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Autore: dawnechelon    27/07/2013    2 recensioni
Ispirata all'incontro tra Dean e Amanda passato, ma Amanda è sostituita da un personaggio totalmente inventato da me: Grace. Come dice il titolo stesso, la mia ispirazione è stata proprio la canzone di Sia, che considero la colonna sonora di questa OS e consiglio di leggerla con questo sottofondo, per farvi capire come l'ho vissuta io.
« Non l'ho dimenticato, Grace. »
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Ho un'ossessione: i ricordi, ed il passato. Ho sempre pensato che la mia vita in realtà giaccia completamente nel mio passato, ed il mio presente sia solo una condizione che sono costretta a vivere perché nell'ordine del cosmo, le persone vivono il presente, in vista del futuro. Nessuno vive al contrario, nessuno vive il presente per il passato. Nessuno torna indietro, non c'è modo di farlo. Solo le persone che hanno raggiunto una veneranda età vivono nel passato, e vagheggiano la loro giovinezza ed i loro primi amori perché hanno perso molto di quello che hanno vissuto. Io non avevo ancora raggiunto nemmeno lo stadio adulto, perché a venticinque anni mi sentivo ancora pienamente una ragazza.
Una ragazza in cerca di un sogno, in cerca di una battaglia per cui combattere, anche se mi muovevo spaesata persino nella mia stessa città, che conoscevo ormai fin troppo bene.
Gli unici luoghi meravigliosi che mi davano la speranza di poter fuggire lontano un giorno erano nei quadri che dipingevo. Spesso non erano nemmeno paesaggi ben definiti, spesso non erano nemmeno forme. Erano soltanto diverse sfumature di uno stesso colore che si abbracciavano, talvolta si respingevano, ed io associavo ogni colore ad un posto lontano.
Il blu, come il blu che era nei miei occhi, era la freschezza dei paesi nordici, ma era anche la libertà dell'oceano, la barriera corallina, la serenità di un cielo stellato.
Il verde, il verde scuro ed intenso dei boschi della Germania, il verde acceso delle foreste tropicali africane, il verde prato di un parco nel centro di Londra.
Il rosso, il rosso era il colore che amavo di più. Il rosso era Parigi, il rosso era il Moulin Rouge, la passione bruciante della Parigi fine ottocentesca. Il rosso era il calore di un abbraccio, il rosso era in un bacio, in due mani che si stringevano, in due corpi che si accarezzavano. Il rosso era l'amore per me. E quante volte avevo provato a dipingere l'amore, spesso però macchiandolo di nero, o di bianco, che era anche peggio del nero.
Il nero era la difficoltà, gli ostacoli, il dolore. Il bianco era l'annullamento totale. Il bianco cancellava il rosso dell'amore, ne lasciava soltanto delle pennellate vaghe che sembravano quasi ferite, ferite aperte ed il rosso allora diventava sangue.
Quando terminavo una tela e riponevo i pennelli, mi guardavo le mani, imbrattate di colore, e mi sentivo relativamente viva. Talvolta mi sporcavo anche la faccia di colore, come i guerrieri delle tribù dell'Africa, e sentivo di essere pronta a combattere la mia guerra, ma in realtà non ne avevo una da combattere. La mia vita era caduta nella banalità e nella meccanicità da diversi anni, e non ero mai riuscita ad uscire da quella condizione di perpetua noia. Oh, la noia. Fa male più del dolore, perché la noia non è nulla. La noia è vuoto, la noia è zero. Il dolore ti fa sentire vivo per quanto faccia male, senti di avere un cuore, che anche se piange, è vivo.
La noia al contrario ti fa sentire di non essere, di esistere e basta. Senza uno scopo, senza una meta. Vuoto.
Lavoravo da anni come infermiera in quell'orfanotrofio che mi aveva ospitata da bambina, da quando avevo perso i miei genitori, ed ormai conoscevo ogni singolo angolo, ogni parete, ogni difetto e pregio di quel luogo.
