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Autore: elenri    17/07/2013    5 recensioni
Storia partecipante al contest di Edelvais Verdefoglia "ODI ET AMO"
Moon Logan è la nuova partner del poliziotto Jackson Weed. Ha un dono, quello di "vedere oltre alle apparenze" e proprio questa sua capacità di arrivare prima degli altri alla soluzione dei casi assegnatale, scatena l'ira e la competizione del nuovo collega. Il loro rapporto imposto dai superiori del distretto 51 dello Stato del Nevada in cui prestano servizio, è caratterizzato da un odio profondo, che si sente a "pelle", e che porta l'uomo quasi ad ucciderla.
Proprio questo scatto di violenza porterà i due a doversi frequentare assiduamente e l'impegno che ci vorrà per riuscire a tollerarsi, li porterà verso un sentimento diverso ma ugualmente incandescente.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fuoco
Ciao a tutte.
Ecco la mia Os partecipante al Contest "Odi et Amo" di Edelvais Verdefoglia.
E' un'esperienza nuova, per me che che provengo dal fandom Twilight, trovarmi nella sezione delle originali.
Ho finalmente saputo che sono arrivata quarta, sono contenta, soprattutto per il bel giudizio che ho ottenuto.
Voglio avvertirvi che il velo di sovrannaturale che c'è nella storia era richiesto dal concorso.
Vi mando un Bacio,
Teresa


Fuoco sotto la cenere

 

 

(Moon)

 

«Weed, vorrei parlarti». Gli dico mentre mi sposto una ciocca ribelle dietro l’orecchio.

«Non c’è niente da dire». Mi risponde freddo con gli occhi neri che saettano feroci.

«C’è tanto da dire, invece e vorrei che mi lasciassi spiegare».

«Io non ho né tempo né voglia di starti a sentire, Logan».  Cerca di scansarmi ma io lo fermo afferrandolo  per un braccio.

Trattenerlo non è facile visto che è alto e muscoloso.

Siamo sul pianerottolo dell’ingresso posteriore del Distretto di Polizia di Rachel, nella famosa Area 51 del Nevada e sto cercando in tutti i modi di comunicare con lui: il mio nuovo partner di servizio.

«Jack, ti prego, non fare il bambino capriccioso. Usciamo un attimo. Ti offro un caffè». Si passa una mano nervosa tra i corti capelli neri.

«Io sarei quello che ti deve stare a sentire, Logan? E che non ha il diritto di sentirsi preso per il culo? Sono stufo di queste menate sulla parità dei sessi, sul fatto che noi uomini dobbiamo essere onorati di lavorare fianco a fianco con voi “Cercatrici”...» Mi fissa con le spesse sopracciglia aggrottate e con uno sguardo carico d’odio.

« Il fatto è Logan, che te ne sei sfacciatamente approfittata. Sei andata nell’ufficio del capo e con il tuo fare da biondina efficiente, ti sei presa il merito per il caso a cui stavamo lavorando...»

Cerco di inserirmi nel suo monologo infuriato ma mi zittisce.

« Non. Dire. Niente. Non mi lascio abbindolare da una arrampicatrice come te. Me lo immagino come hai fatto a convincerlo: con quegli occhioni azzurri sgranati e quelle tette messe ben in mostra nella camicia attillata. Avevi anche slacciato qualche bottoncino, eh Logan?» La sua aria disgustata mi colpisce come un pugno nello  stomaco. Cerca di muoversi ma io gli blocco le braccia con le mani.

«Ma cosa cazzo stai dicendo!» Sono infuriata e comincio a vederci rosso dalla rabbia. «Mi stai accusando di usare  il mio corpo per ottenere avanzamenti di carriera? Mi stai dando della troia? Stai insinuando che non faccio il mio dovere e che non passo dieci ore al giorno di pattuglia col culo su una maledetta volante e che non rischio la vita ogni giorno in questa merdosa città come invece fai tu, Weed?»  Lo vedo spaesato, la mia risposta ringhiata lo ha per un attimo bloccato. Si riprende subito, però e con una potente spallata  si divincola per liberarsi.«Ma vaffanculo… »

 Perdo la presa delle  sue braccia.

Lo sbilanciamento  è forte ed io, ferma sul bordo delle scale, cado all’indietro.

Rotolo scomposta giù per la larga rampa di marmo.

Per fortuna i gradini non sono molti, ma una forte fitta al piede ed una alla testa mi confermano  di non essere uscita indenne dalla caduta. Rimango alcuni lunghi secondi distesa per terra senza fiato. Poi mi  metto faticosamente in ginocchio, reprimendo un attacco di nausea.

 

 

(Jack)

 

Oddio, cos’ho fatto! L’ho spinta giù dalle scale. Scendo di corsa i gradini e mi appresto a soccorrere la ragazza.

«Moon, fermati, lascia che ti aiuti». La trattengo mentre cerca di rimettersi in piedi. Non mi rivolge nemmeno uno sguardo, i lunghi capelli biondi scomposti, le coprono parzialmente il viso, ma mi sembra persa a guardare con orrore il ciondolo di  cristallo che le pende rotto dal collo

«Logan, credimi, non l’ho fatto apposta…» . Forse è vero, ma non ne sono del tutto sicuro.

Logan si tiene con una  mano la caviglia destra e con l’altra si massaggia la fronte alta dove ben  presto vedo formarsi il rigonfiamento paonazzo di un bernoccolo. Rifletto con rancore che dovrei essere io quello arrabbiato ma che ora, se è furba, lei può trarre vantaggio da questo stupido contrattempo.

 Cerco di  mantenere la calma per sembrarle freddo e professionale.

« Non ti muovere , sto chiedendo aiuto». Con le mani tremanti prendo il cellulare dalla tasca e chiamo Adam, il mio precedente partner che mi è caro come un fratello. Spero vivamente che sia ancora nei paraggi.

«Ehi amico, sei ancora dentro? Meno male. Sono qui all’ingresso dei parcheggi. Devo portare Logan al pronto soccorso. E’ caduta dalle scale. Potrebbe avere qualcosa di rotto… vieni tu, ti prego. E avverti il Capitano». Nel giro di pochi minuti, l’androne si è riempito di colleghi, Adam ha sparso la notizia. Lo vedo arrivare con in mano un mazzo di chiavi e mi rivolge con gli occhi  una domanda muta. Probabilmente ha notato la mia espressione colpevole. Il Capitano Green è alle sue spalle.

