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Autore: IamShe    22/07/2013    16 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Your Lies
37. L’ultima decisione


 
Anche la terza settimana passò. La mattina del primo giorno della quarta, quella fatidica, quella che non sarebbe mai dovuta passare, pioveva a dirotto. Ran e Heiji rimasero ad osservare le gocce che si infrangevano a terra, sui tetti e nelle pozzanghere; ascoltarono il fischio del vento che si infiltrava negli infissi delle finestre, mormorando un lamento silenzioso e fastidioso. Anche il cielo di Washington sembrava in pena. Shinichi non se ne accorse, non avrebbe potuto mai. La sua pelle aveva ormai perso ogni tipo di colorito, era spenta e grigia come cenere. Non c’era più calore nel suo corpo, e se vi era rimasta un po’ di vita in lui era senza dubbio intrappolata in una gabbia recintata da mille catene di ferro. Shinichi non c’era più, o almeno era l’impressione che avevano i suoi due più cari amici. Ma nessuno dei due lo disse o anche solo provò ad accennarlo: erano i giorni della scelta quelli, quelli dell’ultima decisione. Ed ogni parola poteva pesare oro. Ammettere di essere favorevoli all’eutanasia significava interrompere anche quell’ultimo contatto con lui; quello visivo, quello corporeo, quello tattile. Dunque, era agire per lui, o per loro?
Yukiko non avrebbe mai potuto staccarsi dal suo bambino, è nel DNA di una madre far di tutto affinché non succeda. Eppure anche lei, pure lei sapeva che lui non avrebbe voluto. Heiji aveva trovato ciò che in vita aveva sempre cercato: l’amico che riuscisse a capirlo, a leggergli nella mente ancor prima di parlare. Ma Shinichi era anche più di questo: lui gli aveva inculcato il principio base della verità, lo scopo principale di un detective.
“La verità è sempre una sola” gli aveva troppe volte sentito dire. Ma in quel caso, in quell’istante, qual era la verità? Chi poteva decidere cosa fosse giusto o sbagliato, cosa valesse universalmente? In quel caso, lui cosa avrebbe fatto?
Preferiva non domandarselo: già conosceva la risposta.
Kogoro era affranto: quel ragazzino saputello aveva dato lui un nome, una fama, uno spazio nel mondo. Era ciò che lui aveva sempre evitato di essere: un professionista coi fiocchi, e a quella tenera età poi! Era innamorato di Ran ed aveva fatto di tutto per non metterla in pericolo. Troppo tardi aveva capito quanto valesse, troppo tardi aveva smesso di odiarlo.
Avrebbe mai potuto dirgli che sarebbe stato il genero migliore del mondo?
Yusaku erano quattro settimane che non parlava, la sua testa era troppo affollata di pensieri per darne ascolto ad altri. Perché suo figlio s’era esposto così tanto? Perché non era rimasto nascosto? Cocciuto spericolato fin da bambino!
Perché quelle pallottole non hanno colpito me?Perché?
“Ecco qui un po’ di caffè” la voce di Saigo echeggiò nella stanza silenziosa. Porse il bicchiere all’amica, tentando di scuotere in lei quel poco di speranza a cui si stava disperatamente aggrappando. La karateka lo accettò, recitando un “grazie” fin troppo stentato. Lo portò alla bocca e per un attimo pregò che non ne sentisse né il sapore né l’odore: sarebbe potuto essere un sogno, un maledetto incubo. Eppure quel caffè era fin troppo buono, e quel profumo così forte le diede il voltastomaco. Le veniva da piangere, come tutti i giorni e tutte le ore che guardava verso il suo letto. Se fosse morto lui, come avrebbe potuto vivere lei? E non era una metafora fatta male: Ran non poteva esistere senza Shinichi, nemmeno per un secondo. La consapevolezza di averlo perso per sempre era troppo da accettare: fin quando sapeva di averci litigato, fin quando fingeva di odiarlo, fin quando tentava di stargli lontano, era tutto lecito. Ma quando non avrebbe nemmeno più potuto indignarsi per una sua battuta, ridere per la sua totale incapacità a cantare, tormentarsi per la sua finta freddezza... per cosa avrebbe vissuto? Il suo silenzio in quelle settimane era devastante: sembrava essere quella che l’aveva presa meglio, forse perché nemmeno voleva rendersi conto davvero della situazione, forse perché non riusciva nemmeno a farlo. Ma quando il chirurgo dai lineamenti orientali aveva pronunciato la parola “eutanasia” era diventato tutto improvvisamente più nitido, più reale, più brutto. La chiamavano la “morte dolce”, ma era tutt’altro che zuccherata e lieta. Era sicura che Shinichi avrebbe preferito altro, e conoscendolo, era altrettanto convinta che non avrebbe concordato: ma lei, e sperava che valesse per tutti, non l’avrebbe ucciso.
 
