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Autore: warblerslushie    17/07/2013    5 recensioni
Kurt e Blaine sono sposati da diversi anni e Blaine sente il desiderio di creare una famiglia insieme, dal momento che stanno diventando adulti.
Tuttavia, tra le rispettive attività lavorative ed il fatto che Kurt non si sente ancora pronto per crescere dei bambini, le cose all'interno della famiglia Anderson-Hummel hanno subito un brusco rallentamento.
Ma cosa accadrà quando la coppia riceverà un'inaspettata notizia?
Tratto dalla storia:
"«N-non posso tornare con lui, Coop» gemette Blaine, arricciando la mano intorno al polso di Cooper «Non posso»
«Non devi farlo»
«I-io lo amo così tanto... ma lui n-non mi ama più»
«Blaine – »
«Perché n-non mi ama?»
Blaine pianse, tirando Cooper più vicino a sé, e con la mano buona strinse suo fratello in un serrato abbraccio, singhiozzando contro il colletto della sua camicia."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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Fandom: Glee

Autore: warblerslushie – potete trovare il quattordicesimo capitolo in lingua proprio QUI

Titolo: When We’re Older

Pairing: Blaine Anderson/Kurt Hummel

Genere: Drama; Hurt; Comfort

Rating: T

Avvertimenti: MPREG

Disclaimer: non sono RIB quindi non possiedo né Glee né nessuno dei suoi personaggi. Se altrimenti, sarei ricca e probabilmente non scriverei fanfictions! Inoltre, il gene Reddin che menziono in questa storia è basato sul personaggio di Reddin del film Junior del 1994. Dovreste proprio vederlo se vi piace la tematica. È un buon film, lo prometto – su cui, per inciso, non ho nessun diritto.

Traduzione a cura di Killing Loneliness.

 

 

 

 

 

When We’re Older

 

 

 

Capitolo 14

 

«Tesoro, stai bene?»

Barbara posò una mano sulla spalla di Blaine mentre questi si addossava contro il bancone – lo sguardo preoccupato di lei cadde sul volto pallido del ragazzo e sulle sue labbra sempre leggermente increspate.

Era passata quasi una settimana dal suo litigio con Kurt e, da quel momento, Blaine si era sentito sull’orlo del baratro, stanco e sconvolto, e in un qual modo pareva aver preso un raffreddore di cui non riusciva a liberarsi.

Kurt, d’altro canto, sembrava stare bene: andava al lavoro in orario e tornava a casa tardi come se niente fosse.

Dalla loro sfuriata, nessuno dei due aveva parlato all’altro e, ogni volta che si passavano accanto nel corridoio senza dirsi una parola, il cuore di Blaine si spezzava un po’ di più davanti alla loro mancanza di comunicazione.

«Blaine, mi hai sentito?»

Riscuotendosi dai suoi pensieri, Blaine alzò lo sguardo sulla datrice di lavoro e le sorrise.

Barb lo fissò scettica, soprattutto visto che l’espressione che lui aveva appena provato a rivolgerle era molto più simile ad una smorfia che ad un sorriso vero e proprio.

Lo prese cautamente per una spalla e lo condusse ad un tavolo vuoto, facendolo accomodare su una sedia con facilità.

«Credo che dovresti prenderti una pausa, tesoro»

«No, no. Sto bene, Barb, davvero. È solo... quell’ultimo cliente aveva appena finito una sigaretta prima di entrare ed immagino che mi abbia dato un po’ fastidio»

Barbara inarcò un sopracciglio, ma poi annuì comprensiva.

«Oh, ti capisco, mi capitava la stessa cosa durante la mia prima gravidanza. Mio marito aveva una buonissima acqua di colonia ma, quando aspettavo Elliot, non riuscivo a sopportarne l’odore in alcun modo. Non penso di aver mai visto Walter tanto spaventato in tutta la sua vita come la notte in cui mi sono sentita male addosso a lui. Stavamo per uscire per cena e lui si era spruzzato la colonia e – »

La donna si lanciò in un racconto sul marito e Blaine chiuse gli occhi, sentendo quel senso di nausea sempre presente sopraffarlo mentre se ne stava lì seduto.

