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Autore: Meahb    18/07/2013    3 recensioni
Lou è una ragazza come tante. Johnny è un uomo come pochi.
I loro destini si incrociano dando vita ad una storia di paure, negazioni, fughe e ritorni e, soprattutto, amore. Quell "amor che muove il sole e le altre stelle", di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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tomi

*Tomorrow is something we remember*

Eravamo nello stesso amore in quel momento -
non abbiamo fatto altro, per anni.
La sua bellezza, i suoi pianti, la mia forza, i suoi passi,
il mio pregare – eravamo nello stesso amore.
La sua musica, i miei libri, i miei ritardi,
i suoi pomeriggi da solo – eravamo nello stesso amore.
L'aria in faccia, il freddo nelle mani, le sue dimenticanze,
le mie certezze- eravamo nello stesso amore.”


A. Baricco

* LOU POV *

La prima cosa che vidi furono gli occhi chiari di Sam.
La seconda il suo sorriso.
La terza la sua mano che stringeva la mia.
Mi sembrava di aver dormito una vita intera eppure il mondo attorno a me non era cambiato. Ogni minimo dettaglio era rimasto al suo posto, come se dovesse attendermi.
Sam mi diceva qualcosa che il mio cervello non registrava, presa com’ero a guardare tutti quei volti intorno a me. Volti modellati da un intimo sollievo che seguiva momenti di puro panico.
Credo di essermi sentita in colpa per aver fatto spaventare tutti a quel modo.
Credo che se ne avessi avuta la possibilità, avrei evitato di dormire per una vita intera e lasciare che tutta quella gente si preoccupasse per me.
Credo che….
Non lo so che cosa credo adesso, ma so a cosa credevo in quel momento.
Credevo al fiato caldo di Sam che mi carezzava il viso, alla sua mano nella mia, ai sorrisi di tutti i miei amici che erano intorno a me e che non mi avevano abbandonato.
Credevo all’ottimismo dei medici, ai pareri legali di quell’avvocato così alto e con così tanto profumo che mi rassicurava sulle sorti del tipo che mi aveva investita.
Credevo al fischiettio di Kevin mentre si allontanava abbracciando stretta Gwen.
E credevo, tuttavia, che mancasse qualcosa. Ancora qualcosa.
Credevo di essermi svegliata per un motivo ma facevo fatica a ricordarmi quale fosse.