Mi sposto un poco per lasciare spazio intorno alla mia partner.

« Che ti è successo, Logan?» Vedo  Green chinarsi alla sua altezza per osservarla da vicino.

«Nulla, Capitano. Sono solo “scivolata” e ho fatto un capitombolo dalle scale».Logan mi guarda di sfuggita. Un brevissimo contatto, in cui io solo vedo la sua silenziosa accusa.

«Mi spiace, ma adesso i tuoi colleghi ti accompagneranno al pronto soccorso, vero Weed?»

«Subito» gli rispondo.

Prendo Logan da sotto un’ascella e cerco di farla alzare. Le cedono le gambe  e una smorfia di dolore le deturpa il viso.

«No, non appoggiare il piede, ti porto io». Le ordino secco. Con una mossa veloce e all’apparenza gentile, le passo l’altro braccio sotto le ginocchia e la sollevo di peso.

«Ottimo», sento dire da Green. «Randall, li accompagni tu?» Suggerisce.

«Naturalmente, Capitano. Partiamo subito» gli risponde Adam.

Aspetto all’esterno, con Logan in braccio mentre Randall arriva con la sua auto di servizio. Apro lo sportello posteriore, mi chino e appoggio sgarbato la ragazza sul seggiolino  e mi infilo nel posto accanto all’autista.

Arriviamo in pochi minuti al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.

Un’infermiera, forse sollecitata dalle divise, ci accoglie prontamente e ci procura una sedia a rotelle.

Mi accorgo che la donna ci sta guardando, quindi vi adagio sopra con zelo la collega e attendo angelico  l’arrivo del medico. «Sei uno stronzo Jackson» mi sibila Logan nell’orecchio. Faccio finta di non aver sentito anche se, dentro di me, me la rido.

 Adam mi prende da parte. «Sei strano Jack.  Dimmi cos’è successo veramente…»

Lo guardo gelido e gli rispondo con un sussurro. «Stavamo litigando, Randy. L’ho spinta io giù dalle scale.»

«Cosa hai fatto? Sei impazzito?» Mi accusa sempre in un soffio.

«Non era mia intenzione, te lo giuro. Non l’ho fatto “proprio” apposta.» Sembra volermi rispondere  mentre entra il medico di guardia.

«Buongiorno agenti, cosa abbiamo qui?» Mentre parla ci squadra ad uno ad uno e si dirige verso Logan.

«Sono caduta, dottore. Mi fa male una caviglia» gli dice lei con una smorfia.

«Chi c’era con lei signorina?» Le chiede fin troppo gentilmente.

«Io» gli rispondo, cercando di dissimulare il voltastomaco che mi ha fatto venire il suo fare marpione. 

«Bene, agente. Se vuole, lei può restare». Si volta e apre la porta dalla quale era entrato.

Randall si volta verso Logan.

«Qui sono di troppo, se non hai bisogno vado» le dice.

«No, ti ringrazio». Gli risponde dignitosa, mentre l’infermiera lentamente la spinge verso l’interno.

Randy sembra pensarci un attimo su e la ferma: «Moon preferiresti che rimanessi “io”  qui con te? Non sarebbe un problema » La guarda intensamente come a volerle leggere dentro. Scuoto la testa  per il suo stupido tentativo, perché lui è solo un banale poliziotto, come me: tra noi è lei quella con  “i poteri”.

«No, no, Randy, grazie. Se Jackson  mi fa la “cortesia “di rimanere sono a posto». La odio quando mi chiama col nome che ormai usa solo mia madre. Mi fa notare il suo sentirsi superiore…

«Certo, Honey. E’ il minimo che possa fare» Le rispondo di getto. Mi guarda disgustata, perché mi rendo conto che per una che si chiami Luna… essere soprannominata Miele… suona come una presa per il culo.

Ma  non me ne curo più di tanto, perché è proprio quello che voglio che sia.

«Bene,ragazzi, io vado. Vi faccio portare l’auto di servizio nel parcheggio»

Lo saluto con un cenno della mano e seguo Logan mentre viene condotta in radiologia.

 

(Moon)

 

Sono seduta nell’ambulatorio del medico, Jack sta sulla sedia affianco a me.

«Allora, agente» mi sento dire dal dottore. «Ha preso una bella storta, ma per fortuna non c’è niente di rotto. Le faremo una fasciatura che dovrà tenere per quindici  giorni, senza appoggiare il piede per almeno per una settimana. Mi raccomando»

Accidenti, penso, ed ora come faccio? Avevo ricevuto un incarico importante dal Governo solo poche settimane fa, ed ora rischio di vedere il mio lavoro andare in fumo. In più quello stronzo di Weed, oltre ad aver attentato alla mia vita, mi ha rotto il cristallo che porto al collo e che mi permette di entrare in contatto con le energie spirituali terrestri e non…

Mi toccherà fare richiesta di una nuova pietra e ci vorranno settimane prima che arrivi… rifletto mentre mi viene un’insana voglia di strozzare quello stronzo sottosviluppato di Weed…

«Grazie dottore». Rispondo zuccherosa porgendogli la mano.

Il medico mi sorride, evidentemente ammaliato e ricambia la stretta trattenendo a lungo la mia mano.

Sento Weed sbuffare insofferente mentre saluta il dottore.

 Troviamo la nostra auto di servizio nel parcheggio come aveva detto Adam.

Jack  mi apre lo sportello del passeggero quasi colpendomi con lo spigolo, ed io saltellando irritata salgo in macchina.

Trascorriamo il viaggio in un silenzio teso. Davanti al mio palazzo, parcheggia e gira attorno alla macchina per farmi scendere.

«Tira fuori le chiavi, che ti porto io» mi dice col suo solito tono autoritario.

« Guarda che questo palazzo non ha l’ascensore» gli annuncio trionfante.

«Fantastico e a che piano abiti?»

«Al secondo»Lo canzono.

 

 

(Jack)

 

Mi faccio forza, quattro rampe di scale, con Moon in braccio è il minimo che mi potesse capitare  dopo ciò che ho fatto. Arrivati al piano mi appoggio con una spalla allo stipite della porta mentre lei inserisce la chiave nella toppa.

Apre ed entriamo.

Da quello che riesco a vedere, la stronza  ha affittato un bilocale già arredato.

I mobili del soggiorno-cucina sono decorosi, ma veramente economici.

Mi guardo intorno e l’appoggio sul divano due posti che sta alla mia destra. Dall’altra porta presente nella stanza  si intravede la camera da letto.

