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Autore: Seiten Shiwa    24/07/2013    2 recensioni
Io ho ancora speranza.
Ci sono stati momenti belli in passato. Ci saranno di nuovo.
Arriveranno nuovamente tempi migliori.
Perché adesso tutto vada male non vuol dire per forza che debba continuar così per sempre, no?!
Io ho fiducia… fiducia che qualcosa possa cambiare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao mie amate! È il CERVELLO di Seiten Shiwa che vi parla.

Questa cosa che vi mando, tramite lei, che ho costretto inondandola tutto il giorno, per 24h di seguito con immagine porn su Loki, Tony, Jared, Colin, per convincerla, è un SOGNO!

L’ho elaborato nella notte del 22 Luglio.

Sì, lo so, la vostra amata Shiwa ci ha messo un sacco a trascriverlo… Beh, ma di questo non le do una colpa: ho elaborato davvero una bella storia stavolta ù__ù non stramba o senza senso, o con difficili sensi da trovare e parafrasare, come il mio solito!

Siate fieri del mio elaborato…


Disclaimers: Colin e Jared non stanno insieme nella realtà (o così ci vogliono far credere!)

Dediche: A chiunque abbia il piacere di leggere questo sogno…


E… insomma… il CERVELLO di Seiten Shiwa vi augura una

BUONA LETTURA ^___^







Lo scuolabus si era rotto.

Sì, la sfiga non esce mai da sola. Ultimamente pare aver stretto amicizia con me…
Già…

Peccato che io non sia poi molto felice di questo.
Ma cerco di farmene una ragione.

A 17 anni suonati non posso iniziare subito a spiccare il volo con la consapevolezza che la vita è una merda e tutti pensieri deprimenti simili a seguire… tipici degli adulti.

No. Io non lo farò.
Anche da grande non ho intenzione di lamentarmi di questa vita.
Perché… io non voglio essere come loro.

Io ho ancora speranza.

Ci sono stati momenti belli in passato. Ci saranno di nuovo.

Arriveranno nuovamente tempi migliori.

Perché adesso tutto vada male non vuol dire per forza che debba continuar così per sempre, no?!

Io ho fiducia… fiducia che qualcosa possa cambiare.

Che i bei tempi possano tornare… prima o poi.

… E spero sempre mai troppo “poi”… spero sempre in un “prima”…

Così, dopo un interminabile camminata sfiancante, con tanto di cartella in spalla, per le campagne deserte del Tennessee, dove puoi vedere solo campagna, alberi, conigli, galline, pecore, mucche, piante e di nuovo alberi, piantagioni, trattori, verdura, frutta, grano e di nuovo piante, prati, mucche, pecore, galline, conigli, eccomi giunto a casa.

La mia sperduta casa: lontano da tutto ciò che possa considerarsi “civiltà moderna”.

Ma…. Papi la volle qui….e Papà lo accontentò.

Un sorriso amaro mi si dipinge sul volto.

… Come vorrei che si potesse tornar indietro…


Avanzo per il viale fatto di lastre di legno, che dividono le due parti dell’enorme giardino che circonda la casa.

Tra di esse, fattisi strada con tanta fatica, sbucano fili di erba selvatica su cui passeggiano formiche.

Alzo lo sguardo e scruto dietro la mia bellissima casa di legno: con sommo entusiasmo scopro che i filari di pomodori stanno dando i loro frutti, il fieno è stato raccolto in balle enormi, i cavalli brucano i ciuffi freschi di erbetta estiva, e le mucche sono sedute all’ombra di alcuni alberi.

Sorrido togliendomi il cappello dalla testa, andandomi a sedere su una panca, posta poco prima di tre scalini, messi lì per accedere alla veranda in legno rialzata della casa.

Lo zaino scivola dalla spalla, e vi ci poggio il braccio.

Il sole sta per tramontare.

Sorrido: non è anche questo un bellissimo momento di relax, come quelli precedenti?! Di tanto tempo fa?!

Ispiro l’aria della campagna. Aria pulita.

Niente smog.

Niente frastuono delle metropoli.

Niente negozi.

Niente persone nel giro di 2 km.

Niente vicini.

Solo io, la nostra casa di legno, i nostri animali, il verde dei campi.

Ecco: per questo non dirò, andando avanti negli anni, che la vita è una merda.

Perché è possibile trovare un po’ di pace anche oggi. Anche oggi che non appartiene a ieri.

Perché, infondo, la tranquillità, la si deve portar dentro.

La pace è dentro di noi. Ognuno di noi.

Basta solo afferrarla, tenersela stretta e non lasciarla andar mai via.
E tirarla fuori in momenti come questo: in cui si è in armonia con sé stessi e la natura circostante.

Perché la..

PORCO CAZZO!!!

… Mi ero completamente scordato che verso il tramonto si azionano automaticamente gli annaffiatoi del giardino!!!


Mi ritrovo con la schiena e le gambe fradice: l’acqua ha impregnato totalmente il tessuto dei miei vestiti, che ormai grondano da tutte le parti.

