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Autore: __indelible    19/07/2013    2 recensioni
Everything is Lightwoods and nothing hurts.
[...] Isabelle sbatté le palpebre, concedendo ad un’unica lacrima solitaria di scivolarle lungo la guancia. — Non sei semplicemente un soldato, Alexander. Tu sei un protettore.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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you're  not  just  a  warrior,  you're  a  protector

Isabelle rimase a guardare il fratello.
Molto lentamente i suoi occhi iniziarono a gonfiarsi di lacrime, che poi le rotolarono giù
per le guance rigando lo sporco e il sangue che le ricopriva.
— Non lo sopporto — disse. — Non lo sopporto, quando hai ragione.
Alec tirò a sé la sorella e le diede un bacio sulla testa. — Lo so, lo so.
Lei strinse per un attimo la mano di Alec e poi si allontanò.

***

— Isabelle, dannazione. — Alec appoggiò la fronte alla porta rigorosamente chiusa della camera della sorella, alzando il pugno destro per farlo sbattere violentemente contro il legno duro di quella che era ormai diventata una barriera tra il mondo esterno e Isabelle Lightwood.
Erano passati quattro lunghi giorni dalla notte in cui Sebastian Verlarc aveva assassinato un membro della loro famiglia, e da quella terribile nottata la ragazza non aveva messo piede fuori dalla sua stanza, né aveva parlato con nessuno. Si limitava solo ad esordire in urla di protesta quando qualcuno cercava di parlare con lei.
Alec più che vedere sentì l’occhiata che Jace, il suo parabatai biondo, gli lanciò mentre attraversava il corridoio.
— Vattene via! — Il rumore sordo di un paio di oggetti pesanti ruppe il silenzio totale che risuonava spettrale nella casa in quei giorni.
La porta scricchiolò tristemente sotto il peso delle cianfrusaglie che Isabelle aveva appena tirato nella direzione della voce del fratello.
— Non me ne vado da qui. — Alec si lasciò scivolare a terra lentamente, la schiena appoggiata al solido legno della porta che lo divideva dalla sorella.
Quei quattro giorni erano stati un inferno. Robert e Maryse non riuscivano a guardarsi, né a parlarsi. Alec aveva letto, da qualche parte, che la perdita prematura di un figlio tendeva ad avvicinare le coppie, o a separarle per sempre. Aveva già intuito, dal brivido gelido che sembrava emanare dai loro corpi quando si ritrovavano vicini in una stessa stanza, come sarebbe andata a finire.
Jace, dal canto suo era … bè, era Jace. Girovagava silenziosamente per le stanze, si soffermava davanti alla porta di Isabelle per un secondo, per poi riprendere a camminare senza meta. Si nascondeva da Clary, che era il modo che gli piaceva usare per punirsi., e per lo più cercava un modo per trovarsi faccia a faccia con un centinaio di demoni, in modo da poter sfogare tutta la rabbia e i sentimenti che aveva imbottigliato dentro di sé in qualche modo.
Alec, invece, non sapeva definire quali fossero le sue emozioni riguardo alla morte del fratello. Certo, sentiva la morsa del dolore stringerlo talmente forte che avrebbe preferito essere pugnalato, così come sentiva quel senso di vuoto e di impotenza che si poteva provaresolo alla morte di una persona cara. Sentiva chiaramente la voce che nella sua testa continuava a ripetergli che Max era morto, e lo era per colpa sua; perché Max era sua responsabilità, e lui l’aveva lasciato in quella casa con il suo assassino. Ma c’era anche qualcos’altro, un’altra piccola sensazione che provava e a cui non riusciva a dare un nome preciso. Era una sensazione del tutto discordante rispetto alle altre, la sentiva quasi estranea a sé stesso: era come se una parte di sé fosse sollevata, e se ne vergognava. Come poteva sentirsi sollevato, dopo la morte del minore dei suoi fratelli? Dopo che aveva rischiato di perdere non solo Max, ma anche …
Le sue labbra batterono il cervello sul tempo. — Ero ad un istante di distanza dall’essere figlio unico. — Nell’istante in cui pronunciò quella frase, sentì un’ondata di sollievo espandersi dentro di sé e per un unico istante lasciò che quello stesso sollievo consumasse ogni altra emozione, sommergendolo.
Isabelle soppresse a stento un singhiozzo, lasciando cadere nuove lacrime sulle sue gote calde e appiccicose di lacrime secche. Strinse un’ultima volta le soffici coperte bianche nei suoi pugni, per poi alzarsi lentamente e andare sedersi per terra, la schiena appoggiata alla porta della sua camera. Si rannicchiò in posizione fetale, abbracciandosi le ginocchia in un gesto istintivo e incontrollato.
— Avrei potuto perdere anche te — sussurrò Alec al vuoto. Incastrato nel turbinio dei suoi stessi pensieri, non aveva udito il delicato “bonk” del corpo di Isabelle sul pavimento ruvido al di là della porta, ma udì nettamente l’aspirazione d’aria e il singhiozzo della sorella a pochi centimetri da dove si trovava. Sentì ora più forte che mai il bisogno di toccarla, di assicurarsi che stesse bene, di assicurarsi che fosse viva.
— Devo solo- Isabelle, per favore.
Isabelle non seppe perché, ma la frase incoerente del fratello, sussurrata dalla sua voce tremante e piena di dolore la fece agire d’istinto. Senza pensarci, allungò una mano verso il chiavistello, e girò con un sonoro schiocco la chiave.
 

