Ciao a tutte.
Ecco la mia Os partecipante al Contest "Odi et Amo" di Edelvais Verdefoglia.
E' un'esperienza nuova, per me che che provengo dal fandom Twilight, trovarmi nella sezione delle originali.
Ho finalmente saputo che sono arrivata quarta, sono contenta, soprattutto per il bel giudizio che ho ottenuto.
Voglio avvertirvi che il velo di sovrannaturale che c'è nella storia era richiesto dal concorso.
Vi mando un Bacio,
Teresa
Fuoco sotto la cenere
(Moon)
«Weed,
vorrei parlarti». Gli dico mentre mi sposto una ciocca
ribelle dietro
l’orecchio.
«Non
c’è niente da dire». Mi risponde freddo
con gli occhi neri che saettano feroci.
«C’è
tanto da dire, invece e vorrei che mi lasciassi spiegare».
«Io
non ho né tempo né voglia di starti a sentire,
Logan». Cerca
di scansarmi ma io lo fermo
afferrandolo per un
braccio.
Trattenerlo
non è facile visto che è alto e muscoloso.
Siamo
sul pianerottolo dell’ingresso posteriore del Distretto di
Polizia di Rachel,
nella famosa Area 51 del Nevada e sto cercando in tutti i modi di
comunicare
con lui: il mio nuovo partner di servizio.
«Jack,
ti prego, non fare il bambino capriccioso. Usciamo un attimo. Ti offro
un
caffè». Si passa una mano nervosa tra i corti
capelli neri.
«Io
sarei quello che ti deve stare a sentire, Logan? E che non ha il
diritto di
sentirsi preso per il culo? Sono stufo di queste menate sulla
parità dei sessi,
sul fatto che noi uomini dobbiamo essere onorati di lavorare fianco a
fianco
con voi “Cercatrici”...»
Mi fissa con
le spesse sopracciglia aggrottate e con uno sguardo carico
d’odio.
«
Il
fatto è Logan, che te ne sei sfacciatamente approfittata.
Sei andata
nell’ufficio del capo e con il tuo fare da biondina
efficiente, ti sei presa il
merito per il caso a cui stavamo lavorando...»
Cerco
di inserirmi nel suo monologo infuriato ma mi zittisce.
«
Non. Dire. Niente. Non mi lascio abbindolare da una arrampicatrice come
te. Me
lo immagino come hai fatto a convincerlo: con quegli occhioni azzurri
sgranati
e quelle tette messe ben in mostra nella camicia attillata. Avevi anche
slacciato qualche bottoncino, eh Logan?» La sua aria
disgustata mi colpisce
come un pugno nello stomaco.
Cerca di
muoversi ma io gli blocco le braccia con le mani.
«Ma
cosa cazzo stai dicendo!» Sono infuriata e comincio a vederci
rosso dalla
rabbia. «Mi stai accusando di usare
il
mio corpo per ottenere avanzamenti di carriera? Mi stai dando della
troia? Stai
insinuando che non faccio il mio dovere e che non passo dieci ore al
giorno di
pattuglia col culo su una maledetta volante e che non rischio la vita
ogni
giorno in questa merdosa città come invece fai tu,
Weed?» Lo
vedo spaesato, la mia risposta ringhiata
lo ha per un attimo bloccato. Si riprende subito, però e con
una potente spallata
si divincola per
liberarsi.«Ma
vaffanculo… »
Perdo la presa delle sue braccia.
Lo
sbilanciamento è
forte ed io, ferma sul
bordo delle scale, cado all’indietro.
Rotolo
scomposta giù per la larga rampa di marmo.
Per
fortuna i gradini non sono molti, ma una forte fitta al piede ed una
alla testa
mi confermano di
non essere uscita
indenne dalla caduta. Rimango alcuni lunghi secondi distesa per terra
senza
fiato. Poi mi metto
faticosamente in
ginocchio, reprimendo un attacco di nausea.
(Jack)
Oddio,
cos’ho fatto! L’ho spinta giù
dalle scale.
Scendo di corsa i gradini e mi appresto a
soccorrere la ragazza.
«Moon,
fermati, lascia che ti aiuti». La trattengo mentre cerca di
rimettersi in
piedi. Non mi rivolge nemmeno uno sguardo, i lunghi capelli biondi
scomposti,
le coprono parzialmente il viso, ma mi sembra persa a guardare con
orrore il
ciondolo di cristallo
che le pende rotto
dal collo
«Logan,
credimi, non l’ho fatto apposta…» .
Forse è vero, ma non ne sono del tutto
sicuro.
Logan
si tiene con una mano
la caviglia destra
e con l’altra si massaggia la fronte alta dove ben presto vedo formarsi il
rigonfiamento paonazzo
di un bernoccolo. Rifletto con rancore che dovrei essere io quello
arrabbiato ma
che ora, se è furba, lei può trarre vantaggio da
questo stupido contrattempo.
Cerco di
mantenere la calma per sembrarle freddo e professionale.
«
Non ti muovere , sto chiedendo aiuto». Con le mani tremanti
prendo il cellulare
dalla tasca e chiamo Adam, il mio precedente partner che mi
è caro come un
fratello. Spero vivamente che sia ancora nei paraggi.
«Ehi
amico, sei ancora dentro? Meno male. Sono qui all’ingresso
dei parcheggi. Devo
portare Logan al pronto soccorso. E’ caduta dalle scale.
Potrebbe avere
qualcosa di rotto… vieni tu, ti prego. E avverti il
Capitano». Nel giro di
pochi minuti, l’androne si è riempito di colleghi,
Adam ha sparso la notizia.
Lo vedo arrivare con in mano un mazzo di chiavi e mi rivolge con gli
occhi una domanda
muta. Probabilmente ha notato la
mia espressione colpevole. Il Capitano Green è alle sue
spalle.
Mi
sposto un poco per lasciare spazio intorno alla mia partner.
«
Che ti è successo, Logan?» Vedo
Green
chinarsi alla sua altezza per osservarla da vicino.
«Nulla,
Capitano. Sono solo “scivolata” e ho fatto un
capitombolo dalle scale».Logan mi
guarda di sfuggita. Un brevissimo contatto, in cui io solo vedo la sua
silenziosa accusa.
«Mi
spiace, ma adesso i tuoi colleghi ti accompagneranno al pronto
soccorso, vero
Weed?»
«Subito»
gli rispondo.
Prendo
Logan da sotto un’ascella e cerco di farla alzare. Le cedono
le gambe e una
smorfia di dolore le deturpa il viso.
«No,
non appoggiare il piede, ti porto io». Le ordino secco. Con
una mossa veloce e
all’apparenza gentile, le passo l’altro braccio
sotto le ginocchia e la sollevo
di peso.
