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Autore: Columbrina    23/07/2013    1 recensioni
Avvertimento OOC per sicurezza. Perdonare qualunque incongruenza con il personaggio.
 Quattro storie nello stesso destino, come non andrebbero mai raccontate.
 
 
Birth.
 Aerith Gainsborough, presto, sarebbe andata all’altare. Se lo promise, o meglio gliel’aveva promesso. Sarebbe stata la sposa più bella del mondo, con quegli occhi brillanti che avrebbero esaltato un colore così tenue come il bianco, al suo fianco solo gioia. Nessuna barricata poteva ferrare la certezza.
 
 
Life
 “Trascorri così il tempo quando non hai rogna in giro?”
 “O faccio questo o prendo a pugni qualche belloccio. La più allettante è sicuramente quest’ultima, ma non posso fare questa carognata al futuro marito della mia migliore amica”
 “Giusta osservazione. Comunque, non dovresti essere con Aerith?”
 “E tu non dovresti essere con Cloud?”
 
 
 Death
 “Tu cosa pensavi di fare, piuttosto. Volevi ucciderti? Perché? Pensavo ormai che fosse tutta acqua sotto i ponti. Mi sbagliavo? Certo, perché sono stata una stupida a credere di poterti dare una chance …”
 “Una passeggiata. Ecco cosa volevo fare”
 “No, un suicidio premeditato. Ecco cos’era.”
 
 
 
 Synthesis
 Questa è una fantasia ancora da scrivere.
 
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Zack Fair
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Contesto generale/vago
Capitoli:
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#28. I heard love is blind

 

Amy, everything is between the cheats.

 

L’estate giunse tardiva quell’anno, quindi dopo il solstizio insisterono ancora per un po’ alcuni recidivi soffi di frescura, non intaccando però la crescita di boccioli precoci, che faticavano ad aprirsi al mondo e alla luce per paura di essere frustati a morte dai rimasugli di un inverno lungo e stanco e di una primavera povera di soffioni; però, ora che i tempi fatidici erano maturi, Tifa poteva sorridere ai giochi di colori dei fiori così inebrianti, che si premuravano di portarle allegria frattanto che Cloud era fuori per le consegne. Con suo sommo piacere, era diventato più servizievole dopo che era entrata nel terzo trimestre, premurandosi che i suoi impegni non fossero mai forzati, facendole trovare fiori di giorno e candele accese quando il buio della brezza estiva la rendeva volubile ai suoi stessi sforzi. E sembrava annegare a bagnomaria in una placenta impregnata di tutte le sue felicità inattese che a loro volta divenivano aspettative che contornavano lo scenario roseo che pronosticavano i fatti.

Anche gli altri della famiglia le erano stati vicini; Zack le aveva addirittura fatto trovare un completo intimo per quando sarebbe tornata alle origini e Barret ci aveva scherzato su dicendo: “Pensa proprio a tutto questo Fair!” 

Tifa allora aveva riposto il biglietto e il pacchetto nel cassetto più nascosto, addirittura più recondito di quello in cui teneva i suoi sogni; aveva sorriso e si era addormentata con lo stesso sguardo di quando era con Cloud senza rese o nessuno che toccasse quell’istante fuori da tutte le lecite garanzie, eppure nei sogni impazzava il rombo di una moto misto al gusto del gelato al sale marino e a un profumo.

Zack profumava di talco.

Anche Aerith glielo diceva, ma sentirlo era un’altra cosa.

E sentì ruzzolare anche il più minimo spiraglio di lucida e fedele concezione di come potevano essere le future risa, sentì affastellarsi su un tappeto di foglie morte, poi su una coltre di neve, il mare di pensieri le arrivava fin sopra il naso e infine respirò il pulviscolo irritante che si traduceva in un profumo di polline di un prato curioso, su un cielo disturbato dal volo di uno stormo di uccelli neri, forse corvi o gazze non lo sapeva; erano dello stesso colore corvino dei loro capelli, del respiro di Cloud quando si stringeva su sé stesso, circondando il petto e cercando di circuire anche quello di Tifa; era anche il nero della notte nonostante tutti insistevano nel dire che fosse d’un cianotico blu. Che strani punti di vista quelli dei suoi sogni, che rotolavano su sé stessi come a costituire un rompicapo, un gioco a incastri dove non sapeva dove mettere mano.

