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Autore: manicrank    22/07/2013    3 recensioni
Takanori Matsumoto, anni ventuno, occhi castani e parlantina veloce, ancora non era riuscito a trovare quel dannatissimo... qualsiasi cosa lui stesse cercando. In effetti non lo sapeva nemmeno lui, dato che li non c'era nulla da cercare. Non sentiva fame, né sete, né sonno. Sentiva solo freddo, dentro le ossa, e freddo attorno a sé.
Non poteva comunque fare molto, addosso aveva una specie di tunica bianca, oltretutto fuorimoda, e non riparava molto il corpo. Il ragazzo alzò il volto, davanti a sé solo la distesa piatta di quello strano mondo, senza senso, senza via di fuga.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Gazette de l'horreur.




 

Era così che erano morti tutti. Certo, loro non lo sapevano. Nessuno lo sapeva.

Tutti tranne uno.

 

Quell'uno aveva visto la morte in faccia e l'aveva scelta, ecco perché era finito li, in quella specie di limbo dove mai sorgeva il sole e mai calava. Chiuso in quello spazio sconfinato.

E mentre vagava come ormai da giorni faceva, si chiese se stesse effettivamente avanzando o se quello spazio correva sotto i suoi piedi come un modernissimo tapis roulant. Non aveva modo di scoprirlo, comunque, quindi era sempre meglio vagare.

Semmai fosse esistito qualcosa, oltre il bianco avvolgente, lui l'avrebbe trovato.

 

Takanori Matsumoto, anni ventuno, occhi castani e parlantina veloce, ancora non era riuscito a trovare quel dannatissimo... qualsiasi cosa lui stesse cercando. In effetti non lo sapeva nemmeno lui, dato che li non c'era nulla da cercare. Non sentiva fame, né sete, né sonno. Sentiva solo freddo, dentro le ossa, e freddo attorno a sé.

Non poteva comunque fare molto, addosso aveva una specie di tunica bianca, oltretutto fuorimoda, e non riparava molto il corpo. Il ragazzo alzò il volto, davanti a sé solo la distesa piatta di quello strano mondo, senza senso, senza via di fuga.

 

Sarebbe rimasto li dentro a vagare per l'eternità?

Almeno aveva tempo per pensare a tutti gli sbagli che aveva commesso. Forse avrebbe trovato una soluzione. Già. Rise amaramente. Che senso aveva trovare una soluzione adesso?

Se prima avesse avuto modo di riflette probabilmente adesso starebbe ancora nel suo letto caldo.

 

Il tempo passava per Takanori Matsumoto, anche se non se lo sentiva scivolare addosso. Bloccato in quel limbo grigiobianco. Si sentiva in trappola, e più guardava lo spazio libero, più sentiva oppresso ed in trappola. Quelle due emozioni le conosceva bene, erano state loro a costringerlo a quello.

Aveva sempre bramato la libertà, senza confini, senza freni, ed ora che l'aveva voleva fuggire.

Si sentiva patetico.

 

Takanori Matsumoto sviluppò ben presto una capacità. Quella di contare i passi, e dopo aver sentito i piedi dolere, decise che quel numero sarebbe stato il suo giorno. Non poteva contare indietro, ma si disse che stava in quel posto da almeno cinque giorni. Quindi, il suo ottavo giorno di cammino, successe l'inaspettato.

Mentre si chiedeva, come al solito, se avesse o no uno scopo, ecco che intravide qualcosa brillare all'orizzonte. Non se l'era immaginato, e per i giorni seguenti il brillio persisté.

Si pose come obiettivo di raggiungere quel punto per vedere cosa esattamente fosse, ed impiegò sedici giorni ad arrivare.

 

Scoprì di sentire dolore, ma non la fatica, quando raggiunse il punto luminoso.

Quello che all'orizzonte sembrava un brillio, era in realtà il riflesso di quella strana luce in un lungo specchio d'acqua. Era limpida, ed intravedeva il fondo color sabbia. Allora non era tutto bianco! Si sporse di più, per potersi specchiare, in effetti, non ricordava nemmeno il proprio viso.

Quello che vide lo gelò, profondamente, ed il cuore si strinse dolorosamente nel suo petto. Era pallido, il viso scavato, che lasciava trasparire sofferenza pura. Sette cicatrici aveva sul collo, lunghe, dal mento al petto. Richiuse con fili neri e putrescenti. Se le sfiorò, ma non sentì nulla, non sentì nemmeno il suo stesso tocco.