Ad essere sinceri, sembrava che il fumo di sigaretta non fosse l’unica cosa ad infastidirlo ma non aveva intenzione di dire niente.

Era un semplice raffreddore, gli sarebbe passato.

Prima, però, doveva arrivare a fine giornata.

 

****

 

Kurt fece un paio di orecchie alle pagine di un vecchio numero di Vogue ed alzò lo sguardo sullo schermo del computer, stringendo gli occhi quando fissò la homepage del sito web.

La rivista stava celebrando il ritorno degli stili degli anni Sessanta e lui era incaricato di apportare qualche modifica al sito per coordinarlo al prossimo numero, ma niente di ciò che faceva sembrava andare bene.

D’altro canto, per quanto riguardava la sua mancanza d’ispirazione, poteva solo biasimare il fatto che la sua mente fosse altrove – pensava a Blaine, a dire il vero, e a cosa suo marito stesse facendo in quel momento.

A parere di Kurt, al mondo non c’era niente di peggio che sentire Blaine piangere eppure, ogni singola notte durante quella settimana, era stato tutto ciò che aveva udito.

Nonostante il dolore che aveva avvertito nel cuore, non era riuscito a convincersi d’alzarsi e semplicemente controllare suo marito.

Semplicemente chiedergli scusa.

Era rimasto sdraiato ad ascoltare e, qualche volta, aveva pianto con lui.

Persino quella mattina aveva potuto sentire Blaine ansimare alla ricerca d’aria mentre stava male, chino sopra il gabinetto e, nonostante fosse proprio fuori dalla porta chiusa del bagno, non era riuscito a trovare il coraggio di aprirla ed entrare.

Era rimasto ad origliare... e si era odiato un po’ di più ad ogni singhiozzo.

“Perché stai facendo questo, Kurt? Perché lo stai ferendo ancora? Cosa c’è di sbagliato in te?”

Sospirando, chiuse il laptop e si alzò dalla sedia, stiracchiando le braccia verso l’alto mentre si allontanava dalla scrivania ed usciva nella folla frenetici di stagisti, che correvano tutti con pile di fotografie e campioni di tessuto per i loro rispettivi capi.

Mentre li guardava, Kurt ripensò ai giorni in cui era stato un umile tirocinante che portava i caffè ad Isabelle e rispondeva a tutti i telefoni mentre si destreggiava tra le lezioni alla NYADA e viveva in uno spazioso appartamento con Rachel e Santana.

Il suo primo anno a New York era stato pazzesco e il successivo altrettanto stravagante, con Blaine che si era unito alla mischia trasferendosi nell’appartamento assieme a Kurt ed alle ragazze.

A quel tempo, Kurt era stato entusiasta di vivere con il suo – di nuovo – ragazzo e di notte, quando si accoccolava accanto a Blaine nel loro letto, sognava il loro futuro insieme: la loro casa, i loro lavori e le loro vite.

Ma raramente aveva sognato dei bambini.

Qualche volta, un marmocchio o due saltava fuori nelle sue fantasticherie solo per poi sparire nei futuri dopo immaginati, ma questo era tutto.

I bambini non erano mai stati davvero nella sua mente, nemmeno dopo che i suoi amici più cari avevano cominciato ad averne.

L’idea di avere figli era stata, all’epoca, una sorta di opzione quando era più giovane e vivace, appena sposato e pronto a conquistare il mondo con suo marito.

Come il tempo passava, però, si era ritrovato a vedere un futuro diverso – uno dove lui e Blaine viaggiavano per il mondo, o dove Blaine otteneva finalmente quel tanto desiderato e meritato ruolo di immediato successo a Broadway; uno dove entrambi avevano più denaro di quanto immaginassero e vivevano in un grandissimo attico nell’Upper West Side.

A volte lui e Blaine avevano parlato di quei sogni e, in un qualche modo, l’idea di un bambino era strisciata nella sua mente e Kurt aveva immaginato sé stesso ed il suo compagno camminare per Central Park stringendo la mano di una bambina con i codini.

