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Autore: Sam Lackheart    25/07/2013    4 recensioni
Andiamo, non vi sareste mica aspettati che un misantropo come Arthur riuscisse a gestire un altro essere umano senza un minimo di francese aiuto!
[tutte queste chiacchiere sul Royal Baby ma hanno fatto ripensare al prima bambino di cui l' inglese si sia mai dovuto occupare]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, FACE Family/New Continental Family, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Francis Bonnefoy sentiva chiaramente che quella giornata portava con sè, oltre ad un cielo terso che aveva avuto poche occasioni di vedere prima, nel Nuovo Continente, grandi novità.
Per questo quando, a poche ore dal suo risveglio, sentì bussare violentemente alla sua porta, non se ne stupì.
Stupefacente, se non scencertante, fu però la vita che gli si presentò davanti. Un Arthur trafelato con il panico pure neglio occhi era uno spettacolo che poche volte prima di quel momento il francese aveva avuto la segreta soddisfazione di vedere. 
"Che succede, mon cher?" chiese, con la voce più calma e serena che avesse. 
"NIENTE! Io non, non sento, niente!" riuscì a dire l' inglese sotto shock, e il francese si trovò davanti ad un bel grattacapo, fino a quando non vide una piccola carrozzina azzurra dietro le spalle dell' inglese, e notò che il suo americano contenuto si stava svegliando. 
"Su, entra" disse dopo pochi minuti, prendendo Arthur per le spalle: è vero, adorava vederlo in difficoltà da secoli, ma teneva a quel piccolo, e sapeva le evidenti difficoltà dell' inglese con ... beh, le persone. 
 
"Adesso vuoi dirmi che succede?" chiese di nuovo Francis. Aveva fatto sedere l' inglese, cercando inutilmente di offrirgli qualcosa di diverso da una tazza di thè, e aveva cullato per un pò Alfred, che si era svegliato. Fortunatamente, Matthew dormiva ancora: era un bambino molto timido, e la presenza di altre persone lo bloccava. 
"Io ..." iniziò l' inglese, prendendo Alfred dalle braccia del francese "Io non provo niente per Alfred. Nè il clasico affetto paterno, nè la semplice gioia che suscita la presenza di un bambino. Non che lo odi o cose del genere, ma quando lo tengo tra le braccia, o lo cullo per farlo addormentare ... non sento niente. Sono un mostro!" 
"Deve essere davvero disperato, se si è rivolto a me" pensò intristito il francese, mentre cercava di risolvere la situazione, che per lui era già piuttosto chiara. Arthur non si era mai affezionato a qualcuno, e classificava tutte le persone che lo circondavano come compiti, doveri: e questo gli era servito, in passato, a costruire un impero solido. Ma di fronte ad un bambino ... era ovvio che non potesse ragionare in quel modo, perchè non era una semplice pianta da cui raccogliere frutti, ma era un piccolo germoglio da far crescere. 
"Innanzitutto, ti sembra corretto parlarne in sua presenza?" chiese, indicando l' americano che giocherellava con i bottoni della divisa dell' inglese.
"Cosa ne vuole capire? E' solo un bambino!" protestò Arthur, guardandolo male: forse aveva sbagliato a rivolgersi a lui. Ma chi altro l' avrebbe aiutato? 
"E' qui che sbagli: certo, forse non capiscono quello che dici, ma sentono quello che accade, sentono le tue emozioni, anche quelle che non traspaiono dalle tue parole" spiego calmo, accarezzando i capelli biondi del piccolo.
E lì Francis capì il secondo problema dell' inglese: era tremendamente vulnerabile, e non poteva nascondersi dalla sincerità disarmante propria dell' infanzia.
"Quindi adesso andiamo a partare questo piccolino dal suo fratellino, ti va?" chiese ad Alfred, che tese le braccia grassottelle verso di lui.
 
