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Autore: Lelo_xo    17/07/2013    20 recensioni
Immagina di aver avuto la peggior giornata di sempre e trovarsi all'improvviso bloccata in ascensore - completamente al buio - con un perfetto sconosciuto.
Fa venire i brividi, vero? Anche Tristan la pensa così.
E' solo parlando con il ragazzo misterioso che le cose cambiano e quando finalmente riuscirà a vederlo in faccia, anche i suoi sentimenti cambieranno.
La conversazione scorre tranquilla, non fanno altro che parlare immersi nell'oscurità.
Fortuna che Tristan non ha paura del buio o degli spazi angusti.
Peccato invece che il ragazzo sconosciuto non possa dire altrettanto.
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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- In the darkness -


 
Tristan
 
«Ferma l'ascensore, per favore.» Gridai, camminando velocemente per il corridoio. Non guardai avanti a me, ero troppo impegnata a tenere saldamente la borsa - contenente il laptop - sulla mia spalla destra, un'altra borsa sulla mia spalla sinistra e il Blackberry in mano, stando attenta a dove mettevo i piedi. Quando raggiunsi la fine del corridoio, alzai lo sguardo solo per vedere un braccio piuttosto muscoloso - con un grande tatuaggio che partiva dal polso, percorreva tutto il suo bicipite e spariva sotto una maglietta bianca - tenere aperte le porte dell'ascensore.
Decisamente un ragazzo.
«Graz- dannazione.» Esclamai, quando il mio cellulare cadde per terra.
Gesù, poteva andare peggio di così?
Quel ragazzo probabilmente si stava infastidendo, ci stavo mettendo decisamente troppo. Uscii velocemente, abbassandomi per prendere il cellulare e, tornare poi di corsa nell'ascensore. Sbuffai, voltandomi verso il quadro dei pulsanti.
«Grazie.» Dissi gentilmente, senza guardare il ragazzo e premetti il pulsante che mi avrebbe portato al piano terra.
«Nessun problema.» Rispose, quando le porte si chiusero. Sbuffai di nuovo, spostando i capelli dietro le orecchie e controllando l'ora sul display del cellulare. Lo schermo era nero e anche quando cliccai sui tasti, non si illuminò. Assottigliai gli occhi, confusa, così voltai il telefono, gemendo. La batteria non c'era. Doveva essere saltata via quando il telefono era caduto in mezzo al corridoio e visto che andavo di fretta, non avevo nemmeno controllato.
«Cazzo, cazzo, cazzo.» Mormorai, pigiando violentemente il bottone che mi avrebbe riportato all'ottavo piano, in modo da poter riprendere la batteria.
Bel colpo Gesù, facciamo cadere la batteria a Tristan per farla arrabbiare ancora di più. Ha ha ha divertente. No!
Scossi la testa, scacciando i pensieri e sbattendo a terra il piede, impaziente. Quando feci per sbuffare, l'ascensore sobbalzò e le luci si spensero. Non riuscii ad evitarlo: gridai.
 
 
Justin
 
Sogghignai divertito, osservando quanto fosse arrabbiata la ragazza dai capelli castani, mentre schiacciava il pulsante per l'ottavo piano. Sentii anche il suo borbottio quando si accorse che la batteria del suo telefono non c'era più. Doveva esserle caduta quando lo raccolse dal pavimento. Non mi aveva degnato di uno sguardo ed io non ero riuscita a vedere il suo viso, ma immagino fosse davvero arrabbiata. Borbottava e continuava ad imprecare, il che significava che non era proprio una buona giornata per lei. Il mio sguardo percorse il suo corpo: jeans aderenti neri, tacchi rossi, una maglia rossa e un blazer nero. Non era esattamente il look di una che lavorava in quel posto, ma le stava bene. I miei occhi si soffermarono qualche minuto in più sul suo fondoschiena.
Non male.
Feci quasi per allungare una mano e toccarlo, ma mi colpii mentalmente, sarebbe stato qualcosa come “molestia sessuale”. Misi le mani in tasca, quasi per impedire loro di agire come se avessero un cervello. Spostai la mia attenzione dal suo fondoschiena quando iniziò ad imprecare e a sbuffare, facendomi sorridere. Solo perché probabilmente mi avrebbe staccato la testa rimasi in silenzio, altrimenti le avrei consigliato di non uscire con tutte quelle borse, visto che era quasi inciampata nel mezzo del corridoio. Voglio dire, di quante borse ha bisogno una donna? Se non ci sta tutto in tasca, lascialo a casa. Dovetti reprimere una risata quando, gemendo, premette il pulsante per la quinta volta. Suonava sexy, ma anche divertente. Tutto quello che trovavo divertente sparì, quando l'ascensore sobbalzò e le luci si spensero all'improvviso. Rimasi senza fiato e mi presi la testa tra le mani, contando all'indietro, partendo da venti. La voce del terapista che mi diceva di calmarmi riempì la mia mente. Ero quasi arrivato a dieci quando sentii una risata. Lasciai la presa e aprii gli occhi. Potevano anche restare chiusi, tanto non si vedeva assolutamente nulla. La risata riempiva ancora le mie orecchie, prima che sentissi uno strano verso e di nuovo delle risate. Sorrisi, ovviamente era la ragazza con me in ascensore. Non sapevo perché stava ridendo, ma anche solo sentirla mi aveva fatto stare meglio e aveva calmato il mio respiro.
«Cosa c'è di così divertente?» Chiesi, attraverso l'oscurità. Rifece quel verso, come per calmarsi, prima di parlare.
«Il fatto che stia succedendo davvero. Il modo perfetto per concludere questo schifo di giornata.» Rispose, ridacchiando di nuovo. Capii subito cosa voleva dire. Anche se stava ridendo, ero sicuro che l'unica cosa che voleva fare fosse prendere a pugni qualcosa, ma ridere sembrava la soluzione migliore. «Sei ancora qui con me, sconosciuto?» Chiese, alcuni istanti dopo.
«Ehm, sì. Sono qui... scusa, è solo che non lo trovo affatto divertente.» Risposi, tossendo. Ridacchiò.
«Non sei l'unico, amico.» Replicò. Sorrisi, divertito dal suo tono, ma sobbalzai quando la sentii battere contro le porte. «Qualcuno può sentirmi? Siamo bloccati in ascensore!» Gridò la ragazza. Portai una mano sul cuore, mi aveva spaventato a morte.
«Avvisami la prossima volta che fai una cosa del genere. Mi è quasi venuto un infarto.» Dissi in tono divertito, in modo che non pensasse che fossi infastidito.
«Dannazione... colpa mia, scusa.» Ribatté e sorrisi.
«Tranquilla.» Dissi. La sentii ridacchiare, probabilmente di se stessa e sogghignai, indietreggiando e lasciandomi cadere, fino a che non toccai il pavimento. Almeno sarei stato più comodo, visto che saremmo rimasti chiusi qui dentro per un bel po'.
 
