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Autore: FrankieFox    18/07/2013    2 recensioni
Basata principalmente su Les Amis; è presente un ulteriore personaggio di (mia) fantasia, cugina di Pontmercy, tale Germaine. Non so esattamente dove andrà a finire, non ancora, ma non credo che riuscirò a tenermi lontana dall'e/R per molto...
(Non ho beta ma, se qualcuno si offrisse volontario, sarebbe fantastico!)
(Il rating potrebbe cambiare con l'andare avanti della storia - le barricate non sono zucchero filato, dopotutto...)
Genere: Guerra, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh, we couldn't bring the columns down
Yeah, we couldn't destroy a single one
And history books forgot about us
And the Bible didn't mention us
Not even once

You are my sweetest downfall
 
I loved you first

[Regina Spektor, "Samson"]



Rue de les Lombards, a mezzanotte e dieci del primo giorno di maggio, era quasi deserta; ma Parigi ribolle di vita anche nascosta nella notte, e in un angolo vagamente illuminato dalla luna sedeva un ragazzo, non brutto né debole, che scrutava l'oscurità con attenzione, come se fosse in attesa di qualcosa. Non portava il cappello, e l'unico ornamento della giacca scura erano i buchi; le scarpe sembravano vecchie e opache; e persino la sua bellezza giovanile era rovinata da un cipiglio acido e cattivo. Montparnasse era il suo nome, e in quella zona era conosciuto ed evitato da chiunque.
All'improvviso, il ragazzo alzò la testa di scatto: aveva sentito qualcosa. Lontano, un rumore di ruote faceva capolino nel silenzio ovattato della notte, accompagnato da una cadenza familiare che sembrava di zoccoli, e pareva avvicinarsi sempre di più. Il ragazzo trasalì, sembrando aver trovato ciò che cercava.
La carrozza venne finalmente illuminata dal fascio di luce del primo lampione, correndo veloce nella direzione del giovane. Era nera, caratteristica che non aiutava particolarmente nell'oscurità che regnava, e non sembrava essere una di quelle tipiche vetture che si usavano da quelle parti: era più raffinata, più stretta e alta, e inoltre la terra e il sudiciume sulle ruote e sulle zampe dei cavalli facevano indovinare che arrivasse da lontano.
A metà della via, la carrozza iniziò a rallentare, causando uno spasmo di gioia nel giovane Montparnasse. Quando poi essa si fermò esattamente davanti a lui, se avesse creduto in Dio, avrebbe probabilmente pensato a un miracolo; ma non lo era, e si limitò a ringraziare cento, mille volte la sua buona stella che l'aveva spinto a fermarsi più a lungo del solito. Si alzò in piedi, appoggiandosi al muro per facilitare l'ascesa, sempre tenendo sott'occhio la vettura, e un largo sorriso gli scoprì i denti storti.
Grazie mille, signore, per tutto,” sussurrò lieve una voce dall'interno, accompagnando l'aprirsi dello sportello. Per certo, non era francese; anche se le grezze orecchie del ragazzo non sapevano distinguere il polacco dal turco, la parlata gli sembrava colorita, quasi squadrata, molto più terra terra e decisamente meno raffinata del francese. “Salutatemi tanto vostra figlia. Ditele che se dovessi tornare, lei sarà la prima persona a saperlo.”
Una figura femminea, vagamente nascosta dall'oscurità che combatteva la luce debole e soffusa dei lampioni, appoggiò il piedino sul selciato scivoloso di ghiaia, e per poco non cadde. Il giovane, quasi ebbro di gioia per l'occasione, fece un balzo avanti e scattò ad aiutarla, afferrandole la mano e impedendole di cadere.
Permettez-moi de assister-vous,” le disse, con la voce arrochita dalle lunghe ore passate in solitudine e senza curarsi del fatto che lei, visibilmente straniera, potesse capire o meno le sue parole. La fanciulla sussultò, cacciando uno strillo dalla sorpresa più che dalla paura. Dopo aver posato gli occhi sul ragazzo, e rassicurata dal suo aspetto povero (era cresciuta in campagna, fin da piccola s'era abituata a trattare e giocare più con i monelli di strada che con i bambini ricchi), si lasciò scappare una risatina e gli rivolse un affabile cenno col capo.
“Vi ringrazio, monsieur,” rispose lei, in perfetto francese, riscaldato appena da quel suo strano accento quasi esotico. “Non fosse stato per il vostro intervento, il mio primo incontro con le strade di Parigi sarebbe stato assai più spiacevole.”