Non sono mai stata brava a tenere a mente le cose che contano. Mi hanno sempre fregata i dettagli apparentemente insignificanti.
Sono poco più che immagini, stralci di ricordi che mi si conficcano in testa quando sono convinta di averli dimenticati. Ma arrivano sempre con una puntualità imbarazzante, perfetti nel loro stravolgermi la vita, quando mi convinco di aver trovato un equilibrio.
Ero spaparanzata sul divano di casa mia, quando accadde. Avevo vicino Gwen che trangugiava pop corn davanti alla televisione e Kevin che beveva una birra, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata curiosa. Avevo l'impressione che loro sapessero qualcosa che a me era sconosciuta e la sensazione si acuiva ogni volta che il discorso cadeva su Sam. Sam, già.
Era passata una settimana dal mio ritorno a casa e gli avevo chiesto di lasciarmi un pò di tempo e di spazio, per abituarmi di nuovo alla quotidianità. Non so neanche io perchè lo feci, ma sapevo che la sua presenza, li, con me, sembrava del tutto inappropriata. Doveva essere successo qualcosa che non ricordavo, qualcosa che me lo aveva reso estraneo, spingendomi ad allontanarlo dalla mia vita, come se non ci fosse più davvero posto per lui. Ed era strano. Incredibilmente strano. Non capivo da dove nascessero quei sentimenti, eppure li sentivo radicati dentro di me, come se prima dell'incidente, avessi preso una decisione di cui lui non era a conoscenza. Possibile?
Sbuffai, rannicchiandomi di lato e guardai fissa il viso di Gwen. Lei si voltò e mi sorrise, nello sguardo una luce segreta, "Tutto ok?", mi chiese.
Decisi che non ci avrei girato intorno. Lei e Kevin erano i miei migliori amici e, di sicuro, erano a conoscenza di ogni cosa.
"Cosa sai?" le chiesi.
Kevin si voltò a guardarmi a sua volta. Bevve una lunga sorsata di birra e rispose al posto di Gwen.
"Cosa ricordi?"
Corrugai la fronte, senza capire, "Tutto", gli risposi sicura.
"Tutto?", s'informò Gwen stupita, sedendosi composta e girando il busto verso di me, "Tutto davvero?"
La guardai sorpresa, ma Kevin mi incalzò, "Dove stavi andando quando l'auto ti ha investita Lou?", mi chiese.
Ecco, questo non lo ricordavo, ma ricordavo il punto esatto in cui l'auto mi aveva colpita. Non ero distante dal mall del quartiere, quindi probabilmente stavo andando a fare comprere.
"Andavo a fare la spesa?", buttai lì incerta.
"Era una domanda?", continuò lui.
Mi strinsi nelle spalle, "Ha importanza?"
Lui ridacchiò, "Ne ha", soffiò, "Davvero non lo ricordi?"
Scossi la testa, sorridendo poi a Gwen che mi stava carezzando una spalla comprensiva. Loro sapevano ed io no. La sensazione che ne scaturiva era di totale straniamento. Sapevo, e lo sapevo con una certezza quasi dolorosa, che il luogo dove stavo andando, c'entrasse con il fatto che non volevo più Sam in mezzo ai piedi. Stavo scappando via? Andavo a comprare un biglietto aereo per volare lontano? Dopotutto, pochi giorni prima, avevo tagliato i ponti con Joh, quindi la cosa era altamente probabile. Ma era possibile, davvero? Abbandonavo tutto? 
"Voi lo sapete, non è così?", chiesi, con una smorfia. Annuirono entrambi e la cosa non mi stupì. Mi stupiva il motivo per cui continuavano a tenermi nascosta quella verità, "Che senso ha non dirmelo?", domandai, infine.
Kevin bevve dell'altra birra, "Nessun motivo in particolare. Qualcuno mi ha chiesto di aspettare ed è quello che sto facendo".
Le sue parole non avevano senso, per me.
"Chi ti ha chiesto di aspettare?"
"Non è importante, questo", ribatté lui, cocciuto.
"Oh Cristo!", sbottai, "Certo che lo è. Lo è per me".
Gwen aumentò la presa sulla mia spalla, convincendomi a voltarmi verso di lei. Mi guardava con una strana espressione, un'espressione che non le avevo mai visto prima.
"Ricorda con me", disse lentamente, "Raccontami quello che ricordi", mi spronò.
"Correvo", attaccai, "Correvo e...", sbuffai, "Non lo so. Ho come la sensazione che stessi correndo da qualche parte. Come se avessi preso una decisione importante e stessi andando a dirlo a qualcuno", la guardai negli occhi, "Venivo da voi?"
Lei scosse la testa, con un sorriso dolce.
"Stavo scappando da Sam", dissi poi. Un frammento di ricordo si conficcò esattamente al centro dei miei pensieri. Lui era in casa che dormiva ed io lo avevo guardato e qualcosa di troppo simile al pentimento, si era fatto strada nel mio stomaco, fino ad esplodermi nel cuore. Non era lui, il mio amore no. Non era davvero lui.
"Scappavi da Sam si", mi confermò Gwen.
E un altro ricordo. Uscivo di casa, il telefono in mano. Parlavo con lei, le dicevo qualcosa, ero agitata, nervosa, camminavo veloce verso il parcheggio custodito delle auto, quello dove lasciavo sempre la mia, a una manciata di metri da casa.
"Ti ho chiamata", ansimai, "Parlavamo al telefono"
Gwen annuì, "Si, parlavamo al telefono. Ricordi cosa mi dicesti?"
Sospirai, lasciandomi cadere contro lo schienale del divano. La televisione accesa, mandava le pubblicità degli ultimi film usciti nelle sale. L'adocchiai, annoiata, finché un paio d'occhi familiari non mi costrinsero a socchiudere i miei, per metterli a fuoco. Era lui. Joh.
E ricordai la sua voce "Devi svegliarti e ricordare questa conversazione...". 
"Allora facciamo un patto, ti va? Io smetto di fare cazzate e tu ti svegli, ci stai?"

