Fandom: Glee
Autore: warblerslushie –
potete trovare il quattordicesimo capitolo in lingua proprio QUI
Titolo: When
We’re Older
Pairing: Blaine
Anderson/Kurt Hummel
Genere: Drama;
Hurt; Comfort
Rating: T
Avvertimenti: MPREG
Disclaimer: non
sono RIB quindi non possiedo né Glee né nessuno dei suoi
personaggi. Se altrimenti, sarei ricca e probabilmente non scriverei
fanfictions!
Inoltre, il gene Reddin che menziono in questa storia è basato sul
personaggio
di Reddin del film Junior del 1994. Dovreste proprio
vederlo se
vi piace la tematica. È un buon film, lo prometto – su cui, per inciso,
non ho
nessun diritto.
Traduzione
a
cura di Killing
Loneliness.
When
We’re Older
Capitolo 14
«Tesoro, stai bene?»
Barbara posò una mano
sulla spalla di Blaine mentre
questi si addossava contro il bancone – lo sguardo preoccupato di lei
cadde sul
volto pallido del ragazzo e sulle sue labbra sempre leggermente
increspate.
Era passata quasi una
settimana dal suo litigio
con Kurt e, da quel momento, Blaine si era sentito sull’orlo del
baratro,
stanco e sconvolto, e in un qual modo pareva aver preso un raffreddore
di cui
non riusciva a liberarsi.
Kurt, d’altro canto,
sembrava stare bene: andava
al lavoro in orario e tornava a casa tardi come se niente fosse.
Dalla loro sfuriata,
nessuno dei due aveva
parlato all’altro e, ogni volta che si passavano accanto nel corridoio
senza
dirsi una parola, il cuore di Blaine si spezzava un po’ di più davanti
alla
loro mancanza di comunicazione.
«Blaine, mi hai sentito?»
Riscuotendosi dai suoi
pensieri, Blaine alzò lo
sguardo sulla datrice di lavoro e le sorrise.
Barb lo fissò scettica,
soprattutto visto che
l’espressione che lui aveva appena provato a rivolgerle era molto più
simile ad
una smorfia che ad un sorriso vero e proprio.
Lo prese cautamente per
una spalla e lo condusse
ad un tavolo vuoto, facendolo accomodare su una sedia con facilità.
«Credo che dovresti
prenderti una pausa, tesoro»
«No, no. Sto bene, Barb,
davvero. È solo...
quell’ultimo cliente aveva appena finito una sigaretta prima di entrare
ed
immagino che mi abbia dato un po’ fastidio»
Barbara inarcò un
sopracciglio, ma poi annuì
comprensiva.
«Oh, ti capisco, mi
capitava la stessa cosa
durante la mia prima gravidanza. Mio marito aveva una buonissima acqua
di
colonia ma, quando aspettavo Elliot, non riuscivo a sopportarne l’odore
in
alcun modo. Non penso di aver mai visto Walter tanto spaventato in
tutta la sua
vita come la notte in cui mi sono sentita male addosso a lui. Stavamo
per
uscire per cena e lui si era spruzzato la colonia e – »
La donna si lanciò in un
racconto sul marito e
Blaine chiuse gli occhi, sentendo quel senso di nausea sempre presente
sopraffarlo mentre se ne stava lì seduto.
Ad essere sinceri,
sembrava che il fumo di
sigaretta non fosse l’unica cosa ad infastidirlo ma non aveva
intenzione di
dire niente.
Era un semplice
raffreddore, gli sarebbe passato.
Prima, però, doveva
arrivare a fine giornata.
****
Kurt fece un paio di
orecchie alle pagine di un
vecchio numero di Vogue ed alzò lo sguardo sullo schermo del computer,
stringendo gli occhi quando fissò la homepage del sito web.
La rivista stava
celebrando il ritorno degli
stili degli anni Sessanta e lui era incaricato di apportare qualche
modifica al
sito per coordinarlo al prossimo numero, ma niente di ciò che faceva
sembrava
andare bene.
D’altro canto, per quanto
riguardava la sua
mancanza d’ispirazione, poteva solo biasimare il fatto che la sua mente
fosse
altrove – pensava a Blaine, a dire il
vero, e a cosa suo marito stesse facendo in quel momento.
