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Autore: Alis Grave Nil    27/07/2013    0 recensioni
Le dita della sua mano destra si intrecciarono alla mia sinistra, e lui mi accarezzò di nuovo – Hai paura, vero?- a quella domanda non seppi rispondere: dovevo averne? In effetti ne avevo un poca, ma non di lui – Se ti dicessi che è il temporale che mi spaventa, tu mi crederesti?- lui mi sorrise, un sorriso sincero e pieno di vera felicità – Non sai mentire, te lo ricordo, quindi ti crederei- ......
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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La pioggia batteva insistente sulle finestre, e io avevo ancora tre ore: alla fine avevo scoperto che quel giorno le lezioni pomeridiane erano state sospese per assemblea delle classi quarte e quinte, e ora io ero seduta su una sedia in biblioteca senza saper cosa fare. 
Picchiettai nervosamente con la penna sul quaderno di matematica, pensando a cosa avrei potuto fare in tre ore, così mi alzai per esplorare gli scaffali e cercare un libro interessante da leggere. La stanza opposta alla mia aveva molti più libri, così andai e vidi che non ero l’unica ad essere stata poco informata: un ragazzo era seduto su un tavolo, e scriveva diligentemente su un quaderno a righe, con costanza e impegno. Quando lo vidi, il mio primo istinto fu quello di correre via e non disturbarlo, ma che figura avrei fatto di entrare e subito uscire? Mi avviai agli scaffali che stavano uno di fronte all’altro, come tante piccole cellette, e curiosai fra i titoli. Un lampo flash troneggiò nel cielo nero, seguito da un profondo tuono, facendomi sobbalzare. Finalmente trovai il libro adatto a me, e ne sfiorai la morbida copertina di pelle rossa; si intitolava “La Biblioteca Dei Morti”, e dalla trama mi sembrava interessante. Improvvisamente il tomo vicino al mio sparì, e vidi il volto del ragazzo che mi fissava: aveva due occhi verde smeraldo, con una tonalità più chiara al centro. Una frangia di capelli neri gli ricadeva sul viso candido; sembrava proprio un dio
 -  Volevi prendere questo?- lui fece cenno al volume che reggeva in mano. 
Mi riscossi dai miei pensieri, e sentii un lieve calore alle guance – No, grazie. Stavo prendendo questo…- le ginocchia ebbero un tremito, così mi nascosi di più nello spazio di un metro quadrato fra i due scaffali, tentando di sfuggire ai suoi occhi indagatori
 – Ok, allora questo lo prendo io…- tornò al suo tavolo, e fece per sedersi, quando un tuono scosse il cielo. Nello stesso istante la corrente saltò, facendoci piombare nel buio più profondo 
- Ah!- in quella oscurità non vedevo niente, e il terrore mi impediva di ragionare. Avanzai a tentoni, quando un altro tuono fece vibrare i muri, spalancando di botto le finestre e facendo volare via fogli e foglietti vari. Il vetro della finestra si spalancò in una frazione di secondo, frantumandosi a contatto con uno degli scaffali, che iniziò una reazione a domino di scaffali che cadevano su scaffali. 
Sentivo il rumore, ma era tutto troppo confuso in quella oscurità – Spostati da lì!- la voce del ragazzo era vicinissima al mio orecchio. La sua mano si strinse con forza attorno al mio polso, e mi trascinò via dalla celletta, buttandomi a terra un secondo prima che lo scaffale piombasse con forza sullo spazio dove poco prima vi ero io. 
Era ancora buio, e la tempesta infuriava ancora; il ragazzo fece luce con il cellulare, inquadrando il pavimento
 – Dobbiamo chiudere i balconi!- mi teneva ancora il polso, e quel tocco mi faceva divampare un incendio nelle vene. 
Mi alzai con lui, e chiudemmo i balconi, facendo attenzione a non ferirci con i vetri
 – Credo che sia meglio andare in un altro posto più sicuro…- disse lui, puntando l’iPhone verso il corridoio. Annuii, cercando di nascondere il nervosismo e la paura; lo ammetto, ero terrorizzata e bagnata fradicia con le ginocchia che tremavano dal freddo.