Mi portai una mano alla bocca e fissai prima Gwen, poi Kevin con un'espressione di puro stupore. 
"Andavo da lui, non è così?", domandai, la voce rotta, "Era in ospedale...lui...lui è venuto in ospedale...io....".
Gwen si avvicinò e mi abbracciò stretta, "Sshhh", sussurrò, "Va tutto bene"
Scossi la testa, in preda ad un vero e proprio attacco di panico, "No, non va tutto bene. Lui lo sapeva? Perchè cazzo non è qui?"
Gwen si staccò, per guardarmi negli occhi, "No Lou, calma. Lui non lo sapeva. Sono stata io a chiamarlo, mentre eri in ospedale. Non ne sapeva niente, te lo giuro", incamerò aria, scegliendo le parole più giuste da dire, "Solo io sapevo quello che avevi deciso e mi perdonerai se non mi sono presa la responsabilità di avvertire né lui, né Sam", accennò ad un sorriso, "Non era compito mio, dopotutto".
La osservai con attenzione, quindi spostai lo sguardo su Kevin che mi fissava con un sorrisino divertito. Si alzò in piedi e mi tese la mano. L'afferrai e mi alzai a mia volta, senza capire.
"Ti accompagno io", disse solo.
In un attimo mi fu chiaro dove stavamo andando e perchè. In un attimo ricordai tutto. In un attimo tornai a sentire quell'amore, come se non se ne fosse mai veramente andato. L'unico amore possibile. L'unico che conoscevo. L'unico motivo per cui mi ero svegliata, sottraendomi al mio infausto destino o, più probabilmente, andandogli semplicemente incontro.

Quando aprì il portone, aveva dipinta in volto un'espressione che faticavo a capire. Mi sembrava di avere di fronte qualcosa che conoscevo a menadito ma che, per qualche bizzarro motivo, non riuscivo a riconoscere.
Lui mi guardava senza dire niente, scrutandomi come se mi vedesse per la prima volta, cercando i segni di qualcosa di cui lui stesso non era sicuro ma che, assurdamente, sapeva ci fossero.
Accennò con un cenno timido del capo alla ferita ormai quasi rimarginata, sulla mia tempia. Un piccolo souvenir di quell'incidente che, lungi dall'avermi cambiata, mi aveva semplicemente fatta tornare me stessa.

Rimarrà un brutto segno?”, mi domandò in maniera totalmente illogica.
Mi strinsi nelle spalle, “Non lo so”, mormorai, “Ma di certo non è l'unico segno che mi porterò addosso”. Gli mostrai la mano destra, quella che lui aveva stretto nelle ore in cui mi aveva convinto a non mollare. A tornare. Tornare e basta, anche lontana da lui.
Mi guardò la mano e notò la lunga ferita che percorreva la lunghezza del pollice. La riconobbe, probabilmente. Riconobbe il punto che aveva accarezzato tutto intorno, mentre mi raccontava del suo amore a cui io non avevo mai creduto. Quello che non avevo visto o, forse, quello che non avevo voluto vedere per paura delle immense conseguenze che si portava dietro.

Stai bene?”, mi chiese poi, tornandomi a guardare negli occhi.
Notai in un momento che eravamo ancora sulla soglia. Né dentro, né fuori, come nella nostra migliore tradizione: quella di non voler mai prendere una decisione vera, quella che ci aveva spinto, tempo addietro, ad essere semplicemente caos. Ma si sa, è dal caos che escono fuori le forme più belle.
Lo fissai e pensai che lui, bello, lo era davvero. Bello come il tramonto che ti esplode in faccia quando sei seduto in riva al mare a guardare l'orizzonte. Bello come qualcosa che mai, negli anni, avrebbe smesso di stupirmi per la sua meravigliosa magnificenza.