A parere di Kurt, al mondo
non c’era niente di
peggio che sentire Blaine piangere eppure, ogni singola notte durante
quella
settimana, era stato tutto ciò che aveva udito.
Nonostante il dolore che
aveva avvertito nel
cuore, non era riuscito a convincersi d’alzarsi e semplicemente
controllare suo
marito.
Semplicemente chiedergli
scusa.
Era rimasto sdraiato ad
ascoltare e, qualche
volta, aveva pianto con lui.
Persino quella mattina
aveva potuto sentire
Blaine ansimare alla ricerca d’aria mentre stava male, chino sopra il
gabinetto
e, nonostante fosse proprio fuori dalla porta chiusa del bagno, non era
riuscito a trovare il coraggio di aprirla ed entrare.
Era rimasto ad
origliare... e si era odiato un
po’ di più ad ogni singhiozzo.
“Perché
stai facendo questo, Kurt? Perché lo stai ferendo ancora? Cosa c’è di
sbagliato
in te?”
Sospirando, chiuse il
laptop e si alzò dalla
sedia, stiracchiando le braccia verso l’alto mentre si allontanava
dalla
scrivania ed usciva nella folla frenetici di stagisti, che correvano
tutti con pile
di fotografie e campioni di tessuto per i loro rispettivi capi.
Mentre li guardava, Kurt
ripensò ai giorni in cui
era stato un umile tirocinante che portava i caffè ad Isabelle e
rispondeva a
tutti i telefoni mentre si destreggiava tra le lezioni alla NYADA e
viveva in
uno spazioso appartamento con Rachel e Santana.
Il suo primo anno a New
York era stato pazzesco e
il successivo altrettanto stravagante, con Blaine che si era unito alla
mischia
trasferendosi nell’appartamento assieme a Kurt ed alle ragazze.
A quel tempo, Kurt era
stato entusiasta di vivere
con il suo – di nuovo – ragazzo e di notte, quando si accoccolava
accanto a
Blaine nel loro letto, sognava il loro futuro insieme: la loro casa, i
loro
lavori e le loro vite.
Ma raramente aveva sognato
dei bambini.
Qualche volta, un
marmocchio o due saltava fuori
nelle sue fantasticherie solo per poi sparire nei futuri dopo
immaginati, ma
questo era tutto.
I bambini non erano mai
stati davvero nella sua
mente, nemmeno dopo che i suoi amici più cari avevano cominciato ad
averne.
L’idea di avere figli era
stata, all’epoca, una
sorta di opzione quando era più giovane e vivace, appena sposato e
pronto a
conquistare il mondo con suo marito.
Come il tempo passava,
però, si era ritrovato a
vedere un futuro diverso – uno dove lui e Blaine viaggiavano per il
mondo, o
dove Blaine otteneva finalmente quel tanto desiderato e meritato ruolo
di
immediato successo a Broadway; uno dove entrambi avevano più denaro di
quanto
immaginassero e vivevano in un grandissimo attico nell’Upper West Side.
A volte lui e Blaine
avevano parlato di quei
sogni e, in un qualche modo, l’idea di un bambino era strisciata nella
sua
mente e Kurt aveva immaginato sé stesso ed il suo compagno camminare
per
Central Park stringendo la mano di una bambina con i codini.
Questo era quanto lontano
si era spinto... anche
se sapeva che Blaine stava pensando a qualcosa di molto più concreto.
Si era detto di aver
bisogno di un po’ di tempo,
che si sarebbe scaldato all’idea di avere dei figli in un più tardo
momento della
propria vita.
Ma, poi, si era ritrovato
bloccato in una stanza
con uno dei figli di Puck e gli era venuto mal di testa dal loro
continuo
blaterare, per non parlare di quello che era successo con Anastacia –
aveva
potuto immaginare tutti i suoi vestiti rovinati da manine sporche e
tutto il
duro lavoro svolto negli anni per essere in grado di acquistare tale
lusso
sarebbe finito dritto nello scarico.