 
 
 
“Come stava oggi?”
“Stabile, come sempre” rispose Agasa alla scienziata, posando una borsa di vestiti su una sedia di una delle stanze della villa. “Né miglioramenti né peggioramenti.”
Shiho rilasciò un sospiro: aveva gli occhi fissi sul monitor di fronte a lei, e con la mano reggeva una provetta contenente un liquido trasparente.
“Stai lavorando per l’antidoto definitivo?” domandò l’uomo, avvicinandosi a lei e sbirciando oltre la sua spalla. Notò alcuni codici e diverse parole.
“Chissà se potrà mai servire.” Commentò poi con amarezza, abbassando le palpebre e inspirando profondamente.
“Non posso mollare proprio adesso”, Shiho non s’era girata nemmeno a guardarlo. “Era più che evidente quanto ci tenesse a tornare se stesso. Sono sicura che sta provando a farlo anche adesso.”
Agasa annuì e si sedette accanto a lei, la testa fra le mani.
“L’ho visto crescere” commentò dopo un paio di minuti di silenzio, con voce bassa e rotta. “Ricordo ancora quando Yukiko me lo diede in braccio la prima volta. Aveva poco più di quattro mesi... un vero fagottino. Mi piaceva, e nel guardarlo pensai quanto fosse bello essere un padre. Mi pentii di non averci nemmeno mai provato. Rideva da pazzi in braccio a me, mi tirava la barba e i capelli.”
Shiho deglutì, ma non ricambiò il sorriso amaro dell’amico anziano. Ricordò anche lei il primo incontro col detective: allora era già Conan, era già sotto la rete di morte che l’aveva intrappolato. Le faceva male pensare che ce l’avesse buttato lei, con quella maledetta apotoxina. La causa scatenante di tutto era proprio quel maledetto farmaco. Era come se, involontariamente, l’avesse portato lei al coma. Scosse debolmente il capo, tentando di allontanare quei brutti pensieri: era davvero lei l’assassina?
“Dottore...” lo chiamò, appoggiando per qualche istante le dita sulla tastiera senza muoverle. “Lei cosa farebbe?”
Lui capì all’istante, socchiudendo gli occhi. “Decideranno Yukiko e Yusaku.”
“Se potesse decidere lei?” insistette.
Lo scienziato sbuffò. “Sono favorevole.”
Fece una pausa, poi continuò. “Non riuscirei a guardarlo su quel letto per tutta la vita, nella vana speranza che tra qualche anno si scopra qualche cura speciale per rimetterlo in sesto. Andrebbe contro lui, contro la sua natura, contro quella voglia e quell’amore per la vita che aveva.”
Shiho deglutì: aveva ascoltato quello che temeva.
“E tu?”, dovette ammettere di non aspettarsi quella domanda.
Ci pensò un attimo su, poi tornò a digitare sulla tastiera.
“Vorrei solo somministrargli questo antidoto, e mettere fine a tutto.”
 