 
Tristan
 
«Che cosa stai facendo?» Chiesi al ragazzo, sentendo uno strano rumore. Tossì,
«Niente, mi sono solo seduto. Rimarremo qui per un bel po', mi metto comodo.» Rispose. Annuii.
«Sì, buona idea.» Dissi, lasciando cadere le borse alla mia sinistra, nel buio. Scivolai piano, fino a toccare il pavimento. Sospirai rumorosamente e sentii una risata.
«Va meglio?» Mi chiese il ragazzo.
«Decisamente. Queste scarpe mi stanno uccidendo.» Risposi, ruotando i piedi per far diminuire il dolore.
«Perché le indossi se ti fanno male?» Chiese, alcuni momenti dopo. Ridacchiai.
«Mio padre non faceva che chiedere la stessa cosa a mia mamma» risposi, facendo poi una piccola pausa. «Ti darò la sua stessa risposta: sono belle da vedere, costano un sacco e fanno sembrare le tipe basse come noi, alte.» Quello che ricevetti, fu una risata da parte sua.
«Sì, ho notato la tua altezza. Quanto sei, 1,65?» Chiese. Sbuffai.
«1,68, per essere precisi.» Lo corressi.
«Ci sono andato vicino.» Mi stuzzicò, facendomi ridere. «Sono Justin.» Aggiunse.
«Tristan» risposi. «Ti stringerei la mano, ma con questo buio non riesco nemmeno a vedere la mia davanti al viso.» Ridacchiai. Gemette. «Tutto bene?» Chiesi. Sospirò.
«Non proprio. Sono claustrofobico e ho paura del buio» rispose, facendo una pausa. «Questo è in pratica il mio incubo peggiore.» Aggiunse in un sussurro. Rimasi in silenzio. Davvero un tipo con un tatuaggio del genere ha appena ammesso di avere paura del buio? Povero ragazzo.
«Come posso aiutarti?» Chiesi. Mi morsi il labbro, pensando a qualcosa per farlo calmare. «Potrei cantare per distrarti, ma probabilmente ti sanguinerebbero le orecchie.» Proposi. Scoppiò a ridere e sorrisi.
«Magari più tardi, per ora continua a parlare, la tua voce mi rilassa.» Disse. Fui contenta che fosse buio, così non vide quanto fossi arrossita. Potevo sentire le guance in fiamme.
«Okay, devo continuare a parlare. Capito.» Annuii. «Il problema è farmi stare zitta, quindi deduco che questo sia un ottimo piano.» Aggiunsi, e lui rise. Due risate, sta andando bene! Mio padre e mia mamma di solito ridevano alle mie battute, ma credo lo facessero solo per farmi piacere.
«Allora, Tristan? Non ho mai sentito nessuna ragazza con questo nome.» Disse, iniziando una conversazione. Sogghignai.
«Sì, quasi nessuno si chiama così. Ai miei piace essere diversi, credo.» Risposi, stringendomi nelle spalle, nonostante non potesse vedermi.
«Mi piace. È diverso.» Disse e sorrisi, arrossendo di nuovo.
«Allora, Justin? Ho sentito un sacco di volte questo nome. Molto comune, non credi?» Chiesi e ridacchiò.
«Troppo comune.» Rispose. Cercai di trovare una buona posizione. «Va tutto bene?» Chiese.
«Sì» risposi. «Mi stavo solo mettendo comoda prima che mi si addormenti del tutto il sedere.» Sogghignò.
«Bene.» Replicò. Avvampai.
«Credo che un sedere addormentato non sia il massimo. Cammini come un pinguino poi.» Aggiunsi, quasi a caso. Scoppiò a ridere e scossi la testa, imbarazzata per averlo detto ad alta voce.
Dio, quanto posso essere patetica?
 