«Ottimo»,
sento dire da Green. «Randall, li accompagni tu?»
Suggerisce.
«Naturalmente,
Capitano. Partiamo subito» gli risponde Adam.
Aspetto
all’esterno, con Logan in braccio mentre Randall arriva con
la sua auto di
servizio. Apro lo sportello posteriore, mi chino e appoggio sgarbato la
ragazza
sul seggiolino e mi
infilo nel posto
accanto all’autista.
Arriviamo
in pochi minuti al pronto soccorso dell’ospedale
più vicino.
Un’infermiera,
forse sollecitata dalle divise, ci accoglie prontamente e ci procura
una sedia
a rotelle.
Mi
accorgo che la donna ci sta guardando, quindi vi adagio sopra con zelo
la
collega e attendo angelico l’arrivo
del
medico. «Sei uno stronzo Jackson» mi sibila Logan
nell’orecchio. Faccio finta
di non aver sentito anche se, dentro di me, me la rido.
Adam mi prende da parte.
«Sei strano Jack. Dimmi
cos’è successo veramente…»
Lo
guardo gelido e gli rispondo con un sussurro. «Stavamo
litigando, Randy. L’ho
spinta io giù dalle scale.»
«Cosa
hai fatto? Sei impazzito?» Mi accusa sempre in un soffio.
«Non
era mia intenzione, te lo giuro. Non l’ho fatto
“proprio” apposta.» Sembra
volermi rispondere mentre
entra il
medico di guardia.
«Buongiorno
agenti, cosa abbiamo qui?» Mentre parla ci squadra ad uno ad
uno e si dirige
verso Logan.
«Sono
caduta, dottore. Mi fa male una caviglia» gli dice lei con
una smorfia.
«Chi
c’era con lei signorina?» Le chiede fin troppo
gentilmente.
«Io»
gli rispondo, cercando di dissimulare il voltastomaco che mi ha fatto
venire il
suo fare marpione.
«Bene,
agente. Se vuole, lei può restare». Si volta e
apre la porta dalla quale era
entrato.
Randall
si volta verso Logan.
«Qui
sono di troppo, se non hai bisogno vado» le dice.
«No,
ti ringrazio». Gli risponde dignitosa, mentre
l’infermiera lentamente la spinge
verso l’interno.
Randy
sembra pensarci un attimo su e la ferma: «Moon preferiresti
che rimanessi “io” qui con te? Non sarebbe un
problema » La
guarda intensamente come a volerle leggere dentro. Scuoto la testa per il suo stupido
tentativo, perché lui è
solo un banale poliziotto, come me: tra noi è lei quella con
“i
poteri”.
«No,
no, Randy, grazie. Se Jackson mi
fa la “cortesia
“di rimanere sono a posto». La
odio quando mi chiama col nome che ormai usa solo mia madre. Mi fa
notare il
suo sentirsi superiore…
«Certo,
Honey. E’ il minimo che
possa fare»
Le rispondo di getto. Mi guarda disgustata, perché mi rendo
conto che per una
che si chiami Luna… essere soprannominata Miele…
suona come una presa per il
culo.
Ma non me ne curo
più di tanto, perché è proprio
quello che voglio che sia.
«Bene,ragazzi,
io vado. Vi faccio portare l’auto di servizio nel
parcheggio»
Lo
saluto con un cenno della mano e seguo Logan mentre viene condotta in
radiologia.
(Moon)
Sono
seduta nell’ambulatorio del medico, Jack sta sulla sedia
affianco a me.
«Allora,
agente» mi sento dire dal dottore. «Ha preso una
bella storta, ma per fortuna non
c’è niente di rotto. Le faremo una fasciatura che
dovrà tenere per quindici giorni,
senza appoggiare il piede per almeno
per una settimana. Mi raccomando»
Accidenti,
penso, ed ora come faccio? Avevo
ricevuto un incarico importante dal Governo solo poche settimane fa, ed
ora
rischio di vedere il mio lavoro andare in fumo. In più
quello stronzo di Weed,
oltre ad aver attentato alla mia vita, mi ha rotto il cristallo che
porto al
collo e che mi permette di entrare in contatto con le energie
spirituali
terrestri e non…
Mi
toccherà fare richiesta di una nuova pietra e ci vorranno
settimane prima che
arrivi… rifletto mentre mi viene un’insana voglia
di strozzare quello stronzo
sottosviluppato di Weed…
«Grazie
dottore». Rispondo zuccherosa porgendogli la mano.
Il
medico mi sorride, evidentemente ammaliato e ricambia la stretta
trattenendo a
lungo la mia mano.
Sento
Weed sbuffare insofferente mentre saluta il dottore.
Troviamo la nostra auto di
servizio nel
parcheggio come aveva detto Adam.
Jack mi apre lo sportello del
passeggero quasi
colpendomi con lo spigolo, ed io saltellando irritata salgo in
macchina.
Trascorriamo
il viaggio in un silenzio teso. Davanti al mio palazzo, parcheggia e
gira
attorno alla macchina per farmi scendere.
«Tira
fuori le chiavi, che ti porto io» mi dice col suo solito tono
autoritario.
«
Guarda che questo palazzo non ha l’ascensore» gli
annuncio trionfante.
«Fantastico
e a che piano abiti?»
«Al
secondo»Lo canzono.
(Jack)
Mi
faccio forza, quattro rampe di scale, con Moon in braccio è
il minimo che mi
potesse capitare dopo
ciò che ho fatto.
Arrivati al piano mi appoggio con una spalla allo stipite della porta
mentre
lei inserisce la chiave nella toppa.
Apre
ed entriamo.
Da
quello che riesco a vedere, la stronza
ha
affittato un bilocale già arredato.
I
mobili del soggiorno-cucina sono decorosi, ma veramente economici.
Mi
guardo intorno e l’appoggio sul divano due posti che sta alla
mia destra. Dall’altra
porta presente nella stanza si
intravede
la camera da letto.
«Vivi
con qualcuno?» Le chiedo.
«No»,
mi risponde. «E’ poco che vivo in questa
città, non conosco ancora nessuno».
«Ok,
“fantastico”…quindi
rimango io
stasera». Le dico con noncuranza.
Rapida
si volta, mi lancia
uno sguardo
guardingo e mi chiede sospettosa:« Perché faresti
questo per me?»
«Perché
sei il mio “compagno”,
semplice no?»
Le dico mentre mi guardo attentamente intorno.
…E perché ti ho quasi fatta fuori oggi,
e Green vorrà che sia compilato un
rapporto
per gli affari interni, penso.