Questo era quanto lontano si era spinto... anche se sapeva che Blaine stava pensando a qualcosa di molto più concreto.

Si era detto di aver bisogno di un po’ di tempo, che si sarebbe scaldato all’idea di avere dei figli in un più tardo momento della propria vita.

Ma, poi, si era ritrovato bloccato in una stanza con uno dei figli di Puck e gli era venuto mal di testa dal loro continuo blaterare, per non parlare di quello che era successo con Anastacia – aveva potuto immaginare tutti i suoi vestiti rovinati da manine sporche e tutto il duro lavoro svolto negli anni per essere in grado di acquistare tale lusso sarebbe finito dritto nello scarico.

Comunque, ogni tanto rimuginava su quello che suo padre aveva detto: che avere un bambino era una cosa meravigliosa e che, dopotutto, essere padre non era tanto male.

Certo, le cose che Chase gli aveva raccontato contraddicevano incredibilmente le lodi di Burt ma, a ben pensarci, Kurt rispettava le opinioni di suo madre molto più di quanto rispettasse un uomo che conosceva solo da una decina d’anni o giù di lì.

“Allora perché stai facendo questo?”

Kurt si passò una mano tra i capelli, la mente ancora in subbuglio, ed entrò nell’ufficio di Isabelle, lanciandole un patetico mezzo sorriso quando lei gli fece un cenno e tornò alla sua telefonata.

Mentre si sedeva sulla sedia davanti a quella della donna, lasciò che la sua immaginazione viaggiasse verso la propria infanzia ed alle splendide giornate che aveva passato con sua madre prima che lei si ammalasse.

Ricordava di tutto il divertimento avuto insieme, il modo in cui lei gli permetteva di sceglierle i vestiti e di metterle il trucco e quanto lui amasse sentirla cantare.

Ricordava il giorno in cui era morta, di come Burt si era finalmente fatto forza dopo mesi di lutto assumendo il ruolo sia di padre che di madre e di come aveva sopportato gli stupidi ricevimenti a base di tè di Kurt e le serate dedicate ai film.

Amava suo padre... e suo padre amava lui, incondizionatamente.

L’uomo l’aveva sempre supportato, era sempre stato al suo fianco nonostante Kurt sapesse che a volte testava i suoi limiti ma, anche se era certo che suo padre gli volesse bene, a volte si chiedeva perché.

Burt gli aveva sempre detto che lo aveva amato fin dal momento in cui aveva scoperto della sua esistenza e Kurt non riusciva a comprendere come fosse possibile, come suo padre potesse amare il semplice pensiero di avere un figlio.

“Un figlio creato dall’amore di due persone”, aveva detto Burt.

Ma Kurt ancora non capiva.

Perché lui, principalmente, sentiva di non amare il bambino che cresceva nello stomaco di suo marito.

Nelle ultime settimane, durante il riaccendersi del suo matrimonio con Blaine, Kurt aveva creduto di essere eccitato per quello che stava accadendo ma, poi, quegli stessi vecchi pensieri colmi di dubbio erano strisciati su di lui come un ladro nella notte e lui si era ritrovato ancora un volta offuscato dalla paura.

Paura che non avrebbe mai amato il bambino, paura che avrebbe provato risentimento nei suoi confronti per tutto ciò che rappresentava: la possibile fine a tutte le cose che Kurt aveva sognato.

Kurt era ancora spaventato di quello che sarebbe successo e spaventato di quello che stava attualmente succedendo, come il fatto che lui e Blaine che si stessero nuovamente allontanando.

“Colpa tua” gli suggerì il cervello e Kurt chiuse gli occhi, cercando mentalmente di schiacciare i raccapriccianti sentimenti che si stavano riversando su di lui “Non raccapriccianti, Kurt. Colpevoli. Molto, molto colpevoli”

Sedette là, perso nei suoi pensieri, fino a quando Isabelle schioccò le dita davanti al suo viso e gli sorrise tristemente.