Lui prese il suo zaino e il giubbotto, e mi fece cenno di seguirlo nella stanza dov’ero io; si sedette si fronte a me e si scompigliò i capelli 
– Potrebbero mettere qualche professore a sorvegliare la biblioteca!- si lamentò. Invece di sedermi, io andai in bagno, dove strizzai tutti i vestiti dall’acqua, e provai ad asciugarmi un po’ i capelli con l’asciugamani a vento caldo. Il risultato fu che i capelli erano bagnati come prima, e i vestiti stropicciati e attillati alla mia pelle; sopirai scostandomi un ciuffo ribelle dalla fronte, e pregai che le guance perdessero colore. Dopo un po’ decisi di tornare di là, dove il ragazzo si era seduto impegnato a sfogliare il suo libro, scorrendo velocemente gli occhi sulle parole; per non disturbarlo mi accomodai, e ripresi in mano la penna, osservando attentamente il prodotto notevole di dieci polinomi che avevo risolto
 – Hai sbagliato- la voce del ragazzo mi fece di nuovo sobbalzare
 – Come?- lui posò l’indice sulla pagina
 – Qui: il risultato non è sette, ma quattordici- sconvolta guardai quel monomio, e mi accorsi che aveva ragione, e che dovevo rifarla tutta da capo. Strappai con decisione il foglio e mi concentrai sul primo passaggio, ma il ragazzo si spostò, sedendosi vicino al mio fianco e prendendo una matita 
– Ferma, stai già sbagliando. Questo va moltiplicato con il primo, e poi per il terzo. Per ultimo il secondo per il terzo e il primo…- mi fece tutto l’esercizio, spiegandomi ogni passaggio e se non capivo ripeteva con pazienza. 
La sua vicinanza mi dava un senso di sicurezza, e ogni volta che per caso le sue dita toccavano le mie mi sentivo avvampare; quando finimmo l’esercizio parlammo di cosa ci piaceva fare di più nel tempo libero, di cosa ci appassionava, della nostra vita. Scoprii che si chiamava Travis, nonostante suo padre e sua madre fossero italiani al cento per cento, che viveva vicino alla scuola e che faceva la terza superiore; aveva tre fratelli più grandi, sua mamma aveva solo trentasei anni e suo padre trentanove, veniva a scuola in moto e non aveva la ragazza, cosa che mi fece sentire in un certo senso più sollevata. In quel momento arrivò il bidello
 – Ragazzi, credo che dovrete tornare a casa. Visto l’accaduto alla finestra dobbiamo chiudere e fare rinnovamento. Avete due minuti.- detto questo si voltò e fece tintinnare le chiavi, mentre mi sentivo sprofondare: non potevo tornare a casa, il mio primo autobus era solo fra due ore.
 Sconfitta mi alzai e misi a posto la cartella a tracolla 
– Dove abiti tu? Vai a casa con l’autobus?- Travis si caricò lo zaino dell’Eastpack su una spalla sola e mi guardò in un modo indecifrabile
 – Abito a lontano da qui, e vado a casa con l’autobus…- risposi tentando di sorridere. Non potevo coinvolgerlo fino a questo punto: mi aveva aiutato, salvato da uno scaffale in caduta, e se ora avesse saputo la verità sarebbe stato costretto a tenermi compagnia 
– Quando parte il tuo autobus?- mi chiese ancora mentre uscivamo
 – Tra poco …-risposi, e lui scoppiò a ridere
 – Sei proprio una pessima bugiarda! Quando hai detto di non essere capace di mentire non credevo dicessi sul serio!- abbassai lo sguardo imbarazzata 
– Allora, fra quanto parte?- sospirai – Fra due ore…- lui si fermò sotto il portico, tirandosi su il cappuccio. Un altro tuono squarciò il cielo 
– E tu avevi intenzione di stare sotto la pioggia in stazione per due ore? Certo che non capisci la gravità della cosa. Guardati, sei tutta congelata e tremi come un pulcino…Tieni, vieni a casa mia, va bene?- mi porse la sua felpa nera, mentre mi scaldavo gli avambracci
 – Non serve, sarei solo di disturbo, e poi la felpa è tua, sono stata io a non portarmi il giubbotto stamattina, e non è giusto che tu debba bagnarti…- ma lui insisté