Grazie”, sussurrai, aggirando la sua domanda.
Lui mi guardò confuso, sistemandosi gli occhiali con l'indice sulla punta del naso. Riconoscevo quel gesto. Il gesto di quando era indeciso su cosa dire o cosa fare.

Non ho fatto nulla”, balbettò imbarazzato.
Decisi di sorridergli.

Mi hai riportata indietro”, rintuzzai.
Fece una buffa smorfia a mascherare la sorpresa. Anche lui sapeva che lì, su quella soglia, nel momento del tempo in cui la notte non era ancora notte e il giorno non era più giorno, si stava compiendo, di nuovo, il nostro destino. Ma non sapeva cosa fare. Lo intuivo da come giocherellava nervosamente con i suoi anelli, da come muoveva le dita, da come non riusciva a guardarmi apertamente.
Io invece bevevo la sua immagine come se non l'avessi mai visto prima. Come se in quel preciso momento, proprio quello, mi rendessi conto che era suo il viso che avevo dato all'amore, nonostante nei mesi passati avessi cercato di convincermi del contrario. Lui sentiva il mio sguardo su di se e faticava a sostenerlo. Cosciente, forse, che se l'avesse fatto, non sarebbe tornato più indietro. Non quella volta.

Non potevo privare il mondo di cotanta arguzia”, scherzò. Mi accarezzò con lo sguardo, “E bellezza”, sussurrò poi in un soffio.
Sorrisi divertita, “Per quella basti tu”, ridacchiai.
Si grattò la testa imbarazzato, in quel modo tipico di lui: con il collo piegato a sinistra e gli occhi vagamente socchiusi.
Decisi di fare un passo verso di lui, annullando la distanza che ci separava e prendendogli la mano. Sussultò appena, forse sorpreso da quell'inaspettato gesto d'affetto.

Come si ringrazia qualcuno che ti ha salvato la vita?”, gli chiesi, seria.
Lui mi guardò stranito, “I medici amano il vino”, buttò lì, aggirando la mia domanda.
Buttai gli occhi al cielo, “Non parlavo di loro. E lo sai”.

Non credo di potermi prendere un merito così grande”, disse poi.
Decisi di parlare. Di buttare fuori tutto e spiegargli, nuovamente, perchè certe emozioni, certi sentimenti, non lasciano spazio ad altro per quanto si provi a negarli. Era stato il suo amore a salvarmi e lo sapevamo entrambi, e potevamo continuare a salvarci a vicenda, solo qualora l'avessimo ammesso.
Gli afferrai anche l'altra mano e la strinsi forte. C'era poca aria tra noi. Aria densa, che per la prima volta, non faticavo a respirare.

Joh”, sospirai, “Sai anche tu come sono andate le cose. Anzi, lo sai meglio di quanto non lo sappia io, visto che nell'unico momento della mia vita in cui avrei dovuto essere sveglia e attenta, mi trovavo persa in chissà quale mondo. Ma sai qual'è la cosa buffa?”, lui scosse la testa, ascoltandomi interessato, “Appena ho aperto gli occhi, in quella schifosa stanza d'ospedale, ho avuto subito l'impressione che l'avessi fatto per un motivo. Un solo, stupido, motivo, che di sicuro non era lì accanto a me in quel momento. Ci ho pensato per una settimana. Mentre intorno a me le persone che amavo mi rovesciavano addosso il loro più intimo sollievo, non riuscivo a ricordare quale fosse quel motivo. Eppure sapevo che anche loro ne erano a conoscenza e lo sapevo dai loro sguardi, che mi fissavano come in attesa di una reazione che, nonostante i giorni passassero, non arrivava”, incamerai aria, scossa dalla verità che stavo per dirgli, “Ma stasera, mentre me ne stavo tranquilla sul divano a guardare la televisione, ho ricordato”.
Sentii la sua stretta sulle mie mani farsi d'acciaio.