Mi osservo gli abiti, mentre un annaffiatoio a lungo getto, ad ogni suo giro di 180° mi colpisce il centro della schiena, ed un altro, più piccolo, tra le mie gambe, mi annaffia completamente gli pantaloni corti, rendendomi fradice perfino le mutande.

Scuoto la testa, e l’idea di alzarmi dalla panca di legno si rassegna.

Che senso avrebbe ora?! Ora che sono tutto fradicio?!

Sospiro, e mettendomi una mano in faccia inizio a ridere.

Sì, riderei anche più sguagliatamente di ora, se non fosse per il livido in viso che mi sono appena toccato con la mano.

Ma dico io: è mai possibile ridere per la propria imbecillità e piagnucolare al contempo del dolore?!?!?!?

Bwah…
Certo che però, il cazzotto ricevuto oggi, proprio all’ultimo giorno di scuola, si fa ancora sentire.

Spero Papi non si allarmi troppo.

Ho cercato di nascondergli in tutti i modi che a scuola ho problemi con i compagni. E per ora, pare averle bevute tutte le mie balle…. O forse, ha capito che, davvero, non voglio che mi aiuti, perché desidero cavarmela da me…

Non è che non parliamo. O che non gli racconto le cose.

È che… gli racconto mezze verità per non farlo preoccupare.

Lo so che le mezze verità non faranno mai una verità intera.
Ma… io non voglio che si preoccupi.
So badare a me.

Un cazzotto in faccia, suvvia, poi… non hai mai fatto male a nessuno!!!

Anche perché…. Ho restituito un bel gancio alle palle di chi me l’ha lanciato…
… Visto che so difendermi!?

Mi massaggio piano la tempia…

Ok.. .un po’ di male lo fa’ sul serio…

- Ehi…. Già di ritorno?!-.

La sua voce mi arriva dolce, con aria spensierata.

Era da tanto che non lo sentivo così… Che non sentivo così la sua voce…

Alzo lo sguardo, ed eccolo lì: il mio Papi.

In tutta la sua magnificenza… se così può apparire uno con i jeans stracciati al massimo, macchiati di vernice bianca, camicia a maniche corte bianca, con le maniche slabbrate fino ai fianchi magri, con qualche filo di scucitura a penzoloni, pelle abbronzata, biscottata dal sole, infradito nere, piedi anch’essi macchiati di piccoli schizzi di vernice bianca, sebbene contrastino con le unghie totalmente e assiduamente curate, e cappello di paglia, intrecciato direttamente dallo zio per lui qualche anno fa.

Con sé, in una mano, ha un busta.

Mi alzo, sentendo i piedi nelle scarpe da ginnastica produrre strani rumori: cazzo, ho l’acqua perfino nei calzini!

Mi sporgo in avanti, mentre lo vedo estrarre le chiavi di casa dalla tasca dei suoi maltrattati jeans, e noto che ci sono dei barattoli di vernice e dei pennelli nella busta che porta.

Sarà stanco, suppongo: avrà lavorato tutto il giorno.

Fuori il sole inizia sempre di più ad avviarsi verso la linea dell’orizzonte.

Mentre schiava la porta mi chiede gioioso
- pensavo saresti rimasto di più.. non hai allenamenti?!-.

- No, Papi… oggi è l’ultimo giorno di scuola- lo rassicuro, con tutto l’amore che posso, - quindi sono in pausa estiva!- mentre entro, e chiudo la porta dietro di noi.

Lascia la busta poco più a destra della porta. Il mio sguardo ci vola sopra, e non mi accorgo che lui ha già percorso il lungo corridoio d’innanzi a noi, ed è sparito alla mia vista.

A destra vedo il divano di ecopelle nera di fronte alla tv. A sinistra c’è la cucina, tutta di legno, in stile rustico campagnolo, ed il tavolo al centro… era proprio come una di quelle case che avrebbe potuto avere una qualsiasi nonna di campagna.

Mi avvio verso il tavolo, sposto una delle otto sedie, vi poso sopra lo zaino, e poi decido di dirigermi verso il corridoio per andare a cambiarmi.

- Ci facciamo la doccia insieme?!- mi chiede, e credo lo stia facendo dalla camera da letto, con quel tono tenero a cui non gli diresti mai di no.

Ma io lo stuzzico: mi diverte.

- Ma Papi!! Ho 17 anni!- protesto, ad alta voce affinché mi senta fin dall’altra parte della casa.

- beh!? A 17 anni l’amore per i figli si ferma?! Ed anche le coccole?!- vedo la sua testa sbucare dall’ultima porta in fondo al corridoio, mentre io lo sto percorrendo.

Scuoto le spalle, allargo le braccia, e gli sorrido.
- Ah! Non ci sono più i padri di una volta!!! Anche a 60anni avrai voglia di fare il bagno con me?!- chiedo, sospirando, fingendomi scocciato.

- ehi, ehi! Guarda che li faccio tra 5 anni!-mi sento rispondere, ma ora da più lontano: si sta evidentemente cambiando all’interno della loro camera.

Ma forse… è giunto il tempo di accettare che sia solo sua.

Non c’è più un loro.

