendo che sei in grado
di tornare alla tua macchina da solo senza procurarti ulteriori
danni?” lo
sfidò e Harm reagì scrollando le spalle.
“Forse
no” replicò. “Ma potrebbe
essere comunque meno pericoloso.”
“Ascolta”
riprese Mac,
tendendogli una mano. “Mi dispiace di averti spinto, non
avrei dovuto farlo. Mi
dispiace che tu ti sia fatto male.”
“Scuse
accettate” disse. “Io per
primo non avrei dovuto toccarti. Stavo solo cercando di attirare la tua
attenzione.”
“Beh,
ci sei riuscito” disse,
passandosi il suo braccio sulle spalle e mettendo il proprio intorno
alla sua
vita. “Prendiamola con calma.”
Con
calma era un eufemismo fin
troppo ottimista, così ritennero più semplice
continuare lungo il terrapieno,
poiché la pioggia che aveva iniziato a cadere rendeva
l’ascesa difficile e
scivolosa. Avendo intravisto una vecchia capanna, Mac guidò
Harm in quella
direzione. Nell’istante in cui entrarono, i cieli si aprirono
e rovesciarono
sulla terra una valanga di pioggia.
“Ce
l’abbiamo fatta giusto in
tempo” annunciò Mac mentre aiutava Harm a sedersi
su una vecchia poltrona
traballante e a sollevare la gamba ferita, appoggiandola su una cassa
di legno.
Borbottando
fra un sospiro e
l’altro, Harm chiuse gli occhi mentre il dolore alla caviglia
gli esplose
nuovamente nel cervello, facendogli pensare di essersela fratturata
nella
caduta.
“Stai
bene?” gli chiese,
accarezzandogli la schiena.
“Mmmmm”
riuscì a mormorare dopo
un respiro profondo.
“Aspetta
che ti tolgo la scarpa e
vediamo…” dichiarò prima di slacciargli
la scarpa e togliergli quella e il
calzino.
Entrambi
si trovarono davanti una
massa gonfia e di uno strano colore.
“Oh,
Harm, ha un brutto aspetto”
disse Mac, il senso di colpa salito velocemente alle stelle.
“Sto
benissimo” replicò, digrignando
i denti.
Formando
un impacco freddo, Mac
arrotolò un pezzo di stoffa intorno alla sua caviglia,
mordendosi il labbro
inferiore ogni volta che lui sussultava per il dolore.
“Scusa, scusa, scusa” mormorò
lei, davvero non volendo infliggergli ulteriore dolore.
“Va
tutto bene, va tutto bene”
borbottò lui, afferrandole il braccio quando lei strinse un
po’ troppo il
bendaggio di supporto.
“Mi
dispiace, mi dispiace” sussurrò
lei in risposta.
Una
volta che Mac ebbe finito di
prendersi cura delle ferite di Harm, rovistò nel suo zaino e
trovò gli
antidolorifici che si portava sempre dietro, poi raccolse la bottiglia
d’acqua
di Harm prima di passare tutto a lui e guardarlo buttare giù
le pillole.
“Adesso
dovresti mangiare
qualcosa” disse lei, tirando fuori altra roba dalla sua borsa.
“Non
ho fame” replicò lui, il
cibo era proprio l’ultimo dei suoi pensieri.
“Andiamo”
lo incoraggiò. “Almeno
prenditi una barretta di cereali, così hai qualcosa in
circolo.”
Risentito,
Harm prese la barretta
e la scartò. “Grazie” disse, mordendone
un pezzo. “Lo apprezzo molto”
Ci
fu un lungo silenzio, sintomo
del loro disagio e del fatto che nessuno di loro volesse essere il
primo a
romperlo. Alla fine, Harm decise di parlare.
“Hai
intenzione di farmi sapere
perché sei così arrabbiata con me?”
chiese, guardandola direttamente negli
occhi.
“Mi
stupisce che tu abbia bisogno
di chiedermelo” rispose lei, guardando ovunque tranne che
nella sua direzione.
“Beh,
mi dispiace sorprenderti,
ma non ne ho idea” ammise sinceramente.
“Ti
do un indizio: 1,70 m,
capelli scuri, cena al Sapphire Garden…”
elencò Mac, cercando di tenere la
gelosia lontana dal suo tono e fallendo miseramente.
“Emily?”
le chiese, dopo tutto
era l’unica mora con cui aveva cenato al Sapphire Garden di
recente.
“Se
è così che si chiama, allora
sì” disse lei, incrociando le braccia.
“Tutto
questo malumore e tutta
questa violenza fisica perché ho cenato con
Emily?” chiese con un grugnito.
“Cena
e pranzo l’altro giorno”
aggiunse Mac, peggiorando il lato divertente che Harm vedeva in tutto
questo.