Lui la guardò, i suoi occhi blu vorticavano con un milione di differenti emozioni fino a quando non sbatté le palpebre, scacciandoli, e rimise la stessa vecchia maschera che aveva usato dalla notte in cui aveva urlato contro Blaine e l’aveva fatto piangere.

Tutto andava bene.

Niente andava bene, e sembrava che le cose stessero solo per peggiorare.

 

****

 

Blaine sbadigliò mentre scioglieva lo stretto grembiule e staccava dal lavoro.

I ragazzi del turno successivo cominciarono a rumoreggiare tutt’intorno a lui, preparando caffè per i clienti dell’orario di punta del pomeriggio e, mentre loro iniziavano a lavorare, Blaine si schiacciò tra loro e lasciò il retro del negozio, stringendosi nel suo cappotto invernale mentre camminava.

Fuori, il cielo era di un bianco brillante e la neve fresca cadeva in fiocchi, ed una dozzina di persone entrarono nella caffetteria lamentandosi dei marciapiedi scivolosi e della ridotta visibilità.

«È davvero così brutto là fuori?» chiese Blaine ad uno dei suoi clienti abituali mentre si chinava contro la finestra anteriore e guardava qualche passante camminare lentamente attraverso la fanghiglia.

«Eh, è più che altro fastidioso. La neve è davvero gelida e c’è vento, quindi quando quella roba ti viene soffiata in faccia è come essere presi a schiaffi da un pezzo di vetro»

“O preso a granite sul muso” Blaine aggiunse mentalmente, ricordando quel momento particolarmente doloroso della sua vita.

Scosse la testa per schiarirsi le idee ed infilò le mani nei guanti.

«Beh, devo tornare a casa in un modo o nell’altro. Penso che lo sopporterò»

«Stai attento là fuori, tesoro. Hai anche un bambino a cui pensare»

«Oh, come se non lo sapessi» disse Blaine con un mesto sorriso, raggiungendo la porta per andarsene.

Era quasi fuori quando qualcuno urlò il suo nome.

«Blaine! Ehi, Blaine!»

Riparandosi gli occhi dalla neve, Blaine alzò lo sguardò ed aggrottò le sopracciglia quando notò Rachel in piedi accanto ad un taxi in attesa, tutta infagottata nel suo cappotto rosso firmato.

«Andiamo, sciocco. Non c’è bisogno di camminare fino a casa mia quando puoi prendere un taxi con me!»

“Camminare fino a casa tua?” pensò Blaine, muovendosi attentamente attraverso la folla di persone per poi salire sul taxi dopo la cognata.

«Stiamo andando a casa tua?» le chiese mentre si sistemava sul sedile ed aspettava che il tassista mettesse in moto.

«Uhm, sì? Ho invitato te e Kurt per cena, ricordi?»

“Kurt non ha detto nulla a riguardo”

«Oh. Oh, sì, l’avevo scordato. Scusa... dimenticanza da gravidanza, sai»

Rachel sorrise e si voltò a guardare la sua pancia, nascosta sotto il cappotto pesante.

«Capisco completamente. Okay, beh, forse non proprio del tutto dato che non sono mai rimasta incinta, ma lo posso capire. Dunque, come stai? Non sono stata in grado di parlare con Kurt ultimamente e l’ultima volta che ho sentito qualcosa da Carole e Burt, voi eravate di nuovo insieme, quindi non ero certa che disturbarvi fosse una buona idea e – »

«Sto bene» mentì Blaine, lasciando cadere le mani contro il proprio ventre «Stanco, perlopiù. Il lavoro è, beh, lavoro e questo è quanto»

Non menzionò come si era sentito turbato nell’ultimo periodo – con i suoi colleghi e con Kurt e con l’umanità in generale.

Rachel si limitò ad annuire ed accettò la sua risposta senza altre domande, cominciando a parlare senza sosta delle sue giornate indaffarate a Broadway e di come adorasse tutto quanto.

Mentre parlava, Blaine non poté fare a meno di provare una fitta di gelosia strisciargli lungo la spina dorsale per come tutto, per lei, sembrasse facile: aveva un bellissimo appartamento – con una serratura che funzionava perfettamente –, un lavoro a Broadway ed un marito che la sosteneva.