Oltre
il divano c’è un piccolo tavolino rettangolare di
legno. Di fronte, appoggiato
alla parete sta un mobile basso ad ante su cui poggia un televisore
piatto da
trentadue pollici.
A
seguire sulla stessa parete, c’è la cucina
moderna, con frigorifero e forno ad
incasso. Nella parete di fronte c’è
l’unica finestra dell’ambiente, sotto cui
è
posto il tavolo da pranzo.
Domani
per prima cosa le procurerò una sedia a rotelle in modo che
possa essere
indipendente, ma lo spazio di manovra in questo appartamento
è veramente
esiguo.
«
Bene, che vuoi per cena?» Batto le mani e le sfrego tra loro
come se
fossimo amici da
sempre. Mentre attendo
la risposta mi dirigo verso il frigo e lo apro.
«Niente,
non ho fame». La sento rispondere con voce glaciale.
«Risposta
sbagliata, Honey, sei sotto la mia custodia e io dico che devi
mangiare»
Lascio
vagare lo sguardo nella landa desolata del suo frigorifero.
«Uhm,
metti davvero a dura prova le mie doti culinarie. Vivi d’aria
e di “amore”?.
Calco sulla parola AMORE, per
farle capire che il suo aspetto da bionda Lolita non mi impressiona per
niente.
Nel frigo semivuoto trovo una confezione di uova
e un paio di banane e nient’altro. «Ti
vanno
delle uova strapazzate o ci facciamo portare una pizza?» Le
chiedo mentre
chiudo dietro di me quella valle dell’eco.
Mi
segno mentalmente di farle anche una fottutissima spesa.
«Fai
come ti pare!». Mi risponde mentre si alza traballante.
«Ehi,
ehi, dove stai andando?» le urlo mentre corro a sorreggerla.
«Devo
andare in bagno, se permetti» Mi guarda arrabbiata, con i
piccoli pugni dalle
nocche sbiancate contratti lungo i fianchi. La sua espressione
è deformata
dall’ira, ma la sua voce è poco più di
un sussurro.
«Reggiti
a me». Mi metto un suo braccio intorno al collo, chinandomi
leggermente e la
sollevo di peso mentre saltella. Dopo pochi passi siamo sulla soglia
della
porta della camera e in due non riusciamo a passare. Sbuffo
spazientito, la
prendo di peso in braccio e a grandi falcate arrivo alla meta.
«Ahi», protesta
lei mentre la deposito poco gentilmente sulla tazza del water.
«Ce
la fai o ti aiuto?» Le ringhio frustrato.
«Ce
la faccio, non mi hanno fasciato le braccia» risponde offesa.
«Scusaa.
Quando hai finito chiama». Mi volto che ancora le sto facendo
il verso ed esco
senza attendere la sua risposta.
Torno
in cucina e opto per la pizza. Sono veramente furibondo con me stesso
per il
casino in cui mi sono cacciato. Ora che faccio? Penso. Le
devo fare da balia per molto? Avrà pure
una sorella, qualche parente, un’amica da cui
andare…
Cerco
sull’elenco del telefono il numero della pizzeria
più vicina.. Non conosco i
suoi gusti, quindi mi limito a ordinare una margherita. Per questa
serata di
merda va più che bene. Ah, meglio farmi portare anche una
confezione di birra.
Fredda. Magari doppia.
E’
da un po’ che non sento rumori provenire dal bagno, quindi mi avvicino alla porta e
busso con decisione.
«Tutto bene lì dentro? Sei caduta nel
cesso?»
«Mi
spiace deluderti brutto pezzo di merda, ma sono ancora viva»
Mi risponde. E’
strano sentire come una cosetta piccola e carina come lei, abbia un
carattere
ed un linguaggio da camionista. O almeno così mi sembra!
La
trovo seduta dove l’avevo lasciata, solo la camicia fuori dai
pantaloni mi
suggerisce che abbia fatto ciò che le urgeva. La prendo di
nuovo in braccio
senza tante cerimonie e ritorno sui miei passi. E’ a peso
morto e non si impegna
per niente ad agevolarmi in questo compito. Sono ancora nella camera
quando mi
rendo conto che, come me, indossa ancora l’uniforme.
L’adagio sul letto e mi
guardo intorno alla ricerca di qualcosa di diverso da farle indossare.
«Cosa
metti quando stai in casa?», Sbotto.
«Ho
una tuta grigia appesa dietro la porta del bagno» mi risponde
acida. Vado a
prenderla e gliela porto. «Ti “aiuto”
a cambiarti?» Le dico con malizia.
«No,
ci riesco!». Risponde secca.
«Hai
qualcuno da poter avvertire, o che potrebbe stare con te nei prossimi
giorni?».
«No,
Mia madre è da mia sorella in Canada. Se ora
permetti…». Mi dice mostrandomi la
tuta che vorrebbe indossare.
«Ehi,
guarda che non mi impressioni… ho visto di meglio»
Esco dalla camera
socchiudendo la porta.
GRANDIOSO.
Non ha nessuno che la possa
accudire. Ha un appartamento grande come uno sputo in cui non si gira
con una
sedia a rotelle e per finire abita in un palazzo senza ascensore.
Un
grande sospiro mi sale dal petto.
POSSO
ESSERE PIU’ SFIGATO DI COSI’?
Arriva
la pizza e lei ne mangia solo un boccone. Io, per rabbia, mi fagocito
tutto il
resto annegandolo nella birra. Le chiedo ancora se ha delle
necessità, più per
dovere che per gentilezza, ma mi risponde appena. Mi incazzo ancora di
più e
sintonizzo la tivù sul peggior programma che trovo: uno
schifo di incontro di
Wrestling che mai
mi sarei immaginato di
guardare.
Ma
questa donna mi fa uscire talmente di senno, che per non urlarle in
faccia mi
costringo a farle i dispetti. Dopo poco anche lei non ne può
più,
comprensibilmente, e mi chiede di accompagnarla a letto. So che dovrei
dirle
che mi dispiace, ma non ce la faccio.
Sono
stufo, di sta stronza che è volata giù dalle
scale al primo spintone.
Vado
in bagno a rinfrescarmi la faccia. Ho bevuto troppa birra e la vescica
mi
scoppia. Piscio cercando di centrare il sanitario, perché
poi, sarei io a dover
ripulire.
Anche
la domestica mi tocca fare!
Torno
in soggiorno e cerco il modo migliore per passare la notte. Mi tolgo la
camicia
e i pantaloni e li ripongo con cura su una sedia. Domani non voglio
passare per
uno che ha dormito sul divano. Anche se effettivamente mi butto su
quello.