 
 
 
Il giorno dopo, le salme di Akai e Gin vennero trasferite in Giappone. Ebbero il loro funerale, e vennero seppelliti nel cimitero, abbastanza lontani da non poter più vedersi. Jodie partì con loro, diede l’ultimo saluto al suo vecchio amore e tornò in America. Fece visita all’ospedale: Korn e Chianti s’erano ripresi ma non avevano alcuna voglia di parlare. Gli agenti federali li scortarono fino alle loro celle, intenzionalmente divise. Jodie fece visita anche a Shinichi. Dopo una breve occhiata a lui, e un abbraccio a Yukiko, volse verso Yusaku. Gli diede una pacca sulla spalla e gli sussurrò dolcemente: “non è colpa tua”.
Lui non alzò nemmeno lo sguardo, né le fece un cenno d’assenso. Vide il corpo dell’agente dell’FBI uscire dalla stanza e chiudere dietro di sé la porta. In corridoio la Starling incontrò Hana. Era appoggiata ad una delle grandi finestre che illuminavano l’ambiente. Le rivolse un’occhiata e la salutò.
“Sai Vermouth dov’è?”
“Alla villa” rispose lei velocemente, continuando a guardare fuori. “Insieme ai due scienziati, a James Black e Kogoro Mouri.”
Jodie annuì. “Li raggiungo. Vuoi venire?”
La giovane la guardò per qualche istante, sorpresa per tanta cordialità. La seguì, ricordandosi improvvisamente che aveva un compito da svolgere.
 
 
 
 
“Sono passate quasi quattro settimane”. Heiji aveva abbassato ogni sorta di barriere: era dal momento in cui il dottore aveva pronunciato quella parola che la lingua gli si era sciolta ancora più del normale. Si sedeva a fianco a lui e lo guardava, gli raccontava quello che stava succedendo, cercando di non tralasciare nessun particolare.
“E insomma, tu sei ancora qui, a riposarti su questo letto. Sai, se non l’avessi capito non è un lettino da spiaggia e non devi prendere la tintarella. Puoi alzarti, c’è il mare a qualche passo da te.”
Heiji si passò una mano sulla fronte, scompigliandosi i capelli.
“Ti rendi conto in che stato sto? Che mi metto a dire... il mare! Il mare a Washington, certo. Lo so, sono più pazzo del solito ultimamente. Qua sono tutti un po’ pazzi ultimamente. Certo, tu non puoi saperlo e non puoi vederlo. Ti invidio... ci vorrei stare io su quel letto. Chissà se staresti male come me a vedermi immobile come non mi hai mai visto. Chissà come reagiresti alla parola «eutanasia». A me sono venuti i brividi... cosa faresti tu, Shinichi? Saresti d’accordo, vero? Ma tu hai quel coraggio che io non ho... lo so...” Sorrise, sbuffando. “...sono leggermente sdolcinato. No, non leggermente. Assai, lo so. Ma è colpa tua, la prossima volta ci penserai due volte a farti beccare da due pallottole. Non una, due addirittura. E’ tuo solito fare le cose in grande.”
Si portò le mani alla bocca e per un po’ riprese fiato. Passarono alcuni minuti, poi ricominciò: “Shinichi, se non vuoi svegliarti per me, fallo per Ran. Fallo per tuo padre, amico. Shinichi... stanno morendo insieme a te, e la loro non sarà di certo una morte dolce. Tuo padre è distrutto dai sensi di colpa, non parla mai, non so nemmeno se abbia ancora la lingua. Ran lo sai... Ran vive di te. Ho paura faccia qualche cazzata, la vedo davvero male.”
Fece scivolare le mani sugli occhi, cominciava a sentire gli occhi gonfi: quand’era l’ultima volta che aveva pianto? Non sapeva nemmeno se l’avesse mai fatto in vita sua.
Non sapeva nemmeno se avesse dovuto vergognarsene.
“Shinichi... amico...”
S’alzò dalla sedia e fuggì via dalla stanza, allontanandosi da Ran che s’era appisolata una mezz’oretta prima.
 
