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Autore: nialloveme    19/07/2013    20 recensioni
e quando succedeva era così: si sentiva a metri distante dalla terra, ma troppo lontano dalle stelle, teletrasportata in un mondo parallelo, a metà tra finzione e realtà. Poi il buio.
"non sono cattiva, Justin" sussurrai guardando il pavimento "io non voglio tutto questo"
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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PRESENTAZIONE-  tratto dalla storia

"Io ti amo non lo capisci?"  gridò con tutta la rabbia che aveva dentro "si, Justin ma quale parte di me ami?"  
**
"sta succedendo di nuovo..."
**
"non ricordi nulla?"
si fermò con le lacrime "nulla di quello che c'è stato?" non capivo.
**
"non lasciarmi Justin posso essere migliore di così" 

PROLOGO


"tu sei malata, Jade!" le parole mi penetrarono come spade di vetro e mi perforarono quel briciolo di dignità che mi rimaneva "ho solo bisogno di qualcuno perché non lo capite?" le mie parole si spezzarono pian piano, rotte dalle lacrime. Mi sarei aspettata un abbraccio o qualcosa di confortevole da parte della donna che mi aveva messa al mondo. Ma per lei ora ero solo un oggetto, senza anima.

Si irrigidì "abbiamo fatto il possibile" mi voltò le spalle, forse per sempre e uscì dalla stanza lasciandomi sola con la mia disperazione mentre invano tentavo di aggrapparmi alla porta chiusa. Era come un incubo, ma quella era realtà. Era come dormire, ma stando svegli. Era come morire ma eri vivo.
In realtà non eri nè vivo nè morto. Eri un fantasma in cui batteva un cuore. 

CAPITOLO PRIMO- "She don't like the lights"

Era arrivato il fatidico giorno.
Niente poteva andare storto.
Avevo prenotato tutti gli autobus e treni per portarmi a quell’ora davanti a quell’Arena, a Londra. Avevo programmato qualsiasi scusa in caso di inconvenienti con mamma e papà e mio fratello Jaden mi reggeva il gioco.
Ero pronta per incontrare il mio idolo.
Dopo tanti anni di attesa, averlo visto solo in TV, dietro uno schermo, sentito la sua voce su YouTube o sul mio IPod. Dopo aver lottato con i miei genitori che non lo volevano nella mia vita. Dopo averlo difeso dai miei compagni dal cervello di gallina. Ce l’avevo fatta. Lo avrei incontrato.
Avrei incontrato la mia vita, il mio sorriso, la mia forza di andare avanti, il mio primo e ultimo ragazzo immaginario, tutto ciò che c’è di buono nella mia vita era Impersonificato d lui.

Uscii di casa mentre mia madre preparava la cena, dalla finestra di camera mia, dove qualche ora prima avevo posizionato una scala. Mio fratello distraeva mia mamma destando stupore tra i miei parenti mentre la aiutava a cucinare e ad apparecchiare.
Correvo abbassandomi tra le luci soffuse della sera incanalandomi verso quelle della notte e lasciandomi alle spalle la mia casa che avrei rivisto certo, ma mentre mio padre mi ci portava a calci. Valeva la pena di vederlo, di sentire la sua voce dal vivo, di guardare la sua ragazza speciale, di sentire le urla della folla acclamante, di percepire il suo abbraccio da lontano e avere la mia vita davanti agli occhi per 3 intere ore!
SI, ne valeva la pena.
Salii sul primo treno da Manchester a Londra. Da Londra avrei preso la navetta per arrivare in centro e successivamente la Circle Line, avrei cambiato per Sud-Ovest e sarei arrivata all’immensa, gigantesca, perfetta Arena O2.

Tutto andò per il meglio, ma più mi avvicinavo a destinazione più sentivo lo stomaco chiudersi in un nodo, il cuore che voleva uscire dal petto e le ginocchia tremare. Sentivo che stava per succedere qualcosa ma non sapevo se positiva o negativa. Le mie mani sudavano freddo e continuavo a sfregarle tra di loro.
In treno tutti mi guardavano storto, sia per il mio comportamento tendente alla schizofrenia, sia per la maglia del Tour, ma in tram a Londra c’erano molte più ragazze “come me”. Erano vestite con la sua maglietta nera, e mi sorridevano nervose. Sapevo come si sentivano. Ce ne erano di tutte le età e di ogni tipo ma tutte con uno stesso sogno: ed è questo che ci accumunava. Il fatto di voler dare parte della nostra vita ad una persona che non sa neppure della nostra esistenza, ma verso cui ci sentiamo riconoscenti. Senza il suo aiuto magari ora saremmo state come tutte le altri adolescenti: trucco, vestiti, sigarette, dorga e sesso. Invece no, lui ci aveva dato un motivo per rimanere noi stesse: il fatto che se sei te stessa qualcuno ti ama davvero. E quel qualcuno era lui.