Una volta che il cocchiere ebbe depositato ai piedi della signorina una borsa rigonfia, se ne tornò nella vettura senza una parola di più, e Montparnasse aggrottò le sopracciglia. Era forse tutto ciò che la fanciulla possedeva? Non era un gran bottino, ma almeno il giorno seguente avrebbe mangiato... E se tutto il contenuto della valigetta veniva da un altro paese, avrebbe potuto spacciarlo per mercanzia di valore, in quanto straniera, al mercato. Meglio di nulla, dopo giorni di magra.
“Non vi preoccupate, mademoiselle. Volete un aiuto con la vostra borsa? Sembra pesante. Dove dovete andare?”
“Sono lusingata dalla vostra gentilezza, buonuomo, ma credo di avere tutto sotto controllo,” ribatté lei, con un'occhiata che esprimeva decisione e fermezza senza essere dura. Nel frattempo, il cocchiere alle sue spalle spronò i cavallo, trottando via, a casa, impaziente di rivedere sue moglie e la sua figlioletta, i suoi angeli, senza neanche rivolgere un'ultima occhiata alla fanciulla che aveva trasportato per giorni. I due estranei restarono soli, con gli occhi pensosi della luna come unici testimoni. Il giovane si esibì in un ghigno che forse voleva essere cortese, ma del quale la ragazza non poté fare a meno di rabbrividire, stringendosi al petto i suoi averi in un riflesso involontario che tradiva sfiducia verso l'altro. Lui se ne accorse, e la curva delle labbra si trasfigurò in una smorfia cattiva.
“Insisto,” ribatté lui, avvicinandosi e facendo indietreggiare la povera straniera, che oltre alla stanchezza del viaggio e alla confusione dovuta all'arrivo in una terra estranea, ora si trovava a fronteggiare anche il timore per i propri possedimenti e, peggio, la propria vita. Ciononostante, non si permise di perdere la calma, e si limitò a pronunciare poche, innocenti parole in tono tranquillo.
“Siete gentile, ma io abito qui; vedete quella porta verde, un po' bassa, con la maniglia lucida? È lì che sono diretta.”
“Desidero mettere le cose in chiaro, mademoiselle,” replicò lui, senza più nemmeno preoccuparsi di mantenere quella sua facciata affabile e cortese. “Siccome uno straniero non è meglio di un mendicante, ho pietà di voi e vi lascerò una scelta: avete la possibilità di lasciare andare la borsa ed entrare nella vostra casetta senza lanciare l'allarme, o cercare di opporre resistenza e perdere ben più di qualche franco o di qualche luigi. A voi la decisione dell'opzione migliore.”
Lei sbatté velocemente le palpebre, confusa e indecisa sul da farsi. Aveva seriamente accarezzato l'idea della fine da relativamente poco tempo, forse dieci giorni o una settimana prima; suo padre, unica compagnia e unico sostegno fin dalla più tenera infanzia, s'era ammalato ed era morto nel giro di nemmeno un paio di mesi, e a lei non era rimasto nulla se non una valigetta con qualche oggetto personale, qualche dolce ricordo del proprio genitore, poco denaro e una lettera testamentaria in cui le si raccontava di suo cugino, fino ad allora solo vagamente accennato, che avrebbe dovuto raggiungere a Parigi il prima possibile. Distrutta dal dolore, aveva spedito una busta all'unico familiare che le era rimasto, in cui aveva spiegato la situazione, e poi si era rinchiusa nella sua sofferenza, serrandosi nel suo guscio senza lasciar penetrare nessuno. Il giorno in cui era arrivata la risposta, aveva preso una carrozza di fiducia e aveva lasciato la campagna Lomellina per dirigersi nel nord della Francia, senza un solo rimpianto.
Ma ora era lì, e anche se il dolore le bruciava ancora nel petto in fiore, aveva deciso di iniziare una nuova esistenza; e essere derubata, uccisa, forse violentata nella notte in una strada deserta, senza nessun testimone e senza che un'anima potesse almeno darle un'identità la mattina dopo non era nei suoi piani. Con lo spirito che si ribellava in ogni sua fibra per la resa incondizionata, allentò la stretta delle sue dita alla borsa, continuando a guardare il briccone negli occhi, troppo consapevole che abbassare lo sguardo sarebbe stato un atto dovuto soltanto alla codardia per farlo davvero.