Non ci sono più tante cose.

Mi guardo intorno: mi ero bloccato a metà del corridoio.

A sinistra la porta del bagno: molto grande: c’era sia la vasca che la doccia in piedi, un water, un bidet e un lavandino, con uno specchio piccolo, ma abbastanza per radersi la barba in modo decente.
Le mattonelle del pavimento erano un po’ crepate, ma si respirava un buon profumo di bucato, proveniente dai tappeti lilla, lavati proprio il giorno prima.

Sulla destra una piccola porta verso lo sgabuzzino, nel quale un’altra porta annetteva al garage o cantina, che dir si voglia.

Più avanti,a seguire, sulla destra, la nostra stanza: quella mia e di mio fratello, che ora non c’era.

Era fuori, per lavoro. Nonostante la malattia genetica, si teneva abbastanza in forma, e riusciva tranquillamente a rimanere autosufficiente per permettersi di lavorare anche fuori, all’estero, lontano da casa, lontano dall’aiuto di una famigliala sua famiglia. La nostra.

Entrai: il sole, sfiorava ormai l’orizzonte, ed accarezzava le pareti, attraverso i piccoli fori della persiana.

La stanza risultava quindi in penombra, a parte qualche striscia dorata qua e là.
Non era una cameretta di quelle cittadine, con tv al plasma, console di giochi, no.

Era una modesta cameretta di due fratelli di campagna: c’erano due letti singoli, di quelli in ferro battuto, coperti da lenzuola bianche immacolate e copriletto a scacchi di tipi diversi di marrone.

Il mio si distingueva, perché alcuni quadri del copriletto erano rossi. E poi, era quello lontano dalla finestra: odiavo che di prima mattina il Sole mi svegliasse… anche se, a dirla tutta, odiavo essere svegliato e basta…

Sulla parete di fronte ai letti una piccola libreria di legno, con un sacco di quaderni, libri, fumetti sparsi ed in disordine. Se la si guardava bene, in mezzo ad essi, vi si potevano scorgere alcune cartelline: contenevano i miei disegni e quelli di Papi.
C’erano anche due custodie rigide per chitarra, nell’angolo dietro la porta: una era di Papi, l’altra era mia… un regalo di zio Tomo per i miei 15 anni…
Infine, affianco alla libreria, una scrivania, piccolina, con un sacco di panni ammucchiati sopra, tranne una pila ben distinta da essi, che profumava di lavanda: li doveva aver stirati quella mattina la nonna.

Nonna Constance amava la lavanda… per questo, nella mia testa, qualsiasi cosa profumasse di lavanda mi rimandava a lei, al suo sorriso… ai suoi capelli al vento mentre stendeva i panni in giardino…

Incurante di lasciare pedate, con le mie scarpe bagnate, mi avvicinai al letto sotto la finestra.

Lo carezzai.

All’altezza del cuscino.

Lo feci, come davvero avrei fatto con lui, con mio fratello, se non fosse altrove in Europa, e fosse stato lì.

- Ancora lì!? Spogliati avanti… la vasca è quasi pronta.-.

Mi volto e vedo Papi. Il suo tono non era ostile, o duro. Non sembrava una richiesta o un ordine.
Era un semplice consiglio.

- .. Potresti prenderti un influenza con quei vestiti bagnati: e poi chi la sentirebbe tua nonna?! Mia madre saprebbe solo dire che è colpa mia! E Dio ce ne scampi!- aggiunse, ridacchiando, sorpassandomi, e dirigendosi verso la finestra.

Io tornai al mio letto, mi sedetti di schiena rispetto a lui e alla finestra.

Se mi fossi chinato, rivolto con in viso la finestra, il dorato del Sole mi avrebbe accecato…

E a volte, il Sole, ferisce pure troppo… con quei suoi raggi ultra luminosi…

Mi chinai per slacciarmi le scarpe e per liberarmi dei panni bagnati.

Tolsi le scarpe, i calzini, i pantaloncini, la t-shirt, e rimasi in boxer. Fradici anche quelli, ma mi scocciava toglierli prima di entrare in bagno.

Sentii Papi armeggiare con la persiana.

Mi girai, gattonando sul letto, sedendomi sui piedi. Le braccia lungo i fianchi, rilassate, e i polpastrelli fingevano di sorreggermi puntandosi sul materasso sotto di me.
La schiena eretta, dritta, perfetta.

Papi era lì: vicino la finestra, la seconda della stanza per esser precisi.

… Le finestre infatti erano due, una di fronte a me, l’altra, poco più a destra della prima. La aprivo solo quando dovevo studiare, affinché la luce inondasse tutta la mia scrivania nelle ore pomeridiane…

Aveva alzato di una manciata di centimetri la persiana.

Una pennellata di sole dorato investiva lui, ed appena si tolse da davanti ad essa, investì me.

In pieno petto.

Il dorato mi arrivava fino all’altezza del cuore: tracciando una striscia dal davanzale della finestra, fino a me, passando per i due letti, ed il pavimento.

Ma Papi non si era allontanato molto.
Era ancora lì. Accanto alla finestra.

Con il busto rivolto verso di me.