 
Justin
 
Quanto può essere strana?
Ridacchiai pensandoci. Mi piaceva la sua personalità, era divertente e credo che non si stesse nemmeno sforzando di esserlo. Le frasi sembravano uscire in modo naturale dalla sua bocca. Decisamente sarebbe stato bello uscire con lei o, nel mio caso, essere bloccato in ascensore con lei.
Non mentivo quando ho detto che la sua voce mi calmava. Lo faceva davvero e la sua simpatia mi aveva schiarito le idee, permettendomi di stare più tranquillo.
«Allora… gioco delle venti domande?» Chiesi.
«Amico, stavo giusto per dirlo io.» Rispose, alzando il tono di voce e facendomi ridacchiare.
«Okay, inizio io. Quanti anni hai?» Chiesi. Si mosse di nuovo.
«Diciannove, tu?» Domandò.
Hmmm, un po' giovane per lavorare come avvocato.
«Anche io. Lavori qui?» Chiesi. Sbuffò.
«No, mia mamma lavora qui. Le stavo portando il pranzo mentre tornavo a casa.»
«Oh, capisco. Stavo giusto pensando al fatto che fossi troppo giovane per lavorare qui.» Ridacchiai e mi seguì.
«Probabilmente conosco la risposta, ma lavori qui?» Mi chiese. Sorrisi.
«No, stavo solo firmando dei documenti per le ultime volontà di mio nonno.» Risposi. Sentii un suono molto simile ad un piagnucolio.
«Mi dispiace per tuo nonno.» Disse, qualche momento dopo. Sorrisi alla sua gentilezza.
«Grazie» risposi. «Il mio vecchio mi ha lasciato tutto: il suo ranch, le terre, i cavalli, bestiame... tutto.» Aggiunsi. Rimase senza fiato.
«Wow. Dovevi essere davvero molto vicino a lui se ti ha lasciato tutto.» Disse. Sorrisi di nuovo, io e mio nonno eravamo davvero legati l'uno all'altro. Mi mancava davvero tanto.
«Sì, lo ero. Se n'è andato tre mesi fa. Ho ricevuto solo stamattina la chiamata per il testamento. Immaginavo potesse aver lasciato tutto a me o a mio padre.» Mormorai, stringendomi nelle spalle.
Rimase in silenzio per un po' e mi accorsi che forse, avevo iniziato una conversazione un po' troppo profonda con lei e ci eravamo appena conosciuti.
Idiota.
«Beh, credo sia fantastico. Puoi diventare un vero cowboy ora.» Disse. Scoppiai a ridere, spiazzato da quella sua frase.
«Sì, credo di sì.» Replicai.
«Sarebbe grandioso, vivere fuori città, intendo. Ho vissuto tutta la mia vita in città e non mi piace. Credo che se avessi dei soldi mi trasferirei. Diventare una cowgirl.» Ridacchiò delle sue stesse parole. Sorrisi.
«Sono già un ragazzo di campagna.» Dissi fiero.
«Lo so. Si sente dall'accento... Texas? Hai qualcos'altro nel tuo accento, ci metterei la mano sul fuoco.» Disse. Annuii, ma ricordai che non poteva vedermi.
«Sì, mio nonno era del Texas. Io sono canadese. Ci siamo trasferiti quando avevo sei anni, ho vissuto lì fino all'età di quindici anni, poi siamo venuti qui ad Atlanta con i miei genitori e mio fratello minore. Mio padre possiede un etichetta musicale.» Mormorai. Non avevo idea del perché le stessi dicendo tutte quelle cose, ma mi sentivo bene a parlare con lei, anche se non potevo vederla. La sua voce aveva davvero un effetto calmante.
«È grandioso. Mi piace che tu abbia un fratello più piccolo. Vorrei non essere figlia unica. Quanti anni ha? Tuo fratello, intendo.» Chiese. Mi rabbuiai e portai le ginocchia al petto.
«Jaxon» feci una pausa, prendendo un respiro. «Avrebbe compiuto quindici anni quest'anno. È morto in un incidente d'auto tre anni fa, insieme a mia madre.» Rimasi in silenzio per alcuni minuti, sperando di non aver detto troppo e di non averla spaventata.
«Mio Dio Justin» sobbalzò. «Sono terribile, scusa. La mia boccaccia.» Imprecò a sé stessa.
«No, non preoccuparti, non lo sapevi.» La rassicurai. Rimase comunque in silenzio. «Davvero Tristan, va tutto bene.» Ripetei. Rimase in silenzio ancora, fino a quando non sentii un singhiozzo. «Per favore, non essere triste.» Dissi, con voce piena di malinconia.
«Scusa, non sto piangendo, giuro. Mi dispiace solo per te. Tuo fratello, tua madre e tuo nonno. È così ingiusto.» Rispose, lasciandosi scappare un altro singhiozzo. Fui d'accordo con lei. Dio si era preso quasi tutta la mia famiglia. Avevo ancora mio padre ed ero grato per questo.
«Voglio abbracciarti.» Disse e per la sorpresa, le ginocchia cedettero.
Voleva abbracciarmi? Ben venga.
«Beh, se vuoi, puoi farlo.» Dissi, stuzzicandola leggermente. La sentii muoversi di nuovo e una mano fu sulla mia gamba, così mi irrigidii leggermente.
«Non sto cercando di toccarti, è che non riesco a vedere niente.» Disse, velocemente.
Fa pure con comodo.
Volevo dirlo, ma decisi di tenere la bocca chiusa per evitare che suonasse male. Risalì la mia gamba, fino ad arrivare alla coscia e senza volerlo, mi eccitai, così mi maledissi mentalmente. Stupidi ormoni.
Gesù, se dovesse toccarmi per sbaglio, tornerebbe immediatamente al suo angolo di ascensore.
Gemetti a quel pensiero, ma mi fermai. Probabilmente pensava che fosse dovuto al fatto che mi stesse toccando. Okay, era per quello, ma non era necessario che lo sapesse. La sua mano lasciò la mia coscia per toccare il mio stomaco, il mio petto e le mie spalle. Alcuni secondi dopo, fu addosso a me. Le sue braccia furono attorno al mio collo. Prima che la sua testa potesse posarsi sulla mia spalla, voltai il berretto degli Yankees che indossavo, in modo che non si potesse fare male. Dopo che mi abbracciò, allungai le braccia e le strinsi intorno ai suoi fianchi, timidamente. Quando persi un respiro, automaticamente ispirai l'odore dei suoi capelli. Mi eccitai nuovamente: sapevano di fiori e lo adoravo. Adoro il profumo dei capelli delle ragazze, sono sempre molto fruttati.
«Mi dispiace per le tue perdite.» Sussurrò. Non dissi nulla, annuii, stringendola leggermente. Quando sciolse l'abbraccio, tornando al suo posto, mi accigliai. Mi piaceva sentirla tra le mia braccia e il profumo dei suoi capelli. Mi scoprii a pensare ad un altro modo per avere un altro suo abbraccio.
Justin Drew Bieber, lascia in pace quella ragazza.
La voce di mia mamma riempì la mia testa e sorrisi. Era quello che mi diceva ogni volta che abbracciavo una ragazza per troppo tempo. Le ragazze sembravano attratte da me, mentre crescevo. Lo erano ancora, solo che ora le abbracciavo di più. A dire la verità, la voce di mia mamma quando lo facevo per troppo tempo o quando lasciavo che le mie mani si fermassero su qualche fondoschiena, mi mancava. Mi sembrava di sentirla forte e chiara nella mia testa, giusto quando volevo di nuovo un abbraccio di Tristan. Lo presi come un segno che mi stesse guardando… proprio ora.
Mamma, se mi senti, ti voglio bene e mi manchi da morire, ma lasciami stare. Non è il momento di pensare a quello che faccio… e porta Jaxon con te, so che sta curiosando anche lui.
Sorrisi, immaginando la sua risposta.
«Scusa per come ho reagito.» La voce di Tristan mi strappò ai miei pensieri. Scossi la testa.
«Non è successo nulla.» Risposi.
«Sicuro? Non hai parlato per quasi dieci minuti.» Ammise.
Dieci minuti, davvero?
«Scusa, stavo solo pensando» feci una pausa. «Torniamo alle nostre venti domande?» Proposi. La sentii prendere un respiro.
«Sì. Credo toccasse a me» fece una pausa, aspettando che parlassi, ma quando non risposi, fu di nuovo lei a parlare. «Okay, so della tua famiglia – grazie per avermelo detto, comunque – quindi torniamo alle cose base. Qual è il tuo colore preferito?» Domandò e ridacchiai.
«Viola. Il tuo?» Chiesi. Si mosse di nuovo.
«Sono indecisa tra il blu e il rosso.» Rispose.
«Il rosso ti sta bene.» Dissi, prima di potermi fermare. Mi morsi un labbro, sperando che non pensassi che fossi un pervertito per aver notato i suoi abiti.
«Grazie.» Rispose a bassa voce. Sorrisi, sapevo che era arrossita, il che significava che aveva gradito il complimento.
 
 
 