— E’ tutta colpa mia. Lui è morto, ed è stata colpa mia. —
Alec allontanò il corpo di Isabelle dal suo. — Non è colpa tua. Lo sai. — Le mise una mano sotto al mento, inclinandole il viso in modo da poter fissare i suoi occhi scuri, ora arrossati e gonfi. — Isabelle, guardami. Nessuno pensa che sia colpa tua. Nessuno.
Isabelle spostava lo sguardo in ogni direzione, senza soffermarsi più di un istante su un oggetto, cercando inutilmente di sfuggire agli occhi indagatori del fratello. — Io … Se ci fossi stato tu, Alec, se solo …
— Lo so. Eravate sotto la mia responsabilità, entrambi. E’ solo colpa mia. — Il ragazzo abbassò lo sguardo, allontanandosi dalla sorella mentre istantaneamente spostava i capelli con un gesto nervoso. — Avrei dovuto restare, non avrei dovuto …
Lo sguardo di Isabelle si posò su di lui. Corrugò le sopracciglia, confusa. — Non è questo che volevo dire. E’ che .. tu sei diverso da noi, Alec. Da me e Jace. — Alec fissava un punto nel muro di fronte a sé, l’ombra di un sorriso derisorio sulle labbra. Fece per dire qualcosa, ma Isabelle proseguì, ignorandolo. — Tu proteggi le persone. Non ti butti a capofitto nelle cose come me, come Jace. Pensi a salvare la pelle a noi, non semplicemente ad uccidere demoni. Sei diverso da noi e … non sai quanto darei per essere più simile a te. Hai salvato la pelle a Jace più volte di quante me ne ricordi, e altrettante volte hai salvato la mia. — Lui spostò lo sguardo su di lei e per la prima volta da quando era entrato nella stanza, i loro sguardi si incrociarono. Isabelle si ritrovò a fissare in quelle iridi di quella strana tonalità di azzurro a lei tanto famigliare, un azzurro scuro e tempestoso, come quello di un oceano. In quegli occhi della stessa sfumatura di quelli del fratello che aveva appena perso, ed improvvisamente al viso di Alec si sovrappose quello di Max, che, con gli occhiali a penzoloni, la fissava, un’aria di accusa nel suo sguardo. “Perché io?
Isabelle sbatté le palpebre, concedendo ad un’unica lacrima solitaria di scivolarle lungo la guancia. — Non sei semplicemente un soldato, Alexander. Tu sei un protettore.
Gli occhi del fratello brillarono di una strana luce, e lei riconobbe l’accusa che lo tormentava: “Io non c’ero. Potevo proteggervi e vi ho lasciati qui, da soli. Vi ho consegnati a lui.” Non diede voce a quei pensieri, però; si avvicinò, invece, a lei e con un polpastrello le asciugò la lacrima solitaria che le rigava la guancia. Isabelle spostò lo sguardo dai suoi occhi, cercando di trattenere le lacrime, inutilmente.
— Vieni qui. — La prese tra le sue braccia e la sostenne mentre nuovi singhiozzi le uscivano dalla gola, mentre nuove lacrime calde le scivolavano sulle gote, solcando con nuove linee nerastre la sua pelle candida. Il mascara nero che con tanta cura si era data quattro giorni prima continuava a colare dalle folte ciglia, mescolandosi alle calde e dolorose lacrime e creando un intreccio di linee umidicce sul suo volto. Non si era ancora struccata, da quel giorno; né si era cambiata di abiti. Non voleva farlo: trovare la forza per fare quelle piccole azioni avrebbe significato accettare il fatto che- avrebbe significato accettare gli avvenimenti, e lei non era ancora pronta per questo. Non sapeva se sarebbe mai stata pronta, per questo.
Dopo un tempo infinitamente lungo, Isabelle parlò sottovoce, inciampando sulle parole come mai aveva fatto in vita sua. — Avete … avete lo stesso colore di occhi. Il taglio è diverso, certo, ma non riesco a … Non riesco a non pensarci. Non riesco a smettere di pensare che avete lo stesso colore di occhi e- — un nuovo singhiozzo le proruppe dalla gola e Alec la avvicinò ancora più a sé, stringendola tra le sue braccia e sussurrandole parole di conforto all’orecchio. Una nuova ondata di angoscia avvolse anche lui, quando si rese conto che non sarebbe mai stato abbastanza per lei, che le avrebbe sempre ricordato il fratello che avrebbe voluto avere vicino, ma che non ci sarebbe più stato; che i suoi occhi le avrebbero sempre ricordato il fratello caduto a cui era stata rubata l’infanzia proprio davanti ai suoi occhi.
Non si rese conto di quanto tempo passò, ma si accorse che Isabelle stava lentamente perdendo la sua battaglia contro la coscienza, sonnecchiando avvolta nel suo abbraccio. Con cautela le portò un braccio sotto alle ginocchia e l’alzò da terra, per poi appoggiarla sul letto.
Le scostò i capelli dalla fronte e, delicatamente, posò le labbra sulla fronte di lei.
— Andrà tutto bene — sussurrò con voce ferma.
Fece per dirigersi verso la porta, quando la mano della sorella si strinse attorno alla sua in un gesto disperato.
— Resta. —
 