“Solo, vi raccomando non incrociare più la mia strada,” disse lei, con la massima naturalezza. “Non desidero che la prendiate come una minaccia; non lo è; se usaste un po' di saggezza, lo considerereste un dato di fatto. Stanotte sono sola e sconosciuta; da domani, avrò qualcuno. Godetevi la borsa, monsieur; abbiate una buona notte, e a mai più rivedersi.”
La fanciulla lasciò andare la sua valigetta, che cadde con un tonfo sordo, e si allontanò velocemente, facendo solo attenzione a mantenere una velocità abbastanza bassa da non poter  dare a nessuno il pretesto di dire che stava scappando. Con la coscienza umiliata dalla ritirata, si girò un ultima volta al momento di aprire la porta, e solo per vedere il ladro scappare con la refurtiva, senza averne mai visto il contenuto né senza esserne particolarmente interessato; entrò con passo sicuro ma la mascella contratta in una smorfia molto bellicosa e poco femminile, e dovette anche svegliare il portinaio, che all'inizio, ironicamente, pensò di essere stato derubato. Alla fine, riuscì a fargli recuperare la lucidità necessaria per comunicargli la necessità di incontrarsi con il signor Marius Pontmercy, che viveva presso il signor Cafferac o qualcosa del genere; no, non poteva aspettare fino al mattino; no, non ricordava il nome esatto del coinquilino, ma era sicura di quello di Monsieur Pontmercy e anche l'altro doveva essere abbastanza accurato, visto che aveva passato buona parte del suo viaggio a ripeterselo tra sé e sé.
“Oh, voi dovete riferirvi a monsieur Courfeyrac!” comprese finalmente lui, con un lampo di certezza a illuminargli il volto segnato dall'età. “Sì, ora che mi ci fate pensare, vive con un altro ragazzo, povero in canna, ma mi hanno detto che è un vero signore. Da come mi saluta tutte le mattine, con gli abiti di un mendicante ma l'aria fiera di un generale e gli occhi vispi di un poeta, scommetto che è vero. Abitano al secondo piano, prima porta a destra... Volete che vi accompagni?”
Tutto, in quell'uomo, gridava il desiderio di tornare a dormire e di restarci, e lei acconsentì a quella tacita volontà con un sospiro.
“Non vi preoccupate, monsieur, posso fare da me,” sussurrò, e il sollievo sorse palese sul viso del vecchio.
“Teoricamente dovrei accompagnarvi, sapete... È nelle regole del palazzo... Ma monsieur Courfeyrac mi aveva anticipato l'arrivo di un ospite, e voi sembrate in tutto e per tutto la persona che mi aveva descritto, con tanto di accento... Se posso permettermi, da dove venite?”
“Italia,” rispose lei, recuperando abbastanza dignità da pronunciare quelle poche sillabe con lo sguardo che fiammeggiava d'orgoglio per la sua terra. L'uomo scoppiò in una risata.
“Italia, Italia!” esclamò, battendosi lo stomaco e alzandosi in piedi. “Italiani, i nostri cugini del Sud! Bene, bene... E voi avete detto 'Italia', non il regno da cui provenite. Sono colpito! Lasciatemelo dire, è meraviglioso. Perdonate la sfrontatezza, ma voi dovete essere una di quelle persone che si battono per la rivoluzione! Strano, per una donna, ma immagino che giù da voi sia una cosa normale... Oh! Monsieur Courfeyrac sarà impressionato! Vedrete: gli piacerete moltissimo. Bene, ora mi avete risvegliato: al diavolo il sonno, vi accompagnerò. Da questa parte, mademoiselle, seguitemi.”
Era bastata una parola, detta al momento giusto e con la giusta presenza di spirito, per far spingere quell'uomo, assonnato e avanti con l'età, ad aiutarla. Non era stata quella la sua intenzione (non ci stava proprio pensando, persa com'era nella struggente rimembranza della sua casa d'infanzia), ma ne era piacevolmente sorpresa dopo quella notte irta di difficoltà, e si limitò a seguirlo su per le scale senza una parola di più. Povera fanciulla, stentava quasi a tenere gli occhi aperti; fosse stato per lei, avrebbe preferito rincantucciarsi in un angolo e abbandonarsi al sonno, ma la persona di suo cugino, dal canto suo completamente ignaro, la chiamava, e lei si costrinse ad avanzare.
“È questa porta qui, mademoiselle. Aspettate, devo bussare; giacché sono qui, sarebbe meglio che adempissi il mio dovere fino in fondo, capite.”