Comunque, ogni tanto
rimuginava su quello che suo
padre aveva detto: che avere un bambino era una cosa meravigliosa e
che,
dopotutto, essere padre non era tanto male.
Certo, le cose che Chase
gli aveva raccontato
contraddicevano incredibilmente le lodi di Burt ma, a ben pensarci,
Kurt
rispettava le opinioni di suo madre molto più di quanto rispettasse un
uomo che
conosceva solo da una decina d’anni o giù di lì.
“Allora
perché stai facendo questo?”
Kurt si passò una mano tra
i capelli, la mente ancora
in subbuglio, ed entrò nell’ufficio di Isabelle, lanciandole un
patetico mezzo
sorriso quando lei gli fece un cenno e tornò alla sua telefonata.
Mentre si sedeva sulla
sedia davanti a quella
della donna, lasciò che la sua immaginazione viaggiasse verso la
propria
infanzia ed alle splendide giornate che aveva passato con sua madre
prima che
lei si ammalasse.
Ricordava di tutto il
divertimento avuto insieme,
il modo in cui lei gli permetteva di sceglierle i vestiti e di metterle
il
trucco e quanto lui amasse sentirla cantare.
Ricordava il giorno in cui
era morta, di come Burt
si era finalmente fatto forza dopo mesi di lutto assumendo il ruolo sia
di
padre che di madre e di come aveva sopportato gli stupidi ricevimenti a
base di
tè di Kurt e le serate dedicate ai film.
Amava suo padre... e suo
padre amava lui,
incondizionatamente.
L’uomo l’aveva sempre
supportato, era sempre
stato al suo fianco nonostante Kurt sapesse che a volte testava i suoi
limiti
ma, anche se era certo che suo padre gli volesse bene, a volte si
chiedeva
perché.
Burt gli aveva sempre
detto che lo aveva amato
fin dal momento in cui aveva scoperto della sua esistenza e Kurt non
riusciva a
comprendere come fosse possibile, come
suo padre potesse amare il semplice pensiero di avere un figlio.
“Un figlio
creato dall’amore di due persone”, aveva detto Burt.
Ma Kurt ancora non capiva.
Perché lui,
principalmente, sentiva di non amare
il bambino che cresceva nello stomaco di suo marito.
Nelle ultime settimane,
durante il riaccendersi
del suo matrimonio con Blaine, Kurt aveva creduto di essere eccitato
per quello
che stava accadendo ma, poi, quegli stessi vecchi pensieri colmi di
dubbio
erano strisciati su di lui come un ladro nella notte e lui si era
ritrovato
ancora un volta offuscato dalla paura.
Paura che non avrebbe mai
amato il bambino, paura
che avrebbe provato risentimento nei suoi confronti per tutto ciò che
rappresentava: la possibile fine a tutte le cose che Kurt aveva sognato.
Kurt era ancora
spaventato di quello che sarebbe successo e spaventato di quello che
stava
attualmente succedendo, come il fatto che lui e Blaine che si stessero
nuovamente allontanando.
“Colpa tua” gli suggerì il
cervello e Kurt chiuse gli occhi, cercando mentalmente di schiacciare i
raccapriccianti sentimenti che si stavano riversando su di lui “Non raccapriccianti, Kurt. Colpevoli. Molto,
molto colpevoli”
Sedette là, perso nei suoi
pensieri, fino a
quando Isabelle schioccò le dita davanti al suo viso e gli sorrise
tristemente.
Lui la guardò, i suoi
occhi blu vorticavano con
un milione di differenti emozioni fino a quando non sbatté le palpebre,
scacciandoli, e rimise la stessa vecchia maschera che aveva usato dalla
notte
in cui aveva urlato contro Blaine e l’aveva fatto piangere.
Tutto andava bene.
Niente
andava bene,
e sembrava che le cose stessero solo per peggiorare.
****
Blaine sbadigliò mentre
scioglieva lo stretto
grembiule e staccava dal lavoro.
I ragazzi del turno
successivo cominciarono a
rumoreggiare tutt’intorno a lui, preparando caffè per i clienti
dell’orario di
punta del pomeriggio e, mentre loro iniziavano a lavorare, Blaine si
schiacciò
tra loro e lasciò il retro del negozio, stringendosi nel suo cappotto
invernale
mentre camminava.