 
 
 
Scoccò la fine della quarta, e Shinichi era ancora lì, nella stessa posizione di cinque settimane prima. Non più coma, adesso era «stato vegetativo». Adesso nessuno più aveva nemmeno la forza di sperare.
Una mattina, nel solito controllo giornaliero, il medico curante del liceale si intrattenne un po’ di più nella stanza: s’avvicinò a Yusaku e Yukiko e chiese loro di uscire per poter parlare. I due genitori lo seguirono e scomparirono per qualche minuto. Tutti sospettavano, e conoscevano, quale fosse l’argomento della conversazione. Al loro ritorno non dovettero nemmeno chiederlo. Furono loro a prender parola:
“Shinichi è in stato vegetativo” disse Yusaku, rivolgendosi ai presenti. Era la prima volta che parlava dopo settimane. “Sapete cosa significa...”
Tutti si ritrovarono ad abbassare il capo senza rispondere.
Yukiko si teneva le braccia con le mani. “Il medico ci ha di nuovo accennato l’eutanasia” interruppe il marito, tremando con la voce a quella parola.
“Noi...” continuò Yusaku, ma venne nuovamente bloccato, stavolta da Ran.
“N-non possiamo farlo m-morire, così! Senza aspettare! Pot-trebbe svegliarsi da un momento all’altro!”
Tutti zittirono.
“Chi siamo noi per decidere della sua vita?” continuò la karateka, le lacrime che le scendevano pesanti sulle guance.
“Nessuno” rispose Yusaku. “Io, specialmente, non sono nessuno. Sono il principale responsabile di tutto ciò.”
“No, Kudo”, Kogoro utilizzò un tono molto dolce. “Non è colpa tua. Non puoi continuare a pensarlo.”
Lo scrittore fece un debole sorriso amaro. “Ah, sì? Tu come ti sentiresti al mio posto, sentiamo? Dovrei starci io su quel letto, non lui.”
“Y-Yusaku...” mormorò la moglie, lasciando andare una lacrima. L’investigatore privato tacque, mentre Hattori riprendeva parola.
“A-avete deciso cosa fare?” la voce gli tremava di paura. “Intendo...”
I genitori scossero il capo, abbassando lo sguardo al pavimento.
“Non so se riuscirei davvero a farla staccare quella maledetta spina” si lamentò l’attrice, inspirando profondamente. “Ero favorevole all’eutanasia, s-sapete... ma è tutto diverso quando la cosa ti tocca direttamente...”
“Io sono contraria” specificò di nuovo la karateka. “A-aspetteremo! Aspetteremo che si risvegli, anche se sarà tra dieci anni. Non possiamo abbandonarlo così.”
“Lo fai per te o per lui?” s’intromise con voce glaciale Shiho. Ran si scontrò col suo sguardo e ricambiò l’occhiata profonda.
“Io...”
La scienziata la ignorò. “Ti piacerebbe vederlo vivere dieci anni così? Su un letto? Pensi che lui possa essere d’accordo?”
“Tu vuoi farlo m-morire, dunque?”, la karateka ricominciò a lacrimare.
“No” rispose l’altra. “No... per niente. Ma non possiamo essere egoisti e pensare solo a noi o al nostro dolore.”
“Lui potrebbe svegliarsi” ripeté la bruna, cercando di mantenere un tono sicuro.
“R-Ran...” cercò di avvicinarla e di abbracciarla il padre, ma la giovane si sottrasse.
“Siete tutti f-favorevoli?!” urlò poi, mangiando le sue stesse lacrime. Si girò verso l’amico detective e lo chiamò: “anche tu, Heiji?!”
Hattori non parlò subito. Cosa avrebbe dovuto dire?
“Non voglio che muoia”, così esternò quello che gli stava attraversando la testa. “Ma non voglio che debba vivere in questo modo.”
“Quello che vorremmo tutti” convenne Agasa, malinconico.
“Voi... no...” Ran li guardò e le mancò il fiato necessario per completare la frase. Li superò e corse via dalla stanza; voleva allontanarsi, almeno per qualche istante, da quel vero e proprio incubo.
 
