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Autore: Kary91    27/07/2013    13 recensioni
“Che cosa stai disegnando?” domandò, tornando ad appoggiare il capo sulla sua spalla.
“Me” rispose Tyler, rivolgendole poi un sorriso divertito. Sollevò la punta del pennarello dal foglio e le sporcò il naso, ridendo della sua espressione stizzita. “Adesso te.”
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus, Tyler Lockwood | Coppie: Caroline/Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'For better or Worse (I got you).'
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Premessa. La storia è suddivisa in tre parti. La prima è ambientata durante l’infanzia di Caroline e Tyler, quando vanno ancora alla scuola materna. La seconda è ambientata a pochi giorni di distanza dal ritorno di Tyler a MF dopo essere stato sugli Appalachi per distruggere il legame di asservimento. La terza, infine, è ambientata in un ipotetico futuro a sette anni di distanza dalla serie TV.

Partecipa al 500themes_ita con il prompt 171. Isole in cielo.

Isole nel cielo e aerei sotto il mare.

You can break her down
With your highs and lows
But she's familiar with the sound
The sound you make, every time you go


Always
Always she waits for you

Always. Peter Bradley Adams

 

La saletta d’ingresso della scuola materna di Mystic Falls risuonava delle risate infantili di un gruppo di ragazzini di cinque anni.

I cartelloni per il banco di beneficienza dell’asilo sarebbero stati appesi il lunedì successivo e i bambini erano intenti a scambiarsi pennarelli e a parlottare tra loro, distesi a terra a pancia in giù. A nessuna delle tre maestre, tuttavia, era sfuggita l’espressione imbronciata di uno dei ragazzini intento a colorare in disparte. Tyler Lockwood sedeva a gambe incrociate di fronte a un cartellone. Aveva lo sguardo incollerito per via dell’ennesimo castigo che gli era stato affibbiato, dopo che per dispetto aveva scarabocchiato di pennarello la gonna di una bambina. Le maestre avevano concluso per metterlo a lavorare da solo a uno dei cartelloni, non aspettandosi nulla di più che un foglio strappato e le mani di un bambino di cinque anni sporche di pennarello.

Le cose non erano andate in maniera poi così diversa da quanto avevano previsto: il sole che Tyler avrebbe dovuto colorare di giallo era pieno di rigacce nere, così come gli altri disegni che riempivano il foglio. In quel momento il ragazzino era intento a scarabocchiare una serie di cerchi, passando noncurante  sopra ai contorni delle nuvole e delle mongolfiere.

Non si era accorto che una bambina bionda aveva incominciato ad osservare le sue manovre da un paio di minuti. Caroline Forbes chiuse il tappo del proprio pennarello e raggiunse il coetaneo, scoccandogli un’occhiata di disapprovazione.

“Stai facendo un pasticcio!”  lo rimproverò, appoggiandosi le mani sui fianchi. Non voleva che Tyler rovinasse quel cartellone. Teneva molto alla bancarella di beneficienza dell’asilo, perché era uno dei pochi eventi a cui la madre non mancava mai. La bambina si divertiva sempre un mondo a osservarla vendere torte vestita come una signora normale e non con addosso i suoi bruttissimi pantaloni da sceriffo.

Notando che Tyler continuava a scarabocchiare con il nero, Caroline si indispettì.

“Le nuvole sono grigie o bianche, non nere!” lo ammonì ancora, accovacciandosi di fronte a lui. “Se colori male lo dico alla maestra!”

Tyler la spinse con la mano libera, rivolgendole un’occhiata scontrosa.

“Lasciami in pace” la intimò, prima di riprendere a fare a modo proprio. Dopo aver colorato di nero tutte le barche a vela, passò in rassegna gli ombrelloni e i castelli di sabbia sulla spiaggia. Infine incominciò a disegnare, tratteggiando una figura storta nel mare.

“Che costa stai disegnando? Un aereo?” lo interrogò Caroline , d’un tratto incuriosita. “E queste cosa sono?” aggiunse, notando anche i cerchi coprivano le figure disegnate a matita dalle maestre.

Tyler sembrò arrossire, ma non rispose.