Cercavo di renderlo più accogliente con la mia creatività, soprattutto per quanto riguardava le stanze dei bambini. Non mi piaceva dipingere su commissione, non era una cosa da me, perché dipingere era un modo di esprimermi, di rivelare le mie emozioni in colore. Tuttavia mi piaceva rendere i sogni dei bambini realtà, per quanto mi era possibile, e mi capitava di dipingere anche per loro. Mi piaceva ascoltare i loro desideri, vedere nei loro occhi quella luce di meraviglia che i miei avevano perso da molto, ed erano una pura fonte di ispirazione per me. Dipingevo nelle pause, talvolta mentre gli altri colleghi erano in mensa. Sgattaiolavo via silenziosamente, nella mia stanza, e mi mettevo a dipingere.
Quello era il mio pane quotidiano, quella piccola forma di creatività che mi concedevo per sfuggire alla realtà.
Mi sentivo sollevata da terra, in uno spazio tutto mio, dove potevo sognare e desiderare.
E quando tornavo dai bambini con quello che loro mi avevano raccontato, ripreso da me su una tela e vedevo nei loro occhi l'amore e la gratitudine mi sentivo bene. Talvolta il camice riportava qualche macchia di colore, e nel guardarlo sorridevo ingenuamente.
Era come se la mia vita bianca si fosse tinta di qualche macchia di colore, macchie di felicità, seppur passeggera, ma felicità.

Era da poco iniziato l'autunno, la fine di settembre, un periodo che amavo. Nel freddo che stava per arrivare, i colori che tingevano la città erano spettacolari, e li osservavo distrattamente, cercando in essi il calore che mancava alla mia vita.
Avevo finito da poco il mio turno, ed uscita dall'orfanotrofio portai lo sguardo sulla strada, ma qualcosa mi bloccò. Il profilo di un auto che ricordavo bene, come se l'avessi vista ogni giorno, tanto da ricordarne ogni particolare, anche il più banale come una piccola scheggiatura sopra la ruota posteriore, come se fosse stata una cicatrice.
Deglutii a vuoto alzando lo sguardo lentamente sulla figura che era seduta al posto di guida. Non riuscivo a credere come fosse possibile che dopo tutto quel tempo, lui fosse passato di lì, proprio nella città dove abitavo.
Presi un lungo respiro, mi strinsi nella mia giacca e mi avvicinai lentamente all'auto e non appena si accorse di me e si voltò verso di me, un'ondata di ricordi si abbatté su di me, e fui completamente travolta dal passato. Il primo giorno in classe, gli sguardi che ci eravamo scambiati, l'appartarsi nello sgabuzzino, i baci rubati, e le carezze. E il dannato giorno in cui quel bel sogno finì in fumo quando lo trovai con un'altra ragazza.
Non avevo aspettative, dopotutto eravamo al liceo e non potevo pretendere molto, ma qualcosa in quel ragazzo mi aveva colpito nel profondo, ed avevo capito che c'era molto più di quello che lui dava a vedere ed il suo comportamento da sciocco era stato un semplice meccanismo di difesa, forse di difesa verso quello che sarebbe potuto nascere.
Tra di noi c'era stato qualcosa di non indifferente, per lo meno da parte mia. Non sapevo se fossi stata innamorata di lui, forse lo ero, ma in un periodo come quello, era difficile distinguere una cotta dall'amore vero e proprio. La cosa che maggiormente mi stupiva era che nonostante fossero passati quasi dieci anni, nel momento in cui rividi i suoi meravigliosi occhi verdi, sentii il cuore accelerare, il respiro venirmi a mancare e le gambe tremare. Che poteva essere? Forse paura? Forse emozione pura?
Mi fermai e lo guardai mentre scendeva dall'auto, stringendomi maggiormente nella giacca, come se non volessi proteggermi solo dal freddo, ma da tutto quello che lui era in grado di trasmettermi anche solo con uno sguardo intenso, o un sorriso.
« Grace. » - mormorò guardandomi fisso negli occhi.
Sentivo lo sguardo che tremava ed un brivido percorrermi la schiena, facendo tremare ogni nervo, ogni fibra del mio corpo, a cominciare dal cuore che non ne voleva sapere di rallentare.
« Dean.. che ci fai qui? » - chiesi incredula.