«Vivi con qualcuno?» Le chiedo.

«No», mi risponde. «E’ poco che vivo in questa città, non conosco ancora nessuno».

«Ok, “fantastico”…quindi rimango io stasera». Le dico con noncuranza.

Rapida  si volta, mi lancia uno sguardo guardingo e mi chiede sospettosa:« Perché faresti questo per me?»

«Perché sei il mio “compagno”, semplice no?» Le dico mentre mi guardo attentamente intorno.

E perché ti ho quasi fatta fuori oggi, e Green vorrà che sia compilato un rapporto per gli affari interni, penso.

 

Oltre il divano c’è un piccolo tavolino rettangolare di legno. Di fronte, appoggiato alla parete sta un mobile basso ad ante su cui poggia un televisore piatto da trentadue pollici.

A seguire sulla stessa parete, c’è la cucina moderna, con frigorifero e forno ad incasso. Nella parete di fronte c’è l’unica finestra dell’ambiente, sotto cui è posto il tavolo da pranzo.

Domani per prima cosa le procurerò una sedia a rotelle in modo che possa essere indipendente, ma lo spazio di manovra in questo appartamento è veramente esiguo.

« Bene, che vuoi per cena?» Batto le mani e le sfrego tra loro come se fossimo  amici da sempre. Mentre attendo la risposta mi dirigo verso il frigo e lo apro.

«Niente, non ho fame». La sento rispondere con voce glaciale.

«Risposta sbagliata, Honey, sei sotto la mia custodia e io dico che devi mangiare»

Lascio vagare lo sguardo nella landa desolata del suo frigorifero.

«Uhm, metti davvero a dura prova le mie doti culinarie. Vivi d’aria e di “amore”?. Calco sulla parola AMORE, per farle capire che il suo aspetto da bionda Lolita non mi impressiona per niente. Nel frigo semivuoto trovo una confezione di uova  e un paio di banane e nient’altro. «Ti vanno delle uova strapazzate o ci facciamo portare una pizza?» Le chiedo  mentre chiudo dietro di me quella valle dell’eco.

Mi segno mentalmente di farle anche una fottutissima spesa.

«Fai come ti pare!». Mi risponde mentre si alza traballante.

«Ehi, ehi, dove stai andando?» le urlo mentre corro a sorreggerla.

«Devo andare in bagno, se permetti» Mi guarda arrabbiata, con i piccoli pugni dalle nocche sbiancate contratti lungo i fianchi. La sua espressione è deformata dall’ira, ma la sua voce è poco più di un sussurro.

«Reggiti a me». Mi metto un suo braccio intorno al collo, chinandomi leggermente e la sollevo di peso mentre saltella. Dopo pochi passi siamo sulla soglia della porta della camera e in due non riusciamo a passare. Sbuffo spazientito, la prendo di peso in braccio e a grandi falcate arrivo alla meta. «Ahi», protesta lei mentre la deposito poco gentilmente sulla tazza del water.

«Ce la fai o ti aiuto?» Le ringhio frustrato.

«Ce la faccio, non mi hanno fasciato le braccia» risponde offesa.

«Scusaa. Quando hai finito chiama». Mi volto che ancora le sto facendo il verso ed esco senza attendere la sua risposta.

Torno in cucina e opto per la pizza. Sono veramente furibondo con me stesso per il casino in cui mi sono cacciato.  Ora che faccio? Penso. Le devo fare da balia per molto? Avrà pure una sorella, qualche parente, un’amica da cui andare…

Cerco sull’elenco del telefono il numero della pizzeria più vicina.. Non conosco i suoi gusti, quindi mi limito a ordinare una margherita. Per questa serata di merda va più che bene. Ah, meglio farmi portare anche una confezione di birra. Fredda. Magari doppia.

E’ da un po’ che non sento rumori provenire dal bagno, quindi  mi avvicino alla porta e busso con decisione. «Tutto bene lì dentro? Sei caduta nel cesso?»

«Mi spiace deluderti brutto pezzo di merda, ma sono ancora viva» Mi risponde. E’ strano sentire come una cosetta piccola e carina come lei, abbia un carattere ed un linguaggio da camionista. O almeno così mi sembra!

La trovo seduta dove l’avevo lasciata, solo la camicia fuori dai pantaloni mi suggerisce che abbia fatto ciò che le urgeva. La prendo di nuovo in braccio senza tante cerimonie e ritorno sui miei passi. E’ a peso morto e non si impegna per niente ad agevolarmi in questo compito. Sono ancora nella camera quando mi rendo conto che, come me, indossa ancora l’uniforme. L’adagio sul letto e mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa di diverso da farle indossare. «Cosa metti quando stai in casa?», Sbotto.

«Ho una tuta grigia appesa dietro la porta del bagno» mi risponde acida. Vado a prenderla e gliela porto. «Ti “aiuto” a cambiarti?» Le dico con malizia.

«No, ci riesco!». Risponde secca.

«Hai qualcuno da poter avvertire, o che potrebbe stare con te nei prossimi giorni?».

«No, Mia madre è da mia sorella in Canada. Se ora permetti…». Mi dice mostrandomi la tuta che vorrebbe indossare.

«Ehi, guarda che non mi impressioni… ho visto di meglio» Esco dalla camera socchiudendo la porta.

GRANDIOSO. Non ha nessuno che la possa accudire. Ha un appartamento grande come uno sputo in cui non si gira con una sedia a rotelle e per finire abita in un palazzo senza ascensore. Un grande sospiro mi sale dal petto.

POSSO ESSERE PIU’ SFIGATO DI COSI’?

Arriva la pizza e lei ne mangia solo un boccone. Io, per rabbia, mi fagocito tutto il resto annegandolo nella birra. Le chiedo ancora se ha delle necessità, più per dovere che per gentilezza, ma mi risponde appena. Mi incazzo ancora di più e sintonizzo la tivù sul peggior programma che trovo: uno schifo di incontro di Wrestling  che mai mi sarei immaginato di guardare.

Ma questa donna mi fa uscire talmente di senno, che per non urlarle in faccia mi costringo a farle i dispetti. Dopo poco anche lei non ne può più, comprensibilmente, e mi chiede di accompagnarla a letto. So che dovrei dirle che mi dispiace, ma non ce la faccio.

Sono stufo, di sta stronza che è volata giù dalle scale al primo spintone.

Vado in bagno a rinfrescarmi la faccia. Ho bevuto troppa birra e la vescica mi scoppia. Piscio cercando di centrare il sanitario, perché poi, sarei io a dover ripulire.

