Due o tre cose, prime dell’inizio
del nuovo capitolo.
Lo so, le birre vanno
bevute FREDDE, ma non credo che Cuddy fosse solita portare un frigorifero in
macchina per l’evenienza.
Secondariamente, ho
aggiunto, capitolo uno, un disegno di House mentre scrive a Lisa.
Infine, spero che
gradirete il capitolo.
Ottobre 1998, Jersey.
Somewhere around the Hospital.
E’ una cosa prematura,
riunirsi e festeggiare la promozione di Lisa, quando Lisa non è ancora stata
promossa.
Dixon ha appena annunciato il
suo ritiro dalle pratiche amministrative optando per una meritata pensione e
nonostante non abbia ancora nominato il suo successore, il
nome del prossimo primario è sulla bocca dell’intero ospedale.
Dixon non è un idiota, pensa House,
e Lisa è la migliore per quel posto.
Non la vede da tre mesi.
House non è certo il genere
di persona che aspetta la sua chiamata –perché Lisa lo chiama
puntualmente ogni settimana- posizionandosi vicino alla cornetta, mezz’ora
d’anticipo e l’ansia in ogni suo gesto. Ma le sue labbra s’incurvano in un
sorriso al pensiero che a momenti potrà nuovamente punzecchiarla dal vivo.
E’ seduto in un bar che vuole
ricordare un pub inglese.
Vicino a lui, sulla panca di
legno rivestita di pelle lisa che circonda il tavolo, ci sono Stacy e Wilson.
Tre spine sul banco di legno, il ghiaccio che lentamente si scioglie, mentre
attendono Lisa.
House le ha parlato di
“incontrarci per commemorare gli ultimi giorni di libertà di Jimmy, prima che
la tua spietata dittatura si
abbatta su di lui” e lei ha saputo interpretare la frase come “congratulazioni”
, mentre giocava col filo del telefono e sentiva una quasi imbarazzante
felicità nel petto.
Però è in ritardo.
E sebbene House consideri la
puntualità come una ladra di tempo, Lisa non la pensa così. Lei non tarda mai
-lei non vuole essere inaffidabile.
“Non è da lei” osserva Stacy,
lanciando una rapida occhiata all’orologio. Regalando ad House soddisfacenti
fantasie lesbiche, è diventata amica di Lisa. Imparando a conoscerla, ha finito per rispettarla e provare
verso di lei un puro affetto.
“Oggi era strana” Wilson
sembra realizzarlo solo mentre lo dice.
“Lisa è sempre strana”
risponde placido House, evitando di manifestare il suo interesse per la
constatazione dell’amico. Stacy gli colpisce l’avambraccio, rimbeccandolo con
lo sguardo.
“Oggi era stranamente
diversa…” specifica l’oncologo, cercando di ricostruire l’immagine di lei nella
sua mente “meno…composta”.
House sta sospirando pesantemente.
Guarda Stacy, mentre si alza, e cinge le dita intorno alla giacca che si porta appresso.
“Vado a recuperarla” dice ed
il bisogno di specificare era superfluo. Stacy lo saluta con un breve contatto
tra le labbra e un sussurro che Wilson è quasi felice di non cogliere. Quando
House varca la soglia del bar e s’immerge nell’aria fredda della sera, due paia
di occhi lo seguono.
Se Wilson non lo conoscesse
maledettamente bene, non avrebbe colto i segni della fretta. Ma Wilson lo
conosce maledettamente bene e interpreta la camminata meno cadenzata e la
schiena impercettibilmente rigida come qualcosa di simile alla preoccupazione.
***
Lisa indossa una vecchia
felpa dell’ Università e dei calzoni smussati e smessi.
E’ coricata sul divano, una tazza
di caffe, che, poggiata contro il suo stomaco, le riscalda il grembo. Sente tre
colpi battere contro il legno della porta e sa –senza bisogno di
chiedere- a chi appartengono. I suoi piedi scivolano contro il pavimento freddo
e quando si alza, sente un enorme peso caricarsi sulle sue ginocchia, rese così
deboli dall’essere esausta. Quando apre la porta, le prime parole che House
rivolge dimostrano perché è
ritenuto uno dei migliori diagnostici del mondo.
“Sei incinta?” chiede lui,
tra il basito e il perplesso.
“No” risponde, flebile.
E lui vorrebbe crederci.
Perché se non sbaglia
–e lui non sbaglia mai-, se Lisa è davvero incinta, allora deve esserci
anche un padre. Deve esserci un
uomo nella sua vita. House ama Stacy, ma non può che sentire una confortevole
sensazione al petto, ogni volta che si ricorda di come Lisa sia sua. Di come
lui sia, in termini abbastanza indefiniti, l’uomo della sua vita.
Ama la sensazione di possesso
che pervade la sua relazione con
lei.
“Le tue labbra dicono no, le
gemelle gridano sì” puntualizza lui. E se Lisa non fosse così stanca
–stanca di tutto- potrebbe quasi indignarsi del fatto che tra tutte le
cose, la prima che lui si trova ad osservare, ogni volta che si incontrano, è
il suo seno.
Lisa sospinge la porta verso
di se, aprendo un varco che permette ad House di scivolare all’interno della
casa. Una volta richiusa, il Click metallico della serratura che interrompe il
silenzio, si gira verso di lui. Greg si è accomodato nel salotto. Con una
naturalezza tale che quel divano sembra appartenergli.
Attende spiegazioni che lei non è entusiasta di
condividere.