Non si era ancora spogliato.

Aveva ancora la camicia. Era solo più aperta sul petto.
Sbottonata fino al quarto bottone.

I capelli, prima legati in coda sotto il capello, erano sciolti, liberi, e gli cadevano sulle spalle, come una cascata ordinata nella sua casualità disordinata.

I suoi occhi, socchiusi, sognanti, fissavano quella luce dorata bagnare il letto di mio fratello.

Poi me.

Poi spostò ancor di più il viso fino a guardar fuori: il sole giaceva sull’orizzonte, come fosse un cuscino pronto ad accoglierlo per la notte.

La sua pelle abbronzata, rispetto a qualche anno fa’, bianca lattea, sembrava biscottata.

Sotto la camicia, sbucava a fatica il tatuaggio PROVEHITO IN ALTUM…

I capelli castano chiaro, ora, risplendevano come fili d’oro.

Era tutto così perfetto.

Lui.
Il momento.
Il tramonto.
Il dorato che ci investiva.

Sembrava di essere tornati indietro… a tanti anni fa’.

Quando tutto era magico, quando lui era uno dei più grandi frontman che la storia del rock avesse conosciuto.

Quando Papà era ancora con noi, quando mio fratello si era appena laureato.

La felicità galleggiava nei suoi occhi.

Ma fu solo per un istante.

Un piccolissimo istante, di cui non ho potuto neppure avere il tempo di saggiarne il gusto.

Ne ho solo annusato il profumo…
Un profumo vecchio e di sfuggita.

Un profumo che si dissolse, perché troppo lontano da ricordare totalmente.

Un ricordo che si perse, mentre cercavo di afferrarne altri cento.

Solo nel momento in cui le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro… triste… sofferente… nostalgico… notai che indossava un ciondolo al collo.

Una piccola, fina, collanina d’oro, ed un ciondolo appeso. Sembrava uno spicchio di luna, da lontano.
Un bellissimo spicchio di luna a forma di “C”.

Sorrisi nel riconoscere quel regalo….

Lo portava ancora…
… Allora… gli importava ancora…

- Certe cose non tornano. Certi momenti non tornano. Non tornano mai. - si portò una mano al petto.
Sfiorò il ciondolo.
- Per quanto ci sforziamo di avere fiducia che tutto possa ritornare uguale. Nulla torna mai come è stato. È tutta una continua evoluzione. Per questo ti dico di non dispiacerti. Non affezionarti ai momenti. Ricordali e basta. Ma non rimanerne innamorato. Non amarli troppo a lungo. Perché non tornano. Non tornano mai.-.
Poi si volse sorridente e triste a me, senza abbassare lo sguardo, puntando i suoi occhi azzurri cielo nei miei, come fossero delle freccette, ed avessero centrato il bersaglio.
- Non tornerà-.

Non era un ammissione.
Non era una constatazione.

Era più… una sentenza.

Una verità scomoda che mi rivelava.
Che aveva deciso di rivelarmi per farmi star meglio, a suo parere, a suo pensiero.

E per farmi star meglio, cambiò subito espressione in viso, si apprestò verso di me a passi veloci, ed iniziò a farmi il solletico alla pancia, all’inguine, sotto le ascelle.

Iniziai a ridere a crepapelle sotto quei colpi, ma non dimenticai ciò che aveva detto.

Me le portai dentro di me quelle parole.
Sapevo che me le sarei portate fino alla fine dei miei giorni.

Ormai ero stremato e senza più fiato a forza di ridere e per cercare di difendermi e contraccambiare.

Mi ritrovai perfino a mangiare un po’ dei suoi capelli.

Sì alzò poi, ricordandosi immediatamente che la vasca, ormai piena, sarebbe strabordata se qualcuno non avesse chiuso l’acqua.

- Vado a controllare la vasca!- disse, aggiustandosi i capelli dietro le orecchie, sistemandosi la camicia, e si avviò al bagno.

Rimasi steso sul letto, al suo centro, ma di traverso in orizzontale rispetto al suo verso.

La testa era sul bordo.

Come un serpente strisciai più indietro col sedere.

La testa fu ora totalmente a penzoloni. La piegai quanto più potevo all’indietro, e sottosopra mi lascia investire da quell’ultima pennellata dorata di Sole.

Rimasi così, un ultimo istante.

… Papà…

Poi, piano, quella pennellata di sole si accorciò.
Smise di investirmi, fino a dissolversi completamente.

Il Sole era finalmente tramontato oltre l’orizzonte.

Mi morsi un labbro.

Mi manchi…
Mi mancate tutti…

Papà…

Bro’…

Mi alzai dal letto, lo spettacolo di luce era finito.

Mi diressi in bagno, ma mi accorsi che la porta era aperta, e Papi non era lì.

Grattandomi la base della testa, e scalzo, andai verso la loro stanza.

Si stava privando or ora della camicia. I jeans erano già stati posati su una sedia di legno in un angolo della stanza, tra l’armadio ed una finestra.

Si voltò verso di me e mi sorrise gentile.