Apro
un occhio alla luce dell’alba. Il collo mi fa un male porco
appoggiato com’era
al bracciolo rigido del divano. Mi sollevo e stiracchiando tutti i
muscoli
passo per la sua camera diretto al bagno. Nello stesso istante realizzo
di
essere in boxer e maglietta, e ringrazio per una volta la mia buona
stella, che
fa che la stanza sia ancora avvolta nell’ombra. Non voglio
assolutamente che la
piccola impicciona creda che abbia qualche mira su di lei…
Piuttosto me lo
farei tagliare.
Quello
che vedo riflesso nello specchio è un mostro barbuto con
occhiaie e criniera
impossibile. Cerco per quanto posso di darmi una parvenza umana. In
punta di
piedi torno nel soggiorno e mi rivesto, certo che questo sia il
penultimo gesto
che compio in questo appartamento. L’ultimo sarà
costringerla ad uscire di qui,
e non riportarcela fino a che non le troverò
un’altra sistemazione.
Fottuto
codice etico! Più che
gambizzarla la dovevo strangolare con le mie mani…forse
avrei anche goduto…
(Moon)
Stiamo
viaggiando nell’auto d’ordinanza. Nel portabagagli
ho un borsone con alcuni
indumenti che ha messo Jack dentro alla rinfusa.
Mentre
mi aiutava, stamattina ad andare in bagno, aveva sganciato la bomba.
«Logan,
quando sei pronta prepariamo una borsa con le cose che ti servono e ti
trasferisci a casa mia». Aveva detto.
«Cosa?
Non se ne parla nemmeno. Io rimango qui». Gli avevo urlato
contro.
«Ah
sì? E come farai a muoverti con quel piede?» aveva
replicato ironico.
«Saltellerò
su quello sano, non preoccuparti».
«E
che farai: mangerai per due settimane pizza consegnata a domicilio? E
quando
avrai finito la scorta di biancheria, indosserai sempre quelle due
cose, perché
la lavanderia è nel seminterrato?...Dove naturalmente
c’è anche l’interruttore
generale della luce.» I suoi occhi scuri saettavano
infuriati.
«Che
fai se salta la corrente: te ne stai al buio e al freddo per una
settimana?» Si
era voltato e aveva cominciato a rovistare nei cassetti tirando fuori
ciò che,
secondo lui, mi sarebbe servito.
«Mi
aiuti, o faccio io?» Mi aveva detto interrompendosi un attimo.
«Fai
come fosse roba tua», gli avevo risposto sgarbata.
A
pensarci bene sembrava “quasi” un pensiero gentile,
ma la sua ingerenza nella
mia vita mi stava esasperando. Era colpa mia, se per migliorare le
indagini, i
vertici del Commissariato avevano richiesto l’inserimento in
organico di alcuni
esperti “Cercatori”?
Ed
ora seduta sul seggiolino del passeggero, dove fino a ieri stavo per
lavoro, mi
trasferisco a casa di un uomo, mio collega, che mi detesta e che ha
cercato
d’uccidermi.
Ecco
perché mi hanno trasferita a Rachel Nevada, nella Cactus
Valley, a un centinaio
di miglia da Las Vegas.
Soggetti
“rustici” come Weed, tutti muscoli e poco cervello,
non sarebbero mai riusciti
a cogliere i segnali di una presenza aliena.
Troppo
sanguigni, poco razionali…
Più
percorriamo la strada verso casa sua, più la mia irritazione
cresce.
Ho
come l’impressione che la lingua d’asfalto
infuocata mi stia prosciugando la
mente. Non riesco a
captare nulla
intorno, se non il fastidioso ronzio del condizionatore. Io di solito
preferisco
l’alba o il tramonto, mi aiutano la concentrazione e
favoriscono l’accumulo di
energia cosmica da parte del cristallo…
Ah,
già, di quello dovrò fare senza per
un po’, come della mia indipendenza.
La
casa di Jack è decisamente più grande e comoda
della mia. Ma solo per il fatto
che sia la sua, non mi piace. Un altro grande neo, a cui mi
dovrò abituare è
che ha un bagno solo. Mi mostra la mia stanza e mi ordina di starmene
buona
fino al suo ritorno.
Ma
cosa si crede, che io obbedisca ad
ogni suo comando?
Nei
giorni che seguono ci incontriamo poco. Giusto per la cena, che preparo
frugalmente
io anche per lui e che mangiamo perlopiù in silenzio. La
tentazione di
inserirci dosi massicce di peperoncino o di lassativo è
costante, ma mi
trattengo per non abbassarmi al suo livello.
A volte, durante il giorno,
esco faticosamente
per strada, sulla sedia a rotelle e mi sento sola, inutile ed
abbandonata.
La
sera uguale. Dopocena, in genere, Jack esce e rimango di nuovo sola in
questo
appartamento estraneo. Non lo confesserei nemmeno in punto di morte, ma
quasi
mi manca la sua irritante presenza. Almeno potrei litigare con
qualcuno…
«Logan,
stasera come ogni giovedì, chiamo qui gli amici per un
pokerino, quindi fammi
il piacere di stare fuori dai piedi e non farti vedere» Mi
dice mentre gira per
casa a dorso nudo. Ma non ce l’ha
una
maglietta?
«Ok»,
gli rispondo scocciata da tutta quella fisicità ostentata.
Io
sono nata nel Maine, dove anche in piena estate non si superano mai i
venticinque gradi… in più sono alta un metro e
cinquanta, mentre Jack ad occhio
dovrebbe superare il metro e ottantacinque…quindi vederlo
così, a suo agio
seminudo mi imbarazza ancora di più.
Credo
se ne sia accorto, e lo faccia
apposta…ecco un altro lato che non sopporto di lui.
Ma
l’apoteosi dell’imbarazzo lo raggiungiamo domenica,
quando ci troviamo ad
inciampare continuamente l’uno
nei piedi
dell’altra. Mi siedo su una poltrona del soggiorno per non
trovarmi ancora
sulla sua traiettoria.
«Come
è andata la settimana in Centrale? Ti hanno affidato qualche
caso
interessante?» Cerco di fare un po’ di
conversazione prima che mi si atrofizzino
le corde vocali per il mancato uso. Si volta meravigliato e vedo sul
suo volto
la voglia di dirmi di farmi gli affari miei… ma
in fondo “sarebbero affari miei” se non mi avesse
ridotto con sta
fasciatura al piede…
«Quasi
tutto nella routine…tranne un caso particolarmente
rognoso».
Aspetto
in silenzio, ma spero di non dovergli tirar fuori le parole con le
tenaglie.
«Si
tratta della scomparsa di una ragazzina. Sembra che dei vicini abbiano
visto
una luce azzurra illuminare il cielo un paio di sere fa, alla periferia
del
paese» Si volta e fissa lo sguardo oltre la grande vetrata
del soggiorno.