Allora si spogliò della tunica e si immerse in quel lago, e ci restò giorni, anche se non poté contarli senza passi. Quando decise che ne aveva avuto abbastanza dell'acqua, passò dall'altra parte, si rivestì, e riprese il cammino per non-so-dove. Aveva deciso che quel mondo aveva bisogno di un nome, dopotutto. Non poteva continuare a chiamarlo 'nulla'. Quindi impiegò ventitré giorni a pensare mentre camminava.

 

Il ventiquattresimo giorno, Takanori Matsumoto decise che quel posto non era il nulla, ma era qualcosa, e decise che il suo nome sarebbe stato Ognidove. Gli piaceva come suonava.

Così chiuse gli occhi e pronunciò quel nome con sentimento, e quando li riaprì, vide davanti a sé la distesa bianca. Uguale a prima. Solo che nel fondo, proprio giù, vicino al confine estremo, c'era un minuscolo bozzetto nero.

Il suo istinto gli suggerì di tornare al laghetto, che era un posto tranquillo, ma lui voleva scoprire. E poi di tempo ne aveva. Quindi riprese il cammino verso Caponero. Così lo chiamò.

Disse un ultimo addio all'ormai distante Calmacque ed impiegò i successivi ottantasette giorni per viaggiare.

 

Erano tanti, ottantasette, ma non sapeva nemmeno se davvero stavano passando. Di sicuro, intuì, se esisteva lo spazio, doveva esistere anche il tempo.

 

Dopo ottantotto giorni, Takanori Matsumoto arrivò in vista di Caponero. Non aveva idea di cosa fosse, ma inizialmente aveva pensato ad una collina minuscola, poi ad una pietra, poi ad un albero. Quello che trovò fu invece una minuscola casetta.

Era di legno scuro e stagionato, ma cadeva un po' in pezzi. Si sporse, e dalle finestre rotte non vide nulla, se non l'interno dismesso e rovinato. Si fece coraggio, e diede due tocchi alla porta con le nocche. In quel momento non seppe perché lo fece, dato che la catapecchia era vuota, ma gli sembrò ancora una volta la cosa giusta.

Attese, e bussò ancora. Non ricevendo risposta.

Così con una scusa frettolosa aprì la porta, e quello che vide lo lasciò parecchio turbato. Non c'era l'interno della catapecchia, ma una specie di grotta fatta di fango e legno, che diveniva un lunghissimo tunnel. Un vento gelido lo investì, e Takanori dovette lottare contro sé stesso per, infine, decidere di entrare. Fece tre passi, scendendo i gradini, e si accorse che anche quelli finivano. Doveva saltare, un po' come Alice.

Si fece forza, dopotutto non aveva nulla da perdere, e poi lui sapeva saltare.

L'aveva già fatto, così, nel vuoto.

 

Non ce la faceva più, la vita improvvisamente gli era sembrata inutile. Troppi doveri, troppa sofferenza continua. A ventuno anni, Takanori Matsumoto, salì in cima al suo palazzo, al dodicesimo piano, e si buttò.

 

Ora, a ventuno anni, Takanori Matsumoto era in una catapecchia nel regno di Ognidove, e si era appena buttato.

 

Il lungo tunnel non gli sembrò poi così lungo. Scivolò contro la parete ed atterrò di schiena al suo termine. Sulla testa vide il nero della caverna.

Si rialzò dolorante, sentendo ancora il venticello fresco provenire da alcuni tunnel davanti a sé, così imboccò il primo e camminò per un giorno. Al suo termine, si ritrovò in una stanza circolare, sulla quale si affacciavano gli sbocchi degli altri tunnel, ed una porta. Andò ad essa, e posò la mano sulla maniglia. Sembrava calda, ma non seppe dirlo veramente. L'aprì con un po' d'esitazione, sbirciando dentro, e quello che vide, lo stupì parecchio.

Lo stupì più del laghetto, più del suo riflesso e più della strana catapecchia.

 

Vide una stanza di quello che pareva un bar, ben arredato, con voci chiassose provenienti dai vari clienti seduti. Poi guardò sopra il bancone, dove c'era in bella mostra l'insegna di quel posto strano, in legno anch'essa. Le lettere erano sgualcite dal tempo, ma il loro colore celeste allegro ancora risaltava.

Le Gazette de l'horreur.

 

 

Takanori Matsumoto impiegò sei giorni per ambientarsi, e venne portato via da due uomini. Non in senso cattivo lo portarono via, ma gli mostrarono quello strano mondo sottoterra. C'era il mare, e le montagne all'orizzonte. Pioveva e c'era il sole. Esisteva la notte ed il giorno.

