Disclaimer: i personaggi presenti in questa fanfiction sono
copyright delle Clamp, pertanto io non li utilizzo a scopo di lucro, bensì per
puro diletto e soddisfazione personale (e, ovviamente, perché sembra che se non
sforno almeno una oneshot al mese non sono contenta X°D).
Note: è stato un parto, e a dirla tutta non sono nemmeno convinta di ciò che
ne è uscito. Era un po’ che una oneshot non si scriveva da sola °-°
Considerando che era partita per essere seria e introspettiva, e alla fine non
ho seriamente idea di cosa sia. Sarà che sono notti che il mio sogno ricorrente
è fare da balia ad un branco di mocciosi che scorazzano per il centro
commerciale (ed io con loro, con tanto di roller blade…), sarà che scrivere tre
oneshot su TRC con tre pairing diversi che non ci azzeccano niente fra loro non
è consigliabile (perché, se io non comincio almeno 3-4 oneshot tutte insieme
non mi sento appagata XD)…
Ad ogni modo, le “raccomandazioni”
sono sempre le stesse. Se trovate errori, OOC mostruosi (dai che stavolta posso
farcela!) o cose eccessivamente oscene, sbizzarritevi a segnalarmelo ù_ù Tra parentesi, appena capirò perché mi converte questa parte sottolineandola, sarò molto felice, intanto mi scuso per il danno visivo che comporta XD
Ringraziamenti: a Francesca Akira89, senza la quale questa oneshot
non mi sarebbe passata nemmeno per l’anticamera del cervello. Spero che ti
piaccia, visto che te la dedico dalla prima parola all’ultima imprecazione del
caro piccolo Kamui ù.ù (sia chiaro, non perché le imprecazioni sono dirette a
te >.<)
Per il resto, semplicemente: Enjoy ^^
Because of
Him
« “Non tutti sono
destinati ad essere felici, Kamui”.
Lo disse Subaru,
diverso tempo fa, ancor prima di Acid Tokyo.
Pensavo che…
parlasse di quel cacciatore.
Ora però… so che aveva ragione.»
La
storia dei due vampiri gemelli, la conoscono tutti: sia quella vera, che quella
falsa. Gli uomini con cui adesso, in questo nuovo mondo, sono “costretti” a
convivere, sanno che i due, giunti lì da due mesi, vivono soli, nel silenzio.
Sono due, sono identici, eppure le opinioni su di loro non coincidono: c’è
Subaru, quel ragazzo così gentile che sorride spesso ai compaesani, dai movimenti
fluidi ed eleganti e il carattere mite.
Parla
sempre con tono pacato e molta pazienza nei confronti di chiunque; e loro lo
apprezzano, rivolgendogli sempre un saluto.
Poi
c’è Kamui, i cui movimenti eguagliano quelli del fratello in fluidità ed
eleganza, il cui aspetto richiama, per ovvi motivi, quello di Subaru. Eppure,
Kamui è diverso: i compaesani non lo hanno mai visto sorridere, in nessun modo,
mantenendo solo l’espressione seria sul proprio viso, quasi apatica. Non parla
mai, nemmeno per rispondere, e cammina con la testa alta e lo sguardo sempre di
fronte a sé, come se la strada che percorre fosse deserta.
Kamui
sembra stare lì in mancanza di qualcosa di meglio, e gli esseri umani sono
troppo permalosi per loro stessa natura, per non accorgersene e non prenderla
sul personale: si dicono che, probabilmente, Kamui è stato il più problematico
dei due fin da bambino e, chissà, forse è pericoloso. Nessuno pensa al fatto
che Kamui sia così per sua scelta o per un motivo ben preciso.
E
lui, non lo specifica mai, anche se sa perfettamente di essere giudicato.
«Vado io.» dice Subaru, quando bussano alla porta di casa, ma Kamui è già qualche passo avanti a lui: «Sta seduto.» dice, ed è poco meno di un ordine, Subaru se ne accorge e sorride, triste, mentre Kamui giunge alla porta e la apre; un bambino è davanti alla soglia, ed è qualcuno che riconosci, vero Kamui?
«Kamui-san!»
esclama, e sembra agitato; chissà, probabilmente si aspettava che ad aprire
fosse Subaru.
«C’è
Subaru-san?» domanda, più calmo quando ha finito di riprendere fiato. Kamui,
osservandolo, si limita ad annuire, voltandosi e tornando dentro, sentendo i
passi del ragazzino dietro ai suoi. In salotto, Subaru lo osserva incuriosito,
espressione alla quale Kamui si limita a rispondere: «Kazuki.»
Solo
allora, Subaru nota il bambino: «Kazuki-kun, come mai qui?»
«Subaru-san!
Nella piazza la banda del niisan sta combattendo di nuovo!» esclama, verso il
ragazzo, mentre Kamui sbuffa: solo Subaru poteva mettersi in mezzo ad una
disputa di mocciosi, che reclamavano la sua presenza come i soldati reclamano
quella del generale.
«Nataku-kun
e Yuto-kun hanno attaccato briga?» domanda Subaru, calmo e gentile.