Arrivammo a destinazione e l’immensa struttura si presentò davanti ai miei occhi allucinati da quella grandezza. Era un enorme tendone con delle lunghe aste che correvano da una parte all’altra della cupola. Era tutto illuminato di blu e c’erano venditori con i suoi gadget ovunque, ma io, io guardavo solo avanti e pensavo solo di essere a pochi metri da lui. Nulla sarebbe andato storto ora. Dovevo solo entrare e vivere l’esperienza più bella della mia vita.
Dopo qualche controllo di routine per qualche oggetto sospetto mi fecero entrare. Ero calma, serena e sorridevo a chiunque mi passasse accanto. Sorridevo e basta. Senza pensare a nulla.Mi indicarono il mio settore “settore 113 signorina” ora che ci penso era la prima voce che mi  parlava dalla mia partenza e questo mi fece sentire sola ma continuai a sorridere pensando a lui. Mi incamminai verso la porta blu preparandomi alla vista del palco addobbato sotto i miei occhi.
C’erano schermi ovunque e fumogeni, fumogeni, ma ce l’avevo fatta.
Ero in prima fila accanto al palco e la prima cosa che feci dopo aver poggiato quel poco che mi ero portata dietro mi affacciai dalla ringhiera e vidi tanti cloni di me che si affollavano sotto il palco pronte ad urlare a chiunque facesse il suo nome.

“JUSTIN BIEBER”

La folla osannante, che comprendeva anche me, si mise ad urlare il suo nome come se fosse l’ultima parola che avremmo detto di lì a 50 anni. Mi sentivo completa, piena e il mio sorriso splendeva ancora di più, se fosse possibile.
La mia voce si faceva sempre più roca mentre strillavo ogni sua singola nota. Stavo cantando con lui. Stavo cantando con la persona che più ammiravo e lo stavo facendo a metri di distanza da lui. Nessun computer, nessuna televisione, nessuna distrazione. Solo io e lui che cantavamo. Era il mio sogno.
Quello di diventare una cantante. Volevo diventarla. Mi piaceva sentire di far star bene le persone, di farle sentire protette, sicure, felici, amate. Amavo la musica e amavo farla. Ma dopo quella maledetta estate tutto cambiò. Tutto per me divenne sfocato. Da allora ricordo a tratti ciò che vedo, ciò che ricordo. Avevo paura. Paura di dimenticare le cose belle e ricordare quelle brutte. Avevo paura quando ero da sola, ma non quella sera. No, quella sera ero la ragazza più felice del mondo.
Il mio cervello nel frattempo era partito da qualche altra parte. Forse nel caos, forse per le luci, non ero lì per qualche secondo ma in quell'unico secondo, un secondo sentii la mia mano appesantirsi e trascinarla verso se. Avevo lo sguardo perso, il cuore in mano e il fiato in gola ma scossi a testa e lo vidi. Vidi il suo dolce sorriso accarezzarmi l’anima mentre teneva la mia mano dal palco e con l’altra si reggeva i calzoni come faceva di solito.

Il suo personaggio avrei scommesso che se mi avesse toccato sarei andata in visibilio e lo avrei assalito ma non successe. La mia faccia divenne raggiante e due lacrime di gioia si nascosero dietro le gote rosse per il caldo. La mia voce non parlava più, il mio cuore non sussultava. Ero immersa nella calma più totale e il rumore si era trasformato in musica, musica dolce mentre il suo viso lasciava la mia visuale e la sua mano abbandonava la mia con delicatezza sotto le note di “She Don’t Like The Lights” .