I miei occhi furono catturati dai tatuaggi sui polpacci… quello al centro della schiena… quelli sui gomiti…

PROVEHITO IN ALTUM sul petto…

La sua camicia fu accuratamente piegata e messa sopra i jeans.

Si avvicinò poi al modesto letto matrimoniale in ferro battuto.

Io guardai le pareti: notai che non vi erano più i poster che una volta le affollavano.

Nessuna bandiera con la triade…

Nessuna foto di loro due insieme…

Nessun poster di Papi con zio Shan e zio Tomo

… In un lampo di malinconia, e frustrazione, ricordai che Papà li aveva strappati via dalle pareti durante un litigio, e li aveva portati con sé ovunque fosse andato…

Il tutto, molti mesi fa’… mesi che ormai.. si erano plasmati in un anno più altrettanti giorni…

Giorni in cui non era neppure più passato a vedere come stavo…
Solo una telefonata ogni tanto…

Una stupida telefonata ogni tanto.

Una stupida telefonata ogni tanto a cui avevo deciso di non rispondere più.
Faceva male non sentirlo.. ma…
Se valevo davvero una stupida telefonata ogni tanto, beh… allora poteva ficcarsela su per il culo!

Valevo molto di più… almeno una sua visita ogni due mesi.. chiedevo tanto?!

Invece no.

Aveva strappato via molto del mio amore per lui quel comportamento…
Lo aveva strappato in un modo così orribile e doloroso…

Lo stesso modo in cui aveva strappato le lacrime dagli occhi di Papi quella lontana sera in cui staccò via dal muro i suoi poster e le loro, le nostre, foto insieme…

Aveva strappato tutto.

Ma non le memorie belle.

Quelle no.

Quelle me le ero tenute strette. Me le ero nascoste ben bene dentro di me

Quelle nessuno me le avrebbe strappate.

Ne quelle, ne la pace che avevo trovato.
Ne l’equilibrio che avevo imposto alla mia vita.
Ne l’amore per mio Papi.
Ne la forza per rialzarlo quando si perdeva fra i ricordi, quando capitava che qualche maledetta radio mandava in onda le canzoni della sua band, e io mi apprestavo a cambiar stazione.

Nessuno mi avrebbe strappato la speranza, che un giorno, saremmo tornati ad essere felici.

Tutti.

Insieme o divisi.

Ma forse… divisi… e contenti ma non felici… non lo eravamo già?!


Papi, sedutosi sul letto, mi invitò a sedermi affianco a lui, battendo una mano un paio di volte sul materasso.

Mi avvicinai a lui.

Si stese al centro del letto, con le mani dietro la testa, a fissare il soffitto.

Si stava perdendo di nuovo tra i suoi pensieri, tra le sue memorie.

Le nostre memorie.

I nostri ricordi.

Dovevo distrarlo.

Mi sedetti sul letto, e poi, non so…

Forse il profumo della colonia del suo dopobarba… che adoravo fin da bambino.. fin da quando Papà me lo presentò… o il profumo di lavanda delle lenzuola…

Forse l’idea che avrei di nuovo fatto il bagno con lui… anche se avevo 17 anni suonati.

Forse la paura di vederlo perdere in un dolore che non meritava… che non meritavo.

Mi accoccolai sul suo petto.

Le sue mani intrecciate fra i suoi capelli, dietro la sua testa, si sciolsero e mi avvolsero.

Chiusi gli occhi.

Eccolo…

Un altro momento di pace, in questo deserto di malinconia…

In questa carestia di presenze.

Mi sentii protetto. Al sicuro.

Come solo un figlio si può sentire tra le braccia del proprio genitore.


… Non importava più se ero cresciuto con due padri, anziché con un padre ed una madre, o con due madri…

Non mi importava più di tornare da mia madre in Polonia, anche solo per andarla a trovare… Non ci volli mai stare, e mai ci sarei rimasto.

Non mi importò nulla delle prese in giro a scuola, del perché ero figlio di “due checche”…
Non avevano più spessore, né peso, le scazzottate: tanto meno l’ultima di quella mattina.

Non mi importò di essermi fatto quasi 2 km a piedi, a ritorno da scuola perché lo scuolabus si era rotto…

Non mi importò della gente che mi considerava né di quella che mi ignorava…

Non mi importava più se lì fuori era notte fonda, o c’era ancora qualche rimasuglio di afterglow..

Non mi importò più di sapere se mio fratello maggiore mi stesse pensando o stesse lavorando o da lui c’era un altro fuso orario e mi stesse sognando nel sonno…

Non mi interessai nemmeno del mio telefono, rinchiuso nella mia cartella di scuola, se avesse chiamate senza risposta o messaggi non letti…

Non mi importò più nulla… più nulla del mondo esterno.

Ero in un luogo a me sacro.

Le braccia di mio padre.

E benché non condividessi con lui nulla: ne gruppo sanguino, ne geni, ne niente, riuscivamo a scambiarci tanto.
Un amore imparagonabile.

Un amore destinato a non svanire mai…




Ricordai il giorno di tanti anni fa’… quel giorno lontano, tanto lontano, ma non troppo dal cuore, affinché svanisse tra le sabbie degli anni trascorsi.

