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Autore: habanera    21/07/2013    1 recensioni
Sono stanco di aspettare. Questa febbricitante sensazione che mi coglie alla bocca dello stomaco, questo attendere qualcosa che non esiste.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest
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Dead in the water;




Sono stanco di aspettare. Questa febbricitante sensazione che mi coglie alla bocca dello stomaco, questo attendere qualcosa che non esiste.
Mi senti, sorella? Sono sospeso nel nulla. E respiro aria rarefatta, ma sono tra le fiamme dell’Inferno.
Mi senti, bambina? Lo senti il subudibile strisciare silenzioso sotto la mia pelle, producendo cheloidi e deformazioni?
È la paura, è il panico.
Vivo in un mondo sommerso, i miei ansiti sono soffocati da una schiacciante frenesia, un panico che non può essere placato. Sedare, sopire, rimuovere.
Vorrei essere una macchina, sorella. In questo mondo dove il mare è cielo e il cielo è mare rimango sospeso nel confine tra i mondi. Il sangue diventa luce, le lacrime diamanti.
Pesci nuotano intorno a me, grandi come delfini.
Respiro.
Sott’acqua.
Tutto è attutito, i suoni non esistono più. Il sordido frusciare dei miei pensieri diventa un muto eco, pallida memoria di ciò che fui.
Ascolto le mie stesse parole come se fossero un sussurro, e prego per te. Sorella, sorella, mi senti?
Sono un naufrago del cielo, disperso nel mare, tra le sue lontane galassie.
La città è ormai sommersa, noi camminiamo mano nella mano. Non più un millimetro di cielo sopra di noi.
È fuggito, scappato, rifugiato in anfratti e polle d’aria sotto terra – terra che diventa fango e poi acqua, terra che non esiste più.
Disegno la vita sul contorno delle tue labbra, sorella, affinché tu ti ricordi di me. Non vivo e non muoio, ma spio la tua esistenza sul limitare della condizione essenziale, ambisco al tuo calore.
Alle tue cosce bianche, al tuo petto che non è più scosso dall’aria che vi entra e vi esce.
Ai tuoi seni chiari, sorella, in questa città sommersa. Li vedi? Piovono ricordi.
Fotografie di vita, scatti fatti di nascosto al quotidiano di tutti noi. Non raccoglierle, bambina.
Senti la mia voce? È troppo lontana, forse. Unisco le mani in preghiera come un fedele, mi inginocchio in una profonda genuflessione. Prego gli dèi che non ho mai ritenuto reali, prego l’orrore, profondo, del quale serbo un profondo ricordo, e ascolto il subudibile.
E questi pesci sgargianti tutt’intorno, ci loro colori, si beffano di noi. Che moriremo.
Chi rimarrà allora? Colui che ha paura di vivere, non conoscerà mai il ristoro che porta la morte.
Mappa i miei sentimenti sulle linee della mia mano, ascoltali, fruga tra essi e trova il coraggio che non posseggo, sorella. Estrailo. Fallo tuo.
È per te che non ho mai imparato nulla della vita.
Sorella, sorella, sorella amata. Sorella amata toglimi questo peccato dalla bocca, sorella amata liberami dal verbo del peccatore, dal sapore del suo bacio. Sorella, mia amata, fuggi da questa Atlantide moderna, fatta di cavi elettrici e nervosi pali della luce che si innalzano e continuano ad illuminare la notte, senza sapere che non c’è più nessuno che ha bisogno della loro luce, nessuno tranne me; fuggi e purifica il mio ricordo. Sorella. Mi troverai qui, per sempre, a vagare tra questi palazzi abbandonati.
E canterò una melodia dalle note distorte e dissonanti, perverse, fronde che non si agitano più al soffiare del vento, vagiti di neonati che mai più ascolterò nel fiume del Subudibile mio Signore.
Perdono, perdono sorella. Perdono per i miei peccati. Ascolta le mie melodie subacquee, ascolta la vita tenuta in un’ampolla nel laboratorio di un Alchimista.
Non guardarmi più, ché sono brutto, le membra marcite e cotte dal sale marino. Non guardare il mio volto sfigurato, né le iridi inumane, né le mie branchie. Ho le squame sorella.
E con queste attendo il tuo ritorno come un santo, un santo santo santo santo santo santo folle, un pazzo che naufraga dal cielo in una città di pesci, di pesci che si beffano di lui nel loro muto boccheggiare, lontano dal farfugliare delle scimmie e dal frinire delle cicale, lontano dall’ossigeno che mai più riempirà i miei polmoni.
Sono un figlio del mare, sorella. Vago nei grattacieli vuoti, perfetto quadro di civiltà, vivo di nulla, il mio cuore è allagato.
Non dormire più pensando a me, sorella, sorella cara e bella, mia amata. Non sognare il peccatore e il peccato che lo condannò all’oblio, alla vita in bilico. Dimentica il relitto disumano che vedesti quando scappasti da qui.
Vivo in un mondo segreto, ignoto alla nuova civiltà. Vivo del passato ci ciò che fu l’essere umano, vivo nello slancio ultimo verso il futuro che ha attirato la punizione divina.
Sorella. Io canto, per te. In questo mondo subacqueo dove il cielo è mare e il mare è cielo, in un mondo di cemento bagnato dove la terra è diventata fango e poi acqua. Io sono un neonato, l’ultimo baluardo della malattia del mondo, il capro espiatorio degli errori dell’umanità
Sorella, io canto di te, di notti insonni ad amarti, di giorni troppo lunghi, di tramonti dolorosi e sanguinolenti come le vene del mio polso. Sorella sorella sorella.
Sorella ricordami, cova nel petto questo suppliche che tanto teneramente e con accoramento ti amò, ma al contempo allontana il tuo pensiero da me, matto tra i pesci.
Loro si beffano di noi, sorella.
Dimentica, la nostra apocalisse di sangue disperso nell’acqua, dimentica che siamo pasto per famelici squali.
Disegna i miei sussurri sulle tue labbra come un tempo, quando eri mia ed io ero tuo, sorella.
Io lo sto già facendo
E canto
In una città di acqua
Il mio 
Nostro
Peccato.

Sorella, mia amata.

   
 
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