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Autore: mikeychan    22/07/2013    0 recensioni
Donnie salva una ragazza da un gruppo di malviventi, scoprendo che…
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Donatello Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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-Adesso sei contenta, vero, Ambra?- chiese Michelangelo.
-Sì. Ho vendicato mia madre-.
La 17enne guardava la custodia della Tanto, con una piccola smorfia di rabbia. Finalmente, l’uomo che le aveva portato via Lin era stato ucciso, come meritava. Michelangelo si lasciò abbracciare, senza il minimo rimorso per aver compiuto un omicidio.
-Mio fratello Don…- gemette poi: -Immagino che… saranno in grado di vedersela-.
Senza esitare, una sigaretta fu bloccata nelle labbra della tartaruga, le cui mano tremavano di pura rabbia. Ambra non disse nulla e osservò New York che veniva lavata da una forte pioggia temporalesca. Un lampo brillò nei suoi occhi: ella rimase del tutto impassibile.
-Non vuoi tornare a casa?-.
Mikey si mise a braccia conserte: -Non prima di averti aiutata. Non importa quanto tempo ci vorrà-.
-Grazie, Michelangelo…-.
 
********************************
 
Alla tana, Splinter era già stato messo al corrente della vicenda che i suoi tre figli avevano affrontato. Non poteva che essere orgoglioso di loro, ma vedere Donatello in tanto dolore, lo scuriva di tristezza.
La ferita nel fianco era profonda, ma nulla di estremamente grave.
-Leonardo, scaldami la lama di un coltello sul fuoco, per favore!- ordinò.
Il leader annui, mentre Raphael continuava a frignare di odio.
-Raphael, portami più asciugamani possibili-.
Il rosso scattò dalla sua momentanea trance e annuendo, si precipitò in tutte le camere per raccogliere quanto chiesto.
Rimasto momentaneamente da solo nel salotto, Splinter guardò ancora una volta suo figlio genio. Il sangue scorreva copioso e lo strato di sudore sulla sua pelle brillava sotto i faretti collocati agli angoli della stanza immensa.
In realtà, i pensieri del topo erano rivolti altrove o, più precisamente, a suo figlio Michelangelo. La sua mente continuava a riprodurre quelle parole, senza trovare una traccia di menzogna.
“Un genitore non mostra preferenze…”, pensò con una lacrima sulla guancia: “Ma io l’ho fatto.”.
Accarezzando la fronte di Don, non si accorse del ritorno dei suoi figli maggiori. Leo aveva un coltello appuntito e rovente, mentre Raph una serie di asciugamani.
-E’ tempo di rimuovere il proiettile- sospirò Splinter: -Mettete Donatello su quel tavolo-.
Raph si liberò momentaneamente del suo carico e si affettò a spostare il tavolo nel vagone al centro del dojo. Ritornò e raccogliendo il fratellino in stile sposa, lo adagiò delicatamente sul piano ligneo.
Il genio gemette, respirando affannosamente, ma non si svegliò.
Leo consegnò il coltello a suo padre, il quale si concentrò e infilò la lama nella carne rossa del poveretto.
Un urlo agonizzante si levò con tanto di riverbero: Leonardo e Raphael tennero bloccato Donnie, in modo che il sensei avrebbe lavorato indisturbato.
-M… MIKEY! MIKEY!- gridò il genio, muovendo la testa come in un incubo.
Leo distolse lo sguardo, mentre Raph ringhiò di frustrazione. Entrambi i fratelli desideravano ardentemente che il fratellino ritornasse. Nessuno era arrabbiato con lui.
Splinter affondò la lama più in profondità, sino a quando un lieve tintinnio gli fece comprendere di aver trovato il proiettile. Guardò i suoi figli e concentrandosi ancora, con un colpo secco, lo rimosse.
Il proiettile più rosso che dorato era appoggiato sul coltello sporco di sangue. Donnie ansimava pesantemente e Leo gli asciugò immediatamente la fronte.
-Adesso dovremo cucire e bendare la ferita- spiegò Splinter, andando in cucina.
-Mikey… mi dispiace…- piagnucolò il genio: -T… torna…-.
Raph sospirò pesantemente: -Mi sembra ovvio, Leo. Dobbiamo trovare Michelangelo al più presto-.
-Sì, ma abbiamo controllato dappertutto- rispose Leo, afflitto.
-New York è immensa- sottolineò il rosso, palpandosi il mento.
Leo rimase in silenzio sino a quando un flash gli balenò in mente: rimase con gli occhi fissi nel vuoto. Raph preferì aiutare il sensei col portare una bacinella gialla d’acqua, ago e filo.
-Raph…- chiamò Leo, basito: -La 47esima! E’ lì che dobbiamo andare!-.
Il rosso e il sensei si scambiarono un’occhiata perplessa. Prima che potessero chiedere il motivo di un’esclamazione tanto convinta, il leader narrò dell’ombra dagli occhi azzurri, sul tetto della gioielleria.
 