“Sei
gelosa!” esclamò e mentre
Mac lo negava, entrambi sapevano che lo era, e anche al massimo livello.
Dopo
essersi infilati in questo
vicolo cieco, Harm decise di fornire a Mac maggiori informazioni.
“Vuoi
che ti racconti di Emily?”
le chiese, più che felice di sapere che il suo stato
d’animo era dovuto alla
gelosia e non a un motivo più serio.
“C’è
qualcosa da raccontare?” gli
domandò a sua volta, simulando una nonchalance che era ben
lontana dall’avere.
“Oh,
molto” rispose in tono
esagerato. Se Mac voleva fare tanto rumore per nulla, chi era lui per
scoraggiarla?
“Allora
non sono interessata”
proclamò, togliendosi gli stivali con un calcio e
accoccolandosi su una sedia.
Se c’era tanto da dire allora lei aveva già la sua
risposta.
“Lascia
che ti racconti di lei”
disse, ben sapendo di prenderla in giro. “Emily è
meravigliosa e…”
“Harm,
basta” lo interruppe,
gelandolo con lo sguardo. “Non voglio conoscere i dettagli
delle tue conquiste.
Preferirei starmene qui in silenzio.”
“Conquiste?”
la sfidò Harm. “Sei
sicura di non essere gelosa?”
“Vado
a vedere che tempo fa”
annunciò, alzandosi e dirigendosi verso la porta.
Il
tempo non era certo più sereno
dello stato d’animo di Mac e non c’erano
miglioramenti all’orizzonte – per
nessuno dei due.
“Allora?”
chiese Harm quando lei
ricomparve.
“Sta
diluviando e sembra che
continuerà a farlo per tutta la notte”
annunciò con aria rassegnata.
“Se
vuoi andare…” iniziò Harm, ma
Mac scosse la testa.
“Cosa?
E lasciarti qui?” gli
chiese. “Sicuro” continuò, “e
mentre sono per strada divento persino
vegetariana” aggiunse, cercando di dimostrargli quanto fosse
ridicolo il suo
suggerimento.
“Mac”
disse lentamente. “E’ una
situazione già abbastanza difficile, siamo bloccati qui,
possiamo dichiarare
una tregua delle ostilità per un po’?”
Mac
annuì prima di pensare a una
risposta diversa. “Non devi avvertire Emily? Farle sapere che
non riesci a
vederla stasera?”
“Non
ho nessun appuntamento con
Emily stasera” disse e osservò attentamente il suo
volto. “Però avevamo pensato
di incontrarci per un brunch domenica.”
Non
sapendo bene cosa dire, Mac
si espresse solo con un grugnito.
“Mac,
stai ingigantendo questa
storia”, le disse piano. “Si tratta di un paio di
pasti con qualcuno che
conosco da sempre e a cui voglio bene. Non avrebbe dovuto causare lo
scoppio
della terza guerra mondiale.”
“Allora
fai sul serio con Emily?”
gli chiese appena, le braccia ancora saldamente conserte.
“Sul
serio?” replicò, cercando di
non sorridere.
“Sì,
sul serio” confermò. “Le
vuoi bene?”
“Sì”
rispose onestamente. “Molto”
“Oh,
okay” disse con un cenno del
capo e non ci fu altro da dire in merito a quella piccola rivelazione.
Vedendo
la sua delusione, Harm si
rese conto che era il momento di smettere di giocare. “Mac,
Emily è mia cugina”
disse piano. “E’ in città questa
settimana e ne abbiamo approfittato per incontrarci.
Non ci vedevamo da dieci anni e le voglio davvero bene. Abbiamo
trascorso un
sacco di tempo insieme da ragazzini. Quando avevo 10 anni, mamma ha
cominciato
a spedirmi dalla sua famiglia ogni estate perché ero
diventato una peste.
Pensava che lo zio Bill, il papà di Emily, mi avrebbe
raddrizzato.”
“E’
tua cugina?” chiese Mac
incredula.
“E’
mia cugina” confermò Harm.
“Allora
perché mi hai fatto
credere che fosse qualcosa di più?” lo mise alla
prova.
“Volevo
almeno che ammettessi di
essere un po’ gelosa” le spiegò.
“Dopo tutto, pensavo che ci stessimo
avvicinando prima di tutta questa storia.”
“Pensavo
la stessa cosa ma poi…
non so… mi sono immaginata che io non ti stessi
più a cuore” rivelò, cercando di
nascondere quanto ci avesse sofferto.
“Tu
non mi stessi a cuore?” le
chiese. “Come fai a dirlo?”
“Perché
ci stavamo avvicinando sempre
di più, o almeno lo pensavo” ammise. “E
poi improvvisamente mi sono sentita una
persona non gradita.”