“Vattene via, stupida” sibilò invece, continuando a pasticciare il suo cartellone. L’espressione della bambina si fece furente. Di norma era solita correre dalla maestra per denunciare ogni bambino che le faceva la linguaccia o che strillava parole impronunciabili come cacca o scemo, ma con Tyler  non ce n’era mai bisogno. Lui, in punizione, ci finiva sempre comunque. Che lei facesse la spia o meno. Non faceva mai l’intervallo, Tyler. Dopo dieci minuti di gioco finiva sempre che andasse a tirare un pugno o una pietra addosso a un altro bambino e veniva messo in castigo.

Caroline sospirò con fare incredibilmente adulto. Sfilò il tappo al suo pennarello giallo e incominciò a riempire quei pochi spazi bianchi che erano rimasti nel sole tra una rigaccia e l’altra del coetaneo. Tyler la osservò stranito per qualche minuto, prima di opporsi.

“Smettila, questo è il mio disegno!” si lamentò, cercando di allontanarle il pennarello. Caroline sbuffò.

“Ti sto aiutando!” lo rimbeccò con aria di superiorità, “Se le maestre vedono questo pasticcio ti metteranno di nuovo in castigo. Diranno a tuo papà che sei stato monello!”

“Vattene via, sei una strega!” ribatté ancora il ragazzino, spintonandola. Caroline strillò, ricambiando lo spintone.

“Ma che dici? Io sono bellissima!”  obiettò poi, fasciandosi i lunghi capelli biondi con le mani. Fece per continuare a colorare, quando uno scatto improvviso del bambino la costrinse a gettare a terra il pennarello.

“Mi hai morso!” strillò, sgranando gli occhi improvvisamente lucidi. Quando incominciò a piangere, Tyler le diede le spalle e riprese a colorare con il nero. Sembrava essersi accorto solo in quel momento di quello che aveva fatto e, nonostante l’espressione furente che ancora gli colorava il viso, aveva chinato il capo e incassato le spalle, come avrebbe fatto un cucciolo sottomesso.  Le maestre intervennero prontamente a sedare il litigio e Tyler venne ancora una volta messo in castigo. Mentre i bambini riponevano i cartelloni per andare a giocare in cortile, il ragazzino fu costretto a sedere in disparte per riflettere sulle sue marachelle.

Caroline era corsa a giocare con le sue amiche, ma ogni tanto correva dentro e cercava di sistemare il cartellone di Tyler, aggiungendo un po’ di giallo fra le rigacce nere che aveva scarabocchiato il bambino. Forse, se l’avesse aiutato a sistemarlo, le maestre gli avrebbero tolto prima la punizione. Era ancora parecchio arrabbiata con lui, ma non le era mai piaciuto vederlo in castigo. Un po’ la rattristava saperlo seduto da solo, mentre i suoi amici giocavano a football senza di lui. Mentre colorava, la bambina rimirò incuriosita i disegni strani che riempivano il cartellone del bambino.

“Che cos’erano quei tondi che hai disegnato nel cielo?” domandò, una volta tornata di nuovo in cortile.

Tyler continuò a scavare nella terra con un bastoncino.

“Isole del tesoro” rispose poi, senza guardarla negli occhi. Caroline gli rivolse un’occhiata stranita.

“Le isole le devi disegnare nel mare!”lo rimbeccò, “Altrimenti come fanno le navi dei pirati ad arrivarci? E gli aerei andavano disegnati in cielo. Il tuo cartellone è tutto sbagliato!”

“Io disegno come voglio!” ribatté il ragazzino, squadrandola con rabbia.  “Vattene via, strega, o ti tiro i capelli!”

Con quelle parole la conversazione tra i due bambini si estinse. Caroline rivolse al coetaneo un’occhiata inorridita e corse a giocare con le amiche. Tyler rimase al suo posto, tormentandosi la punta delle scarpe nuove e tirando via tutti i lacci per il puro gusto di fare arrabbiare le maestre. Non parlava con nessuno: la sua espressione scontrosa indugiava rabbiosa sui bambini che si rincorrevano allegri, gridando “Libera me!”. Scrutava con rabbia i coetanei che correvano incontro alle proprie mamme per farsi prendere in braccio e quasi con invidia quei bambini che si lasciavano stringere dai padri con affetto.