Poi affogava nella mansueta e tranquilla placenta dei sensi, sebbene stesse andando a fondo e forse alla deriva.

E il profumo di talco prendeva il posto di quello inebriante e sincero di Cloud, con il suo stesso sguardo chiuso e sorridente, sperando che anche lui stesse sognando cose belle, magari di loro. Forse i suoi sogni non erano così complessi come i suoi, pensava; perché lei sapeva nascondersi bene alle aspettative.

Un pomeriggio, di quelli belli, che trasudavano armonia da ogni raggio sconsiderato che filtrava dalla finestra e dai suoi occhi tersi, Aerith si era presentata a sorpresa a casa quando non c’era nessuno, neanche i bambini. Aveva con sé il mazzo di fiori quotidiano, che non mancava mai in casa. Le raccontò più volte del sogno e di come le apparisse tutto così confuso.

“E’ comprensibile” era riuscita solo a dire, mentre ravvivava con sbuffi gentili delle mani i petali dei fiori sbiaditi, infondendo una nuova ondata d’amore. Poi li tolse via dal vaso accantonato sul bordo della finestra e in una procedura rapida e solerte, li mise sul tavolo, cambiò l’acqua sporca e vi mise quelli nuovi, mentre nell’aria assaporava un nuovo grido di purezza.

Intanto Tifa aveva rimuginato per più istanti ripetuti sulla risposta di Aerith e per più volte si era ritrovata a bivi plausibili, poi volgeva uno sguardo implorante alle sue gesta intrise di così devota premura, come se quell’abilità le fosse nata nel petto e man mano nel tempo si fosse protratta fino alle mani così esili e gentili, che carezzavano i petali e i fiori, come se gli parlassero. Gemette. L’amica smise subito di premurarsi dei fiori freschi e il verde dei suoi occhi timorosi sembrarono ammaliare la fitta, che smise.

“Tutto bene?” chiese, senza preoccuparsi dei fiori, quelli lasciati a poltrire sul tavolo, senza cibo o acqua.

“Sì …” sospirò profondamente, alzandosi con la schiena eretta sul letto, un cuscino a far da sostegno “Contrazioni. Sono normali”

“Ormai manca davvero poco”

“Già”

Si sorrisero, mentre Tifa riprese nuovamente a rimuginare sopra concetti abusati fino alla noia e Aerith tagliò il gambo dei fiori ormai sciupati del loro colore e della loro freschezza, avvolgendoli poi un involtino di cellophane e mettendolo in una borsa, simile a una prigionia buia, in modo da dargli una degna sepoltura forse. Avrebbero visto la morte nel buio.

Frattanto la placenta si muoveva paradossalmente alla placidità di quel pomeriggio perfetto, senza ustioni oppure odori che facessero presagire nulla di sbagliato o buono.

Le due amiche si sorrisero, contemplando la compagnia reciproca, fatta di risate e confessioni, ma certe volte anche di silenzi benefici, sfaldati solo da piccoli e laconici gesti: Aerith si sedette su una poltrona vicino al letto, la stessa che Tifa usava quando Cloud era costretto a letto con la febbre, e le carezzò con maestria congenita il ventre pasciuto, tracciato dalle lenzuola leggere che sembravano sbuffare, che si perdevano in piccoli lembi circolari e si sorrisero. Un moto di mestizia, però, imbruniva i loro occhi, seppur in modo diverso: gli occhi chiari di Aerith erano in simbiosi col suo desiderio di poter cullare anche lei una vita dentro di sé; quelli scuri di Tifa assorbivano il mondo e tutti i suoi dolori, rintanandoli nello spazio a cui erano destinati. Vi fu un altro gemito.