«Sono
stati quelli del gruppo della piazza est a cominciare!» rimbecca lui, facendo
sorridere Subaru, mentre Kamui guarda altrove, ben sapendo che stavolta il
fratello si farà mettere in mezzo da un gruppetto che oscilla tra gli otto e i
tredici anni, e che finisce puntualmente per litigare per chi deve giocare in
quel parco con la fontana che, durante l’inverno che in quella dimensione dura
per metà dell’anno, si ghiaccia e risulta quindi inutile.
«Va
bene, andiamo a limitare i feriti, Kazuki-kun.»
Ecco,
appunto, come volevasi dimostra il “Generale” andrà anche stavolta. E a lui,
Kamui, toccherà andargli dietro.
***
«Satsuki-chan! Satsuki-chan! Abbiamo un ferito!»
«Portalo
pure qui, Kusanagi-kun.»
Il
dodicenne accompagna Yuto dalla ragazzina, per poi tornare alla battaglia,
mentre lei traffica con la piccola borsa del pronto soccorso che si porta
dietro, nei grandi combattimenti come quello. Ed è mentre estrae un batuffolo
di ovatta che Subaru si avvicina con Kazuki.
Kamui,
invece, preferisce restare in disparte, dove i ragazzini non hanno modo di
metterlo in mezzo.
«Satsuki-chan,
come procede?»
«Yuto-kun
le ha prese da Sorata del gruppo Est.» dice, con un tono che lei reputa
professionale, indubbiamente.
«Ehi!»
replica offeso il biondino «gliene ho anche date tante!» esclama, orgoglioso.
Subaru sorride, voltandosi verso Kamui, che non sta nemmeno guardando verso di
loro; è allora che Satsuki lo nota: «Subaru-san, quello è tuo fratello?»
Subaru
annuisce, mentre Kamui, da parte sua, osserva a tratti e con disinteresse la
scena, sentendo vari urletti dei mocciosi.
«Sìììììììì!
Ho sconfitto Yutooo!» sente esclamare quello che lui riconosce come Sorata del
gruppo della Torre, e che lì non è che uno dei dodicenni della piazza Est. Lo
vede dirigersi verso una moretta, il nome non lo ricorda: «Arashi! Arashi! Hai
visto cosa ho fatto?!»
«Sì.»
sente rispondere alla bambina, che però mantiene un’espressione neutra.
«Sìììììììì!
Arashi mi ha visto! Ti dedico la vittoria!»
«Ma
non abbiamo ancora vinto.» obietta lei, infrangendo i sogni di gloria del
ragazzino che, per tutta risposta, si rivolge ad uno dei ragazzi più grandi del
suo gruppo: «Seichirooo! A-chan non capisce i miei sentimentiiii!» piagnucola,
mentre – Kamui lo riconosce – Seichiro della Torre posa una mano sul capo del
dodicenne.
«N-non
mi chiamo “A-chan”!» lo rimbecca la mora, arrossendo imbarazzata. Subaru, nell’osservarli
sorride e si chiede se a Kamui faccia piacere o meno rivedere lì quelli che
erano stati i compagni di Acid Tokyo; e d’altra parte, il fratello non ne parla
mai, né lascia trapelare pensieri simili. E allora, Subaru si sente in colpa,
perché lui a Seishiro pensa spesso, e a volte vorrebbe tornare indietro, mentre
Kamui è così forte che tentennamenti simili non ne ha mai.
«Sei-kun,
come procediamo fino al suo arrivo?»
«Si
è raccomandato di continuare sempre a raggruppare munizioni per questa battaglia
di neve, quindi per ora direi di occuparci di quello, Karen-chan.» replica il
ragazzino con gli occhiali, il tono pacato e il sorriso placido sulle labbra.
«Seichiro-kun!
Sta per arrivare, sta per arrivare!» esclama quella che sembra una delle più piccole
del gruppo Est: i compagni l’accolgono come qualcuno che torna da una missione
importantissima, e prendono a bisbigliare fra loro, dando tempo anche al gruppo
dove si trova Subaru di riorganizzare le forze.
Kamui
lo osserva, ma non muta posizione fino a che Subaru non gli fa cenno di
avvicinarsi; lo sa, che Kamui è contrario al suo giocare con i bambini, perché
sono in quel mondo per fuggire da… Seishiro. Però, da quando sono lì, Kamui
parla sempre meno e molti sono ostili a suo fratello, Subaru lo sa. E non
riesce più a capirlo come una volta. Per questo vorrebbe coinvolgerlo in
qualcosa, anche di infantile, non importa: «Che c’è?» domanda, quando li
raggiunge. I bambini lo osservano in silenzio, alcuni sorpresi, alcuni in
soggezione, forse.
«Subaru-san,
perché deve stare qui anche lui?» domanda Yuto, e tutti lo fissano, mentre
Subaru gli risponde: «Forse Kamui può aiutarci. Fratellino, organizzi con noi
la “difesa”?» domanda, lo sguardo sul gemello, che da parte sua non capisce né
dove lui voglia andare a parare, né per quale motivo dovrebbe giocare con la
neve con i mocciosi. Tuttavia, siccome è Subaru che lo chiede, probabilmente
alla fine lo farà.
«…Difesa?»
non può comunque fare a meno di chiedere, perplesso.
«Subaru-san,
lui non c’entra niente con noi!» esclama Yuto, guardando male Kamui, che a mala
pena lo degna di uno sguardo freddo, prima di continuare: «Sta sempre a
fissarci come se fossimo stupidi, non lo sopporto!» aggiunge, interrotto da
Kusanagi: «Yuto, smettila.»