Di tanto in tanto Caroline si voltava, per rivolgergli un’occhiata impensierita. Dopo dieci minuti di gioco chiese alla maestra di andare in bagno e al suo ritorno si sistemò sul prato, poco distante dal ragazzino. Di tanto in tanto le piaceva aspettarlo, anche se capitava di rado che i due giocassero assieme. Si sedeva in un angolo, fingendo di essere stanca e si alzava solo quando anche a Tyler veniva permesso di fare altrettanto.

Quel pomeriggio, tuttavia, aspettò invano. La punizione di Tyler finì solo quando la signora Smith, la governante della famiglia Lockwood, varcò i cancelli della scuola materna. Caroline e Tyler restavano spesso all’asilo fino all’orario di chiusura. La mamma di Caroline era sempre indaffarata con il lavoro e la governante di casa Lockwood preferiva aspettare le sei prima di venire a prendere il piccolo Tyler. Si lavorava decisamente meglio, diceva, senza quel monello in giro per casa.

Quando arrivò il momento di andare a casa il ragazzino non si mosse. Rimase seduto, intento a osservarsi imbronciato i palmi delle mani sporchi di nero. Caroline si studiò le sue, macchiate di giallo, e ne sollevò una per salutare nella sua direzione. Dovette attendere un po’, ma alla fine il bambino si convinse a ricambiare, lasciandosi poi guidare verso il cancello dell’asilo dalla signora Smith.

Caroline sorrise, prima di tornare a giocare.  Mentre correva per il cortile della scuola si mise a ridere, immaginando aerei che volavano nel mare e navi che solcavano il cielo alla ricerca di isole del tesoro.

***

 

Erano trascorsi cinque giorni dal ritorno a casa di Tyler.

Quel pomeriggio, Caroline aveva scelto di incontrarlo nella vecchia casetta sull’albero dei Donovan: qualsiasi altro posto le sarebbe sembrato fuori luogo. Aveva voglia di sentirsi circondata da ricordi che non facevano male, dove non figuravano canini affilati e sangue – se non in qualche vecchio travestimento di Halloween. Ricordi che risuonavano di timide confessioni, grida infantili e risate fra amici. La casetta di Matt se la cavava egregiamente in quello. Le sue pareti in legno, per quanto fragili, erano in grado di tenerla al riparo dal sovrannaturale che si era impadronito della sua città, della sua famiglia, dei suoi amici.

Una delle cose che più amava di quel posto erano i disegni appesi alle pareti. Erano stati fatti quasi tutti da Matt e Vicki, ma ce n’erano un paio in cui figuravano i nomi in stampatello di altre persone. Caroline ne sfilò uno dalle puntine che lo affiggevano al legno e sorrise: era l’unico in bianco e nero in mezzo a tutti quei fogli colorati a pennarello.

Un rumore familiare di passi echeggiò alle sue spalle. Caroline si portò il foglio sulle ginocchia e si sedette, ascoltando quasi assorta lo scricchiolare ritmico delle assi. Attese l’avvicinarsi di quel rumore con pazienza, così come aveva sempre fatto, a volte senza nemmeno accorgersene.

Tyler la squadrò a lungo, prima di abbozzare un sorriso. Prese posto di fianco a lei e le rubò un bacio, sistemandosi poi con una mano i capelli spettinati.

“Questa maglietta non mi piace” osservò la ragazza, arricciando appena il naso, prima di accarezzargli il petto con tenerezza. Tyler le rivolse un sorrisetto divertito.

“Sugli Appalachi non ho avuto molte opportunità per fare shopping” si giustificò, mentre la ragazza posava il capo sulla sua spalla.

“Ma porterai me a fare compere, vero?” lo interrogò la ragazza, rivolgendogli un sorriso sbarazzino. Tyler  scosse il capo, nuovamente divertito. Gli era mancato quell’aspetto di lei, mentre era via. Gli erano mancate le piccole cose: i bronci da ragazzina, l’impuntarsi sul più piccolo dei dettagli, il sorriso luminoso che le accarezzava con costanza le labbra. Erano dettagli che gli ricordavano la Caroline di una volta – quella dalla parlantina inestinguibile, un po’ frivola in apparenza, ma sempre pronta a preoccuparsi per gli altri. Una Caroline che stava crescendo e maturando, ma che di tanto in tanto avvertiva ancora il bisogno di lasciar emergere la vecchia se stessa, per non lasciarla mai andare del tutto.