Cosa hai ricordato?”, mi chiese.
"Insomma Lou, ti sto dicendo che ti amo e qualcosa significherà pure, no?"
Gli sorrisi, “Ho ricordato te”, confessai, “Ho ricordato la tua voce dire qualcosa che mai ti avevo sentito dire prima”, ridacchiai, “Ho pensato che fosse uno inverosimile scherzo del mio cervello. Sai com'è...le botte in testa giocano strani tiri”.

Era vero”, mi confermò fissandomi negli occhi, “L'ho detto davvero”, aggiunse poi.
Slacciai la mano dalla sua e gli sfiorai una guancia con le dita, sorprendendomi come sempre dell'effetto che anche solo una piccola porzione della sua pelle, aveva contro la mia. Impossibile resistere a quella malia.

Lo so”, sussurrai, “Anche se non riconoscevo le tue parole, avrei riconosciuto il tono della tua voce dovunque”.
Sorrise. Uno dei suoi sorrisi. Di quelli appena accennati che ti fanno credere che solo un essere perfetto possa creare tanta bellezza in un unico uomo.

Come si ringrazia, dunque, qualcuno che ti ha salvato la vita?”, domandai di nuovo.
Senza dire nulla mi trasse a se e mi abbracciò. Come al solito, come ogni volta che mi trovavo tra le sue braccia, fui investita dalla bizzarra sensazione di sentirmi a casa. Ero scappata, questo si, ma avevo provato così tanta nostalgia per quei luoghi che conoscevo talmente bene, da aver avuto paura di non essere più in grado di ritornarci o, chissà, di non riconoscerli una volta tornata o, peggio ancora, di non trovarli più.

Resta”, bisbigliò tra i miei capelli, “Stavolta resta”, ripeté.
Sentii distintamente i miei muscoli rilassarsi tra le sue braccia, il mio cuore correre impazzito e il sangue circolare più forte nelle vene.
C'era qualcosa che mi avrebbe potuto impedire di compiere, infine, il mio destino?

Non ho intenzione di andare da nessuna parte, stavolta”, mormorai e alzai il viso, per guardarlo negli occhi, "Non senza di te".
Mi prese per mano e, sorridendo, mi trascinò in casa. Chiuse il portone e si voltò a guardarmi. Aveva un'espressione serena, il suo sguardo aveva uno strano luccichio divertito negli occhi. Decisi di aver atteso abbastanza, quindi colmai con un passo la distanza che ci separava, gli presi il viso e lo baciai. Come se non lo avessi mai fatto, come se lo volessi fare per sempre. L'amore era ad un bacio di distanza, come diceva la canzone che spesso gli avevo sentito canticchiare, ma ora, dopo quel bacio, l'amore era lì. Nessuna distanza. Nessuna tempesta. Era il nostro unico rifugio.
Fuori, il giorno non era più giorno e aveva infine lasciato spazio alla notte. 
Una notte illuminata dalla luna.









NOTA:
Ciao ragazzuole!
Rieccomi con un nuovo capitolo! Finalmente questi due testone si sono ritrovati! E' stato divertente scriverlo ed è stato ancor più divertente scrivere l'epilogo.
Come dicevo a Lola, non è facile riuscire a caratterizzare i personaggi in uno spazio di tempo così breve, ma spero che comunque le loro emozioni vi siano arrivate.
Manca un solo capitolo che, come promesso, sarà un POV di Johnny. Non so quando arriverà ma non credo ci vorrà molto per ultimarlo. Spero che vogliate lasciare un segno del vostro passaggio anche stavolta! Ringrazio specialmente Elvi e Lola che lo hanno fatto anche per il capitolo precedente!
Vi lascio e vi abbraccio
Am










  
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