« Passavo di qui per lavoro, non pensavo di trovarti ancora qui. Sono sorpreso almeno quanto te.. sono passati otto anni, più o meno? » - rispose sfoggiando quell'aria spavalda e sicura che lo caratterizzavano da sempre, ed accennando un sorriso.
Mi sentii improvvisamente così vulnerabile e fragile che frenare la voglia di buttargli le braccia al collo e baciarlo con le lacrime agli occhi era davvero difficile.
Non l'avevo mai dimenticato, non avevo mai dimenticato i momenti con lui, e dovevo ammettere a me stessa di aver vissuto molto più spesso il passato con lui che il mio presente in solitudine.
« Già.. » - dissi annuendo evitando il suo sguardo.
« Tu.. lavori qui ora? » - mi chiese indicando l'edificio alle mie spalle.
Mi limitai ad annuire senza aggiungere altro, perché ogni parola sarebbe stata vana e dentro di me sentivo soltanto l'eco del mio cuore martellante.
« Stavi andando a casa? Posso.. accompagnarti? »
Mi porse la mano e l'accettai di buon grado, senza nemmeno rendermi conto di quanto stava accadendo. Salii in auto, accanto a lui e mi sistemai sul sedile, posando le mani sulle ginocchia.
« Ricordi ancora dove abito? » - chiesi rivolgendogli un mezzo sorriso che probabilmente somigliava molto più ad una smorfia per l'imbarazzo.
« Non l'ho dimenticato, Grace. » - rispose guardandomi negli occhi fisso, senza aggiungere altro.
Ero spiazzata, completamente spiazzata, disarmata dalla sua bellezza, dal modo in cui mi guardava, dall'emozione che nonostante tutto quel tempo sentivo dentro di me.
Forse ero davvero stata innamorata di lui in passato, forse quel sentimento che allora non riuscivo a comprendere era davvero amore. E quell'amore mi aveva tenuta legata a sé nel passato, senza darmi pace. Mise in moto l'auto e cominciò a guidare verso casa mia, e durante quel breve tragitto scese un silenzio tombale tra di noi.
Mi voltavo di tanto in tanto a guardarlo, ed ammiravo il suo sguardo concentrato, i suoi lineamenti regolari, e le sue mani affusolate e forti saldamente posate sul volante.
Sospirai e mi voltai dall'altro lato, verso il finestrino. Mi lasciai andare sul sedile, appoggiando il capo, e guardai la strada ed il paesaggio che scorreva sotto l'auto come fosse un film, fino a quando non raggiungemmo casa mia.
Posteggiò sulla strada, e scese dall'auto per venire ad aprire la mia portiera. Scesi e mormorai un grazie imbarazzato, rivolgendogli un sorriso e mi avviai verso il portico di casa mia, seguita da lui come fosse la mia ombra. In realtà avrei potuto benissimo considerarlo la mia ombra, quell'ombra che avevo trascinato a forza con me per tutto quel tempo come se fosse la parte viva di me, solo un po' astratta.
Ed ora che lui stava lì, in piedi di fronte a me, sull'uscio di casa mia, non riuscivo a concepire nulla se non quel momento di incontro perfetto tra i miei occhi azzurri ed i suoi verdi. Tutto di lui mi aveva conquistata, dal modo in cui schiudeva le labbra, al tono della sua voce calda. E tutto di lui mi conquistava in quel momento.
« Grazie del passaggio. Mi.. mi ha fatto piacere rivederti, Dean. » - dissi sorridendogli, con un lieve velo di tristezza nella voce. Sapevo che ci saremmo dovuti salutare e non avevo la certezza di rivederlo. Non potevo di certo pretenderlo, non potevo chiedergli di mettere la sua vita in stand by per me, e forse lui nemmeno lo voleva.
Mi limitai a guardarlo negli occhi, a lasciarmi abbracciare da quel colore che tanto mi piaceva, e vi annegai dentro, come si annega in un sogno. Quasi disperatamente.
« Mi sei mancata, Grace. » - disse fermamente, avvicinandosi di un passo a me.