“Scusa …” a parlare fu la voce di Aerith, incrinata dalla tristezza, che ritirò bruscamente la mano.

Tifa elargì un sorriso, forzato solo dalla fitta alla placidità della placenta, che stava iniziando ad agitarsi, come le onde di un mare sempre più birichino.

“Ricorda che manca poco. Sono al nono mese e sono contrazioni, te l’ho già detto”

“Sì, hai ragione” sorrise “Tra poco vado a prepararti un bel tè caldo e vedrai come starai bene”

“Grazie”

“Per te questo e altro”

Si strinsero la mano, condividendo ciò che attendevano da tanto: Tifa non l’aveva mai detto a voce alta, ma in quei momenti in cui la confidenza diventava un impellente bisogno fisico aveva bisogno di un’amica al suo fianco, una che avrebbe potuto condividere con lei le sue confidenze di madre. E chi altri se non Aerith, che si era sempre premurata di farle trovare una bella tazza di tè caldo per alleviare i dolori del terzo trimestre, la sua fervida compagnia fatta di allusioni e speculazioni varie o anche nuovi lavori a maglia, ricavati da vecchie scatole gremite di fili; il suo ultimo regalo sono stati dei guanti di lana rosa, così piccoli da sembrare quelli di una bambola, dall’amore talmente fragile di un pensiero che non andava sciupato.

“Le piacciono le tue carezze, lo sai?” sorrise Tifa a un certo punto, notando il timoroso formicolio che attraversava le dita di Aerith, tentate fortemente di dischiudersi nell’ennesima carezza confidenziale.

La placenta iniziava a cigolare sotto i piedi e sotto le culle, creando un improvviso senso di vuoto. C’era quasi, ma non voleva dirlo.

“Davvero?”

“Puoi fidarti. Quando l’accarezzo io come minimo scalcia, invece quando sei tu a coccolarla si calma e diventa placida, come se cadesse nel più beato dei sogni”

“Meglio non rallentare i tempi. Altrimenti continuerai con questi sogni che tanto ti turbano. Te lo leggo negli occhi”

Tifa calò lo sguardo con i segni della frustrazione prostrati fino a incavarle dei brutti segni dell’insonnia; ma le fitte continuavano, lei le soffocava stringendo la bocca, mordendosi le guance e le labbra.

“Tu dici che è comprensibile”

“Infatti lo è. Anzi, secondo me è buon auspicio”

Diceva così perché Tifa non l’aveva detto, ma aveva tralasciato la parte in cui odori e calori estranei a quelli che di solito sentiva quando dormiva la notte accanto all’altro cuscino si sovrapponevano, diventando parte integrante del sogno e poi il sogno stesso: si stava ammalando anche lei, ma era più brava a reprimerlo.

“Dici?”

“Sì. Calori e odori familiari vogliono dire soltanto una cosa …” lei sorrise “Che la piccola non vede l’ora di nascere e ti sta mandando dei segnali in sogno perché è l’unico modo per comunicare con te”

“Non so. Penso che mi sto ammalando” disse tutto d’un fiato, non tralasciando e svelando nulla.

Aerith elargì un accorto sorriso, le mise una mano sulla fronte, come se dovesse tastarle la calura e poi si portò l’altra alla sua, come per confrontare le febbri.

“Di febbre non ne hai” sentenziò.

Tifa, allora, strinse dei lembi di lenzuolo come se dovessero alleviare le sue frustrazioni; calò il capo, prostrato dalle troppe colpe e consapevolezze.

“Tu non hai capito …”

“Certo che sì, invece. Riesco a distinguere una malata vera da una immaginaria” 

C’era passata anche lei.

Tifa non alzava lo sguardo e non dava segni di compatimento verso sé stessa; sapeva solo colpevolizzarsi, ora che certi pensieri erano sotto il monopolio della sorte.

