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Autore: Soqquadro04    22/07/2013    4 recensioni
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Klaus è disperso nell'oceano, Elena non è stata vampirizzata e ha scelto Stefan. Damon, onorando il “patto” stretto con il fratello, parte per non tornare fino alla morte di lei.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Stefan Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E' un addio? Credo di sì

Quel pomeriggio in cui sta preparandosi per lasciare ufficialmente Mystic Falls, Damon è un concentrato di collera pronta ad esplodere.
E' infuriato perché sta rimuginando su tetraggini di vario genere in stile Stefan. E' infuriato anche perché non vuole lasciare casa sua. Non vuole scappare da Elena, anche se rimanerle accanto comporta una costante sofferenza interiore. Non vuole andarsene. E, invece, deve.

Così, quando sente il fratello aprire il portone principale mentre piega ordinatamente -gesto che non verrà mai documentato in qualsivoglia maniera- la prima camicia nera, la sua prima reazione è un ringhio sommesso.
La seconda, è l'inclinare la testa a sinistra per un secondo, cercando di indovinarne l'umore dal ritmo dei passi. La furia è già svanita – o meglio, è stata momentaneamente accantonata – , in uno dei suoi tipici e mirabolanti sbalzi emozionali.

Stef-Stef pare incredibilmente allegro. Sta saltellando. Non lo vede saltellare da... pensandoci meglio, non l'ha mai visto saltellare. Fischietta, addirittura. Sembra una brutta copia di Cappuccetto Rosso.
Ed è felice, almeno tanto quanto lui è depresso.

Ovviamente.”

Non ha voglia di affrontare una simile esplosione di ottimismo. Non ne ha nemmeno la forza, in effetti. Prega che si limiti a fare un giro in salotto per poi andarsene nuovamente.

Poi, avverte il cigolio traditore di un gradino mentre il minore sale le scale e capisce che, com'è giusto che sia, nessuno lassù gli fa questa immensa grazia. Certo che no. Anche perché ha lasciato la porta aperta e Stefan capirà sicuramente che ci sono novità in arrivo, quando lo scorgerà intento a preparare i bagagli, il letto compostamente rifatto e la camera stranamente – pericolosamente – vuota.

Priva, più che di oggetti, dell'anima a pezzetti del suo proprietario.

Il primo segno che gli conferma la veridicità della sua ipotesi, è il fischiettio che si spegne sul pianerottolo. Il secondo, sono i passi che si fanno decisamente più lenti quando – evidentemente – lo sente sbattere ferocemente un cassetto. Il terzo, è lo sguardo che gli perfora la schiena.
Così, prima ancora di girarsi, sa già che si è fermato sulla soglia della sua stanza e lo sta osservando ansiosamente. Sbuffa, la curiosità per l'alieno buonumore dell'altro trasformata in irritazione. E si dà dell'idiota, cosa che ultimamente sembra riuscirgli sorprendentemente bene.

Avrei dovuto chiudere la porta, dannazione. Ora – me lo sento nelle ossa – mi farà un discorso del tipo “non ce n'è bisogno, Damon. Sul serio” quando entrambi sappiamo che, in realtà, ce n'è bisogno. Sul serio.”

«Damon?» come volevasi dimostrare.
Si volta, lentamente, senza distogliere gli occhi dalla sua occupazione, che al momento riguarda un paio di jeans. Blu. Li solleva controluce, come per vederli meglio.

Che strano. Pensavo di averne solo neri.”

Stringe le palpebre, poi fa spallucce e li infila in un angolo della valigia.
Risponde, sarcastico, senza mascherare la stizza che la vista – la presenza – dell'altro gli provoca.

«No, il fantasma formaggino.» Stefan corruga la fronte davanti all'umorismo tipico – lo nota appena, lanciandogli un'occhiata velocissima mentre si dirige verso il cassettone per prendere qualche altro abito – e scuote la testa.