Tristan
 
Ha notato il mio abbigliamento!
Doveva avermi guardato quando gli davo le spalle, entrando in ascensore. Non so perché, ma oltre ad arrossire, ero felice del fatto che pensasse che il rosso mi stesse bene.
«Allora… ho visto il tuo tatuaggio quando tenevi aperte le porte, ma non sono riuscita a vederlo con precisione. Che cos'è?» Chiesi.
«Sì, è un drago. A Jaxon piaceva disegnare. L'ha fatto lui, così ho deciso di tatuarmelo. Mi piace far vedere che talento aveva.» Spiegò Justin.
«Da quello che ho visto, è bellissimo. Aveva davvero molto talento.» Dissi, cercando di non scoppiare a piangere di nuovo. Stavo per chiedergli se potevo abbracciarlo di nuovo. Aveva sofferto davvero molto. Non che un abbraccio potesse guarire ogni cosa, ma se fosse successo a me, mi sarei sentita un po' meglio.
«Sì, aveva talento e grazie.» Disse, prima che un silenzio imbarazzante scese su di noi.
«Mi dispiace, continuo a riportare il discorso sulla tua famiglia.» Esclamai, facendolo ridere.
«Non lo fai di proposito e poi, non mi dispiace parlare di loro.» Rispose e sospirai, sollevata per il fatto che non lo avessi infastidito. «Allora, ovviamente non hai avuto una buona giornata.» Disse e scoppiai a ridere.
«Puoi dirlo forte. Ho praticamente lasciato il college oggi... mia mamma vuole che diventi un avvocato, come lei, ma buon Dio, mi annoia a morte» feci una pausa e Justin ridacchiò. «Comunque, dopo aver lasciato le lezioni, mia mamma mi ha chiamato al telefono, arrabbiata come non mai, ma dopo averle spiegato che non mi piaceva studiare legge, si è calmata. Non ho un lavoro ideale, ma di certo so che la legge non fa per me.» Spiegai. Non potevo vederlo, ma sentivo Justin annuire, segno che mi stava ascoltando. «Quindi, per mantenere questa pace, mi sono vestita bene e le ho portato il pranzo di Pastry Queen. È ossessionata.» Risi piano. «Comunque, il suo ufficio era un disastro quando sono arrivata. Tre del suo staff sono malati e aveva bisogno di aiuto per riempire alcuni documenti e visto che sapevo come sbrigare le cose, le ho dato una mano. Tre ore dopo ero talmente frustrata che ho pensato di essere davvero contenta ad aver lasciato legge. Comunque, dopo aver finito, mia mamma mi ha chiesto di poter guardare il suo computer e così stavo facendo, ma poi mi ha detto di volere che lo portassi a casa, così ho detto che non c'era problema e ho lasciato il suo studio, volendo solo andare a casa e dormire, ma poi è successo questo.» Conclusi, respirando a fatica che per aver parlato velocemente, senza riprendere fiato.
«Wow» mormorò. «Tutto quello che ho fatto oggi è stato venire qui e firmare alcuni documenti. Sentire la tua giornata mi ha fatto stancare e credo che non siano nemmeno passate le cinque.» Ridacchiò. Scoppiai a ridere.
«Credo che le cinque siano passate da un po'. Sono uscita che erano le cinque meno un quarto e credo che siamo qui dentro da quasi due ore.» Sospirò.
«Credo tu abbia ragione» fece una pausa. «Aspetta, ma non dovrebbe esserci un telefono per le emergenze?» Domandò. Scossi la testa, ma poi ricordai che non mi poteva vedere.
«No, è un vecchio edificio. Il filo del telefono venne tagliato da un bambino tanto tempo fa. Credo che stiano facendo delle modifiche.» Risposi, ricordando quando mamma disse che avevano ricevuto dei soldi per portare questo posto al livello del ventunesimo secolo.
«Dio, è grandioso. Siamo chiusi in un vecchio ascensore che potrebbe cadere in qualsiasi moment- non voglio nemmeno pensarci.» Disse Justin, rabbrividendo.
«Andrà tutto bene, tra qualche ora saremo fuori di qui e rideremo di questa cosa.» Lo rassicurai.
«Credo di sì, ma fa paura lo stesso.» Ammise.
Che sia lodato.
«Lo so, ma non preoccuparti. Ti proteggerò io.» Dissi, cercando di imitare una voce eroica e facendolo ridere.
«Credo di dover essere io a proteggere te. Il principe azzurro o nel mio caso, con i jeans neri, salva sempre le damigelle in pericolo.» Replicò, divertito.
Non sono in pericolo, ma se vuole giocare al principe azzurro, può farlo eccome.
Arrossii.
«Salvami, Romeo.» Ridacchiai e lui scoppiò a ridere.
«Allora, tua mamma è un avvocato?» Chiese. Sorrisi.
«Sì, l'avvocato di famiglia. È davvero brava nel suo lavoro. Raramente perde qualche causa.» Risposi fiera.
«E' fantastico, sembra davvero forte e indipendente.» Disse Justin. Annuii.
«Lo è.» Sorrisi.
«E tuo padre? Di che si occupa?» Domandò. Mi accigliai leggermente.
«Era un pompiere.» Risposi a bassa voce. Lo sentii trattenere un respiro quando notò l'uso del verbo al passato.
«Mio Dio, mi dispiace. Non ho fatto che parlare della mia famiglia e tu hai perso tuo padre.» Esclamò.
Sul serio? Ha perso tre membri della sua famiglia!
Scossi la testa.
«Non essere stupido. Ti ho praticamente costretto a parlare di loro.» Replicai, accigliandomi di nuovo.
«No, hai semplicemente fatto una domanda.» Sbottò. Ridacchiai.
«Anche tu hai solo fatto una domanda, Justin» feci una pausa. «Almeno non dobbiamo sentirci strani. Voglio dire, entrambi sappiamo cosa significa perdere qualcuno, tu più di me.» Mormorai.
«No, non farlo» disse serio e sobbalzai al suo tono. «Hai perso tuo padre, solo perché io ho perso mia mamma, mio fratello e mio nonno, non significa che sia peggio.» Spiegò. «Scusa se ho alzato la voce, ma non voglio che tu ti senta in dovere di provare meno dolore solo perché hai perso un solo membro della tua famiglia. Perdere qualcuno che ami fa male, sempre.» Mormorò. Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime.