“Ma ho tutti i sintomi”

“Ti stai facendo condizionare dagli eventi. Lascia che i sogni siano solo una parte di quello che vuoi e quello che temi. La piccola vuole portarti consiglio attraverso i sogni, per testare la tua reazione e a giudicare dal tuo rifiuto di accettare la tua sanità, posso dirti che quello del sogno non è effettivamente quello che vuoi”

Tifa si specchiò nello sguardo accorto di lei che, senza esitazioni, aveva capito tutto quello che le era passato per la notte e per la testa, assorbendolo nei suoi occhi scuri. Che il pensiero di Zack anche nei sogni fosse solo un catalizzatore per portarla più vicina ai suoi veri desideri; che anche solo peccare con la mente la turbasse in modo da renderla così incapace di prendere tutto a cuor leggero, che quello per Cloud fosse un amore che andava al di sopra delle semplici scappatelle della sua mente?

Aerith le stava dicendo di sì.

Non era malata, lo sapeva nel cuore; aveva solo bisogno di certezze che per molto tempo erano mancate anche a Aerith e a Cloud durante la malattia; lei e Zack non erano mai stati morbosamente malati, ma solo sfiorati e hanno puntualmente respinto la malattia che si sarebbe insinuata tra loro e avrebbe compromesso tutto e non ci sarebbe stata quest’armonia che sentiva trapelare da ogni parte del corpo, perfino nelle vibrazioni violente della placenta.

Gemette ancora un po’.

Stava per affogare, non voleva ammetterlo, ma il calore era vicino e sentì l’impellente voglia di cacciare via quel pensiero e quella sensazione maligni più di ciò che le avrebbe fatto, perché non voleva farle del male.

I gemiti divennero rantoli e Aerith si spaventò, pur rincuorata dai sorrisi di Tifa; che divennero insopportabili a un certo punto da forzare. Allora lei si alzò, diretta al telefono per chiamare il medico. Ma i rantoli si placarono.

“Vado a farti il tè?”

“Sì, grazie …” disse, senza alcuno flusso di coscienza, solo per dare aria alla bocca e restare sola coi suoi pensieri senza bisogno di oppressioni.

Aerith corse al piano di sotto, senza immaginare che il sogno stava prendendo vita davanti a lei, al suo letto, si sentiva come in convalescenza dopo un periodo di purificazione da tossine picassesche, che le destavano i più strani pensieri.

Tifa, tra gemiti che divenivano rantoli e placente che si rompevano a suon di luci calde e oppressive, vide passare davanti tutte le sensazioni che davano per scontati i suoi sentimenti, fino a sfociare nella recidività.

E continuò così per un paio di minuti, nel frattempo che Aerith stava a vegliare il bollitore.

Sentì aprirle i sensi e le narici un insano aroma di talco fresco misto a quello del cuscino accanto a cui dormiva tutte le notti, una mistura a dir poco letale che invogliò i rantoli a continuare sempre più impellenti.

Sapeva che non voleva farle questo, ma era necessario perché non ce la facevano più entrambe. Era meglio finirla subito.

Passarono altri minuti, anzi istanti, con questo pensiero tra le mani e tra i rantoli che si evolvevano in modo sempre più spasmodico, come quelli di un automa; perdeva pian piano la lucidità dei sensi e la capacità di prendere coscienza degli odori e dei ricordi che si affastellavano l’uno sull’altro.

Non annegava in un ventre buio, ma in uno luminoso, pieno di forti sollecitazioni che aspettavano solo di essere palesate. C’era vita e lei la sentiva, forte e chiaro.

L’ultima cosa di cui era veramente certa sfociava nel colore azzurrino di un paio di occhi celestiali, letteralmente.

Adesso era completamente annegata nel mare di pensieri, dolori e placenta che scivolava addosso ed era carne stanca, alleviata dalla luce. Doveva farle male, perché glielo chiedeva, implorava con le lacrime agli occhi. E a malincuore l’accontentò.

I rantoli presero a divenire urla. Grida incontrollate che sfociavano in rantoli, poi in gemiti; una sorta di processione spasmodica che si ripeteva ciclicamente, in tempi e distanze sempre più ristretti; avveniva tutto velocemente.