“E va bene” si arrese infine il ragazzo. “Porterò te a fare compere. Per quanto la cosa mi risulti snervante…

“Ehi!”
La ragazza gli diede uno schiaffetto sul braccio e Tyler rise, prima di notare il foglio sulle ginocchia della vampira.

“E questo?” domandò, riconoscendo in quelle righe tracciate a matita qualcosa di incredibilmente familiare. “Se è in bianco e nero deve per forza essere mio.”

Ricordava alla perfezione la sua tendenza a ignorare i colori, perché era una cosa che non l’aveva mai abbandonato, così come la sua passione per il disegno. Disegnava ancora, di tanto in tanto. Lo faceva quando era particolarmente rilassato o quando aveva bisogno di un po’ di tempo per se stesso. Lo aveva fatto anche mentre era solo sugli Appalachi, ricostruendo su carta ciò che gli mancava di Mystic Falls.

Caroline indicò nel disegno una serie di cerchi grandi quanto il sole abbozzati nel cielo.

“Avevi questa strana mania di disegnare le cose al contrario” osservò,  “ Cose tipo gli aerei sotto al mare…
…O le isole in cielo.” proseguì Tyler con un ghigno, osservando l’arcipelago frastagliato che aveva raffigurato fra le nuvole. Si strinse nelle spalle, sollevando poi lo sguardo a incontrare quello di Caroline. “Lo facevo per farli incazzare, credo” rivelò infine, sforzandosi di ricordare i pensieri che avevano tenuto impegnata la sua mente da ragazzino. “Disegnare al contrario, comportarmi male. Alzare le mani. Tanto non capivano.” 

Non esplicitò a chi si stesse riferendo, ma Caroline fu certa di aver capito comunque. Pensò ai due coniugi Lockwood: a Carol che si era sempre sforzata di giustificare il figlio in tutte le maniere possibili e a Richard, che invece lo ascoltava troppo poco. Se il sindaco Lockwood si era mostrato spesso disattento alle esigenze emotive del figlio, sua madre era solita cercare di coprire quei vuoti viziando e coccolando il piccolo Tyler. Nessuno dei due si era mai domandato come mai il figlio colorasse solo con il nero. Né perché fino alle scuole medie avesse continuato a sfidare gli insegnanti, disegnando isole nel cielo e aerei sotto il mare.

“Avrei voluto capirti io” si sorprese a dichiarare la ragazza, giocherellando con il laccetto del bracciale di Tyler. “Avrei voluto esserti accanto sin da allora.”

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, concentrandosi sui tocchi leggeri dei polpastrelli della ragazza sulla sua pelle.

“Forse non te lo ricordi…” mormorò infine, allungando un braccio per cingere la vita di Caroline. “…Ma quando eravamo piccoli hai sempre avuto un certo ascendente su di me. Forse era anche per questo che ti facevo passare le pene dell’inferno” ammise, ricordando di quando si sopportassero a  stento in passato. “Alle volte avevo come l’impressione che tu capissi ciò che mi passava per la testa e questo mi metteva in soggezione.”

Caroline fece per dire qualcosa, ma si accorse di non sapere bene come rispondere. Le parole di Tyler l’avevano sorpresa. Raccolse a caso una manciata di ricordi sul loro passato e li esaminò in silenzio, mentre si chinava in avanti per baciarlo.

Si accorse, tutto a un tratto, che lo aveva aspettato sempre.

Lo aveva atteso alle feste natalizie del liceo, sorprendendosi a sperare che non rientrasse in palestra troppo tardi o troppo sbronzo, per non vederlo finire nei guai.

Lo aveva atteso per  notti intere, con gli occhi lucidi puntati contro il cielo, pregando affinché il tormento a cui lo stava opponendo la luna piena terminasse presto.