"Bien" riprese dopo pochi minuti.
"Bien il cazzo" lo rimbeccò l' inglese, a braccia conserte. 
"Su, non fare così. Tutti abbiamo avuto difficoltà con i bambini, all' inizio. Dico, ma hai presente come sta messo Antonio, con quella peste di Italia?"
"Anche tu hai avuto difficoltà con Matthew?" chiese speranzoso l' inglese.
"Veramente no. Insomma" si affrettò ad aggiungere, vedendo lo sconforto negli occhi dell' altro "Ho dovuto adattare la mia routine alla sua, e all' inizio era dura stare svegli tutta la notte per farlo addormentare, ma ..."
"Non è di questo che sto parlando" lo interruppe Arthur "Non è stato un problema, per me, adattare i miei impegni al suo ritmo. E' un' altra, la mia difficoltà"
Il francese sospirò, cercando di prendere tempo per pensare. Nel mentre, però, due fulmini saltellanti passarono accanto al divano prima di uscire dalla grande porta a vetri del salone. 
"Alfred!" lo richiamò prontamente Arthur, ma Francis lo zittì.
"Non preoccuparti, tutto in questa casa è a prova di bambino. E' al sicuro"
Non fidandosi di natura del genere umano, e fidandosi ancora meno del francese, Arthur uscì fuori, riuscendo però a dominarsi abbastanza da rimanere sulla soglia. 
"Non sono dolcissimi?" chiese retorico Francis, dietro di lui. 
"Non mi aiuti, così"
"Che cosa provi, quando lo guardi?"
"Non faccio altro che preoccuparmi per lui. Ma quando lo guardo dormire, o giocare, come adesso ... è strano. Non so come definire quello che sento"
"Dio, è così vulnerabile che potrei chiedergli quello che voglio e lui obbedirebbe. Non sembra neanche più lui" pensò stupito il francese, mordendosi il labbro per resistere alla tentazione. 
"Nella remota possibilità che non sia colpa tua, ho un' idea" disse, chiamando Matthew che, obbediente, smise di rincorrere Alfred e si precipitò verso il francese, che lo porse delicatamente ad Arthur.
"Su, prendilo"
L' inglese obbedì, e iniziò a scrutare il piccolo. Era molto simile al suo Alfred, ma i suoi occhi tradivano una pacatezza che, ne era sicuro, non avrebbe mai visto in quelli dell' americano. Mentre tendeva le sue braccine verso l' alto, ridendo spensierato, vide una sorta di compostezza nei suoi modi, una qualche propensione d' animo alla calma che non si confaceva ad un bambino. Non era propenso a una qualunque forma di agonismo per certi argomenti, quindi non stette troppo a notare la sua altezza o il suo peso, e non era così annebbiato dall' amore paterno per esimersi dal dire che quello era un bambino assolutamente grazioso, con le guance paffute, gli occhi grandi e acquosi e tutto il resto. 
Ma ancora una volta non sentiva niente di più. 
"Niente" disse con un sorriso tirato, poggiando Matthew a terra che, dopo un paio di secondi di confusione, tornò a giocare, richiamato dalle urla entusiastiche di Alfred.
"Non è un dramma, se non ti piacciono i bambini" cercò di dire Francis, poggiandogli comprensivo una mano sulla spalla. 
"Non dire sciocchezze, devo volergli bene! E' mio dovere crescerlo, e voglio che lo faccia nel migliore dei modi"
"E' qui che sbagli, non devi importi tutto, non pensare che deve piacerti, cerca solo di goderti gli attimi che passi con lui senza troppi problemi!" sbottò il francese, facendolo voltare. 
"Forse non sono adatto a crescere un bambino" ribattè l' inglese, sordo alle parole del francese.
"Sei un rompicapo assurdo, Kirkland" pensò disperato il francese, scuotendo la testa "Lascialo a me stanotte. Non passano molto tempo insieme, penso che farebbe bene a tutti"
"Pensi davvero che sia così stupido da lasciarlo a te? Certo, passeresti la notte a dirgli che deve volere bene a te e non a me, e poi ..."
"Alfred! Vieni un attimo, mon petit!" lo chiamò Francis, agitando il braccio.
"Che?" chiese il piccolo, zampettando per il giardino.
"Vuoi bene allo zio Francis?" 
La piccola colonia sembrò pensarci a lungo, mettendo un broncio che fece sorridere l' inglese. Era buffo, quando si atteggiava a adulto, o si addormentava a bocca aperta, o mangiava sporcando tutto, o cercava di aiutarlo quando lo vedeva portare gli scatoloni in cantina. 
"Sì" rispose semplicemente, dopo qualche minuto, scatenando il compiacimento del francese che continuò "E ad Arthur, vuoi bene?"
L' americano a quelle parole spalancò gli occhi, che si riempirono di lacrime. Arthur si sentì morire dentro, quando vide che non riusciva a parlare, neanche quasi a respirare. Ingoiò a fatica quel boccone amaro e, anche lui con le lacrime agli occhi, si voltò per andarsene. 
"Aspetta, Artù, dove vai?"
"Tienilo tu, stanotte. Hai ragione, non stanno quasi mai insieme" rispose semplicemente, senza voltarsi.
Il francese, solo con i due bambini, sospirò sconfitto. Ma cosa era preso ad Alfred? 
"Dove va Arthur?" chiese il suddetto, tendendo le braccine verso il suo tutore che lentamente se na andava. 
"E' stanco, mon petit. Perchè non andiamo a giocare tutti insieme, ti va? E poi mangiamo" cercò di rassicurarlo Francis, turbato come poche volte lo era stato. Non poteva certo fare il terzo grado ad un bambino, ma non potè non notare la delusione negli occhi del piccolo.
 