L'uomo bussò e aspettò paziente. La ragazza sarebbe stata forse nervosa, se avesse potuto concentrarsi su qualcosa che non fosse l'idea di un giaciglio, ma la stanchezza regnava sovrana, e piantò gli occhi sulla porta, combattendo per rimanere sveglia, non battendo ciglio neanche quando si aprì.
“Chi c'è?”
L'uomo che aveva aperto non poteva avere molto più di vent'anni. Aveva capelli corvini e fitti, simili a quelli della signorina che lo scrutava dal pianerottolo, ma le somiglianze cessavano lì: l'uno aveva gli occhi azzurri, l'altra scuri e caldi; lui era più alto del normale, lei era minuta; e, cosa più importante, il suo accento faceva risuonare Parigi in ogni sillaba, mentre lei doveva fare i conti con una cadenza che svelava la sua provenienza straniera anche al più distratto degli estranei.
“Siete il monsieur Marius Pontmercy?” chiese lei, strascicando appena le parole. Lui annuì, non senza una certa sorpresa, tradita dall'improvviso irrigidimento del busto e uno sguardo visibilmente più sveglio. 
“Con chi ho l'onore di parlare?”
“Sono Germaine. Credo che abbiate ricevuto una lettera da parte mia qualche tempo fa, e che vi abbiate risposto...”
“Voi! Germaine! Certo siete arrivata in fretta,” balbettò lui, visibilmente preso alla sprovvista. “Immagino che possiate passare la notte qui, se non vi disturba condividere la casa con due uomini...”
“Monsieur, vi assicuro che mi accontenterei di un angolo di pianerottolo, ora come ora,” lo rassicurò lei, senza la minima pretesa.
“Datemi del tu, mademoiselle. Siamo cugini,” sorrise lui, guardandola affabile con gli occhi gonfi dal sonno.
“Potrei dirti lo stesso,” ribatté la fanciulla, con una mezza riverenza. In realtà non v'era un reale motivo per cui si sarebbe dovuta inchinare, ma la mancanza di riposo piega anche le menti più lucide, a lungo andare, e nemmeno il furto appena subito l'aveva riscossa del tutto. “Dacché, mi stat... Mi stai dicendo che posso entrare?”
“Non lascerò una donna errare per Parigi da sola, a quest'ora della notte, in cerca di un riparo,” affermò categorico il giovanotto, porgendo la mano a sua cugina. Questa l'afferrò quasi all'istante, sollevata dai modi cortesi e ospitali del suo unico parente rimasto, e Marius congedò il buon portinaio con un cenno del capo mentre guidava la ragazza all'interno.
“È una casa piccola, ma accogliente,” iniziò a dire lui. “Non è mia, a dire il vero; vivo con un mio amico intimo, Courfeyrac, che conoscerai presto. È un buon diavolo, sempre pronto a dare una mano agli altri; solo, è estremamente interessato all'altro sesso. Probabilmente vi fare... Vi farai caso: domattina, quando ti sveglierai, lui sarà ancora a bazzicare per casa, e cercherà di conoscerti meglio. Non dargli troppa corda, se non vuoi finire invischiata nelle sue dolcezze e carinerie: apparentemente, lui adora e viene subito adorato indietro,” la avvertì con un sogghigno. Lei scrollò le spalle, non particolarmente impressionata, e alzò l'angolo della bocca in un mezzo sorriso solo per educazione, in risposta all'entusiasmo dell'ospite.
“In realtà, non sono quel tipo di donna che cerca a tutti i costi un compagno,” rispose lei, pacata. “Prima di trovare un marito e recitare la parte della brava mogliettina, voglio assicurarmi che i miei figli abbiano un futuro più roseo del mio, con la libertà di pensiero, le catene del tiranno sciolte, l'istruzione per tutti e gratuita. Non ti sembra che queste cose dovrebbero essere considerate normali? Non lo sono, purtroppo; eppure, sono alla base della felicità comune.”
Marius si era fermato, immobile, a metà della frase, con la mandibola allentata e gli occhi fissi ad indicare un estremo stupore.
“Germaine, mai ho sentito una donna parlare in un tono del genere, e la cosa ti rende onore,” mormorò, vagamente sconcertato. “Tuttavia, non e' l'orario adatto; la luna splende alta, e tra qualche ora sarà mattina. Domani, mentre vi condurrò a cercare una stanza d'albergo, potremo parlarne meglio...”
“A proposito del mio alloggio: forse un albergo non sarà la soluzione più adatta.”
“Come mai?”