Lo guardai incredula, maggiormente spiazzata, senza sapere ben che dire. Mi aspettavo tutto tranne che quello, tutto tranne quelle tre parole che mi ferivano come una pugnalata al petto. Sospirai e chiusi per un attimo soltanto gli occhi, cercando di trattenere quell'emozione che stava per sgorgare sotto forma di lacrime. Non sapevo se di gioia o dolore, ma era sicuramente emozione.
Lo vidi avanzare di un altro passo verso di me, e sentii le sue braccia avvolgermi, stringermi a sé con innata delicatezza, ma con bisogno. Non sapevo che fare, come comportarmi, come reagire. Istintivamente portai le braccia dietro le sue spalle, e lo abbracciai a mia volta, stringendomi a lui, stringendo il tessuto della sua maglietta con bisogno, mentre cercavo di reprimere le lacrime.
Non mi sentivo così bene da tempo: nel suo puro abbraccio, sentivo di aver ritrovato il mio posto, sentivo il cuore battere contro il suo petto, sentivo calore, protezione, tutto quello che mi mancava. Ma non potevo volerlo, perché forse per lui non era lo stesso.
Mi sciolsi dal suo abbraccio non appena lui allentò la presa e gli carezzai il viso con una mano, con un lieve sorriso. Lui prese il mio viso fra le mani, e cancellò quella lacrima che era uscita senza preavviso con il pollice.
Fissai per un attimo le sue labbra lievemente schiuse, e poi alzai lo sguardo sui suoi occhi, spostandomi da uno all'altro. La ragione mi abbandonò definitivamente quando mi alzai sulle punte dei piedi, posando entrambe le mani sul suo viso e posai le mie labbra sulle sue con bisogno, chiudendo gli occhi. Passai la mano dietro la sua nuca, stringendo i suoi capelli corti fra le dita, e mi staccai dalle sue labbra, restando però pericolosamente vicino al suo volto.
« Anche tu mi sei mancato, Dean.. » - mormorai con poca voce, rotta dall'emozione.
Rispose a quelle parole con un bacio travolgente, quasi disperato, mentre scendeva con le mani sulla mia schiena stringendomi a lui. Ricambiai quel bacio con la stessa intensità, stringendomi a sua volta a lui, come se, se avessi allentato la presa, avrei potuto perdere quel momento e con esso perdere lui.
Rendermi conto razionalmente di quel che accadeva non era possibile, perché in quel momento regnava l'emozione, quell'irrazionale forza che mi stava travolgendo completamente. Aprii la porta alle mie spalle, e lo feci entrare, continuando a baciarlo con trasporto, mentre un'altra lacrima percorreva il mio viso per quello che sentivo accadere dentro di me. Lasciai cadere a terra la borsa, e così uno ad uno i miei vestiti, ed i suoi, che disegnarono un percorso dall'ingresso alla mia camera. I suoi baci mi disarmavano, le sue mani accarezzavano il mio corpo con attenzione ed intensità, percorrendolo da capo a piedi, ed il mio cuore continuava a martellare nel mio petto, contro il suo ormai nudo.
Il calore del suo corpo a contatto con il mio mi faceva tremare, e le mie mani percorrevano la sua schiena, seguendone le linee marcate, e le sue braccia seguendo i muscoli accennati.
Il respiro cominciava a mancare ad entrambi, perché travolti da una disperata passione che ci stava unendo nonostante fossero passati anni, e nonostante l'avessimo condivisa quando eravamo soltanto due ragazzini. I suoi baci che percorrevano il mio corpo, e le sue carezze talvolta delicate, talvolta più intense, come se volesse lasciare segno del suo passaggio, mi stavano donando sensazioni assopite da tanto, sensazioni che non avevo più provato dopo esserci lasciati in modo orribile. Tuttavia in quel momento non riuscivo a pensare a quello che era successo tra di noi, agli anni di solitudine, all'assenza, al vuoto, perché ogni mia fibra era dedicata a lui, a quel sentimento che ci univa, forse solo da parte mia, forse anche da parte sua, che ci stava consumando, tanto da desiderarci così intensamente.
Non poteva essere semplice e materiale sesso, non voleva essere il gesto disperato prima di un addio, quello era l'inizio, nel cuore volevo che fosse l'inizio.