Anche la domestica mi tocca fare!

Torno in soggiorno e cerco il modo migliore per passare la notte. Mi tolgo la camicia e i pantaloni e li ripongo con cura su una sedia. Domani non voglio passare per uno che ha dormito sul divano. Anche se effettivamente mi butto su quello.

Apro un occhio alla luce dell’alba. Il collo mi fa un male porco appoggiato com’era al bracciolo rigido del divano. Mi sollevo e stiracchiando tutti i muscoli passo per la sua camera diretto al bagno. Nello stesso istante realizzo di essere in boxer e maglietta, e ringrazio per una volta la mia buona stella, che fa che la stanza sia ancora avvolta nell’ombra. Non voglio assolutamente che la piccola impicciona creda che abbia qualche mira su di lei… Piuttosto me lo farei tagliare.

 

Quello che vedo riflesso nello specchio è un mostro barbuto con occhiaie e criniera impossibile. Cerco per quanto posso di darmi una parvenza umana. In punta di piedi torno nel soggiorno e mi rivesto, certo che questo sia il penultimo gesto che compio in questo appartamento. L’ultimo sarà costringerla ad uscire di qui, e non riportarcela fino a che non le troverò un’altra sistemazione.

Fottuto codice etico! Più che gambizzarla la dovevo strangolare con le mie mani…forse avrei anche goduto…

 

 

(Moon)

 

Stiamo viaggiando nell’auto d’ordinanza. Nel portabagagli ho un borsone con alcuni indumenti che ha messo Jack dentro alla rinfusa.

Mentre mi aiutava, stamattina ad andare in bagno, aveva sganciato la bomba.

«Logan, quando sei pronta prepariamo una borsa con le cose che ti servono e ti trasferisci a casa mia». Aveva detto.

«Cosa? Non se ne parla nemmeno. Io rimango qui». Gli avevo urlato contro.

«Ah sì? E come farai a muoverti con quel piede?» aveva replicato ironico.

«Saltellerò su quello sano, non preoccuparti».

«E che farai: mangerai per due settimane pizza consegnata a domicilio? E quando avrai finito la scorta di biancheria, indosserai sempre quelle due cose, perché la lavanderia è nel seminterrato?...Dove naturalmente c’è anche l’interruttore generale della luce.» I suoi occhi scuri saettavano infuriati.

«Che fai se salta la corrente: te ne stai al buio e al freddo per una settimana?» Si era voltato e aveva cominciato a rovistare nei cassetti tirando fuori ciò che, secondo lui, mi sarebbe servito.

«Mi aiuti, o faccio io?» Mi aveva detto interrompendosi un attimo.

«Fai come fosse roba tua», gli avevo risposto sgarbata.

A pensarci bene sembrava “quasi” un pensiero gentile, ma la sua ingerenza nella mia vita mi stava esasperando. Era colpa mia, se per migliorare le indagini, i vertici del Commissariato avevano richiesto l’inserimento in organico  di alcuni esperti “Cercatori”?

Ed ora seduta sul seggiolino del passeggero, dove fino a ieri stavo per lavoro, mi trasferisco a casa di un uomo, mio collega, che mi detesta e che ha cercato d’uccidermi.

Ecco perché mi hanno trasferita a Rachel Nevada, nella Cactus Valley, a un centinaio di miglia da Las Vegas.

Soggetti “rustici” come Weed, tutti muscoli e poco cervello, non sarebbero mai riusciti a cogliere i segnali di una presenza aliena.

Troppo sanguigni, poco razionali…

Più percorriamo la strada verso casa sua, più la mia irritazione cresce.

Ho come l’impressione che la lingua d’asfalto infuocata mi stia prosciugando la mente.  Non riesco a captare nulla intorno, se non il fastidioso ronzio del condizionatore. Io di solito preferisco l’alba o il tramonto, mi aiutano la concentrazione e favoriscono l’accumulo di energia cosmica da parte del cristallo…

Ah, già, di quello dovrò fare senza per un po’, come della mia indipendenza.

La casa di Jack è decisamente più grande e comoda della mia. Ma solo per il fatto che sia la sua, non mi piace. Un altro grande neo, a cui mi dovrò abituare è che ha un bagno solo. Mi mostra la mia stanza e mi ordina di starmene buona fino al suo ritorno.

Ma cosa si crede, che io obbedisca ad ogni suo comando?

Nei giorni che seguono ci incontriamo poco. Giusto per la cena, che preparo frugalmente io anche per lui e che mangiamo perlopiù in silenzio. La tentazione di inserirci dosi massicce di peperoncino o di lassativo è costante, ma mi trattengo per non abbassarmi al suo livello.

 A volte, durante il giorno, esco faticosamente per strada, sulla sedia a rotelle e mi sento sola, inutile ed abbandonata.

La sera uguale. Dopocena, in genere, Jack esce e rimango di nuovo sola in questo appartamento estraneo. Non lo confesserei nemmeno in punto di morte, ma quasi mi manca la sua irritante presenza. Almeno potrei litigare con qualcuno…

«Logan, stasera come ogni giovedì, chiamo qui gli amici per un pokerino, quindi fammi il piacere di stare fuori dai piedi e non farti vedere» Mi dice mentre gira per casa a dorso nudo. Ma non ce l’ha una maglietta?

«Ok», gli rispondo scocciata da tutta quella fisicità ostentata.

Io sono nata nel Maine, dove anche in piena estate non si superano mai i venticinque gradi… in più sono alta un metro e cinquanta, mentre Jack ad occhio dovrebbe superare il metro e ottantacinque…quindi vederlo così, a suo agio seminudo mi imbarazza ancora di più.

Credo se ne sia accorto, e lo faccia apposta…ecco un altro lato che non sopporto di lui.

Ma l’apoteosi dell’imbarazzo lo raggiungiamo domenica, quando ci troviamo ad inciampare continuamente  l’uno nei piedi dell’altra. Mi siedo su una poltrona del soggiorno per non trovarmi ancora sulla sua traiettoria.

«Come è andata la settimana in Centrale? Ti hanno affidato qualche caso interessante?» Cerco di fare un po’ di conversazione prima che mi si atrofizzino le corde vocali per il mancato uso. Si volta meravigliato e vedo sul suo volto la voglia di dirmi di farmi gli affari miei… ma in fondo “sarebbero affari miei” se non mi avesse ridotto con sta fasciatura al piede…

«Quasi tutto nella routine…tranne un caso particolarmente rognoso».