E lo aveva aspettato per mesi quando era in viaggio per sfuggire all’asservimento. Scacciando la nostalgia che minacciava di rigarle le guance riascoltando uno dei suoi messaggi vocali in segreteria.

Quella veglia continua e inconsapevole le accarezzò la mente, mentre la ragazza si alzava in piedi, diretta verso l’unico mobile della casetta. Prese un foglio e dei pennarelli da uno dei cassetti e ci soffiò sopra per eliminare lo strato di polvere che li ricopriva.

 “Disegni per me?” domandò infine, porgendoli a Tyler.

Il ragazzo annuì. Non ebbe alcun tipo di esitazione nel decidere quale colore utilizzare. Scelse il pennarello nero dalla scatola, mentre Caroline tornava a prendere posto di fianco a lui.

Lo osservò riempire il foglio di righe longilinee, domandandosi in silenzio che cosa stesse disegnando. Spostò poi lo sguardo dal disegno al volto del ragazzo. Da quando Tyler era tornato a casa aveva riscontrato qualcosa di diverso, in lui. Sembrava più maturo: sembrava un uomo. La ragazza tornò ad osservare il disegno e tutto a un tratto sorrise. Attraverso quelle righe a pennarello le tornarono alla mente i pomeriggi d’estate trascorsi ad osservarlo disegnare a china. Non c’era mai stato nulla di raffinato ed elegante nei suoi schizzi. Tyler disegnava quello che gli veniva in testa senza cercare di abbellirlo di filtrarlo, di renderlo più iconico in qualche modo. Erano disegni spogli, i suoi. Semplici, ordinati e sempre rigorosamente neri. Eppure, per Caroline, non ve n’erano mai stati di più belli. I ritratti pittoreschi e raffinati di Klaus non avrebbero mai potuto eguagliarli. Il profumo della china, mescolato a quello forte, virile del suo ragazzo, la faceva sentire a casa.

“Che cosa stai disegnando?”  domandò, tornando ad appoggiare il capo sulla sua spalla.

“Me” rispose il ragazzo, rivolgendole poi un sorriso divertito. Sollevò la punta del pennarello dal foglio e le sporcò il naso, ridendo della sua espressione stizzita. “Adesso te.”

La ragazza prese un secondo pennarello dal contenitore e gli scarabocchiò entrambe le guance di rosso. Quando la lotta di colori cessò, Caroline scelse il  giallo e si posò sulle ginocchia il disegno di Tyler. La punta del suo pennarello passò in rassegna ogni singolo spazietto bianco rimasto. Colorò di giallo tutto ciò che non aveva subito la sfuriata in nero dell’artista e, a lavoro ultimato, il soggetto del disegno era irriconoscibile perfino dallo stesso Tyler.

Di certo non era un capolavoro.

Eppure, per Tyler e Caroline, mai c’era stato disegno più perfetto di quello.

 

***  

 “This isn't goodbye. This is...until we find a way. We're immortal remember? We will find a way.”

“What if we don't? Tell me that you'll never think of me again. Tell me that you'll forget about me, tell me that you are going to go on and live a full and happy life without me.”

Caroline & Tyler. 4x14; Down the Rabbit Hole.

 

Caroline si schermò gli occhi con la mano per osservare il mare.

Una folata di vento le spettinò i capelli, mentre si chinava per immergere le mani nell’acqua, accarezzando le onde che la increspavano.

La giovane osservò il paesaggio oltre le sue spalle, non riuscendo a trattenere lo stupore: improvvisamente le venne da ridere. L’isola che la ospitava era piuttosto piccola, ma graziosa. Ciò che ai suoi occhi la rendeva così speciale era il fatto che fosse sua. Interamente sua. Era un regalo da parte di Klaus per il suo venticinquesimo compleanno.

Mai avrebbe immaginato che un giorno qualcuno avrebbe sfiorato il bizzarro e l’impossibile, concedendole in dono addirittura una porzione di terra: un piccolo regno da poter chiamare casa.

Ma Klaus era così: amava andare oltre i limiti imposti dal buon senso. Aveva imparato a compiacere quella parte di lei che stava crescendo, nonostante all’esterno fosse rimasta la ragazzina di sempre. Sapeva come farla sentire una donna. Le ricordava lo scorrere del tempo, il suo maturare costante, in aperto contrasto con il sorriso sbarazzino da adolescente che ancora disegnava le labbra della ragazza.