Non azzardarti a piangere, penserà che tu sia pazza.
«Ti abbraccerei di nuovo, ma potrebbe sembrare strano.» Ridacchiai.
«No» disse velocemente. «Um, voglio dire, non sembrerebbe strano.» Aggiunse e sorrisi. Voleva abbracciarmi.
«Okay.» Mormorai, avvicinandomi. Il mio piede inciampò nella borsa e caddi praticamente sopra di lui. «Scusami, sono inciampata.» Dissi velocemente. Sentii le sue mani sui miei fianchi, per sostenermi.
«Tranquilla. Stai bene?» Chiese. Sentii il suo fiato sul mio viso e rabbrividii. Sapeva di menta e caffè. Mi piaceva.
«Sto bene.» Mormorai. Non sapevo come, ma ero finita cavalcioni su di lui. Entrambe le mie gambe erano ai lati delle sue e il mio petto toccava il suo. «Dio, penserai che sono una pazza, sono praticamente su di te.» Avvampai. Feci per spostarmi, ma non me lo permise.
«Non importa.» Sussurrò. Il suo fiato mi solleticò il collo quando parlò. Le sue labbra non mi avevano toccato, ma erano così vicine che avrebbe potuto.
«Justin.» Mormorai, mordendomi il labbro.
«Tristan.» Disse e rabbrividii.
Miseriaccia, dillo e basta. Mal che vada ti dice di no.
«Baciami.» Sussurrai, sperando da una parte che mi avesse sentito e dall'altra che non lo avesse fatto. Mi sentii forte e chiaro perché un gemito gutturale provenì da lui e sentii la sua fronte toccare la mia. Le sue labbra trovarono la punta del mio naso e sorrisi. Vi lasciò un piccolo bacio e si abbassò, per trovare le mie labbra. Gemetti sulla sua bocca e Justin rifece quel verso. Rabbrividii di nuovo. Cercai di chiudere le gambe, ma scivolai, finendo ancora più addosso a lui e gemette, stringendo la presa sui miei fianchi. Sorrisi sulle sue labbra, si stava eccitando. Potevo sentirlo.
Oh mio Dio, sto baciando un ragazzo, sono praticamente sopra di lui e non lo conosco nemmeno. Non so neanche che aspetto abbia.
Non che importasse. Voglio dire, certo che contava, ma per me, vinceva sempre la personalità e mi piaceva davvero, davvero tanto quella di Justin. Sentivo come se riuscissi a capirlo e viceversa. È pazzesco quello che può succedere rimanendo chiusi a parlare in ascensore con uno sconosciuto. Fui strappata dai miei pensieri quando Justin smise di baciarmi.
«Non hai un ragazzo o qualcuno con cui esci, vero?» Domandò, respirando pesantemente. Scossi la testa.
«No. E tu hai una ragazza o qualcuna con cui esci?» Chiesi, sperando di no, altrimenti mi sarei sentita davvero in colpa.
«No.» Rispose, tornando a baciarmi. Sobbalzai e quando lo feci, Justin ne approfittò, sfiorando la mia lingua con la sua. Gemetti e giurai di poter sentire la sua eccitazione crescere sotto di me.
«Non fare quel suono, mi uccidi.» Disse contro le mie labbra. Sorrisi, sapevo dell'effetto che avevo su di lui. Un pensiero mi passò per la mente, così ruotai i fianchi e in risposta, ottenni di nuovo quel gemito gutturale.
«Dio, suona terribilmente sexy.» Dissi e lo sentii sorridere sulle mie labbra. «Di solito non bacio gli sconosciuti.» Aggiunsi, continuando a baciarlo.
«Nemmeno io.» Rispose contro le mie labbra. Sentii le sue mani percorrere il mio corpo e tutto ad un tratto, iniziare ad avere caldo, così mi tolsi il blazer e lo lasciai cadere al suolo.
«Che fai?» Chiese, con tono leggermente scioccato.
«Sono bollente.» Risposi.
«Non ho mai visto il tuo viso, ma non ho dubbi.» Ridacchiò, stuzzicandomi. Gli diedi una pacca sul braccio, facendolo ridere.
«Intendo che fa caldo.» Sogghignai.
«Beh, sono sempre convinto che tu sia bellissima.» Disse e mi paralizzai.
Davvero? Dio, e se invece rimanesse deluso dal mio aspetto? Morire per l'umiliazione.
«Che succede?» Chiese, poggiando la sua fronte sulla mia. Presi un respiro e sentii il suo profumo. Dio, era così buono.
«Stavo pensando che quando mi vedrai tu possa rimanere deluso. Non sono bella.» Risposi. Scosse la testa.
«Impossibile. Sarai bellissima, lo so.» Affermò. Non risposi, lo baciai solamente. Spalancai gli occhi e un flash mi accecò. Sobbalzai e nascosi il viso nel collo di Justin. Stare per tanto tempo al buio e tornare poi alla luce, fece male ai miei occhi. Non ebbi nemmeno il tempo di potermi adattare perché pochi secondi dopo tornammo al buio. Sentii Justin respirare velocemente.
«Stai bene?» Gli chiesi. Scosse la testa e mi abbracciò forte. «Va tutto bene, sono qui.» Mormorai.
Alzai un braccio, per raggiungere la sua testa e sentii un cappello. Lo tolsi e giocai con i suoi capelli. Mia mamma lo faceva sempre quando di notte piangevo per mio padre e riusciva a farmi rilassare. Toccandogli i capelli sentii una cicatrice, ma non ritrassi la mano.
«Ero in macchina quando successe.» Disse all'improvviso. Continuai ad accarezzargli la testa, ascoltandolo. «Anche papà era con noi. È stato un ubriaco a prendere in pieno il lato sinistro dell'auto. Jaxon e mia mamma era da quella parte quel giorno. Ci siamo ribaltati parecchie volte prima che la macchina si fermasse sotto sopra. Stavamo tornando a casa dopo un fine settimana in campeggio e tutte le attrezzature erano ai nostri piedi» fece una pausa, prendendo un respiro. «Quando ci siamo ribaltati, tutti i bagagli mi hanno sommerso, non potevo vedere niente. Cercai di toglier di dosso, ma non potevo muovermi. Sono rimasto intrappolato per quasi tre ore, fino a che qualcuno non ha visto la macchina.» Mormorò. Una lacrima mi scese sulla guancia, cadendo su quella di Justin. Mosse la testa e mi baciò la guancia, prima di tornare a posare la sua fronte sulla mia.
 