Aspetto in silenzio, ma spero di non dovergli tirar fuori le parole con le tenaglie.

«Si tratta della scomparsa di una ragazzina. Sembra che dei vicini abbiano visto una luce azzurra illuminare il cielo un paio di sere fa, alla periferia del paese» Si volta e fissa lo sguardo oltre la grande vetrata del soggiorno.

«Quindi si pensa ad un rapimento alieno? Cosa dicono i genitori?»Cerco di mantenere la voce neutra e professionale, anche se fremo dalla rabbia, perché questo è il mio campo e lui me ne ha parlato solo perché gliel’ho chiesto io.

Lo sa e non ha il coraggio di guardarmi negl’occhi…«Non sanno spiegarsi come possa essere successo. Dicono che è uscita in giardino dopocena per portare fuori il cane, ed è letteralmente sparita.»

«Cristo Santo Jackson» sbotto d’un colpo,«c’è in ballo la vita di una ragazzina e tu fai il bambino che si tiene i segretucci?». Guardo l’orologio, sono le tre e mezzo del pomeriggio. Il sole è ancora troppo alto e le ombre troppo corte. Tutto si appiattisce e mi mancano le sfaccettature dell’ambiente. Sospiro perché dovrò aspettare ancora un po’ prima di mettermi in moto. «Devi accompagnarmi sul luogo della scomparsa. Quanto dista? Ci vorrei essere intorno alle diciannove.» Jack apre la bocca per rispondermi a tono, poi sembra ripensarci, la chiude, incassa le spalle ed annuisce avvilito.

Verso le diciotto lo vedo rispuntare mentre sto sfogliando una rivista. Ha in mano il portafogli e le chiavi della macchina.

«Madama, il suo autista è pronto» mi dice ironico.

Mi porta in un quartiere popolare, al limite del deserto.

“E’ il posto giusto per l’atterraggio di una navicella”, penso. Per quanto sia sicura che esistano presenze extraterrestri sul nostro pianeta, so per esperienza che incontrarle non è così frequente come si possa pensare. Quindi, in un caso come questo, bisogna sì seguire la pista degli avvistamenti, ma è doveroso affinare lo sguardo per cercare anche spiegazioni più semplici, cercando quei piccoli particolari che solo un occhio acuto può captare.

Quando valuto che il sole sia alla giusta altezza sull’orizzonte e le ombre delle cose abbiano una prospettiva ricca di profondità, mi faccio aiutare da un riottoso Weed a scendere dall’auto, Per gli spostamenti ho scelto la sedia a rotelle, anche se in casa ho cominciato ad appoggiarmi ad una stampella. Ma in questo momento mi servono le mani libere per usare alcuni oggetti, come la fotocamera, le pinze e le bustine per i reperti. Prendo nota di tutte le tracce di pneumatici, dei mozziconi di sigaretta, di tutti gli arbusti che hanno una forma più rovinata del dovuto. Poi, quando il sole è definitivamente scomparso oltre le sagome scure dei Monti di Edwards, chiudo gli occhi, inspiro, ed espando la mente.

Dopo qualche istante si formano nella mia testa immagini olografiche della valle intorno. Sono più sfocate del solito e rossastre, ma non posso farci niente, non ho l’aiuto dell’energia del cristallo che indosso di solito. Memorizzo i contorni e la stratigrafia dell’ambiente. Capto le forme di vita presenti, grandi e piccine e percepisco pure  l’aura scettica di Jack alle mie spalle e per la prima volta, dopo più di una settimana, mi spunta un sorriso. So quanto gli costi assistere impassibile a questo mio esercizio mentale, e ne sono perfidamente compiaciuta. Ma immagino sia a causa delle pressioni che riceve dal Capitano Greene se mantiene questa calma.

Dalla centrale mi sono arrivate notizie poco confortanti: le ricerche sulla sparizione della ragazza sono in alto mare e lui è sempre più di cattivo umore.

Ritorniamo a casa, che è già buio. Fuori dalla finestra della mia stanza seguo attenta il bagliore della luna che sorge. Mi concentro e cerco di nuovo di espandere i sensi anche senza l’aiuto del cristallo. Mi accorgo che Jack sta per uscire, ancora. Ma questa volta non ha con sé il distintivo e la fondina con la pistola.

«Posso sapere dove vai?» Gli chiedo parandomi davanti alla porta con la sedia a rotelle.

«Non sono tenuto a dirtelo. Non sono affari tuoi. Ricordati che qui sei un’ospite, e neppure tanto gradita.»

Le sue parole dure suonano peggio di uno schiaffo. Mi ero illusa che la parentesi del pomeriggio avesse spezzato la tensione che corre tra di noi.

Ma su una cosa ha ragione: qui non sono di certo nel mio ambiente. E devo andarmene, presto. Ma prima devo contribuire alla soluzione di questo caso.

Jack non collabora? Chiederò a Randall. 

Estraggo il cellulare dalla borsa e compongo il suo numero.

«Pronto Adam? Sono Moon, avrei un favore da chiederti…» Gli spiego brevemente quello che mi deve  procurare, glissando un po’ sulla domanda del perché non ci abbia già pensato Jack.

Si è offerto di portarmi tutto subito, visto che non ha impegni per la serata.

Dopo mezz’ora arriva, col suo splendido sorriso e un cartone di pizza in mano.

Perché non mi è capitato lui come collega? Penso avvilita.

Mentre mangiamo mi consegna una piantina topografica della zona ed una cartelletta di cartoncino beige.

«Ecco, Moon. Qui ci sono tutte le informazioni sul caso. Non è molto, e ormai disperiamo di trovarla viva.

Lo ringrazio e continuiamo a chiacchierare allegramente. E’ un ragazzo delizioso.

 Anche lui amante della palestra, non ha nulla da invidiare a Jack in quanto a muscoli. Ma i suoi capelli tagliati cortissimi color del grano maturo e gli occhi celesti intenso, gli danno un’aria da bambino troppo cresciuto. Gli offro un’altra birra, presa dalle scorte di Jack.

In fondo sono amici, non credo avrà nulla da obiettare!

 

(Jack)

 

Ecco lo ha fatto di nuovo. Con una semplice domanda mi ha incastrato ed io ho dovuto raccontarle dell’indagine principale del momento. Mi ha costretto ad accompagnarla sul luogo dell’ipotetico rapimento, non certo con la forza, visto che quella cosina peserà si e no quarantacinque chili, ma con l’autorità dell’essere la mia partner di servizio, in più esperta di indagini “speciali”.