Fuori, il cielo era di un
bianco brillante e la
neve fresca cadeva in fiocchi, ed una dozzina di persone entrarono
nella
caffetteria lamentandosi dei marciapiedi scivolosi e della ridotta
visibilità.
«È davvero così brutto là
fuori?» chiese Blaine
ad uno dei suoi clienti abituali mentre si chinava contro la finestra
anteriore
e guardava qualche passante camminare lentamente attraverso la
fanghiglia.
«Eh, è più che altro
fastidioso. La neve è
davvero gelida e c’è vento, quindi quando quella roba ti viene soffiata
in
faccia è come essere presi a schiaffi da un pezzo di vetro»
“O preso a
granite sul muso” Blaine aggiunse
mentalmente, ricordando quel momento particolarmente doloroso
della sua vita.
Scosse la testa per
schiarirsi le idee ed infilò
le mani nei guanti.
«Beh, devo tornare a casa
in un modo o
nell’altro. Penso che lo sopporterò»
«Stai attento là fuori,
tesoro. Hai anche un
bambino a cui pensare»
«Oh, come se non lo
sapessi» disse Blaine con un mesto
sorriso, raggiungendo la porta per andarsene.
Era quasi fuori quando
qualcuno urlò il suo nome.
«Blaine! Ehi, Blaine!»
Riparandosi gli occhi
dalla neve, Blaine alzò lo
sguardò ed aggrottò le sopracciglia quando notò Rachel in piedi accanto
ad un
taxi in attesa, tutta infagottata nel suo cappotto rosso firmato.
«Andiamo, sciocco. Non c’è
bisogno di camminare
fino a casa mia quando puoi prendere un taxi con me!»
“Camminare
fino a casa tua?” pensò Blaine, muovendosi
attentamente attraverso la folla di persone
per poi salire sul taxi dopo la cognata.
«Stiamo andando a casa
tua?» le chiese mentre si
sistemava sul sedile ed aspettava che il tassista mettesse in moto.
«Uhm, sì? Ho invitato te e
Kurt per cena,
ricordi?»
“Kurt non
ha detto nulla a riguardo”
«Oh. Oh, sì, l’avevo
scordato. Scusa...
dimenticanza da gravidanza, sai»
Rachel sorrise e si voltò
a guardare la sua
pancia, nascosta sotto il cappotto pesante.
«Capisco completamente.
Okay, beh, forse non
proprio del tutto dato che non sono mai rimasta incinta, ma
lo posso capire. Dunque, come stai? Non sono stata in grado di
parlare con Kurt ultimamente e l’ultima volta che ho sentito qualcosa
da Carole
e Burt, voi eravate di nuovo insieme, quindi non ero certa che
disturbarvi
fosse una buona idea e – »
«Sto bene» mentì Blaine,
lasciando cadere le mani
contro il proprio ventre «Stanco, perlopiù. Il lavoro è, beh, lavoro e
questo è
quanto»
Non menzionò come si era
sentito turbato
nell’ultimo periodo – con i suoi colleghi e con Kurt e con l’umanità in
generale.
Rachel si limitò ad
annuire ed accettò la sua
risposta senza altre domande, cominciando a parlare senza sosta delle
sue
giornate indaffarate a Broadway e di come adorasse tutto quanto.
Mentre parlava, Blaine non
poté fare a meno di
provare una fitta di gelosia strisciargli lungo la spina dorsale per come tutto, per lei, sembrasse facile: aveva
un bellissimo appartamento – con una serratura che funzionava
perfettamente –,
un lavoro a Broadway ed un marito che la sosteneva.
Aveva molto di ciò che
Blaine desiderava e che,
in un qualche modo, non riusciva ad avere.
E la cosa faceva un
pochino male.
Strofinandosi lo stomaco,
Blaine si appoggiò allo
schienale e chiuse gli occhi, lasciando che il racconto di Rachel lo
cullasse
nel sonno mentre il taxi si faceva lentamente strada attraverso
l’abbondante
nevicata verso l’appartamento degli Hudson.