Il buonumore è decisamente sfumato, insieme alla possibilità che lo lasci andarsene con quel minimo di dignità -codardia- dato dalla solitudine totale.
L'unica nota positiva è che può dargli qualche informazione di servizio e rendersi utile.

«Dov'è Elena? Sai, non vorrei si aggiungesse anche lei al comitato di saluto.» senza nemmeno smettere di piegare vestiti, alza lo sguardo sul minore. Un'ombra di sofferenza che non riesce a mascherare serpeggia fra loro.

Stefan sembra terribilmente confuso, sia da ciò che ha appena sentito, sia dall'insolito modo di porsi del fratello. Non è per niente abituato a vederlo così esposto. E' stranito, mentre gli si offre su un piatto d'argento.

Una fitta d'inquietudine gli attraversa il petto. Un pessimo presentimento, come se il tempo – non sa per fare cosa. Il tempo e basta – si sia drasticamente ridotto, all'improvviso.
E tutto ciò è molto strano, con un'eternità a disposizione.
Aggrotta ancor di più le sopracciglia, turbato.

«C-cosa? Comitato di saluto? In che senso, Damon?» il suo fratellino è incredibilmente tardo di comprendonio, quando qualcosa prende una direzione imprevista in tempo di pace.

Sospira, smettendo finalmente con lo snervante e ipnotico movimento delle mani. Appoggia le dita sulla pila di abiti che si è formata accanto alla pesante valigia in pelle.
Il suo tono è colmo di un'amarezza dolorosa, una base di gelosia che non si preoccupa di nascondere.
Non ha più importanza, ormai, che Stefan riesca a comprenderlo o meno.

«Ci siamo fatti una promessa, no? Sto solo mantenendola.» il più piccolo sgrana gli occhi, aprendo la bocca per parlare, parlare e parlare ancora. Parole per tentare di trattenerlo. Parole per cercare di convincerlo che non serve che lui se ne vada.

Lo precede, con altre parole. Che lo spiazzano.

«Voglio mantenerla.» all'occhiata perplessa che l'altro gli lancia, Damon risponde con una smorfia agonizzante, nelle iridi uno sconforto cocente per la palese bugia. Continua, la voce che improvvisamente ha perso tutta la disillusione venata di sarcasmo. Sembra solamente stanco, sfinito, e le sue parole non fanno altro che confermare quell'impressione momentanea.

«Partirò stanotte. Non cercarmi, tanto non mi troveresti e lo sai perfettamente anche tu. Dio, capisco cosa provano le madri a lasciare i figli con la baby-sitter.» sbuffa, chiudendo il bagaglio con un tonfo secco. Fa scattare l'unico bottone, e la valigia si mostra a Stefan come un grasso gatto, gonfio di cibo e soddisfatto. Per un attimo, lo terrorizza quanto e più degli incubi che lo tormentavano da bambino.

Si avvicina a Damon, ancora confuso, e lo sorpassa per sedersi sul bordo del materasso. Gli gira la testa e non sta per nulla bene. Un sapore ferrigno di panico gli riempie la bocca e uccide le sue papille gustative. Il maggiore non sembra capire quanto effettivamente stia male, e mentre si volta verso il bagno per iniziare a raccogliere qualcosa che Stefan non riesce subito a vedere, si limita a ringhiargli contro una protesta.

«Alzati. Subito. Dal. Mio. Letto. Dico sul serio.»
Damon rientra in camera, accigliato e decisamente contrariato, una bottiglia panciuta che dondola pigramente dalla sua mano destra. Il liquido ambrato è quasi finito, e mentre si porta il collo sottile alle labbra, il fratello assume un'espressione ancor più seccata.

Più che per la scarsità di bourbon – in salotto ne hanno almeno un'altra trentina di litri –, pare insoddisfatto dall'inefficienza del più piccolo a seguire i suoi ordini.

Insomma, sono passati già cinque secondi e ancora non si è alzato.

Damon riabbassa la bottiglia, prendendo fiato per incitare l'altro.
Il suo tono è sarcastico, irritato. Rientra perfettamente negli standard, in effetti. Sta recitando bene la parte dell'indifferente.