Lo avevo fatto, quindi e mi ero anche piegato ai suoi capricci riguardanti l’ora e la modalità dell’uscita. Non avevo fiatato nemmeno quando si era messa a fare la “mistica” gesticolando con le braccia e chiudendo gli occhi.

Ma ora basta! E’ tutto il giorno che la sopporto e non ne posso più. Sto per uscire quando mi si para davanti, con il suo mezzo d’handicappata e vuole sapere dove stia andando….

Ma che si faccia gli affaracci suoi, una buona volta e che crepi, in tanto che c’è.

Me ne vado nel solito bar frequentato dai colleghi.

Pessima scelta. Tra una notizia sportiva e l’altra, si parla del caso della ragazza scomparsa. Mi dedico quindi con attenzione al fondo tondo del mio boccale di birra, che vedo, via  sempre più vuoto…Me ne faccio portare un altro, così, giusto per non pensare a nulla; nemmeno alla donna coi grandi occhi color del cielo che se ne sta sola nel mio appartamento…

Quando torno indietro sono un po’ brillo e fatico a sistemare l’auto nel posteggio davanti a casa. Perdo tempo, a controllare quale sia la chiave giusta per la porta di casa, ma il portachiavi sembra non volerne sapere di collaborare e continua ad incastrare i vari anelli in un agglomerato degno della bandiera olimpica. Mentre sto ancora litigando con l’ammasso di ferraglia, vedo uscire il mio amico ed ex collega Randy da casa mia. Si ferma un attimo a parlare con Logan che sta ancora sulla sedia a rotelle, poi si china, le prende il viso con le mani e la bacia.

Cosa ci faceva il mio ex partner e a questo punto anche ex amico, a casa mia?

E cosa ancora più importante: come si permette di baciare la mia collega?

Ho troppo alcol in corpo per concentrarmi sul fatto che di lei non me ne dovrebbe fregare niente, ma la cosa mi infastidisce, eccome. Scendo come una furia dall’auto, e vado a passo veloce verso l’appartamento. Entro con arroganza dentro, scansando Randy che  mi lancia uno sguardo sorpreso. Mi dirigo in camera e mi chiudo dentro buttandomi a peso morto sul letto ancora tutto vestito.

Perché lui l’ha baciata? Perché lei glielo ha  permesso?

Rimango, così, confuso e nauseato dai pensieri e dalla birra, finchè la pressione di quest’ultima non mi costringe ad uscire dal mio rifugio per andare in bagno. Ne approfitto per una doccia, giusto per schiarirmi le idee.

Che poi non so cosa dovrei schiarirmi, in effetti: la sorpresa di sapere che Logan possa essere desiderata da qualcuno mi ha destabilizzato. Lei non è una donna… anzi no, lo è, ma non l’avevo mai guardata in quel senso.

 L’ho sempre solo vista come una spina nel fianco, ed ora un gallettaccio grande, grosso e traditore si interessa a lei.

Me ne esco dal bagno mezzo nudo, come solito. So che a Logan la cosa infastidisce ed io ne approfitto. Appena fuori dalla porta mi scontro al buio con una cosina piccola e zoppicante, che si lamenta perdendo l’equilibrio. L’acciuffo per la vita prima che cada e la stringo a me.

Mmhh, la maglietta che indossa, si inzuppa delle gocce d’acqua che ancora ricoprono il mio corpo e sento attraverso la stoffa le sue piccole rotondità  calde aderire al mio. Vengo preso da un raptus folle: mi chino  e la bacio con arroganza.

«Per oggi, Honey, sei già sazia d’amore, o c’è posto anche per me?» Le dico con cattiveria scostando appena le labbra. Lei cerca di allontanarmi puntando le sue piccole mani sul mio petto.

Speranza vana, Baby. Non è ancora nata quella che riuscirà a competere con la mia forza!

«Weed, lasciami subito» Sibila glaciale, «sei pazzo? O sei solo ubriaco?»

«Forse sono ubriaco, ma di sicuro sono pazzo di te!» Mi torno a fiondare sulla sua bocca carnosa, che ora desidero più di una promozione a Capitano.

Non risponde al mio bacio, ma so che sta facendo la sostenuta per non perdere la medaglia di antipatica dell’anno.

Mi stacco per respirare, mentre con le braccia la sto ancora stringendo a me e con le mani le perlustro avido il sedere tondo e sodo ed i capelli setosi. Mi abbasso famelico lungo il suo mento e scendo  verso il collo lasciandole una scia di saliva sulla pelle liscia.. La sento lamentarsi e mi infiammo ancora di più credendo che siano mugugni di approvazione. Ma ad un certo punto sento sotto le labbra un sapore umido e salato.

Cazzo che fa, piange?No, no, nooo… pensavo le piacesse…

Mi stacco immediatamente e cerco di rimetterla in equilibrio sulle sue gambe.

«Scusami, scusami, Logan, non volevo spaventarti». Non la vedo bene, nel corridoio buio, ma sento perfettamente i suoi singhiozzi farsi quasi isterici.

«Noo, ti prego Moon, non piangere, sono uno stupido, veramente uno stupido!» Non so cosa fare per farla smettere. E’ piccola fisicamente, ma è una donna adulta e sentirla così disperata per colpa mia mi ferisce profondamente.

Ma non si è messa a piangere quando Randy l’ha baciata! Penso perplesso.

Lui, però, non l’ha neppure aggredita come ho fatto io…

Non smette, e la sento instabile sulle gambe.

Contrariamente ad ogni logica, che mi avrebbe dovuto far scappare a gambe levate, la avvolgo di nuovo tra le mie braccia. Stavolta, però sono delicato, quasi fraterno.

«Sshh, piccola, è tutto ok. Smetti di piangere» La cullo, dolcemente, per un tempo indefinito. Il suo cuore comincia a rallentare la corsa furiosa e i suoi singulti si placano mano a mano. E’ calda e piacevole da stringere, non me lo sarei mai aspettato. Appoggio la guancia sui suoi capelli ed inspiro l’aroma del cocco del suo shampoo.

Poi la libero quando ormai stare così a contatto con lei diventa doloroso.

«Stavi andando in bagno,Moon, prima che ti saltassi addosso?» Le chiedo con un velo d’imbarazzo. La sento annuire sulla mia pelle e i suoi capelli che sfregano i miei terminali nervosi, mi regalano brividi lungo la schiena. Mi stacco sconcertato dalla forte eccitazione che sento crescere nei boxer.