“Al mio arrivo a Parigi, l’accoglienza rivoltami era composta da un solo uomo, e quell'uomo era un ladro. Non hai notato che non porto nulla con me, se non il mio vestito e il mio cappello?”
Era vero. Il povero ragazzo, confuso dal sonno e da tutte le novità precipitategli tra capo e collo così in fretta e inaspettatamente, non aveva avuto tempo di badare ai dettagli. Scosse il capo, perso nei suoi pensieri.
“Molto bene: siamo in due senza il becco di un quattrino. Ma non preoccuparti: se non in un albergo, troveremo un altro posto dove farti stare gratis, almeno finché non troverai un lavoro. Conosco un uomo che traduce volumi in varie lingue: tu potresti essergli utile, e la paga e abbastanza buona... ma fino ad allora, quello e' il materasso dove passerai questa notte.'
'E tu dove dormirai?'
'Sul pavimento, nell'altra stanza,' rispose lui semplicemente, allargando le braccia. 'C'è poco che possa fare.'
'Non voglio derubarti del tuo letto!' esclamò Germaine, recuperando colore ed energie. 'Davvero, insisto...'
'Apprezzo la tua cura e la tua preoccupazione, cugina, ma non posso accettarle,' replicò lui, indicandole ancora una volta con un cenno delle dita il materasso disteso sul pavimento. 'Non lascerò dormire un ospite sul legno duro e scomodo. E con questo, non discuterò oltre.'
Forse in un illuminazione divina o forse solo per fortuna, il ragazzo aveva evitato di specificare il fatto che Germaine era una donna; lui non lo sapeva, ma la cosa avrebbe portato solo altre proteste, più aspre e sentite. Così, invece, lei si limitò ad abbassare lo sguardo e a levarsi il cappello con un gesto veloce, portandoselo al petto in segno di riconoscenza. 'Ti ringrazio, allora.'
'Nessun problema,' disse Marius, accennando un inchino col capo e iniziando a dirigersi fuori dalla camera. 'Se hai bisogno di qualsiasi cosa, sono nella stanza a fianco. Buonanotte.'
Socchiuse la porta alle sue spalle e raggiunse la stanzetta dove dormiva Courfeyrac, dove si rincantucciò, mentre mille prime impressioni gli frullavano in mente, ronzanti e instancabili. Sicuramente, ora che aveva visto Germaine di persona, poteva dire con certezza che l'immagine che si era creato dopo quel l'unica lettera ricevuta era più che mai ingannatrice. L'unico aspetto su cui aveva indovinato erano i colori: occhi e capelli scuri, come ogni ideale d'Italiano che si rispetti. Sul resto, si era perso in stereotipi: non era alta, anche se aveva una corporatura abbastanza squadrata, e parlava francese perfettamente, anche se aveva un'inflessione particolare e molto marcata, ciò non avrebbe impedito a nessuno di comprendere le sue parole. Senza contare che tutto quell'attaccamento alla libertà era pericolo. Le donne venivano ascoltate meno degli uomini, ma alle guardie importava poco: un accenno maligno al re bastava loro a sbatterti in cella senza troppi complimenti, se non peggio, e le idee di Germaine sembravano legate a doppio filo al pericoloso progetto di una repubblica.
E ancora, forse i suoi erano solo castelli in aria; le parole della ragazza potevano essere guidate semplicemente dall'ora tarda. Ciononostante, Marius aveva il sospetto che a Courfeyrac sarebbe piaciuta fin troppo: figuriamoci a Combeferre e Feuilly, e anche ad Enjolras, con cui in effetti condivideva diverse visioni del mondo. E Jehan sarebbe impazzito all'idea di poter migliorare la sua conoscenza della lingua di Dante, suo poeta prediletto. Avrebbe dovuto portarla al Café Musain, una volta o l'altra. Normalmente le donne non venivano ammesse, ma aveva il sospetto che tutti gli studenti si sarebbero divertiti.
Ridacchiando, nascose la testa nel cuscino, e il suo ultimo pensiero volò alla sua bella, la sua amata Cosette.
 



*Note*
Innanzitutto, chiedo formalmente scusa a chiunque sappia il francese, perché sono quasi sicura di aver fatto uno scempio... *va a nascondersi*
I personaggi de "I Miserabili" non appartengono a me, ma a Victor Hugo; Germaine Pontmercy, invece, è di mia creazione.
Ultima cosa: se qualcuno volesse fare da beta, sarebbe incredibilmente apprezzato/a. Grazie mille per aver letto fin qui, e le recensioni sono incoraggiate con latte e biscotti! :D

-F.
  
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