Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Diamante Narcissa Uchiha    18/07/2013    2 recensioni
Storia partecipante al contest "Scegli il tuo prompt! [Originali e Multifandom]" indetto da Fabi_.
Undertaker: il becchino, lo shinigami, il burattinaio; lo spettatore e regista più attento nello spettacolo della vita; l'ascoltatore di menzogne e il lettore di copioni distorti.
Per soddisfare il proprio bisogno di risate governa i burattini -gli esseri umani- con i propri fili invisibili.
[...] Il burattinaio, si nascondeva dietro la figura del becchino. Una persona che si occupava dei morti con una tale ossessione come avrebbe mai potuto interessarsi a degli sciocchi esseri dal cuore ancora pulsante? Eppure erano la parte migliore dello spettacolo.
Genere: Dark, Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Undertaker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Puppeteer

I fili invisibili
governano piani non suoi.
Li tira, li spezza, li aggiusta
per godersi lo spettacolo
e le risa, infine.


Tutti quegli umani, tutti quei vivi, tutti quei morti… Erano marionette nelle sue mani.
Li controllava a personale compiacimento: prima li assoggettava al proprio volere, poi li lasciava agire e, quando iniziava ad annoiarsi, riaggiustava il legame. Si divertiva tanto, infondo, in quel tiro alla fune infinito.
Quelle vite erano strette tra le sue dita dalle unghie lunghe e nere e, da bravo padrone qual era, aveva il compito di salvaguardale, non senza ricavo comunque.
La sua ossessione era sbocciata quando si era innamorato. Quella donna mortale l’aveva cambiato: gli aveva fatto aprire gli occhi sulla crudeltà della vita che, in veste di shinigami, non avrebbe mai notato, seppur sotto il suo sguardo ogni giorno.
Lei, con i suoi sorrisi, i lineamenti raffinati e i modi cortesi, gli aveva insegnato l’effimerità della gioia umana.
E si era spenta, come una candela sotto il peso di un alito di vento, era spirata e lui non aveva potuto fare nulla per salvarla dal destino.
Ora cercava di rimediare: si godeva ogni attimo di quella commedia che gli esseri umano tendevano a chiamare vita, e rideva dei segreti che adombravano ogni anima.
Le risate che ne ricavava erano la migliore ricompensa.

 

Il burattinaio, losco figuro
che agisce nell’ombra,
carnefice della libertà,
traghettatore di anime
verso scenari di polvere.


Il burattinaio, si nascondeva dietro la figura del becchino. Una persona che si occupava dei morti con una tale ossessione come avrebbe mai potuto interessarsi a degli sciocchi esseri dal cuore ancora pulsante? Eppure erano la parte migliore dello spettacolo.
I morti, seppur perfetti nei loro sguardi vacui e nei loro corpi di alabastro, non potevano parlare -non potevano mentire- erano solo comparse mute, parte dello sfondo.
I vivi, al contrario, avevano la straordinaria capacità di dichiarare un’idea quando, nella realtà della loro psiche, ne pensavano un’altra.
Erano così divertenti e guardarli nell’ombra del retroscena era magnifico.
Coi suoi fili invisibili, le marionette di carne ed ossa, di pensieri e bugie, venivano private di quella libertà che pensavano avere per diritto: perché tutti erano proprietà della morte, infine.
E la morte era lui: lo shinigami, il traghettatore delle anime, il lettore di ricordi.
Nella recita era Caronte: il viso sfigurato dalle cicatrici, lo sguardo perso nei meandri dei pensieri umani, le mani ossute e un sorriso dal retrogusto inquietante a rigargli il volto.
Tutti avevano paura di lui e quelle palpebre spalancate dal terrore lo divertivano alquanto.
E dire che li portava verso l’eternità del tempo, dove la tranquillità copriva la superficie di polvere.
La stessa polvere che, come un lenzuolo caritatevole, scaldava le bambole abbandonate sui freddi scaffali.

La morte dietro un sorriso:
ti rallegra, ti consola, ti sfama di fantasia
poi… al culmine dell’estasi reciproca
chiude la bara
e soffoca le ali bugiarde.

 

Lui era la morte, con il suo sorriso storto. Abbracciava ogni anima al proprio petto, sussurrava ninna nanne incolori nelle loro orecchie di vento, le rallegrava e le consolava come una madre amorevole.
Gli raccontava l’ultima fiaba della buona-notte, tessendo la trama della nuova vita ultraterrena che le stava attendendo. Erano così spaventate, quelle fiammelle di vita. Erano come bambini che si nascondevano nel suo grembo d’oscurità.
Avevano bisogno di fantasia, la stessa che caratterizzava i piccoli umani. E chi era lui per negargliela nelle prime ore dell’eternità?
Quando esse, infine, era saziate dalla fame di sapere ed erano nell’estasi della soddisfazione, iniziava a remare nel fiume di lacrime versate dalle morti che non l’avevano incontrato, che non avevano sorbito gli effetti del proprio divertimento.
Soddisfatto del proprio operato, della fine in grande stile dello spettacolo della vita, chiudeva le bare –le porte delle camerette- lasciando nel buio ignoto i suoi piccoli, soffocando la loro possibilità di scappare –le loro ali di libertà-, la luce della vita, il loro respiro di menzogne.

   
 
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