«Perché
dovrei?!»
«Mettiamola
ai voti, come abbiamo sempre fatto.» propone Satsuki, benché lo sguardo che
rivolge a Kamui non sia né benevolo, né malevolo. Neutra, ad immagine e
somiglianza della Satsuki adulta che il moro ha avuto nel proprio gruppo nella
dimensione precedente a quella. Quando c’è solo silenzio, Yuto prende la
parola: «Bene, tu cosa ne dici Kusanagi?»
«Per
me può stare a darci una mano.» replica il dodicenne, avvicinandosi di poco a
Yuto, quasi a voler mettere in evidenza la sua altezza innaturale per la sua
età, che lo fa sembrare d’aspetto il più grande del gruppo. Il biondino lo
fissa, spostando poi lo sguardo su Nataku, la domanda implicitamente la stessa.
«Abbiamo
sempre fatto queste battaglie da soli.» dice guardingo il fratello maggiore di
Kazuki, osservando di sbieco Kamui, che medita seriamente di allontanarsi da
quel gruppo di ragazzini seduta stante.
«Kazuki?»
«Io
voglio anche Kamui-san nel gruppo!» esclama il più piccolo, mentre Yuto si
rivolge a Satsuki, unica bambina del Gruppo Ovest.
«Piazza
Est contro Piazza Ovest. Kamui-san non è in nessuna delle due.» dice la
ragazzina, con logica. Il biondo si volta verso Kakiyo, l’unico a non aver
ancora votato oltre a lui, il quale si volta verso Kamui, osservandolo come il
Kakiyo adulto era solito fare, soppesando ogni situazione.
«Per
me può stare.» dice infine, seguito da Yuto: «siamo tre contro tre, quindi il
voto è nullo.» dichiara, e Kamui non lo prega di certo perché cambi idea, anzi
si stupisce forse dell’atteggiamento troppo serio che quei ragazzini usano
malgrado l’età per una semplice battaglia a palle di neve.
Ma
a lui non interessa quella “lotta”, come non gli interessava quella di Acid
Tokyo.
Non
gli importa chi avrà il “comando” su quel parco, proprio come non gli
interessava dei sotterranei del Palazzo del Governo.
Doveva
proteggere Subaru, solo quello era importante, tanto adesso quanto allora, e
solo per questo si era unito al gruppo di Tokyo. Solo per questo era lì, benché
non ne avesse la minima voglia o intenzione.
«Fuu-chan!»
esclama la bambina sui nove anni che sta nel gruppo di Sorata; sia Kamui che
Subaru si voltano a guardare il dodicenne che è appena arrivato, che sorride
alla bambina salutandola cordiale: «Ciao Yuzuriha.»
Lo
riconoscono entrambi, ma le reazioni sono diverse, sebbene solo Kakiyo sembra
accorgersene: Kamui non ha più lo sguardo apatico, non sembra più scocciato di
stare perdendo tempo. Osserva il ragazzino come si osservano i ricordi, solo
che Kakiyo non riesce a capire i sentimenti di quegli occhi che non hanno quasi
mai espresso nulla di visibile agli altri. Kamui nasconde qualcosa, adesso il
ragazzino ne è sicuro.
«Scusate
il ritardo, ragazzi, ho finito di studiare poco fa.» si giustifica Fuuma,
facendo poi un passo avanti verso il gruppo di Nataku e gli altri, sorridendo
divertito mentre tutti sono muniti di palle di neve, pronti all’ultimo round
della giornata: «Sorata-kun» si rivolge al compagno «a te l’onore.» dice,
criptico.
Sorata
sorride, ed è palese che sta puntando Yuto.
Poi,
il segnale che decreta l’inizio: «Caricaaaa!»
***
«Grazie per la tattica che hai suggerito, Subaru-san!» esclama Yuto, fradicio sui pantaloni e sulla parte destra del maglione.
«Già,
così abbiamo concluso con un pareggio e la partita è ancora aperta.» gli dà man
forte Kusanagi, che si sta scrollando via la neve dai capelli scuri. Subaru
sorride divertito, togliendo un po’ di neve dalle spalle di Kakiyo: «Di
niente.» replica, mentre Kazuki e Nataku salutano tutti, andando in contro ai
propri genitori come – nota Subaru, osservando l’altro gruppo – stanno facendo
anche Arashi e Yuzuriha, salutando Fuuma che è l’ultimo rimasto.
E
allora lo nota: Kamui, che siede su una panchina del parco, le braccia
incrociate al petto, l’espressione pensierosa, mentre osserva Fuuma; che gli
appaia diverso perché è un bambino? Che sia seccato perché non può attaccarlo
normalmente?
Subaru
non riesce a capirlo.
«Subaru-san?»
si sente chiamare, e si volta verso Kakiyo. Quel ragazzino che resta quasi
sempre in silenzio e che, tuttavia, dà sempre la sensazione di capire molte più
cose, e molto più profondamente dei suoi coetanei. Ne sorride, per la
somiglianza con il Kakiyo dell’altra dimensione.