 – Io ho il giubbotto di pelle, non preoccuparti, e poi sarà bello avere qualcuno per casa una volta tanto…- lui tirò fuori il giubbotto e si coprì, mentre io mi infilavo la sua larga felpa. Andammo insieme di corsa e sotto la pioggia fino alla sua moto nera della Honda, salimmo a bordo e lui schizzò verso il centro città, scivolando fra le viuzze mentre la pioggia picchiava contro i nostri caschi. Non mi piacevano i temporali: all’Accademia per Angeli ci avevano sempre insegnato che erano i demoni  a crearli, e a me i demoni non piacevano neanche un po’. Arrivammo a casa sua, un edificio alto e stretto dipinto di bianco che all’interno presentava un arredamento moderno e sobrio allo stesso tempo 
–Vieni in camera mia: lì c’è la scrivania, e potrai metterti a studiare in un luogo caldo- mi tolsi le scarpe per non sporcare, e mi avviai fradicia fino alla sua stanza, grande quanto un’aula della mia scuola. Il temporale infuriava attraverso le porte finestre, e un lampo fece vibrare i vetri
 – Non faremmo meglio a chiudere anche qui i balconi?- lui fece cenno di no con le testa, togliendosi la giacca 
– Non ho ancora i balconi, e credo che però in momenti come questo sarebbero utili, non trovi?- la maglia si scostò leggermente appena sotto il collo, e ciò che vidi mi lasciò senza parole e terrorizzata allo stesso tempo: il tatuaggio di un sole nero grande dieci centimetri di diametro.
 Mi rannicchiai a terra vicino al bordo del letto, spaventata come non mai
 – Travis, tu sei…- lui si voltò con una espressione triste negli occhi 
– Conosci quel tatuaggio, vero?- annuii decisa, e scoprii delicatamente la maglia sul fianco, dove era tatuata una piccola rosa bianca con un alone intorno
 – Un angelo- si limitò a dire lui. Raccolsi le ginocchia al petto e le circondai con le braccia, fissando il ragazzo e tremando
 – Perché? Accidenti, perché a me?!- Travis batté i pugni con forza contro il muro, crepandolo. Un altro tuono, le finestre vibrarono ancora. Lui tornò a guardarmi un misto fra la sofferenza e la determinazione
 – Sai volare?- io scossi leggermente le spalle, e la mia maglietta si sfaldò nei punti in cui comparvero le mie piccole ali piumate
 – Tu?- lui fece la stessa cosa, solo che le sue ali erano enormi e sembravano quelle dei draghi 
– Allora è per questo che hai paura del temporale. Perché sei un angelo della luce, vero?- Travis mi si avvicinò: era così bello, eppure, anche se era un demone, sembrava più angelo di tanti altri miei compagni. Non risposi, così lui si allontanò di nuovo, dalla parte opposta della stanza, sedendosi sulla sedia e reclinando leggermente le ali. Un tuono più potente. 
Mi tappai le orecchie e mi rannicchiai di più, gemendo, mentre il respiro mi diventava sempre più affannoso 
– Da qui si sentono meglio i temporali. Non saresti dovuta venire, saresti dovuta volare a casa- lo guardai terrorizzata, e osservai il modo in cui mi guardava, quasi di compassione, e capii che se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto da tempo. Un altro tuono, io chiusi gli occhi e urlai, nello stesso istante in cui la portafinestra andò in frantumi.
Mi sentii come proteggere da una coperta, e quando aprii gli occhi Travis aveva il viso a pochi centimetri dal mio e schegge di vetro appoggiate ovunque 
– Travis, ma come…- la mia voce era un rantolo soffocato dalla paura, il corpo era un tremito continuo; lui si scosse leggermente i capelli, facendo cadere a terra le scheggie, e tornò a fissarsi su di me. 
Mi prese la mano e la fece scorrere via dalle ginocchia, lasciando che mi mettessi seduta con le gambe di lato
– Adesso stai tranquilla, respira profondamente e calmati. Non devi avere paura. Non ti farò del male, non potrei mai farti del male…- chiuse le sue ali attorno a me come una protezione, e mi accarezzò il viso, facendo scorrere le dita dagli zigomi fino al mento, asciugandomi le lacrime.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi al suo dolce tocco, quando il vento mi sferzò il viso, e la pioggia ci bagnò di nuovo, ma stavolta, avvolta dalle ali di Travis, mi sentivo più tranquilla e sicura.