—Alec? — mormorò la ragazza con voce assonnata, avvicinandoci inconsciamente al corpo del fratello e stringendo convulsamente la maglia dell’altro tra le dita. — Ti ricordi com’era prima?
Lui fece un sospiro profondo. Sapeva benissimo cosa intendeva la sorella con “prima”. Prima di Jace. Prima di Max, perfino. Quando i fratelli Lightwood erano semplicemente due, due giovani ragazzi dalla carnagione chiara e dai capelli scuri, che passavano le loro giornate assieme, combattendo l’uno al fianco dell’altra. Quando tutto era ancora semplice, senza complicazioni. — Me lo ricordo come se fosse ieri — disse sommessamente. Ricordava come l’arrivo di Jace avesse sconvolto tutto, facendolo allontanare da Isabelle per avvicinarsi a quello che sarebbe diventato il suo parabatai.
Abbassò lo sguardo sul corpo della sorella, attorcigliato al suo come se lui fosse l’unica persona in grado di non farla affogare in quel mare di solitudine e tristezza. I capelli della ragazza, del medesimo colore dei suoi, gli solleticavano dolcemente la pelle del collo, mentre lui districava con le dita una sua lunga e folta ciocca. — Mi dispiace averti spinto via, Izzy. Avrei dovuto proteggerti, e invece …
Lei risistemò la testa sul petto del ragazzo, in modo da poggiare l’orecchio esattamente sopra al punto in cui sentiva battere, lento e regolare, il cuore di Alec. — Tu mi hai sempre protetta, Alec. Sempre.
Avvolta nel protettivo abbraccio del fratello e cullata dal battito regolare del suo cuore, Isabelle perse definitivamente, dopo aver proferito quelle ultime parole, la lotta contro la coscienza e si lasciò andare nel sonno pacifico e senza incubi che il suo corpo e la sua mente tanto desideravano.
Alec non avrebbe dormito, quella notte; si sarebbe beato del respiro profondo della sorella, della sensazione pacifica che Isabelle emanava nel sonno. Avrebbe passato tutta la notte a studiare il viso e le caratteristiche di quella strana creatura che era Isabelle Lightwood, quell’uragano di emozioni e forza, di insicurezza mascherata e di bellezza seducente che era sua sorella. Quella notte, Alec si sarebbe ripromesso nuovamente, come aveva fatto  una notte molti anni prima, di proteggerla sempre, da qualunque pericolo.

***

— Sto solo cercando di…
— Di fare il fratello maggiore — lo interruppe Isabelle. — Capito.
Alec aveva l’aria di doversi sforzare per mantenere il controllo. — Isabelle, se ti succedesse qualcosa… Dopo Max, dopo Jace…
Izzy si alzò in piedi, attraversò la stanza e prese Alec fra le braccia. I loro capelli neri, esattamente del medesimo colore, si intrecciarono, mentre lei sussurrava qualcosa all’orecchio di lui; Clary rimase a guardarli, non senza un pizzico di invidia. (...) Ora Alec stava accarezzando i capelli della sorella con affetto, dopodiché annuì e si liberò dall’abbraccio.

 


Ciaaaao, efp! Era da un sacco che non postavo qualcosa!
Comunque, se avete letto tutto fino a qua, grazie mille per aver sprecato il vostro tempo leggendo questo delirio!
Se non si è notato, amo i Lightwood. Sconcertante, lo so.
Oh, prima che mi dimentichi: le citazioni ad inizio e a fine fanfiction sono di Cassie, anche se onestamente non mi ricordo da quale dei sei libri vengano.
... che altro dire? Se volete recensire, io non mordo, anzi!
Long live the Lightwoods, e alla prossima, allora!
[ho cambiato il titolo della storia da 'You're not just a warrior, you're a savior' a 'You're not just a warrior, you're a protector' perché Alexander significa protettore, e mi sembrava più adatto.]
  
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