Aveva molto di ciò che Blaine desiderava e che, in un qualche modo, non riusciva ad avere.

E la cosa faceva un pochino male.

Strofinandosi lo stomaco, Blaine si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi, lasciando che il racconto di Rachel lo cullasse nel sonno mentre il taxi si faceva lentamente strada attraverso l’abbondante nevicata verso l’appartamento degli Hudson.

 

****

 

«Ehi, fratello» lo salutò Finn quando Rachel e Blaine aprirono la porta ed entrarono nel caldo, luminoso ingresso.

A Blaine fu necessario qualche momento per capire dov’era come c’era arrivato però, quando vide Finn venire a dargli un abbraccio, realizzò che nel lasso di tempo tra l’essersi addormentato e quel preciso istante, doveva aver raggiunto l’edificio assieme a Rachel.

Sospirando, salutò Finn e strinse il cognato prima di togliersi il cappotto e permettere ai parenti di lanciarsi in “Ooooh” e “Aaaah” diretti al suo stomaco in crescita prima che questi vi attaccassero rapidamente le mani, sperando di sentire qualcosa, ma Blaine scosse semplicemente la testa.

«Io non ho ancora sentito niente, quindi dubito che ci riuscirete voi. Mi dispiace, ragazzi»

«Non hai ancora avvertito i calci?» chiese Rachel, fissando le proprie mani appoggiate sulla pancia dell’altro.

Blaine mormorò sommessamente e lei aggrottò la fronte.

«Non sei, tipo, di circa venti settimane?»

«A dire il vero, il mio medico ha detto che potrei non sentire niente fino alla ventiduesima settimana. Aveva affermato che avrei potuto cominciare ad avvertire il bambino muoversi tra la sedicesima e la ventiduesima, quindi non sono troppo preoccupato. Spero di sentirlo presto, però. Penso che sia la parte per la quale sono più eccitato – oltre al fatto di averlo, ovviamente»

Rachel sorrise e gli prese la mano, conducendolo verso il salotto per farlo sedere sul loro grande divano.

«Finn ed io cominciamo a preparare la cena però tu puoi sedere qui e riposare, se vuoi, dato che hai passato tutta la giornata a lavorare. Proverò a chiamare Kurt per vedere se è lungo la strada e poi possiamo mangiare. Ma, se ti senti affamato o che altro, chiamami e potrai avere qualsiasi cosa tu voglia, okay?»

Blaine annuì e rivolse un sorriso a Rachel, aspettando che lei si alzasse e lo lasciasse a sistemarsi comodamente sui grossi cuscini.

Non si disturbò di dirle come si sentisse strano, dato che non voleva preoccuparla, ma sinceramente, in quel momento, sentiva un po’ troppo caldo ed avvertiva un po’ di nausea.

Aspettando, ascoltò i rumori di Finn e Rachel che si mettevano ai fornelli e quando li sentì cantare l’uno all’altro mentre tagliavano le verdure, si stese sul divano e si addormentò.

 

****

 

Finn fece capolino in salotto, gli occhi fissi sul cognato addormentato mentre questi giaceva rannicchiato sul divano.

Dalla sua posizione sulla soglia, poteva vedere come scarno Blaine sembrasse, come il viso fosse pallido e sudato e come apparisse stanco.

Blaine non aveva un aspetto sano, quello era certo, e vederlo in quello stato preoccupò infinitamente Finn.

«Ehi, Rach?»

«Mh?» chiese Rachel mentre si avvicinava a lui.

Fece scivolare le braccia intorno alla vita di suo marito e sbirciò oltre il suo bicipite, guardando in salotto.

«Che c’è?»

«Blaine ti sembra ammalato?» sussurrò Finn, attento a non parlare troppo forte nel caso svegliasse accidentalmente il suo amico.

Accanto a lui, Rachel fece un profondo respiro.

«Lo pensi anche tu?»

«Allora l’hai notato anche tu?»

«Non avevo intenzione di dire niente ma Blaine non sembra stare bene come qualche settimana fa. Ricordi quando sono venuti qui a cena che bella cera aveva? Ora... sembra semplicemente malato»

Finn deglutì a fatica, strofinando la mano su quella della moglie.