****
«Ehi, fratello» lo salutò
Finn quando Rachel e
Blaine aprirono la porta ed entrarono nel caldo, luminoso ingresso.
A Blaine fu necessario
qualche momento per capire
dov’era come c’era arrivato però, quando vide Finn venire a dargli un
abbraccio, realizzò che nel lasso di tempo tra l’essersi addormentato e
quel
preciso istante, doveva aver raggiunto l’edificio assieme a Rachel.
Sospirando, salutò Finn e
strinse il cognato
prima di togliersi il cappotto e permettere ai parenti di lanciarsi in “Ooooh” e “Aaaah” diretti al suo stomaco
in crescita prima che questi vi
attaccassero rapidamente le mani, sperando di sentire qualcosa, ma
Blaine
scosse semplicemente la testa.
«Io non ho ancora sentito
niente, quindi dubito
che ci riuscirete voi. Mi dispiace, ragazzi»
«Non hai ancora avvertito
i calci?» chiese
Rachel, fissando le proprie mani appoggiate sulla pancia dell’altro.
Blaine mormorò
sommessamente e lei aggrottò la
fronte.
«Non sei, tipo, di circa
venti settimane?»
«A dire il vero, il mio
medico ha detto che
potrei non sentire niente fino alla ventiduesima settimana. Aveva
affermato che
avrei potuto cominciare ad avvertire il bambino muoversi tra la
sedicesima e la
ventiduesima, quindi non sono troppo preoccupato. Spero di sentirlo
presto,
però. Penso che sia la parte per la quale sono più eccitato – oltre al
fatto di
averlo, ovviamente»
Rachel sorrise e gli prese
la mano, conducendolo
verso il salotto per farlo sedere sul loro grande divano.
«Finn ed io cominciamo a
preparare la cena però
tu puoi sedere qui e riposare, se vuoi, dato che hai passato tutta la
giornata
a lavorare. Proverò a chiamare Kurt per vedere se è lungo la strada e
poi
possiamo mangiare. Ma, se ti senti affamato o che altro, chiamami e
potrai avere
qualsiasi cosa tu voglia, okay?»
Blaine annuì e rivolse un
sorriso a Rachel,
aspettando che lei si alzasse e lo lasciasse a sistemarsi comodamente
sui
grossi cuscini.
Non si disturbò di dirle
come si sentisse strano,
dato che non voleva preoccuparla, ma sinceramente, in quel momento,
sentiva un
po’ troppo caldo ed avvertiva un po’ di nausea.
Aspettando, ascoltò i
rumori di Finn e Rachel che
si mettevano ai fornelli e quando li sentì cantare l’uno all’altro
mentre
tagliavano le verdure, si stese sul divano e si addormentò.
****
Finn fece capolino in
salotto, gli occhi fissi
sul cognato addormentato mentre questi giaceva rannicchiato sul divano.
Dalla sua posizione sulla
soglia, poteva vedere
come scarno Blaine sembrasse, come il viso fosse pallido e sudato e
come apparisse
stanco.
Blaine non aveva un
aspetto sano, quello era
certo, e vederlo in quello stato preoccupò infinitamente Finn.
«Ehi, Rach?»
«Mh?» chiese Rachel mentre
si avvicinava a lui.
Fece scivolare le braccia
intorno alla vita di
suo marito e sbirciò oltre il suo bicipite, guardando in salotto.
«Che c’è?»
«Blaine ti sembra
ammalato?» sussurrò Finn, attento
a non parlare troppo forte nel caso svegliasse accidentalmente il suo
amico.
Accanto a lui, Rachel fece
un profondo respiro.
«Lo pensi anche tu?»
«Allora l’hai notato anche
tu?»
«Non avevo intenzione di
dire niente ma Blaine
non sembra stare bene come qualche settimana fa. Ricordi quando sono
venuti qui
a cena che bella cera aveva? Ora... sembra semplicemente malato»
Finn deglutì a fatica,
strofinando la mano su
quella della moglie.