Ricordai perfettamente che ero seduto a tavolo, intento a fissare papà cucinare con tanto ardire, come non lo avevo mai visto far prima… neppure per me e mio fratello maggiore, figuriamoci!

Ricordo che si pulì le mani sul grembiule, dopo aver preparato quelle che sembravano essere polpette vegetariane.

- Stasera, Henry - iniziò a parlare, sistemando le cose di troppo ed iniziando a cucinare ciò che aveva già pronto -… ho invitato a cena… una persona molto cara a papà tuo…-.

Lo disse con un imbarazzo, che io gli risi dietro.
- sei tutto rosso papà… ti piace per caso?!-.

Lui ridacchiò, imbarazzato, colto in fallo.
-oh beh…se mi piace!?… beh.. sì… ecco…
-

Non trovò mai le parole giuste per dirmelo: perché il campanello della porta suonò.
Stetti per correre alla porta, ma con un gesto della mano mi bloccò.
Mi fece l’occhiolino come a dire “tranquillo, vado io”.

Aspettai allora lì, seduto, di fronte al tavolo.

…Mi aspettavo una bella donna… magari pure mora: lui non è mai stato troppo per le bionde…

Ero curioso da matti, ma sapevo stare al mio posto… rispetto a mio fratello James, che si sarebbe scapicollato pur di vedere chi fosse… peccato per lui: io fui il primo a cui fu presentato quello che ora è il mio Papi.

La porta fu aperta..

- Ciao Jared… - sentii papà incerto, nel dirlo: la voce gli tremava.

… ma… che era.. un uomo?!

- Ciao, Cole!- quanta confidenza, e quanta sicurezza, ricordai di aver pensato, sentendo la voce di quello.

- Vieni.. ti… ti devo presentare una persona…- e vidi sbucare papà dalla porta della cucina.

E.. che mi venisse un colpo…

non solo era un uomo… era un BELL’UOMO! Un bellissimo uomo…
Con due occhi che sembravano un cielo terso d’Irlanda…

Credo di aver spalancato gli occhi, e di esser rimasto a fissarlo per un lungo istante, a bocca aperta… probabilmente, come un moccioso poppante mi sarò anche sbavato sulla maglietta.

- Ah… ma ciao! -
disse quello che doveva essere Jared.

- Ci-ciao… piacere.. Henry!- allungai la mano verso di lui, tutto tremolante.

Era bello da far paura. Davvero.

Mai visto nulla di più bello in vita mia.. Nulla da togliere alla mamma, ma… diamine…
Quell’uomo era da rimanerci secchi!

Con i suoi capelli lunghi, ed un po’ di barba… sembrava davvero quel generale greco del film, che interpretò insieme a papà quando io ancora non ero nato, ma che avevo visto in un dvd che avevo trovato per casa.

- piacere mio.. mi chiamo Jared!- e strinse la mia mano - cavolo Cole! ha i tuoi stessi occhi!- affermò, sorridendomi.

… cavolo… lui, con due spicchi di cielo… nominò i miei occhi?!
eheheh.. mi sentii stupidamente orgoglioso: detto da uno bello come Jared, doveva suonare un super complimento per me e per Papà… visto che tutti mi dicevano che assomigliavo a mamma…

Ricordo che papà balbetto per qualche istante, non sapendo esattamente cosa dirgli.
Ma poi, passato l’imbarazzo iniziale, la cena trascorse tranquilla.

Jared era una persona giocherellona, piena di battute, mi fece ammazzare dal ridere… e…

Capii anche perché papà si era premurato di fare un pasto a base di sole verdure e un po’ di pesce: Jared era vegano…

E non avrei mai immaginato, che con tutto che viviamo in campagna, io sarei diventato vegetariano, visto che sono di origine europea, e lì mangiare la carne è un must…

Ma ci sono un sacco di cose che non avrei immaginato…

Tipo, che, quella stessa sera, prima che Jared andasse via, mentre mi credevano a letto, già bello che partito per il mondo dei sogni, andassi a chiedere a papà di poter dormire nel suo letto… e lo ritrovai con le braccia di Jared intorno al collo, a scambiarsi dolci baci sulle labbra, strofinando i propri nasi come due piccioncini innamorati…
L’imbarazzo non fu tanto mio, perché gli risi dietro, senza alcun pudore, ma di mio padre, mentre Jared mi seguì a ruota in una risata cristallina…
- Tanati, Cole!- rise, lasciando scivolare le braccia lungo le spalle di Papà, senza neanche premurarsi di aver fretta di farlo, grattandosi con l’indice, la punta del naso… ed in effetti, visto quel che avevo visto, non è che ci fosse qualcosa da nascondere, suvvia.. avevo sei anni, mica ero imbecille!

Non avrei neppure immaginato, che… mio padre… sangue del mio sangue, un giorno…

Perché troppo preso dal suo lavoro, strappasse i poster di Jared e le loro foto dalla loro camera da letto, e se ne andasse, senza più tornare…

Senza neppure più tornare a trovarmi. A trovare me: suo figlio: sangue del suo sangue…

E non avrei mai immaginato, che ora, proprio Jared, il mio amato Papi, si spaccasse la schiena ogni giorno come pittore-muratore, dopo aver rinunciato al successo come frontman, artista musicale, regista, scrittore, sceneggiatore, attore.