«Quindi
si pensa ad un rapimento alieno? Cosa dicono i
genitori?»Cerco di mantenere la
voce neutra e professionale, anche se fremo dalla rabbia,
perché questo è il
mio campo e lui me ne ha parlato solo perché
gliel’ho chiesto io.
Lo
sa e non ha il coraggio di guardarmi
negl’occhi…«Non sanno spiegarsi come
possa
essere successo. Dicono che è uscita in giardino dopocena
per portare fuori il
cane, ed è letteralmente sparita.»
«Cristo
Santo Jackson» sbotto d’un
colpo,«c’è in ballo la vita di una
ragazzina e tu
fai il bambino che si tiene i segretucci?». Guardo
l’orologio, sono le tre e
mezzo del pomeriggio. Il sole è ancora troppo alto e le
ombre troppo corte.
Tutto si appiattisce e mi mancano le sfaccettature
dell’ambiente. Sospiro
perché dovrò aspettare ancora un po’
prima di mettermi in moto. «Devi
accompagnarmi sul luogo della scomparsa. Quanto dista? Ci vorrei essere
intorno
alle diciannove.» Jack apre la bocca per rispondermi a tono,
poi sembra
ripensarci, la chiude, incassa le spalle ed annuisce avvilito.
Verso
le diciotto lo vedo rispuntare mentre sto sfogliando una rivista. Ha in
mano il
portafogli e le chiavi della macchina.
«Madama,
il suo autista è pronto» mi dice ironico.
Mi
porta in un quartiere popolare, al limite del deserto.
“E’
il posto giusto per l’atterraggio di
una navicella”, penso.
Per quanto sia sicura che esistano
presenze extraterrestri sul nostro pianeta, so per esperienza che
incontrarle non
è così frequente come si possa pensare. Quindi,
in un caso come questo, bisogna
sì seguire la pista degli avvistamenti, ma è
doveroso affinare lo sguardo per
cercare anche spiegazioni più semplici, cercando quei
piccoli particolari che
solo un occhio acuto può captare.
Quando
valuto che il sole sia alla giusta altezza sull’orizzonte e
le ombre delle cose
abbiano una prospettiva ricca di profondità, mi faccio
aiutare da un riottoso
Weed a scendere dall’auto, Per gli spostamenti ho scelto la
sedia a rotelle,
anche se in casa ho cominciato ad appoggiarmi ad una stampella. Ma in
questo
momento mi servono le mani libere per usare alcuni oggetti, come la
fotocamera,
le pinze e le bustine per i reperti. Prendo nota di tutte le tracce di
pneumatici, dei mozziconi di sigaretta, di tutti gli arbusti che hanno
una
forma più rovinata del dovuto. Poi, quando il sole
è definitivamente scomparso
oltre le sagome scure dei Monti di Edwards, chiudo gli occhi, inspiro,
ed
espando la mente.
Dopo
qualche istante si formano nella mia testa immagini olografiche della
valle intorno.
Sono più sfocate del solito e rossastre, ma non posso farci
niente, non ho
l’aiuto dell’energia del cristallo che indosso di
solito. Memorizzo i contorni
e la stratigrafia dell’ambiente. Capto le forme di vita
presenti, grandi e
piccine e percepisco pure l’aura
scettica
di Jack alle mie spalle e per la prima volta, dopo più di
una settimana, mi
spunta un sorriso. So quanto gli costi assistere impassibile a questo
mio
esercizio mentale, e ne sono perfidamente compiaciuta. Ma immagino sia
a causa
delle pressioni che riceve dal Capitano Greene se mantiene questa
calma.
Dalla
centrale mi sono arrivate notizie poco confortanti: le ricerche sulla
sparizione della ragazza sono in alto mare e lui è sempre
più di cattivo umore.
Ritorniamo
a casa, che è già buio. Fuori dalla finestra
della mia stanza seguo attenta il
bagliore della luna che sorge. Mi concentro e cerco di nuovo di
espandere i
sensi anche senza l’aiuto del cristallo. Mi accorgo che Jack
sta per uscire, ancora.
Ma questa volta non ha con sé il distintivo e la fondina con
la pistola.
«Posso
sapere dove vai?» Gli chiedo parandomi davanti alla porta con
la sedia a
rotelle.
«Non
sono tenuto a dirtelo. Non sono affari tuoi. Ricordati che qui sei
un’ospite, e
neppure tanto gradita.»
Le
sue parole dure suonano peggio di uno schiaffo. Mi ero illusa che la
parentesi
del pomeriggio avesse spezzato la tensione che corre tra di noi.
Ma
su una cosa ha ragione: qui non sono di certo nel mio ambiente. E devo
andarmene, presto. Ma prima devo contribuire alla soluzione di questo
caso.
Jack
non collabora? Chiederò a
Randall.
Estraggo
il cellulare dalla borsa e compongo il suo numero.
«Pronto
Adam? Sono Moon, avrei un favore da chiederti…»
Gli spiego brevemente quello
che mi deve procurare,
glissando un po’
sulla domanda del perché non ci abbia già pensato
Jack.
Si
è
offerto di portarmi tutto subito, visto che non ha impegni per la
serata.
Dopo
mezz’ora arriva, col suo splendido sorriso e un cartone di
pizza in mano.
Perché
non mi è capitato lui come
collega?
Penso avvilita.
Mentre
mangiamo mi consegna una piantina topografica della zona ed una
cartelletta di
cartoncino beige.
«Ecco,
Moon. Qui ci sono tutte le informazioni sul caso. Non è
molto, e ormai
disperiamo di trovarla viva.
Lo
ringrazio e continuiamo a chiacchierare allegramente. E’ un
ragazzo delizioso.
Anche lui amante della
palestra, non ha nulla
da invidiare a Jack in quanto a muscoli. Ma i suoi capelli tagliati
cortissimi
color del grano maturo e gli occhi celesti intenso, gli danno
un’aria da
bambino troppo cresciuto. Gli offro un’altra birra, presa
dalle scorte di Jack.
In
fondo sono amici, non credo avrà
nulla da obiettare!
(Jack)
Ecco
lo ha fatto di nuovo. Con una semplice domanda mi ha incastrato ed io
ho dovuto
raccontarle dell’indagine principale del momento. Mi ha
costretto ad
accompagnarla sul luogo dell’ipotetico rapimento, non certo
con la forza, visto
che quella cosina peserà si e no quarantacinque chili, ma
con l’autorità
dell’essere la mia partner di servizio, in più
esperta di indagini “speciali”.