«Lo so. Penso ci sia
qualcosa che non vada»
«Sta probabilmente
lavorando troppo. L’ultima
volta che ho parlato con Burt, lui ha detto che Kurt gli aveva
raccontato che
Blaine aveva ripreso entrambi i suoi vecchi lavori, quindi si starà
quasi
certamente oberando di lavoro. Vorrei che non lo facesse, però. Sta
mettendo sé
stesso e il bambino in pericolo» scuotendo la testa, la ragazza si
allontanò
dal marito e tornò in cucina «Proverò a chiamare di nuovo Kurt. Non ha
risposto
alle mie due ultime telefonate»
«Scommetto che è in
riunione. Sarà qui presto»
aggiunse Finn mentre lanciava un ultimo sguardo al cognato per poi
seguire
Rachel.
Intanto che sua moglie
componeva il numero di suo
fratello, Finn tornò a tagliare i peperoni e le cipolle per la cena, la
mente
ancora invasa dalla vista di come malaticcio Blaine sembrasse.
****
«Blaine? Ehi, Blaine?»
Una mano scosse
delicatamente la sua spalla e
Blaine sbatté le palpebre, aprendo gli occhi e sollevando lo sguardo
annebbiato
su Rachel, che gli stava sorridendo.
Aprì la bocca per dire
qualcosa ma sentì la gola
stringersi prima ancora che ne avesse la possibilità.
«Stai bene?» gli chiese
Rachel, la voce dolce e
genuina.
Lei gli spostò una ciocca
di capelli sudati
all’indietro e scrutò il modo in cui lui sbatteva le palpebre.
«Bene. Sto bene» gracchiò,
sollevando le mani per
strofinarsi gli occhi «La cena è pronta?»
«Sì, Finn sta dando gli
ultimi tocchi a tutto. Mi
ha chiesto di venire qui a svegliarti, vuole sapere se vuoi il pollo
nella tua
quesadilla o la preferisci con solo verdure come me»
«Mh, il pollo va bene»
sussurrò Blaine, lottando
contro l’impulso di rannicchiarsi mentre una strana sensazione piombava
su di
lui: lo stomaco gli faceva terribilmente male, un lento dolore simile
ai crampi
si stava gonfiando nella parte inferiore dell’addome, e lui si sforzò
di non
aggrapparsi al proprio ventre a quell’impressione.
«Ti dispiace se uso il
vostro bagno?»
Rachel scosse la testa e
gli diede un colpetto
sul ginocchio, alzandosi dal divano.
«Sai dov’è, Blaine. Io
torno di là per dire a
Finn che anche tu preferisci il pollo»
«Okay» disse Blaine.
Aspettò che Rachel fosse
completamente uscita dalla
stanza prima di curvarsi in avanti con un sussulto silenzioso e
massaggiare la
propria rotondità.
Non c’era nulla che
andasse bene.
Il suo corpo era pesante,
si sentiva la testa
come se fosse piena d’aria e la pressione stava per fargli uscire gli
occhi dalle
orbite ma la peggiore sensazione era quella che avvertiva dentro lo
stomaco.
Si sentiva come se stesse
per vomitare o svenire
e, in quell’istante, capì che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato.
Si alzò barcollando ed
incespicò verso la cucina,
cullando la parte inferiore della pancia con una mano; l’altra premuta
saldamente contro il muro mentre si trascinava alla ricerca d’aiuto.
«Finn? R-Rachel?» gemette,
la sua voce era così
debole che trovava difficile udirla persino con le proprie orecchie.
Tremando, Blaine trascinò
il proprio corpo
dolorante sulla soglia della cucina, sbattendo rapidamente le palpebre
contro
le luci luminose ed i forti suoni provenienti dalla radio e le voci in
coro di
Finn e Rachel.
«Ragazzi? Ugh, io – »
Un basso gemito risuonò
dalla sua gola e Finn si
voltò verso il rumore, gli occhi spalancati quando vide Blaine lì in
piedi.
«Blaine?!»
Il suo viso fu l’ultima
cosa che Blaine vide
prima di collassare in avanti e colpire il pavimento.
****
«Kurt? Quello è il tuo
telefono?»