«Ti accompagno, attenta». Le metto una mano sotto al braccio libero dalla stampella e la guido fino al lavandino. Mi assicuro che sia ben salda al bordo di ceramica, prima di lasciarla ed andarmene.

 

(Moon)

 

Mi ha lasciata li, attaccata al lavabo, ancora sconvolta dal suo comportamento.

Aveva bevuto, lo avevo capito dal momento che era tornato. Ma non riuscivo a capacitarmi di cosa gli passasse per la testa. Era stato sgarbato con Randy al suo arrivo a casa. Poi non lo avevo più visto per tutta la sera, quindi l’agguato al buio, mentre bofonchiava frasi sconnesse… “ Sei già sazia d’amore, o c’è posto anche per me?” …Mi aveva chiesto.

Mi aveva strinto, palpeggiato, baciato con voracità, tanto che avevo temuto seriamente che non si sarebbe più fermato. Ma oltre alla paura per la violenza che stavo subendo, mi era montata l’angoscia per la consapevolezza che la sua presenza maschile non mi lasciava del tutto indifferente.

Quindi era sopraggiunto il dolore per tutta la rabbia e l’odio che il suo comportamento ostinato mi aveva fatto provare.

Mi ero sciolta, come neve al sole, nel suo abbraccio virile, spaventata dal bisogno di calore umano, che la solitudine di queste ultime settimane mi aveva causato.

Il muro di pietra costruito intorno al mio cuore era crollato e calde e grosse lacrime mi scendevano dagli occhi senza che potessi controllarle.

Jack mi aveva sorpresa ancora, perché invece di fuggire, come mi sarei aspettata, mi aveva stretta di nuovo, in un abbraccio morbido e protettivo. Mi aveva rincuorato e cullato teneramente.

Mi ero lasciata andare sul suo petto, finalmente a mio agio. Con l’orecchio appoggiato sul suo cuore, mi ero illusa per un momento che esso stesse battendo per me.

 

 

Me ne torno a letto frastornata dal turbine di emozioni che mi hanno colpita.

Chissà cosa rimarrà domattina di tutta questa bufera?

Mi alzo col timore di incontrarlo. Ma non succede. E’ uscito presto stamattina, forse proprio per non affrontare lo spinoso discorso.

Mi dirigo zoppicando in cucina, dove stendo la carta topografica ed il materiale che mi ha procurato Adam. Con la tazza di caffè nella mano sinistra, fisso con attenzione la mappa del territorio intorno a Rachel. Appoggio la mano destra aperta sulla carta e chiudo gli occhi cercando di carpire l’energia della zona. Sbuffo frustrata dalla mancanza di immagini chiare. Estraggo dalla tasca, la mia ultima carta: il mio povero ciondolo rotto. Lo faccio dondolare per aria come se fosse un pendolino da medium. Un barlume di luce azzurrina mi appare incerta  dal cristallo mentre penzola sulla zona della Worm Valley.

Saltello verso il cellulare per chiamare Jack. Compongo il numero che però suona a vuoto. Chiamo quindi Randall sperando sia insieme a lui.

«Adam, forse ho una pista da seguire. Potresti passarmi a prendere?»

«Certo, sono nei dintorni. Scusa Moon, Jack ti vuole parlare, te lo passo»

«Hey, Honey, che succede?» Mi chiede col suo solito tono burbero.

«Succede che ho una pista da seguire, e ho chiesto a Randy di passarmi a prendere per verificarla». Gli rispondo stizzita.

«Beh, scusa non potevi chiamare me?» Mi sembra di scorgere nella sua voce una vena di disappunto.

«L’ho fatto, ma tu non hai risposto!» Odio dovermi giustificare. Soprattutto davanti ad uno che sottintende che io lo abbia bypassato per un secondo fine.

«Ok, in ogni caso arrivo io. L’indagine è nostra Logan, quindi è compito mio accompagnarti» Sta parlando con me, ma ho come l’impressione che le sue parole siano rivolte invece ad Adam.

Un’ora dopo, con la cartina sulle ginocchia, sto perlustrando con gli occhi la zona che mi aveva suggerito il cristallo. Jack, al mio fianco, sta guidando l’auto di servizio a passo d’uomo per permettermi di osservare meglio. Ci addentriamo in un sentiero sterrato che costeggia un piccolo insieme di piante di cactus. Ai loro piedi, purtroppo, giace un corpo immobile adagiato in posa innaturale tra i rovi. Istintivamente distolgo il capo inorridita, mentre Jack ,che nel frattempo ha fermato la macchina, mi circonda le spalle con un braccio attirandomi contro di lui.

«Logan, non guardare. Non è un bello spettacolo per te.» Mi stringe ancora un poco posandomi quello che mi sembra un leggero bacio sui capelli.

Non dico niente, troppo affranta dalla macabra visione, ed altrettanto stupita dal suo gesto premuroso. Lo guardo chiamare la squadra scientifica della Centrale. A questo punto scendo, per farmi un’idea personale di ciò che può essere accaduto.

 

Studio gli indizi intorno: rami spezzati, oggetti da giardino, una striscia di terreno che sembra spazzata alla perfezione, mi suggeriscono che la malcapitata ragazza, sia stata risucchiata da un improvviso tornado e che sia stata catapultata al suolo proprio qui, dove probabilmente si è rotta l’osso del collo cadendo. Ritorno alla macchina esausta e triste. Erano già troppi giorni che mancava da casa, ma speravo sinceramente che fosse fuggita di sua volontà.

E’ quasi sera quando rientriamo. Al ritorno ci siamo fermati in Centrale a compilare il rapporto. Il capitano Green ci ha fatto i complimenti per aver risolto il caso, e Jack ha speso buone parole sul mio contributo alla sua riuscita.

Se fossi stata in me, mi sarei risentita della sua accondiscendenza: è effettivamente solo merito mio se avevamo trovato il cadavere di quella poveretta; invece mi sono sentita come svuotata, il mio lavoro era finito ed io volevo tornarmene a casa, nella MIA casa.

 

Preparo al volo un piatto di spaghetti, più per abitudine, che per effettiva fame.

Lo mangiamo in silenzio, senza guardarci negli occhi. Ancora non ci siamo detti nulla su quello che è successo ieri notte e questo senso di sospensione mi logora i nervi.