Per tutta l’ora successiva mi dimenticai di tutto quello che avevo vissuto nella vita precedente, dei miei parenti, dei medici, delle medicine, delle delusioni, pianti, urla, sofferenze, ricordi, brutti ricordi, dei miei genitori e la punizione che mi sarebbe aspettata. Pensavo solo a quello che stavo facendo assaporando ogni sua parola, ogni suo gesto, come se non lo avessi visto mai più. E in quel momento pensavo davvero di non rivederlo più.
Ora ero al culmine delle emozioni e dovevo darmi una calmata così abbassai per qualche secondo lo sguardo in cerca di buio per risposare gli occhi ma nell’oscurità, tra il pubblico vidi due persone. Un uomo e una donna che muovevano le dita indicando persone tra il pubblico e vociferando tra di loro. Io li fissai.
Non riuscivo a smetterli di fissarli e le lacrime che salirono fino sotto il naso. Ad un tratto mi sentii osservata: stavano ricambiando il mio sguardo e la donna sorrise indicandomi. Sparirono per qualche secondo e iniziai a cercarli per vedere cosa avessero visto in me che non li piaceva e avevo un po’ di panico. Ora stava finendo la canzone “Beauty and a Beat”, prima dell’assolo con la batteria di Justin. E quei due strani signori non si erano visti.

“Vuoi essere tu la One Less Lonely Girl?” tutto intorno a me si fermò.

Gli sguardi delle persone che potevano sentire erano puntati invidiosi su di me, il viso della donna di prima,che ora riconoscevo essere Allison, con un sorriso sulla faccia e una mano stampata sulla mia spalla mentre annuiva. La mia testa seguì la sua facendo almeno cento volte su e giù nervosamente.
La mia piccola personcina stava per essere catapultata sul palco con il suo idolo, mentre le dedicava una delle canzoni più dolci che abbia mai sentito coronata da applausi, grida e un mazzo di fiori. Ero certa che sarei potuta morire da un momento all’altro.
Mentre dal backstage sentivo la sua batteria tuonare tra cascate di applausi, mi fecero indossare una casacca blu sopra la maglia con la sua faccia, i miei pantaloncini e le Supra bianche. Il filo di trucco che mi ero messa svanì durante la serata, e pensavo a come potevo apparire ai suoi occhi e iniziai a lacrimare.
I grandi omoni di colore mi teletrasportarono dietro le tende prima del palco mentre Justin finiva il ritornello di One Less Lonely Girl. Da quel momento in poi sarei stata per sempre felice. Nulla mi avrebbe buttato giù, pensando a quel momento. Pensare che ero stata scelta tra più di 20.000 ragazze che erano al concerto e tra milioni di beliebers i brividi salirono lungo il mio corpo. Tutto era perfetto.

Ma qualcosa andò storto.

“Si è lei la ragazza” i miei occhi si chiusero appena tremando, la mia testa percepì tutto come un grande tuono e le voci si fusero in un’unica cantilena “Jade… Jade…Jade”. Odiavo sentire pronunciare il mio nome così,come se fossi la delusione più grande del mondo. E’ vero. Non ero un genio in matematica o una futura ballerina alla Royal Ballet, ma ero un’ adolescente di 16 anni come potevo dare delle grandi soddisfazioni?

Tutto da quel momento mi era sfuocato.




**



“si certo me ne rendo conto” “assolutamente” “le chiediamo di nuovo scusa ma le succede spesso: quando non prende le medicine”
Scossi la testa cercando ci capire dove fossi. Purtroppo era camera mia. Avevo la maglia di Justin e la prima cosa che vidi fu che la mia camera era vuota. Troppo vuota. Poi notai mia madre che riattaccava il telefono e si dirigeva verso di me e mi sarei immaginata la sua faccia straziata e dolorante, preoccupata ma sollevata di vedermi sveglia.
“Jade!” invece urlò “ti rendi conto di che bravata hai combinato?” di cosa stava parlando? 

"come ti senti?" mi guardò dall'alto verso il basso portando i suoi occhiali fini sulla punta del naso. "senta, questa cosa della visita è una gran cavolata: io sto bene. sto alla grande" "bhe non si direbbe signorina Heyley" "cosa intende?" portò giù il suo blocco per le note su cui ero certa stesse scrivendo tutto tranne che quello che gli stavo dicendo. "questi sbalzi d'umore non sono un buon segno" "sbalzi d'umore?" sbottai "lei mi ha chiesto se ho mai pensato al suicidio!" stava adnando davvero troppo oltre.
Annotò sul taccuino qualcosa.
"bene" mi guardò "se ne vada" concluse. ero libera!

 




 

   
 
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