Tuttavia c’era qualcosa che stonava, quando era assieme a lui. Qualcosa di netto, simile a una rigaccia nera su un foglio bianco.

Nulla era mai abbastanza.

Nulla funzionava mai del tutto.

C’era sempre dell’altro di cui Caroline sentiva di avere bisogno.

La vampira prese a camminare a lungo la spiaggia. Fece per raggiungere il jet con il quale erano arrivati sull’isola, ma quando raggiunse la riva, d’un tratto, si bloccò.

L’ombra delle ali proiettata sull’acqua le provocò un’insolita stretta allo stomaco. Sembrava quasi un aereo; un aereo sotto al mare. Grazie a quell’immagine il pensiero fisso di Caroline venne sviscerato all’improvviso, mostrandosi nella sua interezza.

Ripensò a Tyler e il suo sorriso si fece d’un tratto nostalgico, fino a svanire, quando la giovane ricordò il momento in cui erano stati costretti a dirsi addio. Quella sera lei gli aveva chiesto lasciarla indietro, di dimenticarla.

Non sapeva se lui l’avesse fatto. Ciò che sapeva con certezza era di non essere mai riuscita a fare altrettanto.

Una parte di lei avrebbe sempre scorto isole nel cielo e aerei sotto il mare.

Una parte di lei si sarebbe rifiutata di crescere e sarebbe rimasta bambina, così da potersi ricordare di Tyler. Di quell’amore che aveva salvato entrambi; lui dalla codardia, lei dalla paura. Entrambi dalla solitudine.

Una parte di lei lo aveva aspettato sempre. Sperando di vederselo arrivare incontro con le mani macchiate di nero – e lei gliele avrebbe sporcate di giallo.

In quel momento, osservando l’ombra del jet frastagliarsi sulle onde, si accorse di essere stanca persino di attendere.

Voleva tornare da lui: voleva tornare casa.

E se per raggiungerlo avrebbe dovuto prendere un aereo sotto il mare o cercare nel cielo un’ isola del tesoro l’avrebbe fatto.


You've been away too long
But she will choose to believe
And her heart is so strong
It's strong enough, if only it could see

Always
Always she waits for you

Always. Peter Bradley Adams

Nota dell’autrice.

Ho scritto questa storia per due ragioni in particolare. La prima è che i bimbetti della materna al lavoro mi hanno ispirato ancora una volta. La seconda è che avevo una nostalgia assurda del Forwood, di baby Tyler e baby Caroline e di questi due assieme come coppia. Mi mancavano terribilmente, ecco.

Il risultato non mi convince del tutto, ma penso sia dovuto soprattutto a quel finale con accenni Klaroline che mi ha fatto faticare moltissimo mentre lo rileggevo. Inizialmente volevo tagliare via la terza parte perché proprio non mi piaceva. Mi sembrava troppo… Non so, banale, artificiosa. E poi nella mia testa faccio molta fatica ad immaginare Caroline assieme a Klaus, anche se immagino che saranno end-game, prima o poi. Alla fine, sotto consiglio di una persona, ho deciso di tenere anche la terza parte, soprattutto per mantenere i richiami al prompt che ho utilizzato (isole in cielo) e alla canzone che accompagna la storia. Questa terza parte è volutamente vaga, perché ho preferito che ciascuno scegliesse di immaginare un po’ come volesse come mai Caroline fosse assieme a Klaus. L’idea stramba di regalare l’isola alla bionda mi pare proprio una cosa da Klaus xD
Un altro appunto che devo fare è che questa storia si lega vagamente ad altre due storie: Let it slide in cui ho introdotto la mia adorata casetta sull’albero di casa Donovan e Count [on Me] to 51, che è un’altra Forwood in cui viene menzionato il rapporto tra Tyler e il disegno. In generale Caroline e Tyler da piccoli riprendono la caratterizzazione che gli ho dato nelle altre mie child!Forwood.

Ok, tutto qui, credo.

 

Un abbraccio!

Laura

   
 
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