 
Justin 
 
Aiutateci, qualcuno ci aiuto. Siamo intrappolati... mamma, papà, Jaxon, riuscite a sentirmi?” Gridai. “Per favore, rispondetemi. AIUTATECI!”
Scossi la testa, cercando di scacciare i pensieri. Sapevo che quel lampo di luce aveva riportato tutto alla memoria.
«Jaxon e mamma erano già morti quando provai a chiamarli, gridando. I dottori dissero che fu una morte istantanea perché presero tutto l'impatto.» Sospirai. Potevo sentire Tristan singhiozzare e la strinsi più forte.
«Per questo sei claustrofobico e hai paura del buio, vero? Perché eri sepolto in quell'auto.» Mormorò. Annuii contro la sua fronte e mi strinse a sé. «Ti sarai sentito così solo.» Disse, piangendo. «Ci sono io qui con te ora e non ti lascio, promesso.» Sussurrò. Alzai la testa e trovai immediatamente le sue labbra, coprendole con le mie. Dio, questa ragazza è senz'altro un angelo mandato per me.
Grazie mamma, è perfetta. Se è bella come penso, deve esserci il tuo zampino Jaxon.
Sorrisi a quel pensiero, baciandola. Era meravigliosa, non riuscivo a fare a meno di lei.
«È strano che tenga così tanto a te, nonostante ci conosciamo solo da qualche ora?» Chiese, quando si allontanò dalle mie labbra.
«No, perché è esattamente quello che sento io. Ti ho detto cose che non ho mai raccontato a nessuno, eccetto mio padre. Non so nemmeno perché l'ho fatto, sentivo solo che era giusto dirtelo.» Spiegai, sperando che capisse.
«So cosa vuoi dire» disse, prima di voltarsi e poggiare la sua schiena contro il mio petto e la sua testa contro la mia spalla. «Parlo con mio padre ogni notte, prima di andare a dormire.» Disse, dopo un po'. Non risposi, sapevo che stava per raccontarmi qualcosa di personale. «So che non c'è più, ma lo sento intorno a me. Mi leggeva sempre delle storie prima che mi addormentassi... mi chiamava il suo piccolo angelo.» Disse. Sorrisi, era come l'avevo chiamata poco fa. «È morto in un incendio quando avevo dieci anni. Un appartamento aveva preso fuoco e all'interno erano intrappolati una madre e suo figlio» fece una pausa, prendendo un lungo respiro. «Gli altri pompieri avevano detto che non c'era più niente da fare, ma mio padre si rifiutò di lasciar perdere e tornò nell'edificio. Dieci minuti dopo la madre e il bambino uscirono e dissero che un pezzo di qualcosa cadde, colpendo mio padre. Disse loro di uscire e dire al suo fiore che l'amava e al suo angelo che la adorava.» Continuò, tirando su con il naso. La abbracciai stretta. «Chiamava mia mamma il “suo fiore” perché ogni volta che sorrideva era bella quanto un fiore che splende al sole.» Sorrise, ripensandoci. «Ricordo di averlo odiato quando ho scoperto quello che aveva fatto perché mi aveva abbandonato. Giorni prima mi aveva fato promettere che qualsiasi cosa fosse successa durante il suo lavoro, sarei stata felice e forte per lui. Glielo promisi perché non avrei mai pensato che sarebbe potuto accadere di lì a poco, ma è successo e non ho mantenuto quella promessa. È come se una parte di me fosse morta quel giorno. Mi manca così tanto da fare male.» Disse, singhiozzando. «È per questo che mi dispiace così tanto per te, hai perso così tante persone. Io ho perso mio padre e fa talmente male che alcuni giorni vorrei morire. Ti ammiro per essere così forte.» Pianse di nuovo. «Scusa, sono una frignona.» Mormorò, tirando su con il naso. Le accarezzai il braccio, appoggiando il mento sulla sua spalla.
«Non lo sei. Come te, anche io sento la mancanza di tutti loro, ma riesco a sentirli intorno a me e mi fa sentire bene sapere che ora posso vegliare su di me.» Risposi.
«So che mio padre mi guarda e anche mamma. Giuro, alcune volte lo sento nella mia testa.» Disse e la sentii sorridere. Sorrisi appena, sapevo cosa voleva dire.
«Sai, da quando hai iniziato a parlare, non mi sono sentito intrappolato qui dentro. Credo che qualcuno ti abbia mandato a me, il mio angelo.» Sorrisi.
«Sta zitto.» Esclamò e scoppiai a ridere, sapendo che era arrossita.
«Non vedo l'ora di vedere il rossore sulle tue guance.» Dissi.
«Oh mio Dio, smettila Justin.» Brontolò. Scoppiai a ridere e mi accoccolai a lei.
«Scusa.» Dissi, nonostante non fosse vero. Mi piaceva farla arrossire.
«Quando ci stavamo baciando, era un piercing quello che sentivo sul tuo labbro?» Domandò, giocando con la mia mano. Annuii.
«Sì.» Risposi, sperando che non le desse fastidio.
Se fosse stato così l'avrei tolto per lei. Solo per lei.
«È... sexy.» Disse e ridacchiai.
«Bene, sono contento che ti piaccia.» Replicai.
«So che hai il drago disegnato da Jaxon tatuato. Ne hai altri?» Domandò.
«Sì, il nome di Jaxon e quello di mia mamma. Presto farò anche quello di mio nonno.» Risposi. La sentii annuire.
«Mi piace l'idea. Non mi dispiacerebbe tatuarmi il nome di mio padre. In quel modo è come se fosse sempre con me, ovunque io vada.» Disse e le baciai la spalla, facendola rabbrividire.
«Beh, se ti va, potremmo farcelo fare insieme.» Proposi. Mi morsi il labbro, sperando di non essere andato oltre.
«Mi piacerebbe, ma dovrai tenermi la mano, non ho mai fatto un tatuaggio prima.» Disse esitante e ridacchiai.
«Ti terrò la mano, non preoccuparti angelo.» Replicai e si strinse a me in una sorta di abbraccio.
«Non mi chiamavano così da tanto tempo.» Sussurrò. Mi accigliai.
«Va bene se ti chiamo così?» Chiesi. La sentii annuire.
«Sì. Sembrerebbe strano, ma lo fai sembrare così naturale.» Rispose.
«Capisco cosa vuoi dire, mi viene naturale chiamarti così.» Dissi.
«Wow, sono conversazioni profonde per degli sconosciuti.» Mormorò e ridacchiai.
«Be, considerando che ora mi conosci più di chiunque altro, probabilmente anche più di mio padre, non ti considero più una sconosciuta.» Dissi, baciandole di nuovo la spalla.
«Giusto. Hai praticamente saputo tutto della mia vita nelle ultime ore.» Ridacchiò.
«Non tutto» feci una pausa. «Qual è la tua canzone preferita?» Domandai. Passammo così le altre ore, imparando le cose basilari di ognuno.
«Okay, sei obbligato a rispondere a questa. Quando, dove e com'è stata la tua prima volta. Oh, e con chi?» Chiese e scoppiai a ridere.
«Lo vuoi davvero sapere?» Domandai e annuì contro di me. Era tornata cavalcioni su di me perché era scomoda seduta per terra. Non che mi stessi lamentando, ovvio.
«Okay, avevo sedici anni ed è stato con la mia seconda ragazza Lela. Eravamo nella sua camera da letto mentre sua sorella e sua nonna erano giù di sotto che cantavano una canzone degli ABBA, ascoltando la radio» feci una pausa e lei ridacchiò. «Non è stato esattamente romantico o pianificato in qualche modo. Ero così nervoso che ho controllato più volte che lo stessi facendo nel modo giusto.» Scoppiai a ridere, ricordandolo. «Quando abbiamo iniziato a darci dentro, ha cominciato a piacermi. Anche a Lela credo perché gemeva... parecchio.» Ridacchiai di nuovo. «Diciamo che non è durato monto, ma è stata una buona prima volta.» Conclusi. «Okay angelo, tocca a te.» Dissi ridacchiando. Borbottò qualcosa e scoppiai a ridere.
«Ho fame.» Gemette. Alzai la testa velocemente, ero affamato anche io, ma non sarebbe sfuggita a quella domanda.
«No, no, rispondi alla domanda. Io ti ho detto la mia prima volta, ora è il tuo turno.» Dissi, accarezzandole il braccio.
«Beh» fece una pausa. «Non l'ho ancora fatto.» Disse, prima di nascondere il viso nel mio collo.
«No?» Domandai. Ero felice di sentirlo a dire la verità.
«Lo so, è imbarazzante, ma non me la sono mai sentita di farlo con nessun ragazzo con cui sono uscita.» Rispose contro il mio collo.
«Non essere imbarazzata Tristan, sei pura. Non c'è niente di male, credo sia bellissimo.» Dissi onestamente.
«Sei fantastico, lo sai?» Chiese, baciandomi il collo. «Mi piace stare con te.» Aggiunse.
«Anche a me.» Mormorai.
«Quando andiamo a fare il tatuaggio, devi raccontarmi tutto sul ranch di tuo nonno. Sembra fantastico. Voglio imparare ad andare a cavallo, sono animali stupendi.» Esclamò.
Sorrisi pensando che l'avrei rivista una volta fuori da questo ascensore.
«Decisamente, ti dirò tutto se vieni a cena con me.» Aggiunsi, coraggioso.
«Andata.» Disse e sorrisi.
«Potrei anche insegnarti io stesso ad andare a cavallo.» La stuzzicai.
«Ci conto amico.» Rispose e ridacchiai.
Dio, se venisse davvero con me al ranch sarebbe stupendo.
«Non preoccuparti angelo, è una promessa.» Mormorai, accarezzandole i capelli.
«Baciami.» Sussurrò. Non me lo feci ripetere due volte e posai le mie labbra sulle sue. Ci baciammo intensamente, ma quando l'ascensore sobbalzò e la luce tornò, ci staccammo l'uno dall'altra.
 