Rassegnata, lo spirito
combattivo dimenticato da qualche parte nell’armadio, Lisa prende posto nella
sedia davanti a lui, raggomitolandosi in posizione fetale, il mento sulle
ginocchia.
“Ero incinta” sussurra
infine, senza distogliere gli occhi dal tappeto –un nuovo, improvviso
interesse per i tessuti turchi.
E’ combattuta dal desiderio di
abbandonare l’argomento ed il bisogno che qualcuno interrompa il silenzio.
Perché quell’opprimente assenza di suoni lascia troppe libertà alla sua mente.
Ed ogni secondo corrisponde ad un nome che aveva amato immaginare fino a pochi
giorni prima. Il ricordo di come il suo viso si tendesse involontariamente in
un sorriso ogni volta che si sfiorava il grembo la opprime senza clemenza.
Ha bisogno di una risposta
ironica, un commento sgarbato che le dia modo di riprendere a respirare senza
che un acuta fitta di dolore accompagni ogni movimento del petto.
Invece sente Greg sollevarsi
dal divano e un rumore di passi felpati, quasi impercettibili.
House di china in ginocchio
davanti a lei, la sua mano che indugia –impacciata e incerta- sulla
spalla di Lisa. Si sente nuovamente adolescente, di fronte ad una situazione
che non ha ancora imparato ad affrontare. Profondamente inesperto nel
rassicurare le persone e pervaso da una punta di paura, consapevole di stare
maneggiando vetro.
Così incline a cadere e
rompersi.
E nonostante il disagio, la
stanza che si fa più piccola e la soffocante sensazione d’intimità -che ha
passato l’intera vita ad evitare-, sa di non poterla lasciare. Sa di non
volerla lasciare.
Lisa protesta sommessamente,
quando House le sfiora il mento, imponendole di alzare lo sguardo e fissarlo
negli occhi.
Sente il calore pizzicarle le
gote, la gola farsi arida e ogni respiro diviene ancora più doloroso. La vista
le si annebbia veloce. E la rabbia, insieme alla sofferenza, le cresce nel
petto. Non vuole piangere di fronte a lui. Non vuole mostrarsi così debole.
Perché la sua debolezza è palpabile nell’aria.
Scuote la testa, tentando di
liberarsi dallo sguardo di lui.
“Sto bene…” mormora Lisa,
accompagnando la frase con rumore nasali e singulti. Le lacrime le rigano il
volto e per quanto cerchi di asciugarle, sono immancabilmente sostituite da
nuove. “Sto bene…” ripete nuovamente, la voce –roca- è un sussurro
talmente flebile che House quasi non lo sente, nascosta dai singhiozzi.
“Lisa…”
Il suo pianto sale,
incontrollato. C’è qualcosa nel mondo il cui lui pronuncia il suo nome. La
premura mai mostrata prima,
l’intonazione calda e gentile, che marcano l’irreversibilità della
perdita. La preoccupazione innaturale di Greg rende la realtà definitiva.
La ferita si fa più profonda,
lascerà una cicatrice.
House la trae a se, la fronte
di Lisa che affonda nel suo petto, le sue braccia che stringono le spalle di
lei, improvvisamente così gracili. Lisa non realizza che ora le sue mani sono
nella schiena di lui, le dita che affondano nella stoffa con tanta forza che
House teme finiranno per scavare fino a raggiungere l’osso.
“Starai bene…” le sussurra in un orecchio, avvolgendola in un
abbraccio più stretto. Poggia il capo sulla testa di lei, lo sguardo che vaga
per la stanza –frustrato della sua incapacità di aiutarla in modo
concreto.
Quello che segue è solo
confusione.
Confusione e l’indefinita
sensazione che tutto sia giusto.
Perché quando House baciandole
la fronte, si ritrova improvvisamente a sfiorarle le labbra c’è qualcosa di spaventosamente
naturale nei loro gesti. Come se, irrimediabilmente, non potessero fare
altrimenti. Un istintivo e necessario bisogno, respirare –le loro bocche
così vicine che l’aria e i singhiozzi che emette lei, vengono deglutiti da lui.
E’ un momento che non può
esistere in nessuna delle tre dimensioni, come se in quella casa, quella sera,
se ne fosse creata una quarta.
Unicamente loro.
Entrambi socchiudono gli occhi,
la fronte di lui che riposa contro quella di lei, le labbra che
ripetutamente si sfiorano. Non si
tratta di desiderio, quanto di appartenenza. L’intima, calda sensazione che
permette ad House di distinguere –per la prima volta- il significato di
casa da quello abitazione. Lisa sta lentamente smettendo di piangere, ma lui
può ancora sentire il sapore salato delle lacrime.
Si respirano a vicenda.
E sebbene le loro labbra si
cercano ora con più urgenza, c’è un’impensabile delicatezza in ogni tocco.
House può sentire il petto di Lisa abbassarsi e alzarsi sotto il suo. Ed è al
contempo tutto così nitido eppure sfocato.
Mentre la sua mano scivola
sotto la maglia Lisa e il suo palmo combacia così perfettamente con il suo
seno, House si chiede se non sia stato creato solo per questo.
La pelle di Lisa è talmente
calda che, in futuro, lui non potrà fare a meno di sentire un surrealistico
freddo.
Mentre varcano la soglia
della camera da letto –nessuno dei due che sembra in grado di ricordare
come siano arrivati lì e a nessuno dei due importa- le mani di Lisa si
infiltrano sotto la camicia di House ed hanno finalmente smesso di tremare.
Lei affonda nel copriletto e
lui le è immediatamente sopra –perché il breve vuoto che si è creato tra
i loro corpi, marca il bisogno di quel contatto.
***