E mentre facevamo l'amore, riscoprivo o forse scoprivo per la prima volta quel sentimento così forte da sconfiggere ogni altra forza che a confronto sembrava soltanto un minimo ostacolo. L'amore. Più forte della morte, più forte dell'assenza, più forte del dolore, più forte del vuoto, perché era tutto ciò che riempiva quel vuoto.
Ero vittima dell'amore, e fu in quel momento che realizzai di essere ancora innamorata di lui, forse più di prima, forse più di sempre.
Mi rannicchiai accanto a lui, posando il capo sul suo petto, ascoltando il ritmo ancora accelerato ed irregolare del suo cuore, cullata dal suo respiro. Carezzai con la punta delle dita il suo petto, disegnando forme irregolari, e sospirai alzando lo sguardo verso di lui.
Lo guardai negli occhi, carezzandogli il volto, e sorridendogli lievemente.
« Ti amo, Dean. » - mormorai senza pensarci troppo, confessandogli a cuore aperto quello che provavo. Non mi aspettavo che ricambiasse, non mi aspettavo che provasse lo stesso, ma sicuramente quello che avevamo condiviso non era indifferente. Doveva pur significare qualcosa, o almeno lo speravo.
Si sporse verso di me e mi baciò sulle labbra, carezzandomi il viso, e sorridendomi subito dopo, mentre riprese a passare le dita fra i miei capelli biondi.
« Non lasciarmi qui. Portami con te. Non mi importa che fai, non voglio stare senza di te.. » - dissi fissandolo seriamente. Stavo esprimendo un sogno, il desiderio che avevo in quel momento dentro di me.
« Non è così facile, Grace. La mia vita.. non è sicura per te, e potrebbe sembrarti anche assurda. Però posso parlartene se vuoi, posso darti almeno una spiegazione del perché sono arrivato e sparito nel giro di due settimane quando stavamo al liceo. »
Annuii, tenendo lo sguardo nel suo, apprestandomi ad ascoltare quanto aveva da dirmi.
« La mia vita non è del tutto.. normale. Sono un cacciatore, un cacciatore di demoni. Lo è mio padre, e lo era anche mio fratello, e lo sono diventato da quando ho perso mia madre.. non ho un posto fisso, non posso legarmi a nessuno, perché mi distrarrebbe dal mio compito e metterei in pericolo chi mi sta accanto. Capisci? »
« Portami con te. Insegnami. Combattiamo insieme. » - dissi quasi entusiasta, come se nulla di tutto ciò mi spaventasse, come se fosse tutto nella norma, come se finalmente avessi trovato la mia battaglia per cui combattere.
« Scherzi vero? E' troppo pericolo, Grace.. io vorrei che tu fossi al sicuro, e che fossi felice, anche lontana da me. »
« Dean.. » - mormorai sporgendomi verso di lui - « Potrei essere al sicuro lontana da te, questo sì.. ma non potrei mai essere felice. In questi anni ho vissuto una vita così miserabile e vuota, e oggi, tu.. mi hai fatta sentire viva. Se vuoi che io sia davvero felice, portami con te.. » - dissi fissandolo negli occhi, seria.
Sospirò e mi carezzò il viso ed i capelli, stringendomi a sé, premendo le dita sulla mia spalla.
« Ne parliamo domani.. ora riposa, futura cacciatrice. » - disse con un mezzo sorriso baciandomi nuovamente sulle labbra e poi sulla fronte.
Sorrisi a mia volta, mordendo lievemente il labbro inferiore, e posai il capo sul suo petto, stringendomi a lui. Non era una promessa, non era una certezza, ma in quel momento mi bastava quello. Il suo amore, il nostro amore, aveva colmato quel vuoto che portavo dentro da tempo. Mi sentivo rinata, come se la vita stesse cominciando solo in quel momento per me. E cominciava con lui.
« Buonanotte, Dean. » - mormorai e chiusi gli occhi, cullata dal suo abbraccio, e lasciai che mi prendesse il sonno e che chiudesse quella giornata, o forse che aprisse un nuovo capitolo della mia vita. Un capitolo che speravo di cominciare con lui, non mi importava dove, come, e cosa avremmo dovuto fare. Sapevo di voler stare con lui, e mi bastava.
  
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