 
“Siete sicuri, dunque?”
Nessuno riuscì ad annuire, ma i loro volti riuscirono a suggerire la risposta.
“Domani all’alba staccheremo la spina” decretò il dottore, con un tono sicuro ma amareggiato.
“Mi dispiace molto.”
Yusaku strinse i denti e rilasciò andare una lacrima, a cui ne seguì un’altra e poi ancora un’altra. Yukiko s’accasciò a terra, senza respiro. Agasa abbassò il capo e lasciò che le lacrime gli ricadessero sulle ginocchia. Shiho diede un pugno alla porta, ansimò e andò via. Saigo abbassò il capo ed avvertì una fitta al cuore. Jodie portò una mano alla bocca e sussurrò uno stentato “cool guy...”.
Heiji avvertì il mondo intorno a lui annullarsi, era finito tutto.
 
 
 
La giovane Mouri fuggì via verso la villa. Ogni metro che percorreva era un passo al di fuori di quella situazione. L’ospedale era la tomba delle speranze e delle illusioni, la fine di una vita d’emozioni. Per cosa avrebbe vissuto lei adesso? Per il ricordo di una persona svanita nel nulla, e senza alcuna ragione? Come potevano anche lontanamente accettare la sua morte? Lei non ci sarebbe mai riuscita. Ogni cosa che le era appartenuta era collegata a lui, ogni ricordo vedeva la sua faccia. Fin da piccola, alle elementari – con i suoi dispetti infantili –, alle medie – con le loro litigate da ragazzini –, sino alle superiori – dove avevano incominciato a capire di non poter fare a meno l’uno dell’altro.
Entrò in casa e sbatté con forza la porta dietro di sé, accasciandosi a terra. Era convinta non ci fosse nessuno, che fossero tutti a decidere della sua vita in quel dannato ospedale. Versò fiumi di lacrime sul pavimento, sferrò i pugni contro quel parquet. Sperò che facendosi male sentisse meno dolore. Sfogò tutta la rabbia che aveva in corpo, scagliò lontano da lei ogni oggetto che le era vicino.
“Perché... perché...” urlò alla villa muta e silenziosa, inclinando la testa all’indietro. “Perché...”
Il suo pianto divenne incontrollabile: il respiro cominciò a mancarle e a mal funzionare. Ansimava e non aveva alcuna voglia di calmarsi. Si scompigliò i capelli con le mani, li strattonò, quasi avrebbe voluto strapparli via. Gli occhi le si annebbiarono, e tutto intorno si sfocò e perse consistenza.
“Shinichi...” lo chiamò e quasi sperò che lui potesse risponderle. “Shinichi... p-perché...”
Le mani scivolarono sulla faccia, le unghie la graffiarono con forza. Quando le sue palpebre riuscirono ad aprirsi di nuovo, Ran notò il suo borsone poggiato all’ingresso insieme agli altri. Lo raggiunse gattonando e rovistò tra la sua roba con forza e violenza. Ne estrasse fuori una collana a forma di ruota, il portafortuna che le aveva regalato Kazuha.
“È una ruota che aiuta a far girare la sorte all’occorrenza. Se tutto va bene, non si deve toccarla; se le cose vanno male, farla girare aiuta il cambiamento! Bello no?”
Strabuzzò gli occhi e con tutta la forza che aveva in corpo diede una spinta alla ruota: questa girò instancabilmente, senza fermarsi, per circa un minuto. Poi il moto cominciò a scemare, fin quando non si fermò del tutto.
“Ti prego...” implorò, stringendola forte tra le mani. “Ti prego...”
Alzò il capo nell’udire dei passi avvicinarsi. Si ritrovò di fronte Hana, che la stava osservando e aveva un’espressione tutt’altro che felice.
“Hanno...deciso?” chiese con titubanza, notando la sua disperazione.
Ran mosse impercettibilmente il capo. “S-Sono f-fav-vorevoli...”