«Sai, ora che il caso è chiuso penso di tornarmene a casa» Gli comunico mentre sposto nervosa una forchettata di spaghetti da destra a sinistra nel piatto».

«Sei impazzita? E’ troppo presto ancora. Non sei autosufficiente» La cosa sembra accalorarlo molto e non capisco bene il perché.

Forse è solo per dispetto, per potermi ignorare quanto vuole qui, a casa sua. Ma io non ho più intenzione di essere considerata un soprammobile trasparente, non dopo che mi ha dimostrato quanto potrebbe essere piacevole stare con lui se lo volesse.

Mi alzo e saltellando porto il mio piatto nell’acquaio.

«Guarda che ho deciso, Jackson. Non puoi costringermi a stare qui ancora.»

«Certo che posso». Si alza e mi raggiunge col suo piatto in mano. Mette una spruzzatina di detersivo sulle stoviglie ed apre il rubinetto. Muove agile le mani nell’acqua formando una schiuma bianca e vaporosa. Lo guardo affascinata. Il suo profilo dritto e tagliente, termina nelle labbra che ho scoperto mio malgrado essere calde ed invitanti.

Sospiro e mi volto per allontanarmi. Jack mi acciuffa al volo, facendo schizzare nell’aria ciuffi di candida schiuma.

«Sei ancora in convalescenza Honey. Devi rimanere qui, dove posso aiutarti se hai bisogno».

Osservo la sua mano ricoperta di schiuma stringermi il braccio. Mi sta bagnando la manica della camicia, ma quello che guardo io, sono invece le sue lunghe dita dalla pelle abbronzata. Mi arrischio ad alzare lo sguardo, per cercare di capire cosa stia pensando. Dal canto mio, penso solo a quella  stretta da cui parte un calore intenso che mi si spande rapidamente per tutto il corpo.

«Sono perfettamente capace di badare a me stessa, invece». Protesto offesa.

Il suo sguardo si posa sulla sua mano che stringe ancora il mio braccio.

Forse sta sentendo anche lui il fuoco che si scatena sulla mia pelle?

« Te ne vai per poterti vedere con Randall?» Mi chiede a bruciapelo.

La mia rabbia esplode all’improvviso:«Perché devi pensare che ci sia per forza di mezzo un uomo?» Lo vedo smarrito, il bel viso sembra roso dalla gelosia.

«Perché vi ho visto mentre vi baciavate e sono convito che tu voglia liberarti di me per stare con lui»

Mi divincolo offesa.

«Sei veramente un cretino, e sei pure cieco. Se volessi stare con qualcuno, non cercherei certo Adam». Me ne vado col mio passo incerto.

Sono incazzata. Incazzata nera.

E’ veramente una persona assurda. Con tutto quello che mi ha fatto passare ha anche la pretesa che non lo abbandoni al suo destino. Ed io, masochista, mi sento pure attratta da lui.

Lo sento muoversi. In tre lunghi passi mi ha raggiunta. Percepisco la sua aura virile entrarmi in circolo come una droga, ancor prima che mi tocchi.

Mi aggira e mi blocca il passaggio.«E chi cercheresti …allora?» Mi chiede con un filo di voce.

E’ stranamente intimidito. La sua mole incombe su di me, ma non è minacciosa. Lo guardo fisso negli occhi scuri come la pece. Cerco dentro di loro la solita arroganza, ma non la trovo. E come un alito di vento, la domanda muta che leggo nel suo sguardo, accende la brace che arde sotto la cenere del mio cuore.

Azzardo il passo che potrebbe scatenare un suo rifiuto. Mi alzo sulla punta dei piedi e lo tiro verso di me prendendogli il risvolto della camicia. Schiaccio le mie labbra sulle sue con la stessa urgenza che ha avuto lui la notte scorsa.

Per un attimo rimane perplesso. Ma si riprende subito e mi abbraccia stretta sollevandomi di peso. Sono sospesa da terra ma così arrivo molto meglio a lui. Mi aggrappo al suo collo, senza staccare il contatto con le sue labbra. La mia lingua assaggia la sua, mentre lui mi risponde vorace. Mi sento trasportata per casa come se fossi una piuma.

Mi ritrovo, in un attimo, sdraiata sul letto della sua camera con addosso il suo corpo.

«Oddio, Moon, non sai quanto ti desideri.»      

«Anch’io. Non ti sembra?» Biascico con le labbra sempre occupare sulle sue.

Le nostre mani si muovono veloci per liberarci dai vestiti. Lo accarezzo in tutta la sua statuaria bellezza bruna. Ed altrettanto le sue mani mi esplorano centimetro dopo centimetro.

Esplodo di passione quando finalmente ci uniamo in un amplesso liberatorio. Non mi importa che sia stato un cafone. Nemmeno che mi abbia buttata giù dalle scale. La fasciatura che ho alla gamba non mi sembra più una condanna, ma una sorta di benedizione che mi ha condotta a questo sprazzo di felicità. Lo bacio sul petto e poi sulle spalle, felice di sentirlo mio anche solo per un momento.

 

Mi risveglio intorpidita e sudata, nuda, nel suo letto. Non riesco a muovermi, imprigionata come una perla in una conchiglia fatta di braccia e di gambe. Il suo respiro lento mi accarezza il collo. Vorrei voltarmi ma temo di svegliarlo. Ci provo e un suo brontolio sommesso mi blocca di colpo. Sospiro rassegnata appoggiandomi meglio sul suo petto.

«Allora non te ne vai, vero?» Mugugna tra i miei capelli.

«No. Se mi vuoi, io rimango». Gli sussurro girandomi tra le sue braccia, fino a ritrovarmi di fronte a lui.

E’ bello anche quando dorme. Sorrido del fatto di non averlo mai considerato attraente.

« Certo che ti voglio. Ormai mi sono abituato ad averti per casa, e non posso più farne a meno». Mi sorride furbetto avvicinando il bacino per farmi sentire la portata del suo desiderio. Ed io mi arrendo definitivamente e lo accontento, travolta come lui, dal fuoco dei sensi.

Fine

 

 Spero che vi sia piaciuta. Nulla di impegnativo, vero? 

Io però mi sono divertita a scriverla. Per voi che non mi conoscete, ma che potreste per un qualche motivo, voler approfondire la lettura, vi lascio i link delle altre storie che ho scritto.

La long "The Crew";

Profumo di cuoio e tabacco (OS);

Il nostro sole splenderà domani e per sempre (OS)

 

  
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