Il ragazzo venne condotto in un enorme palazzo di pietra, e gli venne assegnata una stanza. Era piccola e semplice, con un bagno, un letto ed una scrivania.

E gli venne spiegato che li doveva trovarsi qualcosa da fare, o sarebbe morto di noia. A quelle parole tutti risero, ma lui non capì.

Si stabilì in quello strano posto, e non uscì dalla camera per cinque giorni. Qui esistevano gli orologi, per cui era tutto più semplice.

 

Il sesto giorno Takanori si vestì, e decise di passeggiare nel parco poco lontano. Tutte le persone che incontrava erano strane, alcune avevano cicatrici, altre erano semplicemente sciupate. Erano strani. Ma il ragazzo non chiese mai a nessuno perché fosse li. O cosa fosse li.

Sapeva solo che girava un giornale in cui si parlava di tragedie in chiave ironica, e questo quotidiano portava il nome di 'Gazette'.

Era strano anche quello.

Ma dopotutto, ogni cosa è strana nella terra dei morti.

 

Continuò a passeggiare sotto i pini scuri, ed intravide sul prato un gruppetto di ragazzi. Sembravano avere la sua età, e li raggiunse. Si guardarono a lungo, poi fu invitato a sedersi con loro.

Erano in tre, e tutti e tre sembravano messi male. Ma non per questo lui provò ribrezzo.

C'era Yuu, un ragazzo di ventiquattro anni dai capelli neri. Il viso era scavato, e sembrava assente, come se non avesse sguardo.

Poi c'era Yutaka, capelli neri, occhi ancora più neri, ed una terribile cicatrice lungo tutto il collo.

“Morto sgozzato” disse, come fosse una cosa normalissima.

Ed in fine c'era Kouyou, con una grande cicatrice che gli prendeva metà del viso, deturpando la sua bellezza femminea.

Ognuno di loro aveva una storia da raccontare, ed occuparono così quel pomeriggio.

 

«Io sono stato rapito. Ero il figlio di un uomo importante, ma lui non pagò mai il riscatto. Mi stordirono e mi buttarono in pozzo a morire. Ci misi dei giorni. Davvero triste. Però ora sono qui, e vivo molto meglio di prima.»

 

«Io stavo dormendo quando dei ladri sono entrati in casa mia. Ero solo in casa, provai a fare resistenza e mi ritrovai con un coltello in gola. Patetico. Non ho saputo proteggere nemmeno me stesso.»

 

«Io sono finito in un incendio, e tutti si sono dimenticati di me, lasciandomi morire avvolto tra le fiamme. E tu? Tu come sei morto?»

 

«Io non ce la facevo più della vita, e mi sono buttato.»

 

Ci fu silenzio dopo quella dichiarazione, poi una risata amara. Tutti si voltarono, accogliendo il nuovo arrivato. Aveva il corpo snello, ed il viso deturpato. Una lunga cicatrice da guancia a guancia, la bocca allungata con un paio di forbici e due punti di sutura. I capelli erano ispidi e neri.

 

«Sei patetico. Noi stiamo qui e rivogliamo la nostra vita indietro, e tu te la togli da solo. Patetico.»

 

Il nuovo arrivato si chiamava Akira, ed era morto in seguito a torture terribili.

Fecero amicizia, e si guardarono a lungo.

Forse vivere in quel mondo non sarebbe stato poi così spiacevole come credeva.

 

 

Dopo sei mesi di permanenza, Takanori ed Akira erano diventati inseparabili. Andavano insieme a fare i dispetti alle Gemelle Siamesi. Oppure facevano il solletico all'uomo senza mani. Era uno spasso, a sentire loro, vederlo contorcersi senza potersi grattare.

Erano diventati davvero un bel gruppo, li, in quella specie di inferno, dove tutte le anime dei morti risiedevano per sempre.

 

Dopo cinque giorni da quella data, Akira confessò i suoi sentimenti per Takanori, evitando strani giri di parole. Lui era fatto così, molto diretto. E Takanori li aveva accettati, ricambiandoli. Dopotutto si vedeva lontano un miglio che entrambi non erano solo amici, solo ci avevano messo un po' a capirlo.

Si abbracciarono e si baciarono a lungo sul letto sfatto della camera di Akira, felici per una volta di avere l'eternità per sé.

 

 

The (Dead) End.


















 

__**

Questo è una specie di esperimento. Boh. Ditemi voi. 

   
 
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