“Mi
dispiace” si scusò. “Credo
che stessi cercando di spronarti affinché tu mi rispondessi
e…”
“Ha
prodotto l’effetto contrario”
offrì lei e Harm annuì.
“Ha
prodotto l’effetto contrario”
concordò. “E mi dispiace”
ripeté.
“Facciamo
davvero schifo sul
piano della comunicazione” disse. “Mi dispiace di
averti spinto… fisicamente.”
“Beh,
non avrei dovuto toccarti”
disse. “Dovrei essere in grado di discutere con te senza
forzarti fisicamente a
stare con me e ad ascoltarmi.”
Alla
fine entrambi ammisero di
aver fatto la cosa sbagliata, entrambi cercarono il perdono e entrambi
lo
ottennero. E mentre erano tornati ad essere amici,
l’atmosfera rimase tesa e le
tenebre li trovarono addormentati in posti separati.
Con
Harm che russava, Mac colse
l’opportunità per scivolare dalla sua presa e
cercare un bagno. Naturalmente
non ce ne era uno nel rifugio. Dovette usare un cespuglio grande per
avere un
minimo di privacy e alcuni fazzolettini di carta. Quando ebbe finito,
usò un
po’ della loro acqua per lavarsi le mani e dette
un’occhiata veloce alla zona
intorno alla capanna.
Andando
verso est, fu felice di
scorgere una pista battuta, molto probabilmente usata dai veicoli della
forestale. Questo significava che lei avrebbe potuto guidare il SUV di
Harm
fino alla capanna e lui non avrebbe dovuto camminare molto. Sapendo che
non ci
sarebbe stato molto spazio per fare manovra, studiò la zona
per capire se le
sarebbe convenuto arrivare in retromarcia e ripartire o fare il
contrario.
Probabilmente sarebbe anche riuscita a fare manovra in quello spazio
ristretto
ma pensò che non sarebbe stato semplice su quel tipo di
terreno.
“Mac?”
la chiamò Harm e lei
rientrò velocemente. “Stai bene?” le
chiese appena comparve sulla porta.
“Sì”
rispose, avvicinandosi al
letto. “Stavo solo controllando il modo migliore per tirarti
fuori da qui”.
”Posso
camminare” disse, ma poi
si guardò il piede e fece una smorfia. Ora era coperto da
macchie rosso
porpora.
“Ci
vuoi ripensare?” domandò,
sicura che la sua caviglia fosse rotta.
“Hai
trovato una soluzione?” le
chiese con un sospiro rassegnato.
“Sì,
penso di poter portare il
tuo SUV giù lungo la pista, credo sia usata dai veicoli
della forestale” disse.
“L’unica cosa è che non penso di
riuscire a rigirarlo, quindi dovremo tornare
indietro in retromarcia.”
“O
potremo proseguire in avanti,
per vedere cosa c’è laggiù”
suggerì e Mac annuì.
Raccogliendo
le poche cose che
aveva, Mac trovò un paio di barrette proteiche e ne
passò una ad Harm. “Mi
dovrò arrampicare lungo il sentiero fino al parcheggio e la
mangerò per la
strada” lo informò, afferrando la sua bottiglia
d’acqua. “Devi mangiare la tua
e prendere un paio di antidolorifici” ordinò,
passandogli la bottiglia. “Magari
ti fa bene se provi a muoverlo un pochino.”
Harm
annuì. “Fa’ attenzione là
fuori” la implorò, consegnandole le chiavi.
“Sarà molto scivoloso con tutta la
pioggia di ieri notte.”
“Andrà
tutto bene” lo rassicurò,
lasciando cadere il suo zaino accanto a quello di Harm. “Hai
bisogno di nulla
prima che vada?”
“No,
sto bene” rispose, scuotendo
la testa. La verità era che si sentiva malissimo e aveva
bisogno di andare in
bagno, e in entrambi i casi Mac non lo avrebbe potuto aiutare.
“OK,
torno presto” disse,
dirigendosi verso la porta. “Non ti azzardare a muoverti
finché non torno.”
“Sissignora”
rispose facendole il
saluto militare.
Per
Mac la mezzora successiva fu
abbastanza piacevole. La vegetazione bassa non era così
bagnata come pensava e,
camminando a una velocità più sostenuta di quanto
avrebbe fatto normalmente,
vista l’urgenza della situazione, quando raggiunse il
parcheggio si sentì piena
di energia e di vigore. Non la sorprese scoprire che le loro auto erano
gli
unici veicoli lì, date le condizioni meteo e l’ora.
Guidando
attraverso il
parcheggio, Mac raggiunse un cancello che stimò potesse
portare alla capanna. Scese
dal SUV e aprì il cancello prima di entrarvi. Mantenendo
un’andatura piuttosto
lenta a causa delle condizioni del terreno, Mac seguì la
pista facendo una
smorfia ogni volta che un ramo o un cespuglio sfioravano la macchina.