A racconto ultimato, Raph deglutì, appoggiando la bacinella sul porta-riviste.
-Se è vero, questo significa che ha scagliato lui la Tanto!-.
-Michelangelo ha sempre avuto una mira eccezionale con kunai, shuriken e coltelli- ammise il sensei.
Leo socchiuse gli occhi e annuì: -Ha ucciso una persona, anche se era la peggiore che avessimo mai incontrato. Immagino sia sconvolto, ora-.
-Per questo avrà bisogno del suo tempo- sottolineò il maestro, pulendo il sangue essiccato.
-Come?- chiese Raph, infilando il cotone nell’occhiello dell’ago.
Il topo annuì: -Michelangelo ha bisogno di riflettere su tutto e sarà lui stesso a tornare, quando si sentirà pronto-.
Leo guardò Don, stringendo i pugni: -Lui ci ha salvati, però. I proiettili ci avrebbero uccisi-.
-Quando vuole, il lamebrain sa come arrivare al momento giusto- ghignò Raphael.
-M… Mikey…- gemette ancora il genio, nel dolore evidente.
Il topo si fece consegnare l’ago e iniziò a cucire i lembi della pelle bruciati di Donatello, rivedendo le grida di Michelangelo, ancora una volta. L’acqua nella bacinella era ormai rossastra e gli occhi miele di Raph si specchiarono in essa.
Erano vitrei di lacrime.
-Va bene- si arrese: -Lasceremo che sia Mikey a tornare a casa-.
Leo sentì una fitta di dolore ma annuì in approvazione. Sconfitto, prese la mano di Donnie e la strinse, sperando che suo fratello avrebbe percepito la sua forza…
 
********************************
 
1 settimana dopo…
 
Tutti i telegiornali della Grande Mela annunciavano instancabilmente la morte misteriosa di Law Pitt, ex contrabbandiere e talpa della mafia italo-americana. La polizia stava indagando sulle possibili piste che avrebbero condotto al colpevole, ma erano decisamente lontani.
Solo due persone conoscevano esattamente la verità.
Pioveva a New York, con lampi e tuoni; l’aria era molto fredda e nelle 18:30, in un salotto buio, un piccolo alone rossastro bruciava con del fumo.
Michelangelo era seduto in poltrona, a fumare il quarto pacchetto della settimana. Fissava stancamente la pioggia battente contro i vetri dell’appartamento di Ambra, la quale si stava facendo una doccia.
Era riuscita a perdere, finora, circa cinque chili ed era arrivata a 180.
Lei era così felice del risultato che ammirava ancor di più il suo tetro amico. La risposta, più che altro, era stata davvero semplice: mangiare cinque volte al giorno, alternando e bilanciando le porzioni.
Pasta con leggero condimento, niente sale. Carne arrostita, insalata, niente dolci o alcolici.
Non che Ambra ne facesse uso. Niente dolci o fast food: Mikey aveva consigliato di bere circa due litri d’acqua al giorno.
Ambra, ora, aveva cominciato a praticare sport. Mikey l’aveva fatta correre dapprima un minuto sul posto, per poi arrivare costantemente a due, cinque, dieci e infine, venti minuti. Il salto della corda era utile ma per evitare un rilassamento della pelle, Mikey l’allenava nelle arti marziali.
Era il suo sensei. Calci, pugni e una piccola dritta su come maneggiare la Tanto.
La ragazza era orgogliosa e cominciava a credere in lei: si sentiva felice ma anche triste del cambiamento radicale di Michelangelo. La tartaruga felice, difatti, era diventata torva, cupa e non la smetteva di fumare.
Lui ripeteva che, essendo un mutante, malattie come cancro e cose varie non lo attaccavano.
-Michelangelo!- chiamò Ambra, uscendo dal bagno con un accappatoio bianco.
L’altro si girò e le sorrise, attendendo il seguito della frase.
-Sono riuscita a perdere altri cinque chili! Ora peso 175!-.
-Sono davvero felice, Ambra- annuì l’arancione: -C’è sempre speranza per tutti-.
Mikey dette un’ultima tirata alla sigaretta e la spense nel posacenere, sul porta-riviste. L’unica fonte di luce proveniva dal bagno ma a nessuno dei due disturbava il buio. L’arancione sospirò e guardò l’amica con occhi vitrei.
Ambra capì immediatamente: -Chiamali. Loro ti aspettano, Michelangelo-.
-N… non posso- gemette l’altro, stringendo il pacchetto di sigarette: -Ho paura, capisci?-.
-Sì, ti capisco- rispose la ragazza, abbracciandolo: -Vai a casa, adesso. Segui il tuo cuore-.
Mikey cominciò a piangere silenziosamente nella spalla dell’amica, stringendo i denti.
-Li ho trattati male… la rabbia mi ha fatto dire cose che volevo tenere per me!-.
-Mikey dovevi liberarti. Era necessario spezzare l’equilibrio della tua famiglia- gli ricordò Ambra.
-E poi… Donnie è stato ferito. Vorrei sapere come sta- continuò l’arancione.
Ambra lo baciò sulla guancia, amorevolmente. Guardò la porta con un sorriso. Mikey deglutì mentre calde lacrime continuavano a rotolare giù per il suo viso. Fu allora che capì che non voleva più separarsi dalla sua famiglia.
Indietreggiò e s’inchinò dinanzi ad Ambra, con immenso rispetto.
-Ambra, io tornerò. Tu continua ad allenarti e… credi in te-.
-Grazie… maestro- rispose l’altra.
Quando Ambra riaprì gli occhi che aveva chiuso, Michelangelo era già andato via, attraverso la finestra. Le tende ondeggiavano nel vento, mentre la pioggia divenne rabbiosa…
 