Aerith era risalita, col vassoio in mano e non appena vide il suo viso impregnato di sudore e gli occhi scuri provati dalla fatica dell’insonnia e del dolore, non esitò a gettare le indecisioni per aria, letteralmente, e l’ultimo filo di coscienza si perse in un tonfo di ceramica e di rombi improvvisi.

“E’ lui …” riuscì a dire, prima di annegare insieme a lei; perdendo ogni coscienza e prova dei fatti.

Però lo chiamava, strillava senza dire nomi, sperando che capisse. Aerith era sconvolta, ma senza dare segni di cedimento, la portò di peso con sé mentre lei parlava senza fiato.

E lei continuava a chiamarlo, anzi entrambe lo volevano, lo imploravano, volevano sentirlo. Anche se non era forte, lo pretendevano.

"Tifa arrivo!"

Furono queste le ultime parole che sentì, prima di sprofondare sconfitta in una morsa di languidi dolori e spire vorticanti.

“Non può farcela da sola. Non puoi farcela da sola”

Aerith gli sorrise, sostenendo il peso del corpo di Tifa, che prima gridava, poi rantolava e poi gemeva.

“Sì che possiamo …”  gli passò davanti “Noi mamme siamo tenaci”

“Vado a chiamare gli altri”

“Ci vediamo all’ospedale di Edge

 

 

 

 

 

Synthesis

 

Il ritardo non è intenzionale, più o meno: qualche settimana fa, avevo intenzione di pubblicare il capitolo, ma vagliando il fatto che l’anniversario di morte della musa ispiratrice di Cheats, la signorina Amy Winehouse, era imminente ho deciso di propendere per l’opzione di pubblicarlo oggi, ventitré Luglio. Non c’è una canzone in particolare da dedicarle: con la sua voce, ha messo su questa storia che si sta avviando alla conclusione in modo sempre più rapido.

Penso che il capitolo parli da sé: le suggestioni del parto imminente si fanno sentire e il clima in casa Strife sembra essere meno saturo di tensione di quanto lo sia stato nei precedenti ventisei (il ventisettesimo è stato già pubblicato, come storia a se stante e si intitola Take the box. E’ assai marginale ai fini della trama, poiché è uno scorcio sul Natale visto dagli occhi precoci di Denzel e Marlene).

Ricorrenti sono dei sogni in cui tutto sembra prendere gli odori, i calori, i colori e le sembianze di Zack e del suo profumo che richiama quello del talco, quello che si usa per i bambini. La scelta è casuale: solo dopo, mi sono resa conto di questa coincidenza.

Tifa ha paura di “starsi ammalando” di quella malattia che rende tutti inevitabilmente ciechi e schiavi delle proprie illusioni, che ha come medicina la malattia stessa: per questo scelgono di non curarsi.

Ai timori di Tifa si accompagnano i rantoli del parto imminente e delle premure di Aerith che, in questo clima di trepidante tensione, la salva due volte.

Alla porta incontrano entrambe Cloud e, per una volta, è lui a trovarsi all’estremità.

Non è uno dei miei capitoli preferiti, ma è abbastanza importante.

 

Ringraziamenti vivissimi a:

 

Aeris aka Hilda, che mi sostiene e mi allieta il cuore.

 

alister_ che, per slancio suicida, si è rimessa in pari e mi ha fatto due dei regali di compleanno più belli che abbia mai ricevuto.

 

Manila che, bene o male, è sempre lì. Lei mi ha fatto regalo della sua presenza costante e di quel bellissimo capitolo del matrimonio che attendevo con trepidazione. Presto sarà Shera a fare un regalo a Cid, presumo.

 

E anche a L, la prima a credere in me, che mi ha fatto regalo – per non dire “sacrificato” - del CD Lioness Hidden Treasures della mia musa ispiratrice, privandosene per farmi assaggiare questo piccolo capolavoro musicale.

   
 
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