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Autore: L Change the World    23/07/2013    2 recensioni
“Ho paura, Gil. Paura che tu un giorno non ci sarai più."
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Gilbert Nightray, Oz Vessalius, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Secondo te si sveglierà presto?”
“Dorme da almeno due giorni…”
“E menomale che aveva detto che non era grave!”
“Break, ti sembra il momento adatto per scherzare?!”
Gilbert aprì lentamente gli occhi, facendo fatica a mettere a fuoco quelle tre sagome che incombevano su di lui.
“Sssssh! Silenzio!”
“Si sta riprendendo.”
La testa gli pulsava, ma era soprattutto il petto a procurargli dolore: una larga fasciatura di seta copriva i graffi che il gatto Cheshire gli aveva inferto con i suoi potenti artigli. Ne erano passati di giorni da quando avevano recuperato il ricordo di Alice, eppure continuava ad essere spossato. Si sarebbe rimesso subito a dormire, e già stava per affondare nuovamente la testa nel cuscino, quando si rese conto che quelle tre figure non erano altro che la nobile Sharon, quel buono a nulla di Xerxes Break e il suo amato padrone, Oz Vessalius. Le loro facce costernate spuntavano dallo schienale del divano sul quale giaceva, fissandolo con aria inebetita. Si alzò con troppa foga, e le ferite tornarono a bruciare, ma lui a malapena se ne accorse. Prese la testa di Oz tra le sue mani e si avvicinò al suo viso.
“Oz! Stai bene? Sei ferito? Ti sei ripreso? Rispondimi!”
“Gil, stai tranquillo, rilassati!” La voce del suo padrone risuonò dolce nella sua mente. Quando Jack Vessalius aveva preso possesso del suo corpo, quella stessa voce era stata così dura, così seria che per un attimo aveva temuto che non avrebbe mai più risentito il tono caldo ed infantile di Oz.
“Per fortuna stai bene.” disse Gilbert, togliendogli le mani dal viso e arruffandogli i capelli dorati.
“Tu, piuttosto, come vanno le ferite?” In un balzo, Oz saltò dall’altra parte del divano e si chinò sulla fasciatura, carezzandola con delicatezza e cautela.
“Aspetta Oz, lascia fare a me.” Sharon lo raggiunse con in mano delle bende nuove  e dell’acqua. Quando gli tolse le fasce, Gilbert notò che i graffi erano nettamente migliorati, e la carne non era più rosa e viva. “Guarirà presto, basta che non ti sforzi troppo.” gli disse poi la ragazza, con il suo tipico sorriso premuroso.
“Gilbert caro!” esclamò Break, irrompendo  con un vassoio carico di tazze e pasticcini e scansando Oz e Sharon a suon di spallate “Ti ho portato un po’ di tè!”
“Dunque, il capellone si è svegliato!” Dall’angolo più remoto della stanza affiorò la testa di un’Alice intenta a mangiare avidamente un pezzo di carne.
“Vedo che anche lo stupido coniglio è in perfetta forma.” mormorò Gilbert sarcastico.
“Su, non litigate e venite a gustare un po’ di torta.” disse Sharon, accomodandosi al tavolo.
“Gilbert caro, divertiti e ringrazia che sei ancora tutto intero e che non sei morto!” esclamò Break del tutto ignaro di quell’espressione assolutamente priva di senso. Gilbert arrossì improvvisamente, e d’istinto si girò verso Oz. Il suo padrone, però, anziché ricambiarlo, guardò Break con sguardo interdetto, poi abbassò la testa e sorrise. Non era un sorriso felice o apprensivo. Era un sorriso triste. Non era la prima volta che leggeva quell’espressione sul volto di Oz, eppure continuò a fissarlo come se dovesse imprimersi quell’immagine nella mente perché sicuro che non l’avrebbe più rivista. Odiava quando il suo padrone era triste. Lui era il suo servo, e il suo compito era renderlo felice anche quando sembrava impossibile. Però questa volta era diverso. Oz non era solo triste, ma era triste per colpa sua. Aveva la strana ma quanto mai netta sensazione che quello che aveva detto Break gli avesse richiamato alla mente un pensiero che gli faceva male, e quel pensiero riguardava lui. Non staccò lo sguardo da Oz finché non lo vide alzarsi con la sua solita faccia allegra e spensierata ed invitarlo a sedersi con loro. Si ordinò di lasciar correre, ma puntualmente l’immagine del suo padrone con quello strano sorriso tornava ad occupare la sua mente, e più ci pensava e più si sentiva confuso. ‘Ci parlerò.’ disse tra sé e sé ‘Non so quando, ma ci parlerò.’