Quella notte, tutto taceva, a casa Bonnefoy.
Dopo un' estenuante giornata passata dietro a quelle due piccole pesti, tra escursioni improbabili e corse disperate, Francis era distrutto, e si era addormantato insieme alle due piccole colonie nel suo ampio letto, cullato del respiro tranquillo dei piccoli. 
A casa Kirkland, invece, il clima era di tutt' altra sorta.
"Sono un idiota senza speranza, e per questo nessuno mi amerà mai, e per questo rimarrò solo come un cane, non riesco a farmi voler bene neanche da un bambino che si affeziona anche ad un tronco come fosse il suo migliore amico! Che razza di persona orribile devo essere?" 
La fatina che cercava inutilmente di consolarlo da ore emise un altro sospiro, che si trasformò in polvere dorata mentre cadeva al suolo. 
"Ah, Selie, vattene anche tu, finchè sei in tempo, tanto finirai per odiarmi anche tu, un giorno, come tutti!"
"Non mi sembra che il piccolo abbia usato queste parole" cercò di dire, cauta.
"Certo, non ha usato nessuna parola!"
Un altro sospiro dorato illuminò per qualche secondo la stanza, immersa nel buio completo. 
"Sono sicura che non è così. Non ricordi? Posso vedere nel cuore degli esseri umani. So quello che prova il piccolo Alfred e, anche se non posso dirtelo, so per certo che non è odio. Quindi smettila di torturarti in questo modo"
"Che poi, perchè sto qui a parlarne con te? Cosa ne vuoi sapere tu dell' odio? Sei una Fata Superiore, non conosci questo tipo di sentimenti!" esclamò l' inglese, completamente sordo, come sempre, alle parole di consolazione. 
"Testardo, stupido testardo! Ah, se solo potessi dirti quello che prova davvero quel piccolo per te ... ma non posso!" pensò la fatina, ma solo un bagliore dorato uscì dalle labbra verdi.
 
"Bonjour, mes petits" sussurrò Francis, aprendo lievemente la tenda per far entrare un pò di luce, filtrata quel giorno da una lieve coltre di nuvole. 
"Speriamo che Arthur si faccia vivo, oggi. Non so più cosa inventarmi per non far preoccupare Alfred" pensò il francese, mentre vesitva Matthew e lo portava in cucina per farlo mangiare. 
"Dov'è Arthur?" chiese infatti immediatamente l' americano, stropicciandosi gli occhioni.
"Arriva presto" mentì spudoratamente l' altro, portandolo in cucina.
Dopo colazione, però dell' inglese non c' era nemmeno l' ombra. 
"Fa troppo freddo per uscire, oggi" spiegò per la centesima volta il francese, accarezzando la testolina bionda di Matthew "Quindi vi leggerò una storia. Su, va a prendere il mio libro delle fiabe" disse, baciando dolcemente la fronte del canadese che, obbediente, sparì in corridoio.
"Francis, dov' è Arthur?" 
"Non lo so" pensò disperato il francese, sedendosi accanto al piccolo, al quale chiese "Perchè ieri non hai risposto, quando ti ho chiesto se volevi bene ad Arthur?"
"Perchè io non gli voglio bene" spiegò calmo il piccolo, guardandosi i piedi.
"No?"
"No!" esclamò risoluto "Io non so come dire quello che ho. Voglio bene a te, voglio bene a Matthew, ma ad Arthur ... io non voglio solo bene. Non ho detto niente perchè non si dicono le bugie"
Il francese trattenne il respiro: era commovente vedere un bambino cercare di spiegare il suo amore verso un' altra persona, non c' era che dire. 
"Arthur non mi crederà mai, quando glielo dirò" pensò subito, quando si accorse che, fermo immobile pochi metri dietro di loro, stava proprio l' inglese. 
 
"Vado a vedere dov' è Matthew" disse Francis, alzandosi da quella che gli sembrava una posizione scomoda: sapeva di dover lasciare la giusta privacy all' inglese, e non avrebbe retto emotivamente a quello che stava accadendo. 
"Alfred, è vero quello che hai detto a Francis?" chiese diretto l' inglese, inginocchiato all' altezza dell' americano, che si era spaventato non poco al suo arrivo inaspettato.
"Non si dicono le bugie" rispose di rimando la piccola colonia. 
"Arthur Kirkland, sei un completo idiota" pensò trattenendosi a stento dal prendersi a schiaffi. Come aveva potuto solo pensare di lasciare il suo piccolo a Francis? Lui, che era diventato la sua unica fonte di gioia? Lui, che lo teneva sveglio la notte per paura dei fulmini? 
"Ma, Arthur, perchè piangi? Sei triste come ieri?" chiese allarmato Alfred, vedendo gli occhi verdi dell' altro riempirsi di lacrime.
L' inglese scosse violentemente la testa, ma due lacrime di gioia gli solcarono ugualmente il viso.
"Non essere triste" sussurrò l' americano, prima di poggiare un piccolo bacino sulla guancia dell' inglese. 
"Andiamo a casa" riuscì a dire, prendendo in braccio il piccolo e approfittando dell' assenza del francese: gli doveva tutto, molto più di quello, ma non l' avrebbe mai ringraziato. Ne andava della sua integrità.
 
"Francis, perchè Arthur piangeva?" chiese allarmato il canadese, nelle braccia dell' altro. 
"Ha scoperto una cosa importante"
"E che cosa?" 
Il francese sorrise, poggiando un bacio sulla sua fronte. 
 
 
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