«Stefan, devo chiamare qualcuno per farti sollevare il culo dal materasso o sei in grado di fare da solo?» gli lancia un'occhiata d'avvertimento che viene

immediatamente smentita da un'azione imprevista: raggiunge il fratello minore, sedendoglisi accanto, le gambe leggermente divaricate e la bottiglia, precariamente

trattenuta dalle ultime falangi delle dita, che ondeggia paurosamente nell'ombra creata da quel corpo piegato.

Entrambi sembrano ipnotizzati dal movimento, fino a che Damon non serra le nocche attorno alla base del collo, rischiando di frantumarne il vetro.

Alza gli occhi, sollevando al contempo il braccio. E offre il liquore al fratello, sorridendo con amarezza.

Stefan è turbato dal gesto, ma il sapore di ferro e panico è quasi sparito. Accetta senza fiatare, ingollando senza eleganza un sorso di whiskey che gli brucia la gola in

maniera poco familiare. Eppure, in quel momento, molto utile.

Una volta che l'effetto è finito, non rimanda più. La voce è arrochita, dalle preoccupazioni e dall'inusuale sferzata alcolica di poco prima.

«Grazie.» di rispettare la promessa. Di essere rimasto fino ad ora. Di avermi dato un po' di bourbon.
Non sa se Damon ha capito ciò che intendeva sottintendere. Non gli risponde, ma mentre allunga una mano per riprendere la bottiglia, incatena il suo sguardo, dandogli il permesso di cominciare una di quelle conversazioni senza parole che a volte sono, in realtà, l'unico modo per parlare davvero.
Le iridi verdi assumono una sfumatura preoccupata, stemperata dal sollievo di potergli domandare qualche informazione che, comunque, non gli verrà data.

«Dove andrai?»

Damon sfodera un ghigno dei suoi, appena velato di dolore. Stefan non lo percepisce.

«Non lo so. Seguirò il vento... no, com'era? Il cuore, ecco.»

Ammonimento, negli occhi del più piccolo.

«Tornerai?»

Ancora ironia, stavolta un accenno di serietà che l'altro comprende.

«Forse. Fra un centinaio d'anni. Forse no. Struggiti per me, nel frattempo.»

Qualcosa che assomiglia all'affetto. Damon sente una poco familiare stretta al cuore e una altrettanto estranea alla gola. Pianto trattenuto.

Però non piange: non può. Non è da lui.

«Buon viaggio.»

Il moro gira il volto di lato, rifiutandosi di “rispondere” al fratello.

Rimangono così – l'uno accanto all'altro, senza guardarsi, senza muoversi, quasi senza respirare – per un tempo che pare infinito. Poi, senza preavviso, il rumore

del portone principale che si apre per la seconda volta quel pomeriggio, e la voce di Elena che chiama Stefan.

Damon avverte il materasso alleggerirsi dal suo peso, mentre si prepara a trattenerla. Lo sa che gli farà quell'ultimo favore.

Quando i passi del minore hanno ormai raggiunto la soglia della stanza, la voce intristita di Stefan richiama la sua attenzione.

«La distruggerai.» afferma, semplicemente, senza aggiungere nient'altro.
Con suo immenso stupore, il fratello maggiore gli risponde. Si volta solamente di tre quarti, il profilo fiero e l'intonazione incrinata di chi sta per scoppiare in lacrime.

«Lei l'ha già fatto con me, e sono sopravvissuto, mi pare. Starà bene. Starete bene.» la sofferenza è così palpabile, così terribilmente presente, che Stefan riesce, forse per la prima volta davvero, a sentirla sulla sua pelle. Gli si mozza il fiato, ma non dice nient'altro.

Si allontana, chiudendo la porta, scendendo le scale. Lasciandolo solo, lasciandolo libero di sfogarsi.
E c'è una piccola parola addolorata che attraversa la mente di entrambi nello stesso momento.

Addio.”

   
 
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