«Kamui-san…
voi sembrate distanti. Da noi, fra voi. Tu lo mascheri abbastanza bene in tutti
e due i casi, Subaru-san, ma lui» dice, ed indica il moro seduto «non fa nulla
per nasconderlo. Non prova nulla di visibile, e i suoi pensieri non arrivano a
nessuno.» continua, e non sembra davvero un bambino di dodici anni quale è.
«Però
adesso… noto qualcosa, rispetto a quando siete arrivati. Sembra che adesso,
Kamui-san stia davvero male.» conclude, preoccupando Subaru.
Non
perché non se ne fosse accorto, al contrario.
Perché
sperava di essersi sbagliato.
Avanza,
sedendosi su una panchina che, casualmente, è l’unica occupata, e chi vi siede
resta con lo sguardo di fronte a sé, anche se lui gli si è seduto accanto.
«Sei
il fratello di Subaru-san?» domanda, gli occhi su Kamui che annuisce
impercettibilmente, senza però voltarsi: «Gemelli?» continua Fuuma, e Kamui
ancora una volta annuisce e basta, lasciando cadere il silenzio. Entrambi
tacciono, Fuuma incuriosito da quel ragazzo visto raramente per il paese, e per
la prima volta lì dove avvengono le “battaglie”: «Come ti chiami?»
«Non
t’interessa saperlo.» risponde, laconico. Il dodicenne resta perplesso,
fissandolo: «Ma se non m’interessasse non te lo chiederei…» obietta, e la
risposta di Kamui non tarda ad arrivare.
«Allora
diciamo che non voglio dirtelo.»
«Non
le piace il suo nome, signore?» domanda, passando dal “lei” al “tu” senza
pensare, senza curarsi della formalità, che nel modo naturale di fare dei
bambini è qualcosa che, normalmente, appare assente, pensando erroneamente che
ciò che sta infastidendo Kamui sia quello.
«Mh.»
lo liquida, sperando che non abbia altre domande. La voce che, al posto di
quella del ragazzino interrompe il silenzio poco dopo, si rivela appartenere a
Satsuki, che si rivolge ad entrambi: «Fuuma-kun, metti qualcosa sul ginocchio,
o si infetterà.» dice, figlia di dottori con deformazione professionale a soli
undici anni. Fuuma sorride appena, lo sguardo che va sul ginocchio sbucciato:
«Non preoccuparti, Satsuki. Ci vediamo domani a scuola.»
«Tieni
questa, me la puoi restituire domani.» dice, porgendogli la borsa con
disinfettante e cerotti che si porta sempre quando ci sono scontri come quello
appena concluso, prima di rivolgersi a Kamui: «Kamui-san, controlli che
Fuuma-kun si disinfetti? Da solo non lo fa mai.» dice, l’espressione severa per
quanto possibile su un volto infantile come il suo. Kamui non risponde, ma
evidentemente Satsuki lo prende come un “sì”, a giudicare dal suo congedo:
«Arigatou.» dopo il quale si allontana.
«Kamui…
è un bel nome.» dice Fuuma, che finalmente ha ottenuto una risposta, in un modo
o nell’altro.
«Quando
non te lo storpiano, sì.» ribatte il moro, osservando la piccola sacca lasciata
dalla ragazzina, mentre i vari “Kamui-chan” di Acid Tokyo lo fanno rabbrividire
più del freddo che c’è nell’aria ormai serale. Fuuma non parla, finché Kamui
non gli afferra una gamba, posizionandola senza sforzo sulle proprie,
costringendo il dodicenne a sistemarsi per seguire i movimenti del più grande.
«Kamui-san,
ma cosa…?»
«Vietate
le domande stupide. Mi sembra ovvio.» lo blocca a metà frase, pulendo veloce il
ginocchio sbucciato, i movimenti precisi ma incerti. Mica è un medico lui, in
fondo.
«Ma
non serve.»
«Forse.»
taglia corto, mettendogli poi in mano un cerotto: «questo spero tu sia in grado
di mettertelo da solo.» conclude, tornando poi con lo sguardo davanti a sé.
Fuuma mette il cerotto sul ginocchio e resta in silenzio per un po’:
«Kamui-san, se non sopporti i ragazzini perché oggi sei venuto qui?»
«Solo
perché non mi comporto come Subaru, non significa che io non sopporti i
ragazzini. Non ho ancora un motivo valido per farlo, anche se si può sempre
rimediare.»
«Però
non sembri sopportarmi.»
«Infatti.
Ma non perché sei un ragazzino.»
«E
allora perché?»
«Perché
somigli molto ad una persona che conosco e che non posso soffrire.»
Fuuma
lo osserva, ma non capisce: in fondo, però, questo Fuuma è solo un ragazzino
che con quello che il moro ha conosciuto ha ben poco a che fare, quindi, forse,
è anche normale che non riesca a capire. Ma Kamui, non sembra curarsene, né
preoccuparsi del fatto che non è il caso di prendersela con il formato mignon della
persona che meno sopporta fra tutte quelle conosciute, ovviamente lasciando il
primato più che meritato a Seishiro.
«Vorresti
rivederlo?»
«Tu
vorresti rivedere qualcuno che ti fa innervosire solo a guardarlo?»
«…non
lo so.» risponde. Kamui lo fissa, alzandosi: «E allora lascia perdere.» dice,
osservando la fontana ghiacciata al centro della piazza.
«Grazie
di aver fatto compagnia a mio fratello.»