 
Tristan
 
Nascosi di nuovo il viso nell'incavo del collo di Justin quando le luci si riaccesero. Dovetti tenere gli occhi chiusi per qualche istante prima di poterli riaprire. Quando lo feci, la mia vista era parecchio annebbiata e passarono all'incirca dieci secondi prima che potessi vedere chiaramente. Il mio viso era abbassato e le prime cose che vidi furono la sua maglia, la sua cintura e i suoi pantaloni neri. Deglutii nervosamente e alzai lo sguardo. Attraverso la maglia non potevo vedere il suo fisico. Inumidii le labbra e alzai la testa. Il suo collo catturò la mia attenzione e mi immobilizzai, in preda al panico. E se pensasse che fossi una specie di... troll? Dio, morirei all'istante. Mi morsi il labbro e mi costrinsi a guardarlo. Sobbalzai quando lo vidi. Labbra rosee e piene, con un piercing. Il naso più carino che avessi mai visto. Una mascella marcata. Una pelle perfetta. Gli occhi più belli che avessi mai visto e dei capelli color sabbia.
«Sei bellissimo.» Esclamai, fissandolo. Le sue labbra si curvarono leggermente. Non rispose, continuava a guardarmi e quella sua espressione mi fece stringere lo stomaco. Stava sicuramente pensando a quanto fossi brutta e non poteva credere in che posizione ero su di lui. Ovviamente, lui era bellissimo e uno come lui non poteva di certo essere interessata ad una come me. Quando Justin fece per parlare – per dirmi ovviamente che era stato bello parlare con me, ma dovevo spostarmi – qualcuno bussò alle porte dell'ascensore e mi alzai velocemente.
«Dipartimento pompieri di Atlanta, c'è qualcuno?» Domandò la voce di un uomo.
«Sì, siamo bloccati qui.» Gridai. Justin si alzò, ma mi voltai in modo da dargli le spalle.
«Non preoccupatevi. Vi tiriamo... fuori di qui... immediatamente.» Sbuffò l'uomo, aprendo le porte. Mi abbassai prendendo il blazer – tutto stropicciato per terra – e le borse.
«Tristan?» Domandò l'uomo, costringendomi ad alzare lo sguardo. Gemetti.
«Oh sei tu.» L'uomo ridacchiò.
«Sapevo che prima o poi avrei dovuto tirarti fuori dai guai, ragazzina.»
«Hey Jimmy... ragazzi.» Li salutai con un cenno della mano, mentre gli altri pompieri ridevano di me. Lavoravano tutti con papà.
«Stai bene?» Chiese, prendendomi per mano per aiutarmi ad uscire. Sogghignai.
«Fresca come una rosa. Sono solo rimasta intrappolata lì dentro per» feci una pausa per voltarmi e guardare l'orologio alla parete. Segnava le 22.37. «Quasi sette ore.» Gemetti.
«Beh, a parte questo, stai bene?» Chiese. Sorrisi.
«Sì Jim, sto bene.» Risposi e lui annuì come arrivammo davanti ad un uomo con delle chiavi. Probabilmente stava aspettando per chiudere o qualcosa del genere.
«Tristan» la voce di Justin arrivò alle mie spalle. Mi voltai e lo guardai. Dio, era davvero bellissimo e fuori dalla mia portata. «Non ho avuto l'occasione di dirtelo-»
«Va tutto bene Justin, non c'è bisogno, lo capisco.» Lo interruppi, cercando di non accigliarmi. Mi guardò confuso. «Devo andare in bagno.» Dissi velocemente. Annuì lentamente, così mi voltai, andando verso la toilette. Entrando mi appoggiai di schiena alla porta.
«Perché non poteva essere meno carino?» Esclamai gemendo. Ovviamente dovevo trovarmi bene con uno ben oltre la mia portata. Usai il bagno e mi lavai le mani e guardandomi allo specchio sobbalzai. Dio, sembravo una senzatetto. Mi lavai velocemente la faccia e feci una coda ai miei capelli resi quasi appiccicosi per via del sudore. Mi aggiustai i vestiti e uscii dal bagno. I pompieri stavano uscendo.
«È stato bello vederti, ragazzina.» Mi salutò Jimmy, insieme ai ragazzi.
«Anche per me.» Sorrisi, salutandoli. Quando mi voltai e guardai verso la reception, vidi Justin e il mio respirò si mozzò.
Perché stava aspettando?
Sorrise quando camminai verso di lui.
«Guarda cosa ho recuperato per te.» Disse. Lo fissai confusa, ma sorrisi quando vidi quello che aveva in mano: la mia batteria.
«Me ne ero completamente dimenticata, grazie.» Risposi, quando me la porse. La rimisi nel cellulare, lasciando che si accendesse.
«Come torni a casa?» Domandò.
«Um, in autobus.» Risposi, stringendomi nelle spalle. Si accigliò.
«È tardi, non mi piace l'idea che tu possa prendere l'autobus da sola.» Disse. Sorrisi.
«Tranquillo Justin.» Cercai di rassicurarlo. Scosse la testa.
«La mia macchina è nel parcheggio, ti porto a casa.» Disse. Stavo per rifiutare, ma volevo davvero passare un altro po' di tempo con lui prima di salutarci.
«Okay, grazie Justin.» Sorrisi. Sorrise anche lui e prese le mie borse, uscendo dall'edificio. Molto gentile. Sorrisi al pensiero, ma scossi la testa, scacciandolo. Dovevo smetterla di pensare a tutte e cose belle di lui – praticamente ogni cosa.
«Questa è la tua auto?» Chiesi, quando ci fermammo davanti ad una Range Rover. Ridacchiò.
«Sì.» Rispose. Mi ricordai poi che suo nonno possedeva un ranch – beh, era Justin a possederlo ora – e che suo padre possedeva una casa discografica. Doveva avere molti soldi. Buon per lui.
«È bellissima.» Dissi, rimanendo letteralmente senza fiato. Justin scoppiò a ridere e ripose le borse in auto.
«Sì, è bellissima.» Sogghignò, guardandomi. Non so perché, ma arrossi e abbassai lo sguardo. Mise due dita sotto il mio mento e mi fece alzare la testa. «Non nasconderti. Ho aspettato sette ore – che sono sembrate sette anni – per vederti arrossire. Ne è valsa la pena comunque.» Ridacchiò. Non riuscii quasi a capire che disse perché mi allontanai, salendo in macchina, arrossendo di più. Justin scoppiò a ridere, chiudendo la portiera e facendo il giro dell'auto per salire. Mise in moto e gli diedi le indicazioni per arrivare al mio appartamento. Lanciai un'occhiata al mio telefono, completamente carico e inserii il codice. Arrivò all'istante un messaggio di mia madre.
«Tesoro, vado a bere qualcosa con dei colleghi, torno tardi. Grazie ancora per avermi aiutato oggi e avermi portato il pranzo, sei la mia salvezza.
Non aspettarmi alzata, okay? Ti voglio bene, mamma.»
Sospirai, sollevata per il fatto che non fosse arrabbiata per averle detto che lasciavo il college.
Grazie a Dio.
«Va tutto bene?» Mi chiese Justin. Annuii.
«Sì, solo mia mamma che mi avvisava che è uscita a bere qualcosa con i colleghi.» Spiegai. Justin annuì e scese di nuovo il silenzio. A differenza di prima, era imbarazzante.
 