Aprii di nuovo gli occhi, continuando a respirare profondamente, quando un altro tuono risuonò nella stanza; una scarica di terrore mi pervase, e feci per rannicchiarmi di nuovo, quando mi ritrovai chiusa fra le braccia e il petto di Travis, con le mani socchiuse che si appendevano alla sua maglietta 
– Io…io non…- le lacrime si mescolarono alle gocce di pioggia, e sentii la presa di Travis chiudersi di più, come per farmi da scudo
 – Sssh, adesso basta, ci sono io. Sei protetta fra le mie ali…- mi accarezzò di nuovo, scostandomi un ciuffo ribelle dagli occhi
 – Perché non mi uccidi?- la mia domanda rimase sospesa nel vuoto, quando Travis si mise carponi davanti a me 
– Potrei farlo anche ora se potessi, ma non ci riesco. Non posso vedere i tuoi occhi spegnersi nelle fiamme. Sono troppo belli per poter essere rovinati…- le sue parole mi lasciarono un senso di tranquillità che si faceva pian piano strada, cercando di arrivare al cuore e di fermare il suo battere all’impazzata. Le dita della sua mano destra si intrecciarono alla mia sinistra, e lui mi accarezzò di nuovo
– Hai paura, vero?- a quella domanda non seppi rispondere: dovevo averne? In effetti ne avevo un poca, ma non di lui 
– Se ti dicessi che è il temporale che mi spaventa, tu mi crederesti?- lui mi sorrise, un sorriso sincero e pieno di vera felicità
 – Non sai mentire, te lo ricordo, quindi ti crederei- mi asciugai le ultime lacrime con la mano destra, e Travis si avvicinò lentamente con il viso. 
Fra noi c’erano meno di dieci centimetri - Tu sei un demone- sussurrai io
 – E tu un angelo. Sarei pazzo a innamorami di te- io lo guardai in quelle sue profondissime iridi smeraldate 
– Quale demone avrebbe il coraggio di farsi del male, innamorandosi di un angelo, e quale angelo si dannerebbe per sempre innamorandosi di un demone?- proseguii io, cercando sempre più a fondo nel suo sguardo 
– I demoni non amano, odiano, eppure credo di amare in questo momento- strinsi le mie dita attorno alle sue 
– E un angelo non odia, eppure credo di odiarti per il fatto che ogni attimo in più passato con te, non voglio più lasciarti…- Travis sorrise
– Sai che ci sono anche i demoni risorti, vero?- io tirai le labbra in un sorriso appena accennato, tendendo leggermente il collo
 – Allora non è un reato per un demone risorto, amare un angelo?- lui si avvicinò di più. Ormai ci rubavamo il fiato a vicenda 
– E anche se fosse non m’importa più ormai, mi piace amare, amare te…- le sue labbra sfioravano le mie 
–Stai per bere un sorso del tuo veleno…- lo avvertii 
– Se il veleno avesse il tuo sapore, mi ucciderei anche subito - finalmente le nostre labbra si incontrarono in un bacio leggero e delicato, ma carico di un significato profondo.
Un tuono si ripercosse per tutta la casa, ma ormai non avevo più paura. Lasciai che le sue labbra scorressero dalle mie labbra fino al collo, mentre le mie mani si appendevano alla sua maglietta bagnata, come cercassero un solido appiglio; le mie ali si erano inzuppate, e ora Travis le stava chiudendo fra le sue, avvolgendole in una coperta bollente.
Il suo corpo emanava calore, così mi rifugiai di più in lui, baciandolo dolcemente sulle guance e sulla fronte, scorrendo le dita fra i suoi capelli corvini. Dopo un po’, lui mi tirò con la testa contro il suo petto, baciandomi dolcemente sulla fronte bagnata
– Devo essere matto per amarti- io mi rifugiai di più fra le sue braccia, mentre l’acqua ci scorreva ancora addosso 
– Ti svelo un segreto Travis: tutti i migliori sono matti- lui rise ancora, e in quel momento sentii che la pioggia cessava. 
Un fantastico arcobaleno si fece strada nel cielo scuro, e rilusse di mille colori, inondandoci con la sua luce avvolgente.




Questa è la prima storia che pubblico. L'ho scritta proprio nel giorno in cui ero in biblioteca e speravo accadesse qualcosa di miracoloso per far passare il tempo, ma a me non è andata bene come alla protagonista! :(
  
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