«Ha
fatto… tutto Kamui.»
«Allora
dovrò ringraziare Kamui-san.» dice, e sentendolo Kamui si volta verso suo
fratello e lo vede.
Un
Seishiro quindicenne che parla con Subaru… un Subaru un po’ impacciato,
dall’aria triste eppure felice al tempo stesso; e Kamui lo conosce bene, il
motivo: è quel quindicenne, che come nell’altra dimensione è il fratello di
Fuuma.
Perché
Seishiro è la felicità di Subaru.
Perché
Seishiro è colui che Subaru vorrebbe accanto, è colui da cui desidera essere
abbracciato.
Kamui
lo sa, che se Subaru potesse incontrare Seishiro sarebbe molto, molto più
felice di ora; ma Kamui, per quanto ami suo fratello, sa anche che Seishiro è
un pericolo per lui: se l’è sentito addosso, tutte le volte che si sono
incontrati.
Per
questo ha intenzione di continuare a fuggire attraverso le dimensioni.
Per
questo Kamui non può incontrate il Fuuma di Acid Tokyo, anche se ogni tanto ci
pensa e si ripete che è da stupidi voler rivedere uno come lui. E per che cosa,
poi, per combattere? Per schernirsi a vicenda?
No.
Lo
sa che non è uno scontro che cerca, eppure… è infastidito da quella sensazione,
dal fatto di dover mettere a tacere quella voce che ogni tanto gli dice che
forse sarebbe giusto andare dove si trova il cacciatore. Odia la confusione
mentale quando ci pensa e non sopporta il desiderio di rivederlo che si sente
addosso e che non riesce a spiegarsi.
Kamui
sa che non può.
Sa
perfettamente che non deve incontrarlo, se può evitarlo, non importa quanto
abbia voglia di farlo.
Lui
sarà sempre con suo fratello Seishiro.
Se
Kamui incontrasse Fuuma, incontrerebbe anche l’altro, e lo stesso Subaru; e
Kamui vuole proteggere suo fratello, per questo lo ha promesso.
Lui
non rivedrà mai più Fuuma.
«Seishiro
nii-san!» esclama il ragazzino, distogliendo il moro da quei pensieri. Seishiro
sorride, facendo un lieve cenno con il capo a Subaru in segno di saluto, prima
di dirigersi verso di loro. Fuuma muove qualche passo, voltandosi poi verso
Kamui: «Kamui-san, grazie per il cerotto. Arrivederci.»
«Mh.»
replica il moro semplicemente, osservandolo mentre se ne va.
Non
ci sarà una prossima volta per rivedersi.
È
ora di andarsene, sia per Subaru, che per lui.
***
«Oggi
pomeriggio non c’è nessuna battaglia, Sora-chan?»
«No,
Yuzuriha, e io non potrò vedere Arashiiii!» risponde il ragazzino con aria
melodrammatica. La moretta sorride divertita: «Puoi venire da noi a studiare,
se vuoi.» propone, il tono allegro, ridacchiando quando Sorata prende a
saltellare per la strada.
«Arashi
non lo sa, vero?»
«Fuu-chan!»
esclama sorpresa la ragazzina «No.» ammette, con un piccolo ghigno «Ma so che
sarà contenta.» conclude. Fuuma le sorride, divertito, muovendo qualche passo:
«Lo vedrò domani in classe.»
«Sì!»
ridacchia lei «A domani, Fuu-chan!» saluta di rimando Yuzuriha, mentre il
tredicenne si avvia lungo la strada di casa.
Avanza,
costeggiando il parco dove spesso “combattono” e sorride appena nell’osservare
la neve che ancora copre l’asfalto; tuttavia i piedi si fermano automaticamente
quando nota qualcuno di già visto, sebbene un anno prima, correre via dal
parco. È sorpreso, forse ha visto male, perché non è possibile che quel
ragazzino che è corso via, e che non dimostra più di dodici anni, sia davvero
uno dei due gemelli ormai spariti dalla circolazione quasi un anno prima.
Non
può davvero essere Subaru, che – ne è certo – avrà più o meno diciassette anni.
Scuote
la testa, quasi a scacciare quella che, senza ombra di dubbio, deve essere
stata un’allucinazione. Ma malgrado la pensi così, malgrado sia il primo a
dirsi che se anche qualcuno si è davvero allontanato di corsa, con ogni
probabilità lui ha bisogno di un paio di occhiali da vista, si avvicina
comunque all’entrata del parco, deserto vista l’ora in cui ancora i ragazzi
della sua età devono tornare a casa dalla scuola. Lascia vagare lo sguardo, non
incontrando altro che neve e alberi, finché non lo scorge: un ragazzino, che
somiglia davvero troppo a quel Kamui con cui intavolare una conversazione era
praticamente impossibile.
E
forse, Fuuma si avvicina più per accertarsene che per altro.
Solo
una volta che si è accostato a lui nota non solo che quello che ha davanti è il
sosia del moro conosciuto, solo della sua età, ma che sembra essersi fatto
male, in qualche modo.
«Ehi,
tutto bene?» domanda, osservandolo. Quello alza lo sguardo – di un colore
strano, sì… gli sembrava che anche Kamui-san lo avesse simile – fissandolo a
metà fra lo scocciato e il risentito. Misto ad una bella dose di totale
mancanza di fiducia.