********************************
 
Era da una settimana che Donnie aveva la febbre, dovuta alla quantità di sangue persa dalla ferita al fianco. Egli era cosciente, ogni tanto, ma dormiva la maggior parte del tempo. Se si svegliava, guardava la sua camera, sperando nel ritorno del fratellino.
Erano le 21:10 e il silenzio snervante regnava in tutta la tana. Leonardo stava incamminandosi verso la stanza di Don con un vassoio contenente una tazza di tè verde fumante. La porta della camera in questione era aperta e le forti luci del dojo illuminavano appena il suo interno.
Leo notò un movimento delle coperte e costatò, felicemente, che il genio era sveglio.
-Chi è?- chiese quest’ultimo, con voce appena percettibile.
-Sono io, Leo-.
Il leader entrò, mentre il braccio del viola si allungò pigramente sino al lume, sul comodino. Lo scatto dell’interruttore anticipò il fascio soffuso di luce, che s’irradiò per tutta la camera.
-Ti ho portato una tazza di tè- spiegò Leo, sedendosi sul suo letto: -Come va?-.
Don gemette al dolore meno selvaggio del fianco: -Un po’ meglio, credo. Grazie-.
Soffiò sul tè, nonostante non fosse un grande amante come il sensei o Leo e lo bevve. I suoi occhi nocciola si magnetizzarono in quelli ramati del leader, le cui emozioni erano del tutto indecifrabili.
-Sono passati sette giorni- mormorò, infine, Leo, distogliendo lo sguardo.
-Sì- gemette l’altro: -Mi manca molto. E poi… con quelle mani rovinate…-.
Leo rabbrividì alle urla che risuonarono nella sua mente. Chiuse e riaprì gli occhi, alzandosi. Don gli porse la tazza vuota e si ristabilì supino sotto le coperte.
-Mi dispiace, Donatello- fece Leo, ora sulla soglia della porta: -E’ colpa mia-.
-No- sbadigliò l’altro: -Abbiamo tutti la stessa percentuale di colpevolezza…-.
Leonardo avrebbe detto qualcos’altro, ma il russare morbido di Donnie gli fece capire che era sprofondato nel sonno tranquillo.
“Notte, Don…”.
 
Ore 02:20
 
Donnie si risvegliò in lacrime. Aveva appena avuto un incubo sulla lontananza definitiva di Michelangelo. Egli spalancò gli occhi e fissò il buio nell’intera tana. Il fianco non gli doleva quanto il petto: il suo cuore era incrinato in più punti.
-Mikey… dove sei?- sussurrò alla stanza che sembrava più grande.
Si strofinò il volto e tossì un po’.
-Forse più vicino di quanto immagini-.
Il genio sobbalzò per la paura e guardò alla sua sinistra: un paio di occhi azzurri lo guardavano dolcemente. C’era un sorriso e delle lacrime sulle guance. Donatello non ebbe bisogno di luci per capire chi era quella figura.
-M… Michelangelo?-.
-Sì, fratellone, sono io- rispose dolcemente l’altro: -Non stai sognando. Sono tornato-.
Il genio seppe cosa fare: si spostò più verso destra nel suo letto, accogliendo il fratellino che scivolò nel caldo giaciglio senza esitazioni. La braccia muscolose di Don avvolsero il gelido Mikey, il quale singhiozzò silenziosamente nel suo petto.
-Mi sei mancato- soffocò l’arancione: -Ero addolorato per averti visto sparare-.
-Ero addolorato solo perché tu non eri qui-.
Donatello sorrise e baciò suo fratello sulla testa. Era così felice ora, che l’incubo che avuto non era che uno stupido ricordo da rimuovere. Il genio avrebbe voluto dare la bella notizia ma si accorse che suo fratello era caduto in un sonno profondo.
Ancora un sorriso: la tartaruga cervellona sentì le palpebre sempre più pesanti e si addormentò facilmente perché sapeva che al suo risveglio, Michelangelo sarebbe stato ancora con lui.
“Sei tornato…”…

  
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