Hana deglutì, socchiudendo gli occhi. Lasciò che la giovane lasciasse andare un altro paio di gemiti prima di parlarle.
“Devo... devo darti una cosa” mormorò con voce fioca.
Ran smise di respirare per qualche secondo.
“Shinichi...” continuò la ramata. “Mi ha detto di consegnartela casomai fosse...”
“Cos’è?!” la interruppe la mora, issandosi immediatamente all’in piedi.
Hana non rispose, le fece solo cenno di seguirla. Camminarono velocemente verso la stanza delle ragazze: la ramata afferrò la sua borsa e la poggiò sul letto. Dalla tasca laterale ne estrasse una busta rettangolare bianca, sigillata con la suasaliva.
Ran l’afferrò con le mani tremanti e gli occhi sporgenti.
“Non l’ho aperta” la rassicurò, notando la sua indecisione. “L’ha consegnata a me perché lo scoprii scrivertela... la prima notte che arrivammo qui.”
Prese una pausa poi continuò, immergendosi nei suoi ricordi.
“Cos’è?” Hana balzò alle spalle del detective come un felino. Shinichi sussultò, e issandosi improvvisamente, s’allontanò di qualche passo. Era arrossito violentemente, e nel scontrarsi con la giovane ramata assunse una seria e vivace tonalità rossastra.
“Eh? N-no... n-nulla...” balbettò, deglutendo e maledicendo la notte e il buio per non averla nemmeno avvertita arrivare.
“È una lettera?” continuò lei, ravvivandosi.
“Eh?! No!” rispose lui con violenza. “Appuntavo i... i particolari del caso.”
Hana lo guardò con espressione furba. Fece scivolare le gambe sul muretto e si sedette con eleganza.
“Dai, a me puoi dirlo.” Insistette. Shinichi sbuffò.
“Facciamo così” disse lei, ridacchiando. “Io ti dico un segreto, e tu farai altrettanto.”
“S-segreto?”
Hana annuì, poi spostò lo sguardo verso gli alberi della villa.
“Sai perché ci ho provato con te?”
Il detective arrossì ancora di più.
“Volevo che Ran, in questo modo, si allontanasse da te. E sai perché?” continuò, e notò d’aver attirato la sua attenzione.
“Perché credo che sia una ragazza meravigliosa, che possa ridare a mio fratello la felicità. E infatti, per un po’, sembrava che ci fossi riuscita.”
“L’hai fatto per lui?”
Lei annuì. “Solo per lui. Ho notato fin da subito che fosse attratto da Ran, mi piacevano insieme. Sarebbero potuti essere felici. Perché loro non avevano niente a che fare con questa storia.”
Shinichi abbassò il capo, strofinando il foglio di carta tra le sue mani.
“Ma lei è innamorata di te” disse poi, facendogli issare di nuovo lo sguardo. “Ed io e Higo non possiamo farci proprio nulla.”
“Io non ne sarei così sicuro” commentò lui, amareggiato.
“Lo è, forse non ha ancora capito come stanno effettivamente le cose, ma lo è ancora.”
Il detective non rispose, e Hana si fermò ad osservarlo per qualche minuto.
“È una lettera per lei?”
Lui annuì impercettibilmente.
“Vorresti dargliela?”
Lui ci pensò un attimo su. “Solo se non ce la facessi.”
“Come siamo ottimisti.”
“È la verità.”
Hana annuì leggermente. Lo vide avanzare verso di lei, e con pazienza aspettò che continuasse.
“Se dovessi morire...” Shinichi le fece un sorriso. “Mi prometti che gliela consegnerai?”
La ramata sorrise. “Certo.”
Il detective prese una busta rettangolare bianca, facendo scivolare dentro il foglio e un altro oggetto, che lei non riuscì ad identificare. La chiuse con la sua saliva e gliela porse.
“E non mi guardare così” le disse, con le guance in fiamme. “Non sono mica uno sdolcinato.”