«Lo so. Penso ci sia qualcosa che non vada»

«Sta probabilmente lavorando troppo. L’ultima volta che ho parlato con Burt, lui ha detto che Kurt gli aveva raccontato che Blaine aveva ripreso entrambi i suoi vecchi lavori, quindi si starà quasi certamente oberando di lavoro. Vorrei che non lo facesse, però. Sta mettendo sé stesso e il bambino in pericolo» scuotendo la testa, la ragazza si allontanò dal marito e tornò in cucina «Proverò a chiamare di nuovo Kurt. Non ha risposto alle mie due ultime telefonate»

«Scommetto che è in riunione. Sarà qui presto» aggiunse Finn mentre lanciava un ultimo sguardo al cognato per poi seguire Rachel.

Intanto che sua moglie componeva il numero di suo fratello, Finn tornò a tagliare i peperoni e le cipolle per la cena, la mente ancora invasa dalla vista di come malaticcio Blaine sembrasse.

 

****

 

«Blaine? Ehi, Blaine?»

Una mano scosse delicatamente la sua spalla e Blaine sbatté le palpebre, aprendo gli occhi e sollevando lo sguardo annebbiato su Rachel, che gli stava sorridendo.

Aprì la bocca per dire qualcosa ma sentì la gola stringersi prima ancora che ne avesse la possibilità.

«Stai bene?» gli chiese Rachel, la voce dolce e genuina.

Lei gli spostò una ciocca di capelli sudati all’indietro e scrutò il modo in cui lui sbatteva le palpebre.

«Bene. Sto bene» gracchiò, sollevando le mani per strofinarsi gli occhi «La cena è pronta?»

«Sì, Finn sta dando gli ultimi tocchi a tutto. Mi ha chiesto di venire qui a svegliarti, vuole sapere se vuoi il pollo nella tua quesadilla o la preferisci con solo verdure come me»

«Mh, il pollo va bene» sussurrò Blaine, lottando contro l’impulso di rannicchiarsi mentre una strana sensazione piombava su di lui: lo stomaco gli faceva terribilmente male, un lento dolore simile ai crampi si stava gonfiando nella parte inferiore dell’addome, e lui si sforzò di non aggrapparsi al proprio ventre a quell’impressione.

«Ti dispiace se uso il vostro bagno?»

Rachel scosse la testa e gli diede un colpetto sul ginocchio, alzandosi dal divano.

«Sai dov’è, Blaine. Io torno di là per dire a Finn che anche tu preferisci il pollo»

«Okay» disse Blaine.

Aspettò che Rachel fosse completamente uscita dalla stanza prima di curvarsi in avanti con un sussulto silenzioso e massaggiare la propria rotondità.

Non c’era nulla che andasse bene.

Il suo corpo era pesante, si sentiva la testa come se fosse piena d’aria e la pressione stava per fargli uscire gli occhi dalle orbite ma la peggiore sensazione era quella che avvertiva dentro lo stomaco.

Si sentiva come se stesse per vomitare o svenire e, in quell’istante, capì che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato.

Si alzò barcollando ed incespicò verso la cucina, cullando la parte inferiore della pancia con una mano; l’altra premuta saldamente contro il muro mentre si trascinava alla ricerca d’aiuto.

«Finn? R-Rachel?» gemette, la sua voce era così debole che trovava difficile udirla persino con le proprie orecchie.

Tremando, Blaine trascinò il proprio corpo dolorante sulla soglia della cucina, sbattendo rapidamente le palpebre contro le luci luminose ed i forti suoni provenienti dalla radio e le voci in coro di Finn e Rachel.

«Ragazzi? Ugh, io – »

Un basso gemito risuonò dalla sua gola e Finn si voltò verso il rumore, gli occhi spalancati quando vide Blaine lì in piedi.

«Blaine?!»

Il suo viso fu l’ultima cosa che Blaine vide prima di collassare in avanti e colpire il pavimento.

 

****

 

«Kurt? Quello è il tuo telefono?»