Successe tutto così in fretta.

Eppure, sembrava andar tutto bene prima…


Papi era solo un po’ stanco, dopo l’ennesimo tour, dopo l’ennesimo album, ed aveva intenzione di staccare la spina, prendersi una pausa un po’ da tutto: perfino dal grande successo che aveva riscosso…
Propose allora a Papà di comprare una casa in campagna, lontano dai paparazzi, dalla metropoli, lontano dalla “civiltà moderna”. Diceva di aver bisogno di pace e serenità lontano dal mondo che tanto lo amava. Si sentiva stanco. Le energie al minimo. Aveva bisogno di ricaricarsi.

… - Cole.. non ce la faccio più… per favore… te lo chiedo, davvero, per favore…-…

Papà, invece, seppure sempre dietro al proprio lavoro, diceva di non aver bisogno di una “stupida casa in campagna”, come l’aveva chiamata lui.

Ma alla fine, le preghiere di Papi, e purtroppo, in seguito ad alcune sue crisi nervose, sfociate non troppo spesso in svenimenti, ricoveri in ospedale, lo costrinsero ad accettare tale proposta.

Così, tutti e quattro, ci trasferimmo qui, nel Tennesse… in una campagna sperduta…
Dove la maggior parte, se si possono definire “maggior parte” quei sì o no 60 abitanti in 10km quadri, non hanno la televisione, non sanno chi siano Jared Leto o Colin Farrell, e quindi non vengono a rompere le scatole in cerca di paparazzate o autografi.

Io mi feci segnare, con mia libera scelta, ad una scuola di un paesino qui vicino.
Un piccolo liceo. Eravamo si o no 10 o 15 classi. I professori se le giostravano tranquillamente.

James, invece, rimase per qualche tempo da nonna Rita a Dublino, a finire gli studi universitari. Ma durante l’estate, finita la sessione estiva d’esami, veniva a trovarci, e passavamo delle giornate bellissime insieme…

Giornate che mi mancano immensamente… ora che lui, entrando nel mondo del lavoro, è ufficialmente un adulto, ed io… sono un semplice teenager di 17 anni.

Sei anni di differenza, non sembra, ma posso pesare molto, in queste situazioni…

E fin lì, tutto sembrava andar bene…

James si laureò due anni, ma facciamo anche un anno e mezzo fa’…

E poi.. pochi giorni dopo…tornai a casa… c’era una lite in corso.

Papi cercava di calmare Papà, ma senza successo.

Non ricordo bene le urla… probabilmente, il mio cervello, troppo traumatizzato nel vederli litigare con così tanta cattiveria, ha rimosso le parole orribili che devono essersi detti.

Ricordo solo di essere corso in camera loro.

Papi era in piedi, e cercava di ricacciare indietro le lacrime, tirando su col naso: lo faceva con un umiltà ed una fierezza da far spavento ad un leone.

… - Cole… per favore, calmati…!- implorò…

Papà, invece, urlava, incazzato, e piangeva anche lui.

… - non dirmi di calmarmi! Sta zitto, ti prego! JARED JOSEPH LETO! STA ZITTO!!-…

E c’era da appuntarselo: mai, neppure durante la celebrazione del loro, se si può definir tale, “piccolo matrimonio privato casereccio”, a cui presiederono solo gli amici più stretti, mai, neppure lì, Papà chiamò mai Papi col suo nome intero…

Poi.. ricordo le sue mani… che io avevo sempre adorato, e dalle quali amavo farmi accarezzare, avvicinarsi al muro…

E strappare via i poster della band di Papi…

Far cadere un quadro con dentro un disco d’oro… stracciare una loro fotoposter…poi un’altra nostra foto poster scattataci da zio Eamon al lago di Lockness in un estate di qualche anno fa’…

E raggelai: le sue mani, in quel momento…
Quelle mani che mi avevano sempre incoraggiato o coccolato…
Mi fecero paura.

Una paura tremenda.

Corsi in camera mia e mi chiusi dietro la porta.

Piansi soffocando ogni singhiozzo contro il cuscino di mio fratello: come se lui potesse essere lì, ed aiutarmi con la sua vicinanza a farmi forza.
Ma la realtà…

La realtà è che ero solo…

Sentii poi la porta di casa aprirsi, altre urla, ma erano distanti e non capii cosa si dissero.

La porta d’entrata sbatté.

Un’auto fu messa in moto e partì via, con una sgommata, che per quanto forte, non riuscì a coprire l’urlo di Papi che gridò il nome di Papà.

- COOOLIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!! - gridò come se stesse per collassargli un polmone - COLIIIIIIIIN! NOOOOOOOOO!!! COLIN!!!-.

E poi…

Non ricordo bene cosa successe poi.