Lo
avevo fatto, quindi e mi ero anche piegato ai suoi capricci riguardanti
l’ora e
la modalità dell’uscita. Non avevo fiatato nemmeno
quando si era messa a fare
la “mistica” gesticolando con le braccia e
chiudendo gli occhi.
Ma
ora basta! E’ tutto il giorno che la sopporto e non ne posso
più. Sto per
uscire quando mi si para davanti, con il suo mezzo
d’handicappata e vuole sapere
dove stia andando….
Ma
che si faccia gli affaracci suoi, una
buona volta e che crepi, in tanto che c’è.
Me
ne vado nel solito bar frequentato dai colleghi.
Pessima
scelta. Tra una notizia sportiva
e l’altra, si parla del caso della ragazza scomparsa. Mi
dedico quindi con attenzione al fondo tondo del mio boccale di birra,
che vedo,
via sempre
più vuoto…Me ne faccio
portare un altro, così, giusto per non pensare a nulla;
nemmeno alla donna coi
grandi occhi color del cielo che se ne sta sola nel mio
appartamento…
Quando
torno indietro sono un po’ brillo e fatico a sistemare
l’auto nel posteggio
davanti a casa. Perdo tempo, a controllare quale sia la chiave giusta
per la
porta di casa, ma il portachiavi sembra non volerne sapere di
collaborare e
continua ad incastrare i vari anelli in un agglomerato degno della
bandiera
olimpica. Mentre sto ancora litigando con l’ammasso di
ferraglia, vedo uscire
il mio amico ed ex collega Randy da casa mia. Si ferma un attimo a
parlare con
Logan che sta ancora sulla sedia a rotelle, poi si china, le prende il
viso con
le mani e la bacia.
Cosa
ci faceva il mio ex partner e a
questo punto anche ex amico, a casa mia?
E
cosa ancora più importante: come si
permette di baciare la mia collega?
Ho
troppo alcol in corpo per concentrarmi sul fatto che di lei non me ne
dovrebbe
fregare niente, ma la cosa mi infastidisce, eccome. Scendo come una
furia
dall’auto, e vado a passo veloce verso
l’appartamento. Entro con arroganza
dentro, scansando Randy che mi
lancia
uno sguardo sorpreso. Mi dirigo in camera e mi chiudo dentro buttandomi
a peso morto
sul letto ancora tutto vestito.
Perché
lui l’ha baciata? Perché lei
glielo ha permesso?
Rimango,
così, confuso e nauseato dai pensieri e dalla birra,
finchè la pressione di
quest’ultima non mi costringe ad uscire dal mio rifugio per
andare in bagno. Ne
approfitto per una doccia, giusto per schiarirmi le idee.
Che
poi non so cosa dovrei schiarirmi, in effetti: la sorpresa di sapere
che Logan
possa essere desiderata da qualcuno mi ha destabilizzato. Lei non
è una donna… anzi
no, lo è, ma non l’avevo mai guardata in quel
senso.
L’ho sempre solo
vista come una spina nel
fianco, ed ora un gallettaccio grande, grosso e traditore
si interessa a lei.
Me
ne
esco dal bagno mezzo nudo, come solito. So che a Logan la cosa
infastidisce ed
io ne approfitto. Appena fuori dalla porta mi scontro al buio con una
cosina
piccola e zoppicante, che si lamenta perdendo l’equilibrio.
L’acciuffo per la
vita prima che cada e la stringo a me.
Mmhh,
la maglietta che indossa, si inzuppa delle gocce d’acqua che
ancora ricoprono
il mio corpo e sento attraverso la stoffa le sue piccole
rotondità calde
aderire al mio. Vengo preso da un
raptus folle: mi chino e
la bacio con
arroganza.
«Per
oggi, Honey, sei già sazia d’amore, o
c’è posto anche per me?» Le dico con
cattiveria scostando appena le labbra. Lei cerca di allontanarmi
puntando le
sue piccole mani sul mio petto.
Speranza
vana, Baby. Non è ancora nata
quella che riuscirà a competere con la mia forza!
«Weed,
lasciami subito» Sibila glaciale, «sei pazzo? O sei
solo ubriaco?»
«Forse
sono ubriaco, ma di sicuro sono pazzo di te!» Mi torno a
fiondare sulla sua
bocca carnosa, che ora desidero più di una promozione a
Capitano.
Non
risponde al mio bacio, ma so che sta facendo la sostenuta per non
perdere la
medaglia di antipatica dell’anno.
Mi
stacco per respirare, mentre con le braccia la sto ancora stringendo a
me e con
le mani le perlustro avido il sedere tondo e sodo ed i capelli setosi.
Mi
abbasso famelico lungo il suo mento e scendo
verso il collo lasciandole una scia di saliva sulla pelle
liscia.. La
sento lamentarsi e mi infiammo ancora di più credendo che
siano mugugni di approvazione.
Ma ad un certo punto sento sotto le labbra un sapore umido e salato.
Cazzo
che fa, piange?No, no, nooo…
pensavo le piacesse…
Mi
stacco immediatamente e cerco di rimetterla in equilibrio sulle sue
gambe.
«Scusami,
scusami, Logan, non volevo spaventarti». Non la vedo bene,
nel corridoio buio,
ma sento perfettamente i suoi singhiozzi farsi quasi isterici.
«Noo,
ti prego Moon, non piangere, sono uno stupido, veramente uno
stupido!» Non so
cosa fare per farla smettere. E’ piccola fisicamente, ma
è una donna adulta e
sentirla così disperata per colpa mia mi ferisce
profondamente.
Ma
non si è messa a piangere quando
Randy l’ha baciata!
Penso perplesso.
Lui,
però, non l’ha neppure aggredita come ho fatto
io…
Non
smette, e la sento instabile sulle gambe.
Contrariamente
ad ogni logica, che mi avrebbe dovuto far scappare a gambe levate, la
avvolgo
di nuovo tra le mie braccia. Stavolta, però sono delicato,
quasi fraterno.
«Sshh,
piccola, è tutto ok. Smetti di piangere» La cullo,
dolcemente, per un tempo
indefinito. Il suo cuore comincia a rallentare la corsa furiosa e i
suoi
singulti si placano mano a mano. E’ calda e piacevole da
stringere, non me lo
sarei mai aspettato. Appoggio la guancia sui suoi capelli ed inspiro
l’aroma
del cocco del suo shampoo.
Poi
la libero quando ormai stare così a contatto con lei diventa
doloroso.
«Stavi
andando in bagno,Moon, prima che ti saltassi addosso?» Le
chiedo con un velo
d’imbarazzo. La sento annuire sulla mia pelle e i suoi
capelli che sfregano i
miei terminali nervosi, mi regalano brividi lungo la schiena. Mi stacco
sconcertato dalla forte eccitazione che sento crescere nei boxer.