Isabelle indicò la luce brillante che illuminava la tracolla di Kurt dall’interno e Kurt arrossì, mormorando qualche scusa mentre saltava giù dalla sua sedia di direttore creativo e si affrettava a zittire il cellulare che suonava.

Sibilando alcune imprecazioni a denti stretti, Kurt spense il telefonino completamente, la rabbia raggiunse il culmine quando notò che era di nuovo Rachel a chiamare per quella dannata cena a cui non aveva alcuna intenzione di presentarsi.

Le aveva detto giorni prima che non pensava sarebbe riuscito a farcela e non l’aveva mai detto a Blaine, quindi non era come che Finn e Rachel li stessero aspettando.

Quando fu sicuro che quella dannata cosa fosse stata completamente messa a tacere, tornò a sedersi accanto ad Isabelle e sfogliò gli scatti delle diverse modelle a cui stavano venendo fatte le fotografie.

Accanto a lui, un fotografo stava mettendo un paio di ragazze in varie pose ed Isabelle stava esprimendo la propria opinione su come pensava che le giovani dovessero posare.

«Cosa ne pensi, Kurt? Pensi che quello possa funzionare meglio come copertina per il sito? O dovrebbero essere un po’ più rilassate?»

Kurt considerò entrambe le ragazze, fissando i loro completi ed il modo in cui stavano in piedi.

«Probabilmente un po’ più rilassate. La bionda dovrebbe anche appoggiare il mento sulla mano, sembra più couture»

«Fantastico. Mi hai letto nel pensiero» rise Isabelle, chiedendo altre idee al cameraman.

Mentre lei era assorbita da quanto faceva, Kurt tornò a studiare gli scatti di prova delle modelle e si chiese come sarebbero parse contro la nuova combinazione che stava programmando per il sito web.

Una mezz’ora passò così e, mentre Kurt sfogliava le foto e sceglieva quelle che più gli piacevano, notò a malapena la sua nuova stagista, Shelly, che entrò nel magazzino di corsa; la sua figura coperta di neve ed il suo naso di un rosso brillante per via del freddo.

«Signor Anderson-Hummel! Signor Anderson-Hummel?!»

Kurt alzò lo sguardo, come fece il resto del gruppo che lavorava intorno a lui.

Isabelle gli lanciò uno sguardo confuso e Kurt si alzò, due secondi lontano dal rimproverare la tirocinante per il suo comportamento poco professionale in un’ambiente così importante.

Era a pochi metri da lei quando notò lo sguardo nei suoi occhi – paura – e il suo cuore si fermò immediatamente.

Oddio, qualcosa non andava con suo padre e lui aveva il cellulare spento.

Oddio.

«Signor Anderson-Hummel, per favore non si arrabbi. Sono venuta il prima possibile, e ho provato a telefonarle ma lei non mi ha risposto!»

«Che succede?» chiese Kurt a bassa voce, la mano gli cadde sul petto.

I suoni che lo circondavano cambiarono e tutto ciò che poteva sentire era il suo cuore battere mentre guardava la sua stagista, con gli occhi pieni di lacrime, fissarlo con terrore.

«Che c’è, Shelly?»

«Signore, è suo marito. È successo qualcosa»

 

 

 

 

 

 

 

Note della traduttrice

Giusto per mettervi la pulce nell’orecchio e farvi mangiare le mani durante l’attesa del quindicesimo capitolo: una botta improvvisa allo stomaco, come una caduta, può provocare un aborto... così come il trauma dell’impatto *Traduttrice selvatica appare! Traduttrice selvatica fugge via!*

Ringrazio sentitamente chi ha letto, seguito, ricordato e preferito la storia. Un grazie speciale, però, va a chi ha speso due minuti per lasciare la propria opinione - e, a proposito, mi ha fatto davvero piacere trovare altre voci oltre ai miei soliti affezionatissimi ed instancabili lettori :)

Siete invitatissimi a lasciarmi una recensione e dirmi cosa ne pensate di questo capitolo che, spero, abbiate apprezzato.

A presto!

Killing Loneliness

  
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