Isabelle indicò la luce
brillante che illuminava
la tracolla di Kurt dall’interno e Kurt arrossì, mormorando qualche
scusa
mentre saltava giù dalla sua sedia di direttore creativo e si
affrettava a zittire
il cellulare che suonava.
Sibilando alcune
imprecazioni a denti stretti,
Kurt spense il telefonino completamente, la rabbia raggiunse il culmine
quando
notò che era di nuovo Rachel a
chiamare per quella dannata cena a cui non aveva alcuna intenzione di
presentarsi.
Le aveva detto giorni
prima che non pensava
sarebbe riuscito a farcela e non l’aveva mai detto a Blaine, quindi non
era
come che Finn e Rachel li stessero aspettando.
Quando fu sicuro che
quella dannata cosa fosse
stata completamente messa a tacere, tornò a sedersi accanto ad Isabelle
e
sfogliò gli scatti delle diverse modelle a cui stavano venendo fatte le
fotografie.
Accanto a lui, un
fotografo stava mettendo un
paio di ragazze in varie pose ed Isabelle stava esprimendo la propria
opinione
su come pensava che le giovani dovessero posare.
«Cosa ne pensi, Kurt?
Pensi che quello possa
funzionare meglio come copertina per il sito? O dovrebbero essere un
po’ più
rilassate?»
Kurt considerò entrambe le
ragazze, fissando i
loro completi ed il modo in cui stavano in piedi.
«Probabilmente un po’ più
rilassate. La bionda
dovrebbe anche appoggiare il mento sulla mano, sembra più couture»
«Fantastico. Mi hai letto
nel pensiero» rise
Isabelle, chiedendo altre idee al cameraman.
Mentre lei era assorbita
da quanto faceva, Kurt
tornò a studiare gli scatti di prova delle modelle e si chiese come
sarebbero
parse contro la nuova combinazione che stava programmando per il sito
web.
Una mezz’ora passò così e,
mentre Kurt sfogliava
le foto e sceglieva quelle che più gli piacevano, notò a malapena la
sua nuova
stagista, Shelly, che entrò nel magazzino di corsa; la sua figura
coperta di
neve ed il suo naso di un rosso brillante per via del freddo.
«Signor
Anderson-Hummel! Signor Anderson-Hummel?!»
Kurt alzò lo sguardo, come
fece il resto del
gruppo che lavorava intorno a lui.
Isabelle gli lanciò uno
sguardo confuso e Kurt si
alzò, due secondi lontano dal rimproverare la tirocinante per il suo
comportamento poco professionale in un’ambiente così importante.
Era a pochi metri da lei
quando notò lo sguardo
nei suoi occhi – paura – e il suo
cuore si fermò immediatamente.
Oddio,
qualcosa non andava con suo padre e lui aveva il cellulare spento.
Oddio.
«Signor Anderson-Hummel,
per favore non si
arrabbi. Sono venuta il prima possibile, e ho provato a telefonarle ma
lei non
mi ha risposto!»
«Che succede?» chiese Kurt
a bassa voce, la mano
gli cadde sul petto.
I suoni che lo
circondavano cambiarono e tutto
ciò che poteva sentire era il suo cuore battere mentre guardava la sua
stagista, con gli occhi pieni di lacrime, fissarlo con terrore.
«Che c’è, Shelly?»
«Signore, è
suo marito. È successo qualcosa»
Note della
traduttrice
Giusto per mettervi la
pulce nell’orecchio e farvi mangiare
le mani durante l’attesa del quindicesimo capitolo: una botta
improvvisa allo
stomaco, come una caduta, può provocare un aborto... così come il
trauma dell’impatto
*Traduttrice selvatica appare! Traduttrice selvatica fugge via!*
Ringrazio sentitamente chi
ha letto, seguito, ricordato e
preferito la storia. Un grazie speciale, però, va a chi ha speso due
minuti per
lasciare la propria opinione - e, a proposito, mi ha fatto davvero
piacere
trovare altre voci oltre ai miei soliti affezionatissimi ed
instancabili
lettori :)
Siete invitatissimi a
lasciarmi una recensione e dirmi cosa
ne pensate di questo capitolo che, spero, abbiate apprezzato.
A presto!
Killing Loneliness