Più o meno, credo, che quando il giorno dopo mi svegliai, successe quello che succede tutte le mattine da quel giorno: mi svegliai, Papi mi preparò la colazione, presi lo scuolabus ed andai a lezione. Poi gli allenamenti il pomeriggio con la squadra di basket, poi studio in biblioteca, e poi casa. Così tutti i giorni dal lunedì al venerdì.

Il sabato invece, mi alzavo un po’ più tardi, mi recavo al mercato del paese con Papi a vendere le uova di troppo o il latte di troppo. A volte anche qualche verdura o il fieno. Altrimenti, il più delle volte, tra contadini, ci si scambiavano le cose: tu dai delle uova a me, io do dell’insalata a te.

Ehssì… credetemi quando dico che qui si è davvero lontani dalla “civiltà moderna”: si usa ancora il baratto, per certe cose, al mercato di paese qui!

La domenica, invece, mi alzo ancora più tardi del sabato, e aiuto Papi a sistemare la casa…

E più o meno, sarà quello che accadrà d’ora in poi, durante le vacanze estive, non avendo contratto debiti e sapendo di poter riuscire a finire tutti i compiti dati dai professori in poco più di due settimane…
Sono uno strabiliante secchione, dopo tutto, no?!

Per questo Papi è tanto orgoglioso di me…



Per questo…
Per tutto questo che, con le sue mani, non smette di accarezzarmi lenta la testa, e le spalle..

Non smette un secondo di amarmi

Perché io, ogni giorno, faccio di tutto, affinché lo renda fiero di me…

e MAI una parola su ciò che accadde quella sera. Mai.
Nessuno dei due aprì mai quel discorso.

Una sorta di tacito assenso sul tenere l’argomento segregato sotto l’etichetta “cose di cui non parlare MAI”…




Apro gli occhi…

La punta del mio naso ha percepito un contatto con qualcosa di metallico.

Porto una mano di fronte ad esso, e scopro che a solleticarmi la pelle era il famoso ciondolo a forma di spicchio di luna.

… o forse… per i più romantici, una “C”

lo stringo forte nel pugno della mano…

e le mani di Papi si stringono forte a me: una sulla testa, tra i miei capelli, l’altra sulla spalla sinistra.

Mollo la presa sul ciondolo, a malincuore, e con il polpastrello del dito indice ricalco la scritta PROVEHITO IN ALTUM appena a pochi centimetri da dove la mia guancia entrava in contatto con la sua pelle biscottata, bollente e profumata.

- Non tornerà… - pronuncia, assorto, fissando il soffitto.
- Non rimanere innamorato delle memorie… non commettere il mio stesso errore. Perché non tornerà…-.

Io non rispondo.

Perché sono di un parere diverso.

Lui allora si volta leggermente con il capo, ed abbassa il mento per guardarmi meglio.

Alzo gli occhi, mentre il mio dito percorre le ultime lettereTUM, in un movimento ben studiato, ma preciso, anche se non gli sto dando tutta l’attenzione del mondo, per convogliarla su Papi.

… Da piccolo mi sono divertito così tanto a seguire quella scritta con le dita, che la mia mano sa a memoria il tragitto da segnare sulla sua pelle…

E quei suoi occhi, li stessi con cui ricevette il mio primo benvenuto, mi avvolgono di un amore senza eguali…

Di un affetto indistruttibile…

Ma a guardarlo bene, sono anche intrisi di qualche frase, del genere

“Perdonami, se ti ha lasciato solo, qui, ed io non sono il tuo vero padre biologico.
Ma ti giuro, ce la sto mettendo tutta, per tirarti su al meglio.
Perché tu sei mio figlio, per me.
Sangue del mio sangue o meno… Ti amo, e ce la faremo: insieme…
Perdonami… Ti chiedo di perdonarmi, quel giorno che avrai voglia di puntarmi il dito contro e dire che è colpa mia se è andato via e ti ha lasciato solo…Ti scongiuro di perdonarmi… e ricorda”

-… Lascia perdere il passato… concentrati sull’adesso… perché tanto… bisogna accettarlo. Non tornerà-…

… E fatico a capire dove finisce il suo pensiero letto nei suoi occhi e dove iniziano le sue parole…

Ma io mi rilasso contro di lui, contro il suo petto, abbasso lo sguardo dai suoi occhi, sposto l’orecchio sul suo cuore, per sentirne meglio il battito…

E me lo ripeto per l’ennesima volta…

Tornerà, invece.

La felicità tornerà, Papi…

Non so se torneranno le persone… per questo, non posso dirti con sicurezza “Tornerà”

Ma io, dentro di me, lo so… accadrà…

Solo che non voglio dirtelo…

Perché tu sei già ferito, e io, in quel tuo cuore più che spezzato, ancora in grado di darmi così tanto amore, quando per te, potrei essere uno sconosciuto, non voglio instaurare promesse illusorie…
Perché le schegge della tua speranza infranta potrebbero captarle malamente…

E tu hai bisogno di tutto, Papi… tranne che di altre crepe nell’anima…

Dunque me le tengo per me, tali parole…

… E me lo tengo come obbiettivo… come promessa...

Tornerà.




FINE.


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