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Autore: FRC Coazze    23/07/2013    3 recensioni
Sulle sponde dell'ultimo mare si incontrano gli sguardi d'un vecchio leone e di un gatto cieco che ha perso il suo cuore.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brevissima storia sulla falsa riga di una favola che è saltata fuori dal cilindro delle pazzie estive :D. Non aspettatevi nulla di allegro da quanto segue, però, eh! Io vi ho avvisato ;)



Il gatto cieco





Avvinghiato alle sue mere ossa sotto un’arida rupe nera era il piccolo gatto, e piangeva. I suoi occhi erano spenti e il suo spirito si estingueva nel raspare di quell’ultima sera, poiché aveva perso la sua strada laddove essa sfiorava le torri della bianca fortezza e la sua amata giaceva sepolta nel silenzio di una terra lontana. Così perso nel suo vagabondare, senza meta e senza scopo, di lontano aveva udito il chiamare placido del mare, ma, ahimè, oltre quella roccia non gli era riuscito di proseguire ché il suo dolore e il suo cordoglio s’erano troppo pesanti da trascinare. E così giaceva lì sotto lo sferzare del gelido vento, e piangeva e gemeva per la vista perduta e il sogno spento.

Così passarono i giorni (se tale conta esiste laddove la sera è perenne e’l sole raramente si mostra ad oriente) senza che’l gatto, sempre più magro, più triste, più estinto lasciasse la sua alcova di dolore e tormento. Ma ecco ch’un dì qualcuno passò lì accanto. E il vecchio Leone arrestò il passo e chiese: «Perché piangi, piccolo Gatto delle Foreste?»

«Piango perché ho perso il mio cuore e la mia vista», rantolò il gatto, «null’altro che’l buio posso ormai vedere, niente fiori innanzi a me, né strade o sentieri». E gli occhi del vecchio Leone si fecero più assorti intanto che osservavano il Gatto rannicchiato sotto la roccia inerte.

«Nessuno deve piangere per la perdita del proprio cuore», disse profondamente, «né deve lamentarsi del bruciore dei propri occhi. Poiché la vera vista giace nel profondo e un cuore può sempre esser ritrovato laddove l’amore non è morto».

I bianchi occhi del Gatto si levarono verso la sua voce, bagnati dalle lacrime di quell’ultima luce. «Oh Leone! I tuoi occhi non vedono dunque i miei?», ansimò. «Qualunque cosa io cerchi come potrò mai trovarla?»

E lo sguardo del Leone si fece più cupo poiché gli fu lampante che la cecità del gatto andava di là dei suoi meri occhi. Ed egli gettò su di lui uno sguardo ferino e disse: «Niuno abbisogna di occhi per ritrovar il proprio cuore: cerca nel mare, esso è vicino. Ma tu, Gatto, non solo gli occhi hai perso, ma tutto il resto!»

E il pianto del Gatto si fece più forte giacché le parole del Leone bruciavano dentro di lui e malferma rendevano la certezza del suo disperare. Abbassò gli occhi ciechi, sospirando e ansimando senza voce alcuna ch’egli potesse chiamare.

Ma poi: «Oh giusta è la tua voce, Grande Leone! Ti prego, prendimi sulla tua schiena e portami alle acque poiché nulla rimane di me! Né occhi né carni né cuore.»

E tese la sua zampa perché il Leone l’afferrasse, ma il Grande Felino lo osservò in silenzio e non si mosse. Poiché ora innanzi a sé non vedeva che un misero mucchio d’ossi, senza cuore per amare e senza arti per rialzarsi. Sarebbe venuta la marea ad accoglierlo sulle spalle. E così, in silenzio, se ne andò senza volgere lo sguardo mentre il pianto del Gatto riprendeva a sollevarsi.

  
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