Ran aveva il cuore che le batteva all’impazzata. “Shinichi...” mormorò, lasciando che le sue lacrime si infrangessero sulla busta bianca.
“Era imbarazzatissimo, credimi” continuò Hana, abbozzando un sorriso amaro. “Anche il giorno dopo...”
“Quindi sei la sorella di Yami, eh?”, il detective tentò di cambiare argomento, con un leggero rossore al viso.
“Già” rispose lei, sognante. “Il mio fratellino... l’unico che possa considerare un vero amico.”
“Credo che tu sia stata felice di rivederlo, nonostante la situazione...” Shinichi abbozzò un sorriso, e per un attimo si scontrò coi suoi occhi.
“È stato bellissimo, credimi. Non ricordo di aver sentito un’emozione simile prima...” disse lei, osservandolo compiaciuta. Shinichi riuscì di nuovo a sorridere, sebbene la trasfusione di mozzava il respiro. Hana gli era di fronte, accovacciata alla sua altezza al pavimento.
Il detective era ansimante, affaticato e decisamente dolorante. Maledetta sedia...
“È qualcosa che ci appartiene e per sempre” continuò la ramata.
“Io non sapevo nemmeno cosa fosse...”, avvertì Hana starnutire. “...l’amicizia vera.”
“Hattori?” rise lei, poi si lasciò andare ad un altro starnuto.
Lui annuì appena.
“Ma questo resta tra noi”, doveva smetterla di essere così dolce! “...come l’altra cosa.”

“No...” la giovane si portò una mano alla bocca, mentre le sue lacrime bagnavano le sue guance e il collo con rapidità. “Shinichi...”
Hana le sorrise, le diede una pacca sulla spalla e lasciò la stanza. Ran rimase qualche minuto lì, da sola, senza aprire la busta e senza nemmeno la facoltà di leggerla. Aveva sempre dubitato di lui quando non avrebbe dovuto avere nemmeno una ragione per farlo. Continuò a singhiozzare, e con mani tremanti aprì la busta, scartandola. Cercò d’essere delicata ma la voglia di leggere cosa le avesse scritto era incombente e violenta.
Notò che nella busta c’erano due particolari: il primo, il foglio con la sua scrittura e le sue parole, il secondo era un portafortuna. Il suo, quello che gli aveva regalato mesi prima e che citava ‘l’intelligenza’, quello con cui avrebbero dovuto affrontare gioie e dolori insieme. Quello che lui aveva finto di buttare...
Lo portò fuori e lo strinse a sé, sul suo petto, sul suo cuore tamburellante.
“S-Shinichi...”
Dispiegò il foglio di carta, era un normale A4 di stampante.
 
 