                                                                                                  *
Erano passate due ore da quando le luci di villa Rainsworth erano state spente, e due erano le ore che Gilbert aveva passato  a fissare il soffitto. Aveva bevuto veramente troppo tè, e non aveva pensato che un ottimo metodo per favorire l’insonnia era proprio una tazza di troppo. Dopo aver maledetto Xerxes Break a sufficienza,  Gilbert si alzò tenendosi il petto e, dopo aver preso il suo adorato cappello, si avviò lentamente verso il terrazzo. Appena aprì la porta-finestra rimase interdetto: dandogli le spalle, Oz contemplava il panorama notturno sulle punte dei piedi e con la testa sulle mani appoggiate al balcone.
“Gil!” esclamò dopo essersi girato. Gilbert lo raggiunse, lo prese di peso e lo adagiò sul balcone, dopodiché gli si mise accanto e si abbassò il cappello sugli occhi come di consuetudine.
“Anche tu non riesci a dormire?”
“Già. Maledetto Xerxes e i suoi tè.” Con suo grande piacere, a Oz scappò una risata.
“Non te la devi prendere. Break è stato così gentile.” Per alcuni minuti rimasero in silenzio a guardare la luna, che quella sera appariva splendente come non mai, così vicina che sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarne la superficie argentea ed irregolare.
“Oz.” disse Gilbert calandosi ulteriormente il cappello sugli occhi “Io non volevo renderti triste, sai, poco fa…” Evidentemente Oz capì al volo a cosa si riferiva il suo umile servo, perché sul suo volto si disegnò un’espressione che lasciava intendere la sua comprensione.
“Te ne sei accorto, dunque…” Oz si girò verso Gilbert lasciando chele gambe ciondolassero ai lati del balconcino. “Gil, io non voglio che te ne vada. Io non voglio perderti…” Dopo ben dieci anni, Gilbert rivide gli occhi di Oz luccicanti e gonfi di lacrime trattenute “Mi dispiace. Io, io ti ho quasi ucciso, quella volta, e stava per succedere ancora.”
“Oz…”
“Ho paura, Gil. Paura che tu un giorno non ci sarai più.”
Gilbert si alzò, prese delicatamente le mani del suo adorato signorino e con voce strozzata disse:”Oz, io ho fatto una promessa. Io non  vi abbandonerò mai, neanche per tutto l’oro del mondo, perché voi siete il mio padrone. Non permetterò a nessuno, ripeto nessuno di separaci. Noi staremo sempre insieme, fino alla fine.” Due lacrime gli solcarono le guance, lasciandogli scappare dei singhiozzi nervosi. “Oz…”
“Gil…”
“… voi siete l’unica prima vera persona che amo.” Gilbert ansimò. Non credeva di averlo detto. In realtà non aveva neanche mai creduto di pensarlo. Sentì la mano di Oz che gli toglieva il cappello nero e se lo metteva in testa. Lo guardò negli occhi, forse per la prima volta in vita sua, e piangeva. Erano lacrime di gioia. Gilbert gli passò le dita sulla guancia per asciugargliela, e risero come se uno dei due avesse raccontato una barzelletta particolarmente spassosa. Le loro risate si fusero, diventando più forti e contagiandosi a vicenda. Gilbert desiderò che quel momento non passasse mai, che potessero ridere insieme per l’eternità. Poi regnò il silenzio. Oz si posò la mano sul petto, là dove il sigillo si era impresso nero come la pece, indelebile come l’inchiostro, e abbassò lo sguardo incredulo. Fu tutto veloce: Gilbert guardò il petto di Oz, allungò le dita e gli alzò il viso così che i suoi occhi potessero immergersi in quelli del padrone, e lo baciò. Un bacio fugace, leggero, ma intriso di significato, al quale Oz si abbandonò senza esitazione.
“Scusami.” mormorò Gilbert, e corse via. Quella notte non riuscì più a prender sonno. E non per colpa del tè. 
  
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