«Ti
accompagno, attenta». Le metto una mano sotto al braccio
libero dalla stampella
e la guido fino al lavandino. Mi assicuro che sia ben salda al bordo di
ceramica, prima di lasciarla ed andarmene.
(Moon)
Mi
ha lasciata li, attaccata al lavabo, ancora sconvolta dal suo
comportamento.
Aveva
bevuto, lo avevo capito dal momento che era tornato. Ma non riuscivo a
capacitarmi di cosa gli passasse per la testa. Era stato sgarbato con
Randy al
suo arrivo a casa. Poi non lo avevo più visto per tutta la
sera, quindi l’agguato
al buio, mentre bofonchiava frasi sconnesse… “
Sei già sazia d’amore, o c’è
posto anche per me?” …Mi aveva
chiesto.
Mi
aveva strinto, palpeggiato, baciato con voracità, tanto che
avevo temuto
seriamente che non si sarebbe più fermato. Ma oltre alla
paura per la violenza
che stavo subendo, mi era montata l’angoscia per la
consapevolezza che la sua
presenza maschile non mi lasciava del tutto indifferente.
Quindi
era sopraggiunto il dolore per tutta la rabbia e l’odio che
il suo
comportamento ostinato mi aveva fatto provare.
Mi
ero sciolta, come neve al sole, nel suo abbraccio virile, spaventata
dal
bisogno di calore umano, che la solitudine di queste ultime settimane
mi aveva
causato.
Il
muro di pietra costruito intorno al mio cuore era crollato e calde e
grosse
lacrime mi scendevano dagli occhi senza che potessi controllarle.
Jack
mi aveva sorpresa ancora, perché invece di fuggire, come mi
sarei aspettata, mi
aveva stretta di nuovo, in un abbraccio morbido e protettivo. Mi aveva
rincuorato e cullato teneramente.
Mi
ero lasciata andare sul suo petto, finalmente a mio agio. Con
l’orecchio
appoggiato sul suo cuore, mi ero illusa per un momento che esso stesse
battendo
per me.
Me
ne torno a letto frastornata dal turbine di emozioni che mi hanno
colpita.
Chissà
cosa rimarrà domattina di tutta
questa bufera?
Mi
alzo col timore di incontrarlo. Ma non succede. E’ uscito
presto stamattina,
forse proprio per non affrontare lo spinoso discorso.
Mi
dirigo zoppicando in cucina, dove stendo la carta topografica ed il
materiale
che mi ha procurato Adam. Con la tazza di caffè nella mano
sinistra, fisso con
attenzione la mappa del territorio intorno a Rachel. Appoggio la mano
destra aperta
sulla carta e chiudo gli occhi cercando di carpire l’energia
della zona. Sbuffo
frustrata dalla mancanza di immagini chiare. Estraggo dalla tasca, la
mia
ultima carta: il mio povero ciondolo rotto. Lo faccio dondolare per
aria come se
fosse un pendolino da medium. Un barlume di luce azzurrina mi appare
incerta dal
cristallo mentre penzola
sulla zona della Worm Valley.
Saltello
verso il cellulare per chiamare Jack. Compongo il numero che
però suona a vuoto.
Chiamo quindi Randall sperando sia insieme a lui.
«Adam,
forse ho una pista da seguire. Potresti passarmi a prendere?»
«Certo,
sono nei dintorni. Scusa Moon, Jack ti vuole parlare, te lo
passo»
«Hey,
Honey, che succede?» Mi chiede col suo solito tono burbero.
«Succede
che ho una pista da seguire, e ho chiesto a Randy di passarmi a
prendere per
verificarla». Gli rispondo stizzita.
«Beh,
scusa non potevi chiamare me?» Mi sembra di scorgere nella
sua voce una vena di
disappunto.
«L’ho
fatto, ma tu non hai risposto!» Odio dovermi giustificare.
Soprattutto davanti
ad uno che sottintende che io lo abbia bypassato per un secondo fine.
«Ok,
in ogni caso arrivo io. L’indagine è nostra Logan,
quindi è compito mio
accompagnarti» Sta parlando con me, ma ho come
l’impressione che le sue parole
siano rivolte invece ad Adam.
Un’ora
dopo, con la cartina sulle ginocchia, sto perlustrando con gli occhi la
zona
che mi aveva suggerito il cristallo. Jack, al mio fianco, sta guidando
l’auto
di servizio a passo d’uomo per permettermi di osservare
meglio. Ci addentriamo
in un sentiero sterrato che costeggia un piccolo insieme di piante di
cactus.
Ai loro piedi, purtroppo, giace un corpo immobile adagiato in posa
innaturale tra
i rovi. Istintivamente distolgo il capo inorridita, mentre Jack ,che
nel
frattempo ha fermato la macchina, mi circonda le spalle con un braccio
attirandomi contro di lui.
«Logan,
non guardare. Non è un bello spettacolo per te.»
Mi stringe ancora un poco posandomi
quello che mi sembra un leggero bacio sui capelli.
Non
dico niente, troppo affranta dalla macabra visione, ed altrettanto
stupita dal
suo gesto premuroso. Lo guardo chiamare la squadra scientifica della
Centrale.
A questo punto scendo, per farmi un’idea personale di
ciò che può essere
accaduto.
Studio gli
indizi intorno: rami spezzati, oggetti da giardino, una striscia di
terreno che
sembra spazzata alla perfezione, mi suggeriscono che la malcapitata
ragazza,
sia stata risucchiata da un improvviso tornado e che sia stata
catapultata al
suolo proprio qui, dove probabilmente si è rotta
l’osso del collo cadendo.
Ritorno alla macchina esausta e triste. Erano già troppi
giorni che mancava da
casa, ma speravo sinceramente che fosse fuggita di sua volontà.
E’
quasi sera quando rientriamo. Al ritorno ci siamo fermati in Centrale
a compilare
il rapporto. Il capitano Green ci ha fatto i complimenti per aver
risolto il
caso, e Jack ha speso buone parole sul mio contributo alla sua
riuscita.
Se
fossi stata in me, mi sarei risentita della sua accondiscendenza: è
effettivamente solo merito mio se avevamo trovato il cadavere di quella
poveretta; invece mi sono sentita come svuotata, il mio lavoro era finito ed
io
volevo tornarmene a casa, nella MIA casa.
Preparo
al volo un piatto di spaghetti, più per abitudine, che per
effettiva fame.
Lo
mangiamo in silenzio, senza guardarci negli occhi. Ancora non ci siamo
detti
nulla su quello che è successo ieri notte e questo senso di
sospensione mi
logora i nervi.