 
Justin
 
Chiedile di venire a cena, dannazione. Fallo e basta!
Scossi la testa, scacciando il pensiero. Volevo davvero chiederle di uscire, ma non volevo sembrare esagerato. Voglio dire, so che ci eravamo baciati in ascensore... molte volte, ma ha iniziato a comportarsi in modo strano quando ci siamo viste. Dio, quando l'ho vista. Non mi sarei mai immaginato una tale bellezza.
Ben fatto fratello.
Pensai a mio fratello, nessun dubbio sul fatto che fosse stato lui a sceglierla. Non riuscii nemmeno a dirle quanto fosse bella. Ero scioccato quando a pensato che fossi bellissimo, perché lo era anche lei. Voglio dire, sapevo di non essere brutto, ma sentirlo da lei è stato gratificante per il mio ego. Ero letteralmente preso dalla sua bellezza che mi sono completamente dimenticato di parlare e rispondere al complimento. Poi le porte si sono aperte e lei era corsa fuori. Quando arrivammo davanti a casa sua, ero pronto a dirle quello che pensavo di lei, ma si avvicinò e mi baciò la guancia.
«Sono contenta di essere stata intrappolata con te in quell'ascensore» sorrise. «Grazie del passaggio... ciao.» Disse, scendendo dall'auto. Mi accigliai.
«Tristan, aspetta-»
«Va tutto bene Justin, lo capisco. Ci vediamo in giro.» Mi interruppe, chiudendo la portiera. Ero confuso, non avevo idea di quello che le fosse successo. La conoscevo solo da otto ore, ma era abbastanza per capire che c'era qualcosa che non andava. Ripartii e costeggiando il marciapiede e per sbaglio, ci salii con le ruote.
«Cazzo.» Imprecai, facendo inversione e fermando la macchina nel posto di prima, scendendo poi dall'auto. Vidi Tristan dirigersi all'entrata dell'appartamento a testa bassa. La rincorsi e sorpassai le porte a vetro, stando attento a non sbatterci contro – era già successo.
«Tristan!» La chiamai. Si voltò, sorpresa. Continuai a camminare verso di lei e quando la raggiunsi, le presi il viso tra le mai, baciandola poi dolcemente.
«Sei bellissima. Sei talmente bella da avermi lasciato letteralmente senza parole. Mi piaci un sacco e voglio uscire con te. Credo che ci sia qualcosa di buono tra di noi e non voglio perderlo.» Dissi velocemente, posando la fronte sulla sua. Sbatté gli occhi, chiaramente sorpresa.
«Non pensi che sia brutta?» Chiese.
Brutta? Ma che cazzo sta dicendo?
«Cosa? No, non lo penso affatto! Sei la persona più bella che abbia mai visto. Stucchevole, ma è la verità.» Sbottai. Sorrise leggermente.
«Mi fissavi in quel modo e credevo che fossi rimasto deluso dal mio aspetto. Insomma, sei fuori dalla mia portata-»
«Fermati» la interruppi. «Sei tu ad essere fuori dalla mia portata. Davvero non hai idea di quanto tu sia splendida?» Domandai.
Buon Dio, non ne aveva davvero idea.
Si strinse nelle spalle.
«Beh, sei bellissima. Assolutamente bellissima.» Affermai. Avvampò e sorrise. Il rossore sulle sue guance la rendeva ancora più bella.
«Credo anche io che ci sia qualcosa di buono tra di noi.» Mormorò. Volevo saltare di gioia, mi sentivo davvero felice. Le sfiorai le guance con i pollici e chiuse gli occhi sotto al mio tocco.
«Allora, che ne pensi di un appuntamento?» Domandai e ridacchiò.
«Credevo che il nostro primo appuntamento fosse già fissato. Il tatuaggio. Il secondo era per la cena e il terzo, la possibilità che mi insegnassi a cavalcare.» Mi ricordò con un sorriso.
«Hai ragione» ridacchiai. «Faremo tutte quelle cose, ma che ne dici di un pre-appuntamento, adesso? Una cena, può andare?» Chiesi, mettendole le mani sui fianchi e avvicinandola a me.
«Sono stanchissima, a dire la verità, ma c'è un sacco di cibo in casa, se ti va di salire.» Suggerì, mordendosi il labbro, segno che era nervosa. Rabbrividii.
Sì, cazzo. Sì!
«Sicuro che mi va.» Sorrisi, sperando di non far trapelare tutta la mia felicità.
«Bene.» Sorrise, prendendomi per mano e guidandomi all'interno dell'edificio. La mia mente stava facendo i salti mortali per la felicità. Era la mia ragazza. Era presto anche solo per dirlo, ma sapevo che sarebbe stata mia di lì a poco ed ero dannatamente felice per questo. Quando ritornai con i piedi per terra, la fermai, bloccandola davanti all'ascensore e mi guardò confusa.
«Um, e se prendessimo le scale?»
 
 


Ti va di leggere anche me?
Se siete arrivati fino a qui, meritate un applauso e vi ringrazio. Ho voluto tradurre questa os, sempre di Lelo, perché leggendola, me ne sono innamorata. Credo che sia una delle più belle che abbia mai letto. Non lo so, un Justin così non lo avevo ancora visto e, giuro, mi sono letteralmente innamorata del suo personaggio. La ragazza non ha un volto preciso, quindi a voi la scelta di immaginarla. Io l'ho letta pensando a Miley.
Niente, spero vi sia piaciuta almeno la metà di quanto sia piaciuta e me. Lelo è bravissima a scrivere e l'adoro da morire. Fatemi sapere cosa ne pensate e provvederò a riferire.
Un bacione, ci vediamo al prossimo capitolo di Brawlers.
Fede.
Vi lascio il link originale: In the darkness
(per poterla leggere dovete essere registrate al sito)
se volete, seguitemi su twitter: @breathinjiley
per qualsiasi cosa, ask me.
  
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