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Autore: _17M_    23/07/2013    5 recensioni
Ci scambiamo delle occhiate soddisfatte e impazienti di dare inizio al piano. Non riesco a trattenere una risata. Finalmente ci rilassiamo e appoggiamo le nostre schiene alle sedie.
In quel momento arriva una cameriera con i nostri ordini. Lauren prende il suo solito frullato di mango senza zucchero, io il mio solito caffè corretto e Josh il suo solito caffè nero. Alziamo i nostri bicchieri e facciamo un brindisi.
«Alla nostra amicizia.» dico sogghignando.
«Alla nostra intelligenza» Aggiunge Lauren.
«Alla nostra cattiveria.» conclude Josh.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

La pioggia batte su Londra. Il vento di novembre si insinua tra le fronde degli alberi e i cespugli ordinati di fronte alle case. Osservo il tutto dalla finestra del mio studio. Abbasso lo sguardo sulla scrivania e osservo i fogli sparpagliati sul ripiano lucido di legno.

Alzo gli occhi verso la parete di fronte a me. Appesa, in bella vista, incorniciata, la mia laurea in giurisprudenza.

Non posso fare a meno di emettere un lungo sospiro.

Apro un cassetto della scrivania alla ricerca di una pillola per il mal di testa. Nel frugare comincio a tirare fuori di tutto, finché non mi capitano fra le mani dei vecchi fogli pinzati assieme.

Uno spartito. Ah, sì, lo conosco bene.

Una canzone che avevo composto anni fa, tantissimi anni fa, alla fine di una mia vecchia storia.

Leggo il titolo in alto. Happy ending.

All'epoca non volevo altro che diventare un musicista.

Passavo ore al pianoforte, comunicavo con le note.

Quello è stato forse il periodo più bello della mia vita.

Per la prima volta ero vero, spontaneo.

«Michael, il tè.» La voce di mia moglie Sandra mi fa tornare alla realtà. É ferma sulla porta, appoggiata allo stipite.

«Sì, arrivo subito.»

«Cos'è tutto quel disordine?» Mi chiede incuriosita. Mi sento avvampare a questa domanda.

«Niente, solo delle vecchie carte... delle... delle vecchie pratiche, ecco. E comunque non sono affari tuoi.»

Mi osserva per qualche secondo per poi sparire nel lungo corridoio scuro.

Mi lascio cadere pesantemente con la schiena sulla sedia. Mi passo una mano sul viso e chiudo gli occhi. Resto così per almeno un minuto.

Ma cosa sono diventato? Un avvocato quarantacinquenne, un Michael qualunque, con una moglie, una bella casa, un lavoro sicuro, senza figli e senza felicità.

Che fine ha fatto il vecchio Michael, quello che suonava il pianoforte, che sognava, che amava?

«Un giorno capirai, e mi darai ragione, Michael.» Erano state queste le parole che mi aveva detto mio padre il giorno prima di morire.

A dir la verità io non ho mai capito. Ma, come per rispetto della sua memoria, ho voluto fare tutto ciò che lui avrebbe voluto da me.

Ecco come sono arrivato fin qui. Grazie al fantasma di mio padre, che mi ha detto cosa fare e cosa non fare. Quell'uomo duro che non mi ha mai dimostrato apertamente il suo affetto, che ha sempre voluto che io fossi un uomo vero, come lui.

Bene, papà, sei contento? Eccomi qua, la tua esatta copia.

Ricco, sposato e un grande stronzo con tutti, anche con mia moglie. Sono come te. Hai vinto tu.

 

 

***

 

«Non dormi?» Mi chiede Sandra.

«No.» Rispondo secco.

«Dovresti, invece.»

La ignoro.

La sento girarsi su un fianco sul letto e darmi le spalle. Io resto seduto a osservare il vuoto. Quel maledetto spartito ha come riacceso qualcosa in me.

Mi ha risvegliato, ha smosso delle sensazioni che da tanto tempo davo per sepolte.

Guardo l'orologio sul comodino. Le tre e diciotto minuti.

Ho deciso. Che l'udienza di domani se ne vada a quel paese.

Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il guardaroba. Afferro un maglione e dei pantaloni a caso ed esco dalla stanza senza fare rumore.

Vado in bagno, mi vesto in fretta. Mi guardo allo specchio.

I miei occhi sono stanchi, sovrastano delle borse profonde. La mia bocca è, come sempre, rivolta verso il basso.

Non mi ricordo neanche più l'ultima volta che ho sorriso. Non so se l'ho mai fatto.

Neanche al mio matrimonio l'ho fatto.

Forse, nella mia vita precedente.

Quanto odio e amo quella vita. L'ho rinnegata.

Ma ora la rivoglio indietro.

Esco dal bagno, cammino lungo il corridoio, circa a metà mi fermo per prendere da un mobiletto un paio di scarpe. Mi siedo sulla sedia adiacente e le allaccio.

Mi rialzo e vado verso l'ingresso.

Mi metto un lungo cappotto nero e una sciarpa grigia.

Prendo le chiavi dell'auto ed esco di casa.

 

 

 

Come già annunciato su Twitter (ovviamente nessuno mi ha considerata) avevo una fanfiction che vagava per la mia testa. Bene, eccola qua. Lo so, è abbastanza breve questo capitolo, ma è giusto un assaggio, per vedere un po' le reazioni e considerare se continuare o no. Quindi, se vi piace, recensite, recensite, recensite, e io vi risponderò e pubblicherò il secondo capitolo. Promesso.

  
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