«Sai,
ora che il caso è chiuso penso di tornarmene a
casa» Gli comunico mentre sposto
nervosa una forchettata di spaghetti da destra a sinistra nel
piatto».
«Sei
impazzita? E’ troppo presto ancora. Non sei
autosufficiente» La cosa sembra
accalorarlo molto e non capisco bene il perché.
Forse
è solo per dispetto, per potermi ignorare quanto vuole qui,
a casa sua. Ma io
non ho più intenzione di essere considerata un soprammobile trasparente,
non dopo che mi ha
dimostrato quanto potrebbe essere piacevole stare con lui se lo
volesse.
Mi
alzo e saltellando porto il mio piatto nell’acquaio.
«Guarda
che ho deciso, Jackson. Non puoi costringermi a stare qui
ancora.»
«Certo
che posso». Si alza e mi raggiunge col suo piatto in mano.
Mette una
spruzzatina di detersivo sulle stoviglie ed apre il rubinetto. Muove
agile le
mani nell’acqua formando una schiuma bianca e vaporosa. Lo
guardo affascinata.
Il suo profilo dritto e tagliente, termina nelle labbra che ho scoperto
mio
malgrado essere calde ed invitanti.
Sospiro
e mi volto per allontanarmi. Jack mi acciuffa al volo, facendo
schizzare
nell’aria ciuffi di candida schiuma.
«Sei
ancora in convalescenza Honey. Devi rimanere qui, dove posso aiutarti
se hai
bisogno».
Osservo
la sua mano ricoperta di schiuma stringermi il braccio. Mi sta bagnando
la
manica della camicia, ma quello che guardo io, sono invece le sue
lunghe dita
dalla pelle abbronzata. Mi arrischio ad alzare lo sguardo, per cercare
di
capire cosa stia pensando. Dal canto mio, penso solo a quella stretta da cui parte un
calore intenso che mi
si spande rapidamente per tutto il corpo.
«Sono
perfettamente capace di badare a me stessa, invece». Protesto
offesa.
Il
suo sguardo si posa sulla sua mano che stringe ancora il mio braccio.
Forse
sta sentendo anche lui il fuoco
che si scatena sulla mia pelle?
«
Te
ne vai per poterti vedere con Randall?» Mi chiede a
bruciapelo.
La
mia rabbia esplode
all’improvviso:«Perché devi pensare che
ci sia per forza di
mezzo un uomo?» Lo vedo smarrito, il bel viso sembra roso
dalla gelosia.
«Perché
vi ho visto mentre vi baciavate e sono convito che tu voglia liberarti
di me
per stare con lui»
Mi
divincolo offesa.
«Sei
veramente un cretino, e sei pure cieco. Se volessi stare con qualcuno,
non
cercherei certo Adam». Me ne vado col mio passo incerto.
Sono
incazzata. Incazzata nera.
E’
veramente una persona assurda. Con
tutto quello che mi ha fatto passare ha anche la pretesa che non lo
abbandoni
al suo destino. Ed io, masochista, mi sento pure attratta da lui.
Lo
sento muoversi. In tre lunghi passi mi ha raggiunta. Percepisco la sua
aura
virile entrarmi in circolo come una droga, ancor prima che mi tocchi.
Mi
aggira e mi blocca il passaggio.«E chi cercheresti
…allora?» Mi chiede con un filo
di voce.
E’
stranamente intimidito. La sua mole incombe su di me, ma non
è minacciosa. Lo
guardo fisso negli occhi scuri come la pece. Cerco dentro di loro la
solita
arroganza, ma non la trovo. E come un alito di vento, la domanda muta
che leggo
nel suo sguardo, accende la brace che arde sotto la cenere del mio
cuore.
Azzardo
il passo che potrebbe scatenare un suo rifiuto. Mi alzo sulla punta dei
piedi e
lo tiro verso di me prendendogli il risvolto della camicia.
Schiaccio le
mie labbra sulle sue con la stessa urgenza che ha avuto lui la notte
scorsa.
Per
un attimo rimane perplesso. Ma si riprende subito e mi abbraccia
stretta
sollevandomi di peso. Sono sospesa da terra ma così arrivo
molto meglio a lui.
Mi aggrappo al suo collo, senza staccare il contatto con le sue labbra.
La mia
lingua assaggia la sua, mentre lui mi risponde vorace. Mi sento
trasportata per
casa come se fossi una piuma.
Mi
ritrovo, in un attimo, sdraiata sul letto della sua camera con addosso
il suo
corpo.
«Oddio,
Moon, non sai quanto ti desideri.»
«Anch’io.
Non ti sembra?» Biascico con le labbra sempre occupare sulle
sue.
Le
nostre mani si muovono veloci per liberarci dai vestiti. Lo accarezzo
in tutta
la sua statuaria bellezza bruna. Ed altrettanto le sue mani mi
esplorano
centimetro dopo centimetro.
Esplodo
di passione quando finalmente ci uniamo in un amplesso liberatorio. Non
mi
importa che sia stato un cafone. Nemmeno che mi abbia buttata
giù dalle scale.
La fasciatura che ho alla gamba non mi sembra più una
condanna, ma una sorta di
benedizione che mi ha condotta a questo sprazzo di felicità.
Lo bacio sul petto e poi
sulle spalle, felice di sentirlo mio anche solo per un momento.
Mi
risveglio intorpidita e sudata, nuda, nel suo letto. Non riesco a
muovermi,
imprigionata come una perla in una conchiglia fatta di braccia e di
gambe. Il
suo respiro lento mi accarezza il collo. Vorrei voltarmi ma temo di
svegliarlo.
Ci provo e un suo brontolio sommesso mi blocca di colpo. Sospiro
rassegnata
appoggiandomi meglio sul suo petto.
«Allora
non te ne vai, vero?» Mugugna tra i miei capelli.
«No.
Se mi vuoi, io rimango». Gli sussurro girandomi tra le sue
braccia, fino a
ritrovarmi di fronte a lui.
E’
bello anche quando dorme. Sorrido del fatto di non averlo
mai considerato
attraente.
«
Certo che ti voglio. Ormai mi sono abituato ad averti per casa, e non
posso più
farne a meno». Mi sorride furbetto avvicinando il bacino per
farmi sentire la
portata del suo desiderio. Ed io mi arrendo definitivamente e lo accontento, travolta come lui, dal
fuoco
dei sensi.
Io però mi sono divertita a scriverla. Per voi che non mi conoscete, ma che potreste per un qualche motivo, voler approfondire la lettura, vi lascio i link delle altre storie che ho scritto.
Profumo di cuoio e tabacco (OS);
Il nostro sole splenderà domani e per sempre (OS)