Ho voluto morire prima di regalarti davvero me stesso. So che mi avresti voluto diverso, magari più dolce e sincero, magari meno sbruffone. So che forse non avresti accettato mai la mia mania a mentirti e la mia tendenza a metterti dopo i miei casi, so anche che non avresti mai voluto che finisse tutto con le mie bugie. Mi dispiace non averti regalato quello che avrei potuto o non averti dedicato le mie parole più belle. Ma purtroppo sei il caso più difficile e complicato che mi sia mai capitato. Talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente che per me è impossibile capirti. In fondo, il cuore della donna che amo, come potrebbe essere oggetto di deduzione?
Avrei voluto essere la luce che illumina il tuo viso, essere la spada che difende il tuo sorriso, essere lo specchio in cui ti vedi, il posto su cui siedi, essere la calza che ti scalda i piedi, essere la lingua che ti assaggia, la tua mente che liberamente viaggia, essere il suono che ti scalda sulla spiaggia, la tua mano protettrice che ti rilassa, essere le lenzuola su cui poggi le tue grazie preziose, essere il baule in cui racchiudi le tue cose, il diario a cui affidi i tuoi segreti, essere la visione di ciò che non vedi, la risposta che volevi,essere come il tuo santo protettore quando preghi, essere il fuoco che ti scalda dal camino, essere... il tuo uomo e il tuo bambino.
Vivi più che puoi, perché con te vivrò anche io.
Shinichi

 
 
Ran piangeva. Piangeva senza riuscire o volere fermarsi.
Il suo cuore piangeva, il suo cervello piangeva, la sua bocca piangeva.
“N-non puoi chiedermi di vivere senza di te...”
La sua voce piangeva, i suoi muscoli e le sue dita.
“Non posso vivere senza di te, Shinichi...”
Si accasciò al pavimento, perse i sensi lasciandosi andare alla morbidezza della moquette. Impresse sul suo viso vi erano ancora quelle parole: “Non voglio amore mio”.
 
 
 
“È colpa mia... è colpa mia... è colpa mia...” sussurrò, ma nessuno riuscì ad udirlo.
Il buio che circondava la stanza non avrebbe potuto mai coprire i suoi sensi di colpa.
Portò una siringa al braccio, e con violenza fece scivolare il liquido all’interno. Un grido di dolore, poi nulla più.







....Ciao :(
Sono depressa anche io, lo sono perché questo capitolo è davvero davvero triste. 
Credo che sia il più triste che abbia mai scritto in vita mia, e un po' spero di essere riuscita a trasmettere questa tristezza anche a voi. 
Mi dispiace non aver risposto alla recesioni, ma ho dato completa attenzione al capitolo, è il penultimo ed è importantissimo, quindi doveva venire bene. 
Sì, avete capito bene... il prossimo è l'epilogo della storia, l'ultimo capitolo. 
Shin-chan è morto, ma le brutte sorprese non finiscono qui. Ancora non so bene come strutturare il prossimo, ma mi verrà qualche idea in mente XD
Diciamo che... generalmente, io sono favorevole all'eutanasia. Non so però se mi trovassi ad affrontarla direttamente se cambiassi idea, probabilmente sì. Però, nell'incertezza, ho voluto seguire la mia idea originale, pensando che Shinichi non avrebbe mai voluto vivere su un letto d'ospedale per tutta la vita. Spero che almeno su questo siamo d'accordo!
Finalmente avete scoperto cosa combinò Shin-chan la notte che non dormì nel suo letto, e cosa significavano quelle parole....:)
Ehm... la lettera, poi. Devo ammettere che ero indecisa all'inizio... non sapevo se inserirla o no. Avrebbe potuto rendere Shinichi OOC, ma alla fine ho creduto che, se fosse morto, sarebbe stato capace di abbassare le sue barriere. Ci tengo a dire che le parole centrali ovviamente non sono mie, ma appartengono alla dichiarazione di Londra by Gosho. Mentre quelle che vengono subito dopo nemmeno sono mie, ma appartengono ad una canzone, questa: http://www.youtube.com/watch?v=6Z9qquZUTOE  , che fin da quando ho ascoltato per la prima volta ho creduto che cadessero a pennello su Shinichi e Ran. 
Be', siamo quasi alla fine, il prossimo è l'ultimo chap, ed io spero che anche questo vi sia piaciuto, nonostante tutto :)
Grazie a chi ha commentato, a chi lo fa sempre e a chi mi manda messaggi personali. Solo grazie a voi a fan fiction è arrivata fin qui.
Un bacione, a presto.
Tonia
   
 
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