«Chi
sei?»
«Mi
chiamo Fuuma. Tu?»
«Che
vuoi?»
«Ti
ho visto a terra, così ho pensato ti servisse una mano.» replica lui, cortese,
un lieve sorriso sulle labbra, quello solito che rivolge un po’ a tutti, un po’
a nessuno.
«Allora
puoi andartene. Non mi serve aiuto.» risponde quel dodicenne, replica che Fuuma
non si fa bastare, differentemente da quanto accadeva con il Kamui adulto: «Non
essere sciocco. Cosa ti sei fatto?» domanda, senza muovere un solo passo. Il
moretto sbuffa, contrariato, tuttavia risponde: «Sono caduto dall’albero.»
«Ammetterai
che salirci con la neve che aiuta a scivolare non è molto saggio.»
«Beh,
mi sembra ovvio che non avevo scelta!»
Fuuma
lo fissa, perplesso ed incuriosito, posando la cartella a terra e spostando poi
lo sguardo sul piede destro dell’altro: anni di scuola con Satsuki, alla fine
si rivelano utili. Osserva il piede, certo non è un medico, ma è davvero troppo
gonfio per essere “niente”: «Dovresti farti vedere da un dottore.»
«Ci
pensa il nii-chan.» risponde quasi subito, come se avesse fretta di
sottolinearlo.
«Mh?
Quello che è corso via prima?»
«Sì,
il nii-chan.» ripete, e Fuuma a quel punto ha un dubbio che gli passa per la
mente: «Insomma, come ti chiami? Non ti ho mai visto qui.» domanda di nuovo,
sperando stavolta di ricevere risposta. Il moretto lo fissa con un lieve
broncio: «Kamui.»
Fuuma
sgrana appena gli occhi, e subito Kamui si mette sulla difensiva: «Prendimi
pure in giro, tanto non m’importa. Me lo dicono tutti che ho un nome strano. Ma
se lo dici anche del nii-chan, ti picchierò, sappilo.» dice, quasi a volerlo
subito mettere in chiaro. Fuuma lo fissa dapprima sbalordito, per poi ridere
divertito, impiegando diversi attimi per tornare serio abbastanza da
rispondergli: «Ma se mi arrivi appena alla spalla!»
«Eh?!»
dice indignato Kamui, osservandolo ridersela di gusto. E la reazione è
istantanea quanto scontata, forse. Si lancia letteralmente verso il più grande,
poco importa se buttandosi di peso addosso gli darà per sbaglio qualche
gomitata, anzi: ma la deve pagare per aver insinuato che è basso!
Forse
perché colto alla sprovvista, il tredicenne non mantiene il precario equilibrio
che già la sua posizione accovacciata gli consentiva, cadendo dapprima seduto e
poi totalmente sdraiato sulla neve, salvando la schiena dal contatto gelido
solo grazie al cappotto: «Ehi, ehi, non arrabbiarti, è vero che sei esile.
Anzi, diciamo mingherlino.»
«Non
sono nessuna di quelle due cose, e stai zitto!» dice, cercando di colpire alla
cieca: in fondo, l’importante è colpire, il “dove” è un semplicissimo quanto
trascurabile dettaglio.
Ma
Fuuma, che stavolta se lo aspetta, non fatica a bloccargli i polsi e quindi
sventare i suoi attacchi, rimettendosi quindi a sedere con un colpo di reni
neanche troppo forzato, visto il peso decisamente leggero del ragazzino. Lo
osserva, l’aria divertita dal broncio di Kamui: «Visto? Riesco persino ad
alzarmi con te addosso.»
«Non
ti sopporto, non mi piaci!» replica lui, offeso nell’orgoglio.
«Su,
su, Kamui-chan, non ti arrabbiare.» ripete, con pazienza «C’è un solo dottore
in questo paese. Vogliamo andare in contro a tuo fratello Subaru?» domanda,
dando per scontato quasi che il nome sia quello, destando sospetti nel moretto:
«Come lo sai, che il nii-chan si chiama Subaru?» chiede, sospettoso.
Ma
Fuuma sa già come correggersi, deve solo sperare che funzioni: «Ma come, me lo
hai detto tu poco prima di venirmi addosso.» replica, mantenendo il tono
tranquillo che ha di solito.
«Mh.»
replica semplicemente Kamui, cambiando discorso mentre Fuuma comincia a capire
che forse, questo Kamui è più facile da prendere in giro, rispetto a quello che
ha conosciuto un anno fa: «Ma io non ci posso andare, dal dottore.»
«Eh?»
domanda Fuuma, senza capire sul momento e ricollegando poi l’affermazione alle
condizioni del piede del dodicenne: «Ti porto io.» aggiunge quindi, come se
fosse ovvio, e non importa quanto Kamui protesti o quanto possa fare i
capricci, alla fine è il più grande ad averla vinta, riuscendo a caricarselo
sulle spalle in un modo o nell’altro. Kamui gli allaccia quindi le braccia al
collo, restando in silenzio e mettendo su un broncio a regola d’arte, per tutto
il tragitto.