Non
voleva immaginare la reazione di Harm se avesse graffiato il suo
veicolo,
bastava già il fatto di avergli probabilmente causato la
frattura della caviglia.
Mentre
Mac era impegnata a
raggiungere il veicolo e a ritornare alla capanna, Harm era impegnato a
organizzarsi. Nell’istante in cui cercò di
poggiare il piede per terra si rese
conto che era una pessima idea e borbottò una serie infinita
di improperi
risollevandolo. Sapendo che se la sarebbe fatta sotto se non fosse
riuscito a
trovare un bagno, Harm analizzò con lo sguardo tutta la
stanza per vedere se
c’era qualcosa che lo avrebbe potuto aiutare, ma non
trovò nulla. Alla fine si
appoggiò al muro per saltellare fino alla porta e poi
usò la cornice della
porta per sostenersi e saltellare fuori. Zompettando fino al limite
dell’edificio si rese conto che non sarebbe riuscito ad
andare oltre e si
liberò lì. Sentendosi subito meglio, Harm si
girò per tornare dentro ma dopo un
salto capì che la fatica per rientrare non valeva lo sforzo.
Lentamente si
mosse fino alla porta e si lasciò scivolare a terra,
aspettando Mac. Anche se
non era un fan del dolore che stava provando, né del fatto
di dipendere così tanto
da Mac, giunse alla conclusione che almeno questa storia li aveva fatti
parlare
e forse, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe riuscito a
convincere Mac
a prendersi cura di lui per i prossimi giorni e vedere dove questa
situazione
li avrebbe portati.
“Cosa
stai facendo lì fuori?”
furono le prime parole di Mac appena scese dal SUV. “Pensavo
di averti detto di
rimanere dentro.”
“Avevo
bisogno di andare in
bagno” le rispose, “e non potevo
aspettare.”
Mac
gli sorrise comprensiva. “OK,
mi sembra una buona ragione” disse. “Come va la
caviglia?”
“Sono
abbastanza convinto che sia
fratturata” annunciò con una smorfia,
appoggiandosi allo stipite della porta
per rimettersi in piedi.
“Lascia
che ti aiuti” si offrì,
avvicinandosi a lui e passandogli un braccio intorno alla vita.
Ci
vollero alcuni minuti per
raggiungere la macchina e poi altri minuti per riuscire a far salire
Harm. Mac
tirò indietro il più possibile il sedile del
passeggero e lo reclinò, in modo
da alleviargli la sensazione di vertigine, poi sollevò la
gamba di Harm con
attenzione e gli fece poggiare delicatamente il piede sul tappetino.
Ancora scalzo,
vide chiaramente perché sentiva ancora così tanto
dolore.
“Sicuro
di stare bene?” gli
chiese quando si voltò verso di lui e lo trovò
con la testa reclinata e gli
occhi saldamente chiusi.
“Niente
che un paio di dosi di
morfina non possano curare” replicò, aprendo gli
occhi e sorridendole
debolmente.
Dopo
pochi minuti Mac aveva messo
i loro zaini nel bagagliaio e stava guidando lentamente lungo la pista
come
aveva suggerito Harm. Due volte, per i primi venti metri, aveva provato
a suggerirle
di fare attenzione, ma ogni volta lei aveva reagito con
un’occhiataccia. Dopo
tutto, non c’era modo di evitare gli ostacoli lungo il
cammino. Alla fine
giunsero a una radura e Mac sorrise sollevata quando riuscì
a far manovra e fu
in grado di risalire la pista per tornare indietro.
Una
volta raggiunto il
parcheggio, si fermò per uscire e richiudere il cancello.
“Dove
vai?” le chiese guardandola
scendere dal veicolo.
“Non
ho nessuna intenzione di
lasciare qui la mia macchina” replicò, facendo
finta di essere seria.
“Ma…”
iniziò a protestare prima
di vedere il sorriso che le illuminò il volto.
“Voglio
solo chiudere il cancello
che avevo aperto per accedere alla pista”
dichiarò, andando dietro la macchina
per completare la sua missione.
Nota
della traduttrice:
Visto
che la prima traduzione è stata apprezzata, ho deciso di
continuare. Anche in questo caso si tratta di un racconto di
NettieC, che è stata tanto gentile da autorizzarmi a
pubblicare il testo in
italiano. Questo è il link alla storia originale:
http://www.fanfiction.net/s/9428663/1/Mountains-and-Molehills
Grazie
a Monica per aver letto la traduzione
e avermi mandato i suoi suggerimenti, sempre precisi e accurati.
E
grazie a chi di voi mi ha dedicato un po’
del proprio tempo ed è arrivato fino qui.
Baci,
Germangirl