Ed
è Fuuma, in effetti, a rompere quel silenzio: «Bene, eccoci qui.» avvisa,
quando raggiungono il piccolo edificio «Ti porto dentro e poi ti metto giù,
quindi puoi anche togliere il muso.» scherza su, ma il moretto nemmeno
risponde. Avanza quindi, entrando nel piccolo ambulatorio, dentro il quale
individua quello che – stavolta è sicuro non sia un’allucinazione – è Subaru,
anche se dodicenne. Parla un po’ con lui, mentre il dottore, il papà di
Satsuki, visita Kamui, e viene a sapere che sono venuti a vivere lì, ora.
E,
dopo poco, Kamui esce, il piede ora meno gonfio e fasciato in modo tale che non
possa subire altri traumi prima di essere guarito del tutto. Il moretto avanza,
mentre Subaru subito gli è accanto per vedere come sta, dicendogli che è stato
stupido, che non avrebbe dovuto arrampicarsi sull’albero solo per recuperare il
quaderno che altri ragazzini gli avevano nascosto.
«Ma
nii-chan, se tu fossi caduto ti saresti fatto male. Per questo sono andato io.
Stai bene, no?» domanda, come se la cosa veramente importante fosse che Subaru
stia bene, non si sia fatto male e abbia riavuto indietro il suo quaderno.
Fuuma sorride: forse, un po’ il Kamui dodicenne e quello che ha conosciuto si
somigliano.
Si
avvicina dunque a Subaru, rivolgendosi a lui visto che Kamui non sembra aver
dimenticato “il torto subito”: «Subaru-kun, ci vedremo sicuramente a scuola.»
dice, ed è un congedo sicuro, visto che di scuola, in quel paese, ce n’è una
sola, considerando soprattutto le dimensioni e il numero degli abitanti. Subaru
annuisce, un lieve inchino in segno di ringraziamento, dopo il quale Fuuma si
volta, per andarsene.
Ma
qualcosa glielo impedisce, o più precisamente, la sua manica che si è
impigliata da qualche parte e, quando si volta, scopre invece che viene tirata
appena da Kamui; lo fissa perplesso, in silenzio, lasciando che sia lui a
parlare: «Ci rivediamo davvero a scuola… Fuuma-chan?» domanda.
E
Fuuma sorride, gentile e sincero: «Certo che sì, Kamui-chan.»
***
Kamui non sa come diamine sia stata possibile una cosa del genere.
Dubita
fortemente che ci sia di mezzo lo zampino di qualcuno, e l’unica spiegazione
che saprebbe darsi è che si tratta di una coincidenza, ma quella Strega lo ha
detto, che cose simili non esistono. Esiste solo l’inevitabile, per suo dire.
Eppure Kamui non ce la fa psicologicamente a credere che tutto il fuggire e il
cercare di proteggere il fratello sia inutile perché è inevitabile che
debbano incontrare almeno uno dei cacciatori.
Se
non altro, fortuna vuole che stavolta non si tratti di Seishiro, e soprattutto
che Subaru non sia lì con lui quando incrocia di nuovo lo sguardo di quel tizio
odioso.
«Toh,
Kamui-chan, ci rivediamo.»
«Vorrei
poter dire “è un piacere”, ma mi hanno insegnato a non dire bugie.» replica,
tagliente. Ma c’è qualcosa di diverso nel tono, non riesce a renderlo velenoso
come sempre. Fuuma, da parte sua, sembra avere sempre il grande difetto di
accorgersi al volo di ogni sfumatura del tono altrui: «Che c’è, Kamui-chan, sei
preoccupato per qualcosa che ti distoglie dalla solita serie di insulti che mi
propini?»
«Piantala
di chiamarmi Kamui-chan, non lo sopporto.»
«Per
questo ti ci chiamo.»
«Illuminami,
perché sei masochista e stai aspettando che io tenti di ammazzarti? Guarda che
basta chiedere.»
«No,
perché quando ti arrabbi sei molto carino, Kamui.» dice Fuuma, di rimando, ridacchiando
nell’osservare il vampiro, aspettandosi un attacco di cui è praticamente certo,
e che invece non arriva.
Kamui tace, in silenzio, lo sguardo lentamente rivolto altrove: «Sei stancante.» si limita a dire, senza nemmeno ringhiare.
Perché è vero, Kamui è stanco.
Di
fuggire, di portarsi dietro Subaru ben sapendo che vorrebbe tutt’altro.
È
stanco di calpestare i sentimenti di suo fratello, per quanto sappia che
saranno deleteri per lui e, chissà, forse per entrambi.
È
stanco di camminare sempre a testa alta, senza mai il permesso di abbassare lo
sguardo, anche solo per un attimo, per riposarsi, per credere che quando lo
rialzerà, qualcosa – non sa cosa – sarà cambiato.
È
stufo, stufo marcio, Kamui.
Di
sentir piangere senza averlo mai potuto fare, di sentire quei nomignoli che non
sopporta e sperare che vengano ripetuti, di osservare quel sorrisetto odioso,
sperando che non sparisca dalle labbra del cacciatore che gli sta di fronte.
È
disgustato da quei sentimenti e dal proprio egoismo.
Eppure,
non riesce proprio a cancellarlo completamente dalla propria mente: e allora,
ci rinuncia. Che Fuuma faccia ciò che vuole, che Seishiro arrivi e ammazzi sia
lui che suo fratello, rendendoli parte di chissà quale collezione. Che Subaru
si lasci catturare, non fa niente, ormai. Purché gli sia permesso di chiudere
gli occhi e di riposare, anche senza dover necessariamente dormire.
«Non
chiamerò mio fratello, se è questo che ti preoccupa.» dice Fuuma, decisamente
più vicino – forse troppo – rispetto a prima, quando ancora non si era perso
nei propri pensieri. Per questo Kamui lo fissa per un attimo spaesato,
cogliendo poi in un secondo momento il significato reale delle sue parole.
Sbuffa.
Inutile,
Seishiro sarà sempre un punto focale della sua vita, e vorrebbe davvero poter
dire “nel bene e nel male”, ma lui decisamente si sta impegnando a rientrare
solo nella seconda categoria.
«Tu
e Subaru state diventando monotoni.»
«Eh?»
«Seishiro,
Seishiro, Seishiro. Non parlate d’altro, non nominate nessun’altro, non
pronunciate altri nomi che quello. Prima o poi me lo sognerò di notte o lo
chiamerò nel sonno come minimo.» ironizza, senza allegria, facendo sorridere
Fuuma: «Andiamo Kamui-chan, non si può essere così gelosi del proprio fratello,
anche se è il proprio gemello, come nel vostro caso.»
«Non
mi sembra di aver fatto una tragedia su Subaru, al momento.»
«Oh,
allora devo dedurre che sei geloso anche di me?» scherza su, con un ghigno
malizioso sul volto, sebbene il solito sorrisetto permanga. E si sorprende un
po’, non tanto quando Kamui arrossisce lievemente, cosa che si è “abituato” a
vedere quando lo prendeva in giro ad Acid Tokyo, tanto quando il moro poggia la
fronte sulla sua spalla, instaurando un contatto fisico che, seppur lieve, non
aveva mai concesso a nessuno che non fosse Subaru.
«Non
ti dico di sì per due motivi» inizia, e Fuuma non può fare a meno di notare
che, per ora, quello non è nemmeno un “no” «Primo, perché rideresti come un
imbecille. Secondo, perché odio darti questa soddisfazione, quindi alla prima
parola ti trapasso da parte a parte.» minaccia, un ringhio sommesso che Fuuma
non riesce a trovare inquietante nemmeno impegnandosi.
Posa
una mano sul capo del moro: «Come sei romantico in questa tua dichiarazione,
Kamui-chan!»
«Non
mi sto dichiarando proprio per niente.»
«E
perché sei ancora appoggiato alla mia spalla, signor “non mi toccare che sennò
mi sciupo”?»
«Perché
sto comodo e ho sonno.»
«I
vampiri non hanno sonno, Kamui.»
«Sia
lode, abbiamo mandato il diminutivo a morire.»
«E
allora?»
«E
allora diciamo che mi sto rilassando.»
«Beh,
un po’ nevrotico sei, in effetti, ne avresti bisogno, ma mi sfugge perché tu
debba farlo sulla mia spalla.» gli fa notare, il tono mantenuto tranquillo e
divertito, segno che prenderlo in giro continua e continuerà ad essere il suo
passatempo preferito in assoluto.
«Va
al diavolo!» sbotta Kamui, staccandosi come se avesse preso la scossa, sebbene
anche in quel caso lui certamente non sentirebbe dolore: «Ecco, contento?! Ora
torna pure alle tue occupazioni, cacciatore!»
«Sei
senza speranza.» sospira quello, la mano che viene portata dietro la nuca del
moro, attirandolo a sé in una sorta di abbraccio che si limiti al minimo
sindacabile il contatto fisico. Con quel moccioso, non si può davvero mai
sapere.
«La
prossima volta, basta dire che vuoi essere abbracciato, Kamui-chan.»
«Il
giorno che imparerai a tacere al momento giusto, senza uscirtene con battutine
o frasi stupide, forse ci penserò.» rimbecca il moro, senza muoversi tuttavia
da quella posizione.
Kamui
lo ricorda bene, il primo sentimento provato lontano da Acid Tokyo.
Più
che rancore, assomigliava ad una forte seccatura.
Perché
lui aveva sempre potuto vantare una certa forza di volontà, una certa
razionalità e, perché no, un sangue freddo sconosciuto alla maggior parte degli
esseri umani.
Aveva
i suoi ideali, Kamui, le sue fissazioni, certo, ma anche quei pensieri che
restano fissi in eterno, chiari ed indelebili nella propria mente, quasi a
fondare la base di ciò che saranno poi i valori di ogni persona.
Kamui
aveva, fin da bambino, determinate cose chiare in mente.
Avrebbe
sempre protetto Subaru.
Gli
avrebbe sempre voluto un gran bene.
Avrebbe
sempre rivolto a lui il suo sguardo, perché era la persona a cui meno poteva
rinunciare.
E,
tutt’oggi, Kamui può vantare con orgoglio di aver mantenuto saldi i suoi
principi, senza permettere né al tempo, né ad altro di interferire.
Proteggerebbe Subaru a costo della sua stessa vita, e l’amore che prova verso
suo fratello, è un tipo di amore che non riuscirebbe a provare per nessun altro.
Ed
ora è tutto chiaro: è per questo, che Kamui non sopporta Fuuma.
Perché
è tutta colpa sua.
È a
causa sua, se Kamui non può vantare di